La One-Shot è tratta da ANIMA NERA, chiunque avesse dei dubbi o non capisse la storia è avvisato ^_^
Mi sopporti. E ciò basta e avanza.
Capitan
Light era,
più comunemente, colei che in gergo veniva definita
un’istituzione. Un emblema
silenzioso. Un osso duro che non si sarebbe mai arreso.
Il
suo vero nome era Aranel, che nel linguaggio degli Elfi Domestici
significava “Stella del Re”.
E lei, con il suo
portamento fiero e la sua folta chioma corvina, una Principessa lo
sembrava per
davvero.
Aranel
aveva sessantaquattro anni, un’intelligenza eccellente e una
razionalità che
nessun altro Elfo Domestico aveva mai dimostrato. Aranel fu la seconda
Elfa
Domestica ad essersi ribellata alla schiavitù ispirandosi
alle avventure di
Dobby il Temerario. Dopo essere
sfuggita all’ira della sua famiglia nel Kent, aveva vissuto
per due mesi nei
boschi e si era ritagliata uno spazio in settima pagina della Gazzetta
del
Profeta per la sua insolita “Guerra
del
Calzino”, ribellione silenziosa che aveva spronato
decine di Elfi Domestici
oppressi a ribellarsi al proprio penoso tenore di vita, fuggendo alla
ricerca
di un futuro migliore.
Ciò
non era sfuggito allo sguardo di Minerva McGranitt.
Prima
che la comunità magica riservasse alla
giovane Aranel una
brutta fine, tre anni
dopo la fina della Seconda Guerra Magica, la Preside di Hogwarts aveva
provveduto a ingaggiare Capitan Light
e il suo piccolo esercito di Elfi nelle Cucine della scuola, con una
paga di
dieci galeoni settimanali ciascuno. Mance escluse.
Uno
stipendio paragonato a quello di molti Maghi Apprendisti. Una follia, aveva commentato acidamente
Rita Skeeter nel suo reportage
dedicato alla “Guerra del Calzino”. Un
gesto folle ed alquanto incomprensibile da una donna ossessionata
dall’eredità
lasciatale dallo strambo Silente.
Aranel,
capo Cuoco e Responsabile delle Cucine di Hogwarts, il mattino di
Natale si
svegliò molto presto. Fuori dalle finestre della sua piccola
stanza del
seminterrato si intravedeva un sottile manto innevato che ricopriva i
prati
della scuola. Come ogni giorno, indossò la divisa e il
cappello da chef; e
s’avviò fieramente giù per la scala a
chiocciola che conduceva nelle cucine
deserte. L’orologio appeso alla parete segnava le quattro e
dieci del mattino. Mentre
i suoi compagni ancora russavano pigramente nelle cuccette del piano di
sopra, Capitan Light aveva il
compito di
redigere l’inventario delle scorte, controllare i forni e gli
incantesimi
evanescenti delle pietanze. Tutto doveva funzionare perfettamente nella
sua
cucina. In particolare quel giorno, Natale, dove gli studenti rimasti a
Hogwarts e il corpo docenti avrebbe dovuto gustare un pranzo di
prim’ordine.
Centodieci…
centoundici…
In
bilico precario su una cassetta di legno, Aranel ispezionò
le file di bottiglie
di Fior di Pesco ammonticchiate sugli scaffali della cantina,
stringendo al
petto un registro consunto. Dopo averli ricontati una seconda volta,
strinse le
labbra in una smorfia ed arricciò il naso adunco. Mancava
una bottiglia.
<<
Com’è possibile? Com’è
possibile?!>>
Nel
registro non furono pervenute nemmeno due uova, uno Zuccotto di Zucca e
tre
confezioni di Mielecialde. Maledizione.
<<
Intruso!>>
urlò l’Elfa, che
discese con un balzo dalla cassa di legno e
s’avviò a grandi passi nelle
cucine. In fondo alla sala, seduto a un minuscolo tavolo traballante
dove
solitamente gli addetti ai dolciumi adornavano le loro pietanze,
c’era un Uomo.
Era piuttosto alto, i suoi folti capelli corvini scompigliati
sfioravano di
poco il soffitto, ed era costretto a starsene chino in una posizione
goffa e
innaturale. Il suo mantello era abbandonato sullo schienale di una
sedia.
Indossava abiti babbani. Nulla, nel
suo aspetto, lasciava presagire che egli fosse un mago. Un maglioncino
sobrio
color acquamarina, dal quale trapelava il colletto di una camicia, era
accompagnato da un paio di jeans scoloriti. E dalle scarpe…
erano scarpe? Un
incidente cromatico, forse. Con uno stupido, sgargiante baffo
trasversale che
correva sulla suola.
<<
Buon Natale, Capitano.>> disse lui. E i suoi occhi, di
una sfumatura
scarlatta, la scrutarono intensamente per qualche lungo istante.
<<
Si chiama rubare, questo… rubare!>>
abbaiò Aranel. E, con un gesto deciso, raggiunse il ragazzo
e gli strappò le
confezioni di Mielecialde ancora impacchettate dalle mani.
<< Questo non
è un ristorante!>> Rabbiosa,
agguantò un mestolo da cucina appeso a un
bancale e lo utilizzò per indicarlo con aria minacciosa.
<< Avevamo un
patto, Vesper. Non puoi servirti come ti pare e piace, come se
questo posto fosse di tua proprietà.>>
Lui
rise. << Avevo fame.>>
<<
Buon Merlino, cosa ti è successo alla faccia?>>
<<
Effetti collaterali.>>
L’Elfa
sospirò. Gli scagliò addosso le Mielecialde
rubate e, senza degnarlo di uno
sguardo, voltò sui tacchi e s’arrampicò
ai fornelli. << Hai un aspetto
terribile.>> disse a denti stretti. Agguantò
una tazza di terracotta e
una brocca di latte fresco, con la quale la riempì fino
all’orlo. Poi, con un
gesto elaborato delle mani, impose le dita sopra la ciotola e un caldo
fumo
dall’aroma di miele si sollevò tremolante dalla
tazza. << Erano due mesi
che non ti facevi vedere. Problemi con i tuoi Pipistrelli?>>
<<
Sei l’unica Elfa a possedere il senso
dell’umorismo.>>
<<
E l’unica a sopportarti.>>
Aranel
discese dai fornelli e gli posò la ciotola bollente sul
tavolo, davanti ai suoi
occhi rossastri. << E’ latte e
miele.>> disse, assumendo un tono
severo. Le mani lungo i fianchi. Il cipiglio cupo di una professoressa.
<< Mangiare
è importante. Devi
farlo, se vuoi toglierti quelle orribili occhiaie. E
quell’aria da vampiro che
ti ritrovi.>>
Lui
scoppiò a ridere. << Va bene,
mamma.>>
<<
Se qualcuno scoprisse che gli Elfi ti aiutano, Harry Potter. Se
qualcuno lo
venisse a sapere…>>
<<
Ho i miei metodi per passare inosservato.>>
<<
Oh, sì.>> Aranel lo guardò come si
guardava uno Schiopodo Sparacoda
particolarmente aggressivo. << Sono capace a leggere,
sai? Ogni giorno la
Preside mi dona la sua copia della Gazzetta del Profeta. E ogni giorno
leggo
delle scorribande, degli omicidi, delle carneficine e delle folli,
inutili e
stupide corse addosso a quegli attrezzi babbani di Harry Potter.
E’
terribile.>>
<<
Si chiamano Automobili.>>
<<
Si chiama “farsi ammazzare”,
Vesper.>>
Lui
emise un sospiro. Era il suo soprannome. Non sapeva che cosa
significasse, ma
tutti avevano iniziato a chiamarlo così dopo che Harry
Potter era uscito di senno e aveva
deciso di
combattere il male a modo suo.
Harry
bevve lentamente il latte caldo trattenendo la tazza con entrambe le
mani, come
se fosse costituita di un materiale prezioso. Non la
ringraziò, ma il suo
sguardo sollevato bastò a rallegrarla.
Harry
Potter era un mago buono. Harry Potter aiutava la gente che soffriva e
voleva
uccidere silenziosamente chi non meritava di stare al mondo. Come i
Maghi
malvagi.
Era
comparso dal nulla nel bosco quando era da poco sfuggita alla sua
famiglia,
ancora sporca e sanguinante. Se non fosse stato per il supporto di
Harry
Potter, non ci sarebbe stata nessuna “Guerra del
Calzino”. Nessuna ribellione
degli Elfi Domestici.
Harry
Potter era stato amico di Dobby. Ed ora era amico di tutti gli Elfi
delle
cucine.
<<
C’è una cosa che devo dirti.>>
squittì Aranel, che riprese la sua conta
delle uova con il registro consunto stretto fra le manine grassocce.
<<
Una cosa importante, Harry
Potter!>>
Lui
assunse un’aria allarmata. << Parla
piano.>> sussurrò, portandosi
l’indice al naso.
Aranel
abbassò notevolmente la voce. << Fily e Roger,
addetti alla guarnizione
dei dolciumi, hanno deciso di onorare il prezioso contributo di Harry
Potter
alla “Guerra del Calzino”, che ci ha permesso di
essere liberi. Nessuno deve sapere
che Harry Potter ci ha aiutato,
ovviamente, ma vogliamo in qualche modo esprimerti la nostra
gratitudine per
aver…>>
<<
Grazie, Capitano.>> Harry le sorrise. Con un sorriso
ampio, disteso, che
non aveva nulla a che fare con il mago cattivo che dipingevano tutti i
giornali. Aranel capì che forse, dopo tutto, si trovava
lì perché non aveva
nessun altro posto dove passare il Natale. Era un ragazzo solo.
<<
Potrai rimanere qui a pranzo, Vesper.
Mangiare con tutti noi. Fily e Roger ci tengono tanto a consegnarti il
regalo
personalmente. Hanno passato tutta la sera a decorarlo.>>
<<
Mi fermerò molto volentieri.>> Un altro
sorriso. Più spento, tirato, di
chi stava riportando alla mente qualcosa di spiacevole.
<< Dopo tutto è
Natale. Anche Vesper deve fermarsi a festeggiare il Natale,
no?>>
<<
Certo che sì!>> squittì
l’Elfa.
*°*°*°*°*
L’orologio
appeso alla parete segnava le otto del mattino, e tutti i trentacinque
Elfi
erano piombati in cucina ed avevano iniziato a lavorare freneticamente
in vista
del pranzo natalizio, che quell’anno avrebbe avuto come tema
principale
pietanze di carne, minestroni, Sandwich ripieni, Torte di Carne e
Verdura,
formaggi e una vasta gamma di dolci decorati, crostate e Zuccotti di
Zucca.
Fily
e Roger continuarono a lavorare al regalo di Vesper nel bancale in un
angolo
delle cucine, accanto a Taryl, Cerin e Brok: addetti esperti alla
cottura delle
carni.
Aranel
passò in rassegna tutti i compagni, assicurandosi che il
loro lavoro fosse
svolto correttamente. Strigliò Lilya per la sua pessima
abitudine di impastare
frettolosamente i Tortini di Zucca, e passò una buona
mezz’ora insieme a Chern
e Sparry a sistemare le
centinaia di
pasticcini nei vassoi, pronti per essere infornati.
In
tutto quel trambusto Harry Potter si mantenne in disparte. A dire il
vero, mantenere non fu un termine
appropriato.
Era ammonticchiato sul piccolo divano stipato nel minuscolo ufficio del
retro,
dove Aranel si ritirava prima di dormire per redigere i conti e le
scorte,
perduto in un sonno profondo. Faceva quasi tenerezza.
Nove
e trenta.
Hagrid
il Guardiacaccia depositò dinnanzi all’ingresso
delle Cucine un’enorme cassa di
legno traboccante di lepri e donnole cacciate durante la sua ultima
battuta
nella foresta. Aranel fu costretta a richiamare cinque compagni addetti
ai
Primi Piatti per trasportare insieme la pesante cassa
all’interno delle Cucine,
dove gli animali vennero adeguatamente ripuliti e cucinati alla brace.
Dieci
e ventitré.
I
pasticcini furono tolti dai forni e, al loro posto, vennero inserite le
crostate e gli Zuccotti di Zucca ripieni. La cottura dei dolci venne
completata
nel giro di un’ora e, grazie a incantesimi di lievitazione, i
cibi furono
sistemati in enormi vassoi e ordinati gli uni sugli altri in enormi
carrelli di
legno.
Undici
e tredici.
Mancava
un’ora al pranzo di Natale. L’atmosfera si fece
più concitata e tutti gli Elfi
aumentarono il carico di lavoro per terminare in tempo la lavorazione
dei cibi.
Aranel, ansante, s’arrampicò su una cassetta vuota
di bottiglie e rimirò i suoi
compagni, brulicanti come formiche alle prese con la costruzione del
loro
formicaio. << Amici!>> strepitò,
levando le mani in alto adornate
con decina di braccialetti di corda colorati. << Un
attimo di attenzione,
per favore.>>
Molti
occhi a palla rotearono su di lei.
Aranel
si morse un labbro. Vederli lì, affaccendati ai fornelli
l’uno accanto
all’altro: elfi liberi, pagati, spesati e felici. Elfi che
adoravano il loro
lavoro e, più di ogni altra cosa, la Preside che aveva
concesso loro un futuro
migliore. Quell’immagine la commosse. Calde lacrime le
inondarono gli enormi
occhi azzurri. E non riuscì a fare altro che estrarre
un’enorme fazzoletto
rattoppato da una tasca della divisa da chef, con la quale si
soffiò
sonoramente il naso. L’unica cosa che riuscì a
dire, fra le lacrime, fu:
<< Buon Natale.>>
<<
Buon Natale anche a te, Capitano!>> strillarono molti, in
coro.
Aranel
si asciugò gli occhi umidi con una manica. Per la prima
volta si sentì parte di
una grande famiglia.
<<
Buon Natale Capitano!>> le voci stridule di Fhinneas e
Pergh emersero
gioiose dalla ghiacciaia. Poco dopo le loro esili figure avvolte in
pesanti
parka invernali fuoriuscirono dalla stanza trasportando due grossi
prosciutti.
Una
vera famiglia.
Un
bussare frenetico alla porta la distolse per un attimo dalla commozione
del
Natale. Discese dalla cassetta e attraversò con passo svelto
la calca di
compagni che avevano ripreso freneticamente il lavoro. Era compito
esclusivo
del Capo Cuoco occuparsi dei fornitori. Ma chi avrebbe consegnato delle
scorte
un’ora prima del pranzo di Natale?
Aranel
agguantò il pomello d’ottone. Ci fu il grattare
sordo dell’imposta sui cardini.
Lentamente, la porta si spalancò.
<<
Buon Natale.>>
L’Elfa
rimase lì impalata, avvolta nella sua divisa bianca sporca
di crema di noce e
panna montata. Un mestolo ancora stretto fra le dita. Provò
una sensazione
nuova, strana, che mai aveva avvertito: era timore. Imbarazzo.
Terrore.
Hermione
Granger le rivolse un ampio, radioso sorriso. Era in piedi nel
corridoio di
fronte alla piccola porticina delle cucine, un grosso pacco regalo
fasciato con
carta rosa pastello stretto fra le mani. Aveva smesso la divisa da
Auror e
indossato un lungo maglione di lana dal colletto alto, jeans di fattura
babbana
e stivali invernali. Teneva insolitamente i capelli sciolti. E quasi
non la
riconobbe. Era… sorridente. Dopo la scomparsa di Vesper non l’aveva mai
più vista sorridere, nemmeno sui giornali.
<<
G-grazie.>> bofonchiò Aranel. Ricevette
l’enorme pacco e faticò a
sorreggerlo fra le mani. << Buon Natale anche a lei, Vice
Comandante!>>
Avrebbe desiderato più di ogni altra cosa voltare rapida sui
tacchi e
rintanarsi all’interno delle cucine, suo habitat naturale; ma
sua immensa
gentilezza e l’aiuto che Hermione Granger aveva riservato nei
confronti della
“Guerra del Calzino” glielo impedì. Si
trovava di fronte alla Presidente del
C.R.E.P.A., da poco entrato a far parte dei Comitati Ufficiali del
Ministero
della Magia. Una fedele e preziosa combattente per la
libertà degli Elfi.
<<
E’ stata molto… gentile! Molto gentile, Vice
Comandante. Dico davvero!>>
squittì Aranel. Che altro avrebbe potuto dirle? Che un
pluriomicida ricercato
stava dormendo placidamente nel suo retrobottega? << La
ringrazio
infinitamente, Vice Comandante. E’ stato un gesto molto
carino da parte sua. Un
gesto nobile, signorina Granger!>>
<<
E’ tutto a posto, Aranel?>> le chiese Hermione.
E arricciò il suo naso
all’insù in un’espressione teneramente
dubbiosa, come se sospettasse qualcosa.
<<
Io… sì, certo! E’ tutto a posto, Vice
Comandante!>> Aranel fece un passo
indietro verso la porta. Strinse forte a sé il pacco regalo.
<< Buon
Natale!>>
E
fuggì in cucina, richiudendosi rumorosamente la porta alle
spalle. Doveva dirlo a Harry Potter, subito! Vesper
doveva sapere, o per lui sarebbe stata la fine. Azkaban! Azakaban! Ecco
cosa
poteva succedergli. O qualche bacio
di qualche Dissennatore. O una
maledizione!
<<
Harry Potter!>> ululò l’Elfa,
piombando rumorosamente nel retrobottega.
Ma,
al suo posto di Vesper, ammonticchiato sul letto non c’era
nient’altro che un
cumulo di coperte stropicciate.
*°*°*°*°*
Hermione
non resistette all’impulso di entrare. Fu più
forte di lei. Aprì
frettolosamente la minuscola porticina di legno del quinto piano con un
pesante
chiavistello, facendo grattare rumorosamente la serratura. Ci fu un
cigolio
sordo e, finalmente, il varco le consentì di addentrarsi
all’interno di una classe
avvolta nell’oscurità. Il pavimento e le file di
banchi erano intaccati di
polvere, dal soffitto pendevano decine di ragnatele. Un luogo
spettrale,
abbandonato, di cui nessuno doveva
conoscere l’esistenza.
Quella
classe era stata stregata dalla Preside McGranitt in modo che fosse
visibile
solo dal personale riservato del Ministero. E Hermione Granger, nuova
Vice
Comandante del Quartier Generale, non aveva resistito alla forte
tentazione di
vederlo con i suoi occhi. Lo Specchio delle Brame, proprio
lì, alto e imponente
con le sue decorazioni in oro massiccio e ottone, in un angolo remoto
della
classe. << Nessuno studente deve avvicinarsi a quello
specchio.>>,
la McGranitt era stata categorica. << Le menti giovani e
inesperte degli
studenti potrebbero subire gravi traumi nell’osservare i
propri sogni più
nascosti manifestati nello Specchio. Ma esso non dona la
verità, né altre
virtù. Egli è capace meramente di restituire
davanti ai nostri occhi ciò che
desideriamo più profondamente, e che non possiamo
ottenere.>>
Ed
era ciò che voleva Hermione. Più di ogni altra
cosa.
Lentamente,
compì un passo dinnanzi allo Specchio delle Brame.
Una
sua copia sorridente, dagli splendidi capelli lisci ben pettinati e un
delizioso abito color lavanda dalla gonna a pieghe, le
restituì lo sguardo. Era
in piedi in un campo nella brughiera inglese. Stringeva in mano una
pochette a
frange. L’altra era intrecciata alle dita di un ragazzo, del
quale il volto in
penombra era difficilmente visibile. Hermione si avvicinò
maggiormente allo
specchio, cercando di identificarlo, e in quell’istante un
respiro gelido sulla
sua schiena le ghiacciò ogni goccia di sangue che le
scorreva nelle vene.
Chi
era?
Era
un’Auror ben addestrata. Non diede il tempo al suo cervello
di razionalizzare
l’accaduto. Estrasse rapida la bacchetta da una tasca del
mantello, voltandosi
rapidamente per tenere sotto tiro l’aggressore. Ma non
c’era nessuno.
Cosa
diavolo…
Un
crepitio dal soffitto. Degli stridii sordi. Poi un frenetico battito
d’ali.
Hermione levò gli occhi in alto, rimirando
nient’altro che buio. Ancora
stridii. Erano Pipistrelli.
Ne
seguì un lungo, cigolante lamento. E i pipistrelli che
pendevano dalle volte
del soffitto discesero giù verso di lei con una
velocità disarmante, sbattendo
forte le loro piccole ali pelose, stridenti come forsennati,
finché non
l’avvolsero quasi completamente, facendole fuggire la
bacchetta di mano.
Hermione urlò e si dimenò per scacciarseli di
dosso. I suoi strilli disperati
parvero abbracciare delle frequenze di ultrasuoni.
<<
Basta così, ragazzi.>>
Come
se fossero stati richiamati dal loro padrone, tutti i pipistrelli
scomparvero
all’istante e tornarono in volo radente ad annidarsi
nell’oscurità. Hermione fu
pervasa da un conato di vomito.
<<
Buon Natale, Vice Comandante.>>
Quella
voce. La sua voce. Era uscita dallo
Specchio?
Hermione
si voltò, rapida. E il sorriso sinistro del Principe Oscuro
le sorrise
attraverso il vetro. I suoi occhi rossi dardeggiarono nel buio. Si
sentì
sollevata all’idea che fosse un mero riflesso di uno
specchio, imprigionato al
suo interno. Harry Potter, il male,
il nemico del Ministero. Se lo solo avesse avuto fra le
mani…
Dal
soffitto provennero altri stridii sinistri.
<<
C’è una cosa molto importante che devi sapere,
Vice Comandante.>>
Hermione
tornò a guadare lo Specchio. Harry era sparito. Al suo posto
c’era solo la sua
copia felice e sorridente persa nel prato, che coglieva serena mazzi di
margherite
insieme a una bambina della quale non riusciva a intravederne il volto.
Aveva
una chioma di ricci capelli castani e due profondi, enormi occhi
verdi…
<<
Io non sono malvagio.>>
Altri
stridii. Un battito d’ali. Hermione temette che quelle
schifose creature
tornassero giù di nuovo, e compì un balzo
all’indietro. La sua schiena cozzò
contro qualcosa di duro e non riuscì a trattenere un urlo
stridulo.
Vesper
era lì. Vero. In carne ed ossa.
I
suoi occhi rossi penetrarono il buio come due rubini luminosi. Erano
elettrici.
Erano… non riusciva a spiegare a parola l’innata
sensazione di timore che
trasmetteva quello sguardo: un
misto di
malvagità e rancore, di dolore represso. Di un ragazzo
perduto.
<<
Tu non sei reale. Tu sei solo una proiezione di quello
Specchio.>> disse
Hermione, risoluta. Cercò di mantenere un contegno composto.
Si chinò e
raccolse la bacchetta, senza mai dargli le spalle. Qualunque cosa
fosse, la
McGranitt aveva profondamente ragione.
Nessuno studente doveva giocare con quello Specchio.
<<
Io non sono reale?>>
Rise. Una
risata fredda. Sinistra. Divertita. << Come preferisci,
Vice Comandante.
Fossi in te, ed è un consiglio spassionato, eviterei di
stare troppo attaccato
a quello Specchio. Ho avuto spiacevoli
esperienze. Creature che balzano fuori dal nulla, sogni
imprevedibili…>>
<<
Silenzio!>> abbaiò Hermione, che
proiettò la bacchetta nella sua
direzione. << Ora ritorna nello
specchio. Sparisci!>>
Harry
rise. Venne fuori dall’ombra e il suo viso diafano venne
illuminato dal
chiarore della sua bacchetta. Era un mostro. Un
mostro. Una creatura demoniaca maledettamente affascinante,
pallida e sinistra, ma con una profonda tristezza negli occhi. E le sue
labbra
sottili, il suo naso, ogni più piccolo particolare di quel
viso che conosceva
alla perfezione. Ebbe voglia di sfiorarlo. E, senza che se ne
accorgesse, la
sua mano si levò verso il suo viso. << Tu
sei… irreale.>>
bofonchiò Hermione. << Sei un sogno. Sei una
specie di illusione. Dio, no. No.
Sto
impazzendo.>> Rise, pianse e singhiozzò al
tempo stesso. Stava
completamente delirando. Forse il trucco più semplice era
chiudere gli occhi,
respirare profondamente e ritornare sui propri passi per terminare il
tour
degli auguri di Natale.
Non
ebbe alcun effetto.
Quando
riaprì le palpebre Harry era sempre lì,
sorridente. Ma questa volta la sua
risata fu profonda, come se non si divertisse così da anni.
<<
Mettiamola così, Vice Comandante. Io sono un miraggio.
Una meravigliosa
illusione.>> Fece una pausa, mordendosi un labbro per
trattenete una
risata. << Ora mi ascolti?>>
<<
Ti prego. Sparisci. Io non volevo,
va
bene?>> Hermione si portò le mani nei capelli.
<< Non volevo
mettermi davanti a quello Specchio. Non
volevo…>>
<<
Ssshht.>> Lui le posò una mano sulle labbra.
Il suo sguardo si fece
serio. << La McGranitt è stata perentoria. Che nessuno fissi lo Specchio! Lei non
è una sprovveduta, Hermione. Avrà avuto i suoi buoni
motivi per dire una cosa del genere. Ma
non aveva fatto i conti con la curiosità di Hermione
Granger. Non è
vero?>>
<<
Io non so cosa tu sia, ma devi tornartene là
dentro. Subito.>>
Harry
rise. << E va bene.>> mormorò,
più a sé stesso che a lei. <<
Volevo
parlarti, almeno una volta. Ma credo che un miraggio
sia poco credibile, ancor meno della sua controparte reale
pluri-ricercata dal
Ministero. Mi arrendo.>>
<<
Bravo. E ora…>>
<<
Sparisco, sì. Ho
capito.>>
Harry trasse un profondo sospiro. Poi fece scivolare le mani sulle sue
spalle,
trattenendola delicatamente. Quel contatto la fece trasalire. Era
tangibile.
Reale. Vero come non mai. Che cosa stava succedendo?
<<
Mi permetti un’ultima cosa, Vice Comandante?>>
Hermione
rimase lì impalata a fissarlo, persa in quello sguardo
folle, e maledettamente
ipnotico. Non ebbe il tempo di replicare. Vide il suo viso farsi
più vicino, e
la sua testa immersa nel vuoto non le trasmise alcun segnale di
allarme. Aveva
la bacchetta in mano. E il miraggio
di Harry la stava per baciare. Non fece nulla per impedirglielo.
Lasciò che le
labbra di Harry incontrassero le sue, avvertì le sue mani
cingerle
delicatamente i fianchi. Troppo vere.
Troppo reali. Come se stesse vivendo un sogno capovolto, o
fosse
precipitata all’interno dello specchio. Nella
sua realtà.
Quando
il suo cervello comprese, quando finalmente la pazzia venne sostituita
alla
fredda razionalità, fu ormai troppo tardi. Cercò
di divincolarsi, e gli assestò
dei pugni violenti contro il petto, ma la sua presa si fece
più ferrea e la sua
bacchetta gli fu sfilata abilmente dalle dita. Ma più
tentava di fuggire, più
il desiderio di baciarlo diveniva latente.
Si
baciarono ancora. E ancora. Per quelle che le parvero ore. La
concezione del
tempo nella sua testa venne sostituita da un profondo strato di nebbia,
il
cuore impazzito e martellante nel suo petto. La stanza si
riempì dei loro
sospiri sommessi.
<<
Sei davvero tu?>>
Silenzio.
Un lontano fruscio di vento. Hermione riaprì gli occhi,
scoprendo che Vesper, o
il suo miraggio, o cosa diavolo fosse, era sparito nel nulla. Dissolto
nel
buio.
**°*°*°*°*