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Autore: Magnis    03/11/2011    0 recensioni
Per uno strano caso del destino, Shinichi deve convivere con Ran per una settimana. Se poi ci mettiamo anche Kazhua ed Heiji e le bravate di Sonoko...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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3 - Il giorno tra il tre e il cinque maggio.


Respiri piano per non far rumore,
ti addormenti di sera e ti risvegli col sole (…)
Diventi rossa se qualcuno ti guarda
E sei fantastica quando sei assorta
Nei tuoi problemi, nei tuoi pensieri (….)
Tu, sola dentro una stanza
E tutto il mondo fuori.



Era a letto, con Heiji che ronfava. Gli avrebbe fiaccato benissimo le sue amiche bende in bocca. Oh, quasi dimenticava! Le bende! Si alzò e le prese. Non ancora le poteva rimettere dall’episodio della doccia, qualche ora prima. Guardò l’orologio e si dovette correggere. Erano le quattro e cinquantotto e quindi non era successo qualche ora fa, ma bensì il giorno prima. Quello che per lui era stato qualche minuto di sonno, erano in realtà quattro o cinque ore.
Scese al piano di sotto. Ormai per lui era giorno. Prese un bicchiere e si versò del latte, gelido, nella speranza che i neuroni gli si congelassero per morire sul colpo e quindi dormire un altro po’. Era strano, aveva sonno ma non voleva dormire. Si ricordò di avere lasciato il cellulare nella tasca del pigiama acceso. Lo aprì. C’era un messaggio di sua madre. Diceva qualcosa del tipo “Il mio piccolo domani, crescerà.”. Ma s’era fatta una canna?! Che razza di messaggi erano. Richiuse il cellulare lasciandolo cadere sul tavolo. Si bevve tutto un d’un sorso il latte. Buono.

Passò un’ora ma niente. Il braccio gli faceva male e lui era solo riuscito a mettersi una di quelle creme che Araide gli aveva prescritto. Riguardo alla fascia niente. Salì in camera sua, cercò di svegliare Heiji per farsi aiutare; quello stava con una faccia da babbeo e qualcosa che gli colava dalla bocca. Diceva parole senza senso logico. L’unica cosa che riuscì a capire fu “Eddai mammina, ancora cinque minuti”, ma poi ricominciò a conversare come solo lui sapeva fare.
Si passò la mano nel ciuffo. E guardò la benda. Aprì piano piano la finestra e si affacciò per notare se Agasa dormiva.
Le luci spente, gli suggerivano di sì. Richiuse e si avvio verso camera di Ran, o meglio, dove dormiva Ran. Aprì la porta e le mosse una spalla. Ran spaventata si sedette. Vedendo Shinichi, si riallungò e aprì solo un occhio.
- Io, stavo dormendo. – disse, amara.
- Lo so, ma mi serviva qualcuno che mi rimettesse queste. – e alzò le bende mettendogliele davanti all’occhio.
Ran chiuse anche l’unico occhio aperto. Poi lo riaprì piano piano e scoppiò a ridere.
Aveva un’aria così patetica. Shinichi sorrideva come un bambino di cinque anni che chiede alla sua mammina una caramella. Si alzò e si sedette sul letto. Gli fece cenno di aspettarla sotto e vide il suo amico uscire fuori.

Sembrava si stesse mettendo l’abito da sposa. Non scendeva più
Dopo qualche minuto, rumore di passi. E lei, con la divisa del Liceo (anche se senza cravatta, per comodità) comparve sulla soglia della cucina, stringendo un pacchetto. Glielo poggiò sul tavolo.
- Ma dove sei stata fino ad ora? E poi ti ho fatto vedere tutti i vestiti di mia madre, e te la divisa sei andata a scegliere?!
- Veramente m’interessava l’armadio più che i vestiti. Dovevo nasconderci quello.
Gli indicò il pacchetto. La ragazza velocemente rifasciò il braccio. Shinichi scartò il pacchetto.
Era un libro. Si intitolava Uno studio in nero, di Ellery Queen.
- Ho pensato ti potesse piacere. E’ la storia dell’investigatore più importante al mondo contro l’assassino più crudele mai esistito. – disse la ragazza, sorridendo.
- Grazie mille, ma se è per la mia ospitalità, non dovevi…
Ran si portò una mano alla fronte e sbuffò.
Possibile non si ricordasse mai di quella data?
- Che giorno è oggi, Shinichi? Che giorno importante è?! – disse Ran, sospirando.
- Io non saprei…
- Quattro maggio, signor detective.
Shinichi assunse un’aria pensierosa. Ran si scoraggiò e si lasciò cadere sulla sedia.

Era passata mezz’ora e Shinichi non poteva ancora arrivarci.
- E’ il tuo compleanno, Shinichi! Ma come ti fai a dimenticare di una data del genere?! Ogni anno è lo stesso casino! Come bisogna fare, con te? Sarai anche intelligentissimo, ma non lo dimostri mica!
Shinichi arrossì.
- E comunque auguri!
Il ragazzo era perplesso. Cosa aveva quel giorno di tanto importante? Insomma, faceva diciotto anni e basta. Non capiva poi tanto l’importanza dei compleanni. E poi scomodarsi a spendere soldi per un tizio. Ma chi lo fa fare alla gente? Fosse stato per lui, non avrebbe fatto regali a nessuno, nemmeno gli auguri. Ma per educazione ricambiava con regali e auguri.
Mentre guardava Ran allontanarsi dalla cucina, la fece fermare. Imbarazzato, pregò la ragazza di cambiare la foto che aveva come sfondo al cellulare. Ran sorrise e annuì.
Lungo le scale si chiedeva cosa avesse di male quella foto. Insomma, erano solo lei e Sonoko insieme!
Cacciò dalla tasca il cellulare e lo aprì. Scandalizzata si sedette sul gradino, arrossendo.
La foto era quella di Shinichi, piena di cuoricini. Chi diavolo avrebbe potuto metterla?!?! Le uniche persone che avevano toccato il suo cellulare, erano Shinichi, Kogoro e Kazh…
Menomale che si trattenne dall’urlare quel nome.
Riscese le scale.
- Shinichi… La foto… L’ha messa Kazhua, non io! – e poi abbassò la testa aspettando una risposta del ragazzo. Lui la guardò, non capendo.
- Ok, non riscaldarti! Perché non mangi qualcosa?
Alzando gli occhi, vide che il tavolo era apparecchiato per due. Due tovagliette, due bicchieri, due confezioni di fette biscottate.

Shinichi aveva pensato bene di preparare solo per lei. Poi, però, si disse che era una buona occasione per ripagarla del suo regalo e apparecchiò anche per lui. Stranamente, fu come se avesse sete di latte, nonostante prima lo avesse bevuto.
Si sedettero e cominciarono a discorrere su argomenti stupidi, come il professore di algebra o le lezioni di musica. Ma poi passarono ad argomenti più seri. Shinichi pose a Ran una domanda, che fece restare molto perplessa la ragazza. Quando mai, lui, si preoccupava così?
- Quello che dico… - si fermò, masticò un pezzo della sua fetta biscottata, ed ingoiò, - quello che dico, mia piccola Ran è perché fatichi tanto. Nel senso… - bevve un po’ di latte. – Nel senso, potresti benissimo trasferirti a casa di tua madre e lasciar fare tutto a tuo padre. Mi sono spiegato?
Mostrando la sua educazione, Ran annuì e aspettò che ciò che aveva in bocca scendesse fino a suo stomaco, a differenza di Shinichi, che parlando mostrava il suo bel palato.
- Inizialmente pensai che facendo così mio padre sarebbe tornato da mia madre disperato. Mi dovetti ricredere, in quanto dopo le lite si accentuarono sul fatto che quella casa era una topaia. A volte preferirei tornare a quando avevo sette anni! – lasciò cadere la testa sullo schienale della sedia, pensando al passato. – era tutto più facile…
Shinichi continuava a masticare, pensando. Pensava che lui, Ran, se la ricordava sempre uguale. La ragazza aveva sempre fatto la spesa e aveva sempre aiutato la madre nelle faccende domestiche; ma da quando i genitori andarono a vivere separatamente, lei faceva da madre, moglie e figlia a Kogoro.
- Invece tu? – Ran lo guardò negli occhi. – come fai a stare senza la tua famiglia?!
- Diciamo che la penso così. – poggiò la fetta biscottata, rendendosi serio e composto. – Io non ho bisogno di loro. Intendo: se andassi negli Stati Uniti con loro, oltre a perdere i miei amici [in quel momento Ran avrebbe voluto taaanto chiedergli a chi si riferisse, ma non lo fece.] e rifarmi una nuova vita, non sopravvivrei. Mio padre sta riscuotendo un grande successo con i suoi libri, e mia madre (anche se è da tanto che non lavora) è riconosciuta ovunque e chiamata in tutti i talk show. Lì sarei conosciuto solo come Il Figlio di Yusako e Yukiko Kudo un classico ‘figlio di’… Qui sono conosciuto più per le mie doti intellettive.
- Ora ti stai allargando, Shinichi… Sei rimasto qui solo per la fama? – sintetizzò Ran. – anche qui hai fatto un enorme successo perché eri ‘figlio di Yukiko e Yusako Kudo’ altrimenti Megure non ti avrebbe mai fatto prendere parte alle sue indagini.
Shinichi rimase fermo, immobile. Per la prima volta, una persona, più precisamente una ragazza, l’aveva ammutolito.
- Come Irene col grande Sherlock Holmes. – disse una voce.
Shinichi sporse un po’ il viso e dopo essersi rimesso a posto e guardato Ran se ne uscì con un sarcastico “Toh, nomini il Diavolo e spuntano le corna.”
Si riferiva naturalmente, a Yukiko e Yusako Kudo. Ran si alzò in piedi e salutò i due. Al seguito, Yukiko corse verso il suo adorato Shinichi, e prendendogli il viso tra le mani lo riempì di rossetto. Il detective dell’est era visibilmente imbarazzato. Primo, sua madre, quella donna lì, lo aveva riempito di baci davanti a (secondo) Ran, la sua amica d’infanzia. La cosa peggiore era che svegliati da quel trambusto scesero anche Heiji e Kazhua. Notando la rimpatriata, il padre convinse la moglie per l’optare per l’affittarsi una casa. Shinichi, avrebbe voluto ringraziare il padre, ma non lo fece per orgoglio personale.
Da parte dei genitori aveva ricevuto una specie di portachiavi decorato. Wow.

Erano all’incirca le dieci e ventisette. Heiji e Shinichi erano sul divano a guardare la televisione, mentre Kazhua e Ran confabulavano qualcosa. Heiji, all’improvviso andò al piano di sopra e tornando, buttò un pacchetto sul ventre di Shinichi. Il ragazzo lo aprì. Una felpa, verde.
- Lo ha scelto Kazhua, io non mi prendo nessuna responsabilità.
- Ehi, tu cosa vuoi dire, idiota?!
La ragazza alzò un pugno verso il detective.
In qualche minuto, tutto il salone si librava per aria. Compreso il divano. Fortuna che la porta rimase lì dov’era.
All’improvviso Shinichi, fece cadere del succo di arancia rossa sulla camicia della divisa di Ran cercando di schivare un libro che volava. La ragazza gettò un urlo.
- Questa è la mia camiciaaaa! – cominciò a urlare. Ripeteva quella frase ossessivamente, mentre Shinichi vagava per la casa alla ricerca di qualcosa per pulire la ragazza. Preso un fazzoletto, iniziò a strofinarlo sulla camicia. Questo suscitò grande imbarazzo e rabbia in Ran. La macchia si trovava sul ventre e si sentiva imbarazzata nel sentire la mano di Shinichi lì sopra. Cominciò a gettare urla qua e la, finche non lo riempì di schiaffi. Ormai la sua bella camicetta bianca, era impregnata di succo all’arancia rossa fino allo strato più profondo. Da lì, si scatenò un putiferio.
- Sai che esiste la lavatrice, no?! – urlò Shinichi.
- Sì, ma è bianca. O non sai dedurre nemmeno questo?!
- Bah, sei davvero fastidiosa! – poi Kudo, rivolse lo sguardo a Heiji e Kazhua che se ne urlavano di tutti i colori. – Fastidiosa come loro.
- Se vuoi me ne vado. – disse la ragazza, col muso.
- Ma magari! – le urlò verso Shinichi.
In uno virgola settantadue secondi, il detective dell’ovest si ritrovò con una manata alla faccia (segno indiscutibile di una sberla) e la porta che tra poco cadeva (segno indiscutibile che Ran era andata via. Con molta forza).
Dopo il “Vuoi andare anche tu, rompiballe?” di Heiji, rivolto a Kazhua, Hattori, si ritrovò nelle stesse condizioni di Shinichi.
Chissà quale spirito stava reggendo quella porta, impedendole di cadere.
I due ragazzi si guardarono intensamente negli occhi. Davvero se l’erano presa?! Cioè, era una cosa inconcepibile. Neanche Sherlock Holmes in persona poteva dar loro una soluzione. Forse la risposta era una: loro erano donne, creature impossibili da capire ma che facevano battere forte il loro cuore.

Il resto del pomeriggio lo passarono bighellonando su e giù per la casa. Ma verso le cinque, Agasa si presentò con i piccoletti. La-futura-fidanzata-di-Shinichi gli porse un biglietto, con scritto dove avevano nascosto il suo regalo. Genta e Mitshuiko imprecavano e maledicevano quel ragazzo. Ai, indifferente, si guardava in giro.
Agasa rise sonoramente. Quel codice lo avevano realizzato i ragazzi e sul biglietto c’era scritto così: 3;1;19;1_1;7;1;19;1.
Shinichi scoppiò a ridere e con un “Naturale” spiegò che per ogni numero corrispondeva una lettera dell’alfabeto latino.
Casa Agasa.
I ragazzi ci rimasero un po’ male nel vedere la facilità del loro amico, (nemico per i ragazzi) nel risolvere il codice. A casa di Agasa, Shinichi scoprì che il regalo era un cartellone, con un disegno di se stesso realizzato dai ragazzi. Fantastico! Sembrava un piccolo mostro. Ma fece l’indifferente e quella sera mangiò con i nanerottoli. Il compleanno più bello della sua vita.
La domenica passò sempre bighellonando.
Nel frattempo, Kazhua e Ran avevano chiesto ospitalità presso Eri, che naturalmente, le accolse.

Verso la domenica sera, saranno state le cinque o le cinque e mezza, arrivò un messaggio sul cellulare di Ran e Kazhua: “Per farci perdonare abbiamo prenotato per questa sera al ristorante italiano di Beika appena aperto dalla famiglia SUZUKI baci, baci”.
Le due ragazze si guardarono negli occhi. Che cos’avevano? Da quando in qua si sarebbero arresi? Dov’era il loro orgoglio? E poi, cosa voleva dire Suzuki, arci sottolineato?
 
  
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