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Autore: francy13R    04/11/2011    2 recensioni
La vita, chissà come, ti sorprende sempre quando meno te l'aspetti. Pensi che non ci sia via di scampo, pensi di rimanere quella emarginata per sempre e un giorno succede l'impensabile. Sei lì, sei importante per qualcuno, anzi essenziale e ti senti nuova. Lavinia è così e non sa cosa aspettarsi dalla vita e dalle persone che la circondano, ma sa che il suo posto non è dove è nata, sa di valere più di coloro che non la capiscono, di coloro che la ostacolano e ne ha la certezza in questo viaggio. Una giovane donna che cerca di scoprire se stessa, che sogna e spera sempre, perchè la speranza è l'ultima a morire.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6.Let's do it



Maybe i know, somewhere 
Deep in my soul 
That love never lasts 
And we've got to find other ways 
To make it alone 
Or keep a straight face 


 Only Exception 
Paramore


Alice

 

-Giuro che se continua così lo picchio. Santo cielo, ma cosa me ne frega di tutti questi stupidi musei? Avanti e indietro, su e giù. Stupido Corvoni. Non ci fermiamo neanche un secondo. Pensa domani che dovremo farci tipo cinquecento chilometri in pullman, piuttosto mi sparo-. Forse mi lamentavo troppo, ma chi se ne fregava. Avevo ragione e stop. Nemmeno a Milano avevo visitato così tanti musei, anzi non ne avevo visitato neanche uno. Non ero fatta per le opere d'arte, a meno che queste rappresentassero un Gerard Piquè o un David Villa, ma non mi era mai capitato di avere sott'occhio delle sculture del genere... purtroppo. Mi girai verso Lavinia che era seduta al mio fianco sul bus e guardava con poco interesse le monotone strade di Edimburgo immersa nei suoi soliti pensieri depressi.

-Oh Lavinia! Ripigliati-, dissi scocciata dal suo comportamento. Avevamo aspettato questa vacanza-studio da una vita e proprio adesso si metteva a fare il broncio. Avrei voluto strozzarla. Lei non mi considerava, James non mi considerava, nessuno mi considerava. Ero sola, una fottuta ragazza sola.

Si girò verso di me con quegli occhioni dolci e si raggomitolò sul mio braccio.

-Scusa! È che ho un po' di pensieri per la testa-.

-Manuèl?-.

-Manuèl-, confermò incupendosi sempre di più.

-Ti dico io cosa fare. Fattelo! Non ci pensare due volte perchè poi non lo rivedrai mai più. Fai quello che vuoi fare, bacialo, facci sesso..-

-Ho afferrato scema, ma non credo che ci farò sesso. Non lo conosco quasi per niente, ma boh, sai quando incontri quelle persone che sembra di conoscere da una vita?-, mi chiese e mi fissò con i suoi grandi occhi verdi pieni di lacrime.

-Si lo so, Lav, mi dispiace che ti sia capitato con lui. Ma accipicchia, hai fatto quel cazzo di tatuaggio e adesso mi vieni praticamente a dire che sei innamorata?-. Cercai di buttarla sul ridere per evitare una crisi di pianto in un autobus pieno di sconosciuti che cercavano di codificare il nostro linguaggio. “Non parliamo ostrogoto, rimbambiti”. Rise tirando su con il naso.

-Mi fai morire-, mormorò tra i singhiozzi.

-Ma stai piangendo o ridendo? Ripigliati. Sei sempre la mia stronza menefreghista senza cuore, vero?-.

-Quello sempre-, disse e mi baciò una guancia.

-Cosa hai intenzione di fare con James?-, chiese cambiando argomento. La fissai per la prima volta senza una risposta.

-Non lo so, che dovrei fare secondo te?-.

-Se ti piace così tanto dovresti fargli capire le tue intenzioni, ma se invece di quell'albino depresso non optassi per Toninho il Portoghese?-.

-Ah no, quello è buono solo per una notte. Sai... usa e getta e io mi sono rotta voglio una cosa che funzioni seriamente-.

-Non so se l'hai capito ma siamo a Edimburgo, tutto ciò non è per niente serio-, obbiettò catapultandomi nella realtà. Ma che stavo facendo? Eppure mi piaceva davvero James, nonostante la nostra incompatibilità. “E se lo baciassi?”, questo pensiero si formò involontariamente nella mia mente caotica. “E se lo baciassi?”. Lo ripetei più volte. Insomma, come avevo appena detto alla mia migliore amica bisognava buttarsi. Tanto quello che sarebbe successo a Edimburgo sarebbe rimasto ad Edimburgo, tanto valeva provarci, se mi avrebbe rifiutato o fatto tutte le menate da io-sono-troppo-grande-per-te girando intorno al fatto che non gli piacessi, me ne sarei fatta una ragione, ma rimanere con il dubbio non mi avrebbe certo aiutato.

“Stasera verrà a controllare gli appartamenti come sempre”, un altro pensiero del mio subconscio.
Soluzione trovata!

 






-Ricordatevi domani alle sette e mezza si parte per Inverness. Ci fermeremo al castello di Starling, ma dovremmo arrivare all'ostello verso le cinque. Portatevi il cambio per la notte, ma solo il necessario-, sentenziò il Corvoni. Dopo di che ci lasciò finalmente. Iniziava proprio a darmi sui nervi. Probabilmente era così acido perchè nessuna gliela dava. Sbuffai e precedetti tutte infilandomi velocemente in bagno e stando sotto la doccia per mezz'ora. Dovevo riflettere. Il mio piano poteva andare anche bene, ma dovevo assicurarmi che non l'avrebbe presa male e si sarebbe allontanato. Proprio il più timido mi doveva capitare. Inoltre c'era un altro membro dello staff, una ragazza bassa e con una faccia da topo, pensare che quando rideva mi faceva saltare i timpani. Aveva una vocina assurdamente acuta, il che la rendeva insopportabile. Il punto era che stava incollata a James ventiquattro ore su ventiquattro e forse lui, con il suo cervellino innocente, non se n'era accorto, ma io si, le piaceva da morire. “Speriamo solo che lui non se la fili”. Non volevo fare la vanitosa egocentrica, però si vedeva lontano un miglio che ero più bella e simpatica di lei. Tuttavia dovetti riconoscere che Lavinia aveva ragione quando diceva che c'erano troppe cose sbagliate tra me e lui, i pezzi del puzzle non si incastravano neanche minimamente.

Finita la doccia, indossai il pigiama e piastrai diligentemente i capelli per eliminare le più piccole ondulazioni. L'avrei fatto, non mi importava di cosa avrebbe pensato James in futuro, sapevo solo che se non l'avessi fatto me ne sarei pentita per il resto dei miei giorni.

Quando bussarono alla porta mi stavo mangiando nervosamente l'unghia che avevo rotto qualche giorno prima, per lui questa pazzia si poteva fare. Ilaria aprì la porta della sua stanza ma con uno sguardo infuocato la rispedii in camera sua. “Eh no zombie, non rovinerai questo momento. Segregati nella tua cella e taci come hai sempre fatto”. Se qualcuno avesse interferito gli avrei staccato la testa a morsi.

Sospirai e aprii la porta con un sorriso smagliante impresso nel mio volto teso e pessimista. Ed eccolo, sembrava una candela nel bel mezzo di una stanza buia, risplendeva di luce propria. I capelli di un biondo quasi bianco ricadevano sulla fronte nascondendo in parte gli occhi di un azzurro limpido come il mare dei Caraibi. Il suo sorriso mi infuse un sollievo immediato e un coraggio che non faceva parte di me.

-Ciao! Allora come è andata la giornata?-, chiese appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta e avvicinandosi involontariamente a me. Guardai di sfuggita oltre James e non notai il topo, bene!

-Poteva andare meglio, sono stanca morta-, commentai cercando di non soffermare troppo il mio sguardo sulla sua postura disinvolta. Quella sera sembrava diverso, di solito si conteneva come era successo la sera della discoteca. Manteneva sempre una debita distanza, ma in quel momento no. Quel suo atteggiamento mi incoraggiò ancora di più.

Rise alla mia risposta dopo di che completò la solita tabella di presenze e mi chiese se avevamo bisogno di qualcosa. Scossi la testa incapace di parlare. “Che stai facendo? E se poi non potrai più frequentare le lezioni per questa cazzata?”. Mille domande si riversarono nella mia mente, stavo andando in paranoia.

-Ok. Allora ci vediamo domani!-, disse.

-Perché? Vieni anche tu ad Inverness?-, domandai sorpresa.

-Certo che si!-. Dopo un momento di silenzio nel quale abbassò la testa rosso dalla vergogna disse:

-Bè, allora buona notte!-. Era il momento giusto.

-Aspetta!-, quasi urlai in preda al panico.

-Aspetta-, ripetei. Con tutto il coraggio che mi restava mi avvicinai più veloce del dovuto e lo baciai prendendolo dalla maglietta e avvicinandolo a me. Era la cosa più illogica e irrazionale che avessi mai fatto, ma anche la più bella. Mi ritrassi immediatamente, gli sistemai la maglietta che avevo stropicciato afferrandolo, gli sorrisi e chiusi la porta davanti alla sua espressione stupita.

“Non ci posso credere! L'ho fatto! L'ho fatto!”. Feci scorrere la schiena sul legno freddo della porta e mi sedetti sulla moquette. Toccai le labbra con un dito e riassaporai quel momento così meravigliosamente sbagliato e assurdo. Avevo baciato James Andrew Cooper.

 



Lavinia

 

Sentii sbattere la porta rumorosamente, fin troppo così mi affacciai dalla mia stanza per dare un' occhiata.

-Alice...che ci fai lì per terra?-. Era seduta con la schiena contro la porta. Non rispose così mi avvicinai e notai il suo sguardo beato. Sembrava essere nel bel mezzo di un sogno. Mi inginocchiai vicino a lei appoggiandole le mani sulle ginocchia.

-Hey, che è successo?-, sussurrai.

-L'ho fatto-, disse stupita, ma non capii a cosa si stesse riferendo. Finalmente incontrò i miei occhi e notai delle lacrime sui loro bordi, ma non erano lacrime di tristezza perchè mi sorrise.

-L'ho baciato, ho baciato James-.

Probabilmente la mia espressione era simile a quella che una persona avrebbe avuto non appena avesse visto un incidente automobilistico. Da una parte ero contenta per lei, ma dall'altra ero triste. E se si fosse affezionata a lui? Avevamo caratteri diversi, certo! Ma l'amore era uguale per tutti.

Mi sedetti al suo fianco passandole un braccio sulle spalle.

-Ti vorrei tanto strozzare, almeno avresti potuto dirmelo che volevi fare questa pazzia-.

-Mi avresti fermato-, sentenziò e non potei darle torto.

Avrei dovuto fare così anch'io con Manuèl, insomma, io ero avvantaggiata perchè sapevo che un po' gli interessavo. Girai il braccio per contemplare il mio tatuaggio. In quel momento era l'unica cosa che mi dava forza, perchè in fondo sarei sempre stata una stronza senza cuore con tutti coloro che non si meritavano niente, era quello il vero significato di quel segno indelebile sulla mia pelle.

-Ti ricordi quando te lo sei fatto? Piangevi come una femminuccia-, mormorò divertita.

-Faceva male, cretina!-. Era il 13 Dicembre, il giorno del mio compleanno e tra i miei genitori solo mamma era consenziente. Mi aveva detto: “ Se lo scopre tuo padre sono morta, almeno cerca di nasconderlo per un po', tanto le magliette a maniche corte a Dicembre non ti servono”. Quando uscii dal negozio con gli occhi arrossati e il braccio indolenzito la pioggia si era trasformata in soffice neve che si infilava nei miei capelli e si appoggiava sul mio naso. Tutta quell'atmosfera natalizia mi aveva fatto dimenticare il pulsare della pelle. Grazie al cielo mamma non sapeva cosa volesse dire quella semplice parola e non me ne chiese il significato. Si limitò solo ad accompagnarmi come era previsto per i minorenni. Riuscii a tenerlo nascosto a papà fino a Marzo, in seguito gli mentii dicendo che me l'aveva scritto Alice con l'indelebile, ma alla fine capì e grazie al cielo non ne fece una tragedia.

Manuèl l'aveva notato e io avevo riconosciuto la solita espressione sorpresa davanti al mio tatuaggio, la stessa che i miei amici, i miei stupidi compagni di classe, i miei parenti avevano mostrato. Naturalmente Alessia e tutta la masnada avevano iniziato a spettegolare sul fatto che fossi una stupida, debole ed insignificante ragazzina che voleva giocare a fare la dura. Eppure i loro acidi commenti mi erano scivolati addosso come olio. L'avevo fatto per me non per loro.

Ritornai alla realtà, quella realtà un po' stramba che stava giocando spudoratamente con i miei sentimenti, quella realtà che mi aveva completamente preso contropiede. Ma si sa la vita non va mai come dovrebbe.

Il telefono della mia camera squillò. Strano, di solito chiamavano tutti a quello della stanza di Alice. Mi alzai e diedi una carezza alla mia migliore amica sussurrandole: -Io ci sarò sempre!-.

-Pronto?-.

-Sono Manuèl-, rispose in inglese il Portoghese. “Come accipicchia a fatto ad avere il mio numero se non lo so nemmeno io? Che bello! Perché mi chiama? Che bello! Che cosa mi deve dire? Che bello”. Non riuscii nemmeno a respirare. Ero bloccata, in piedi con la cornetta in mano alla disperata ricerca della mia voce. Balbettai prima di dire una frase di senza compiuto.

-Come hai fatto ad avere il mio numero?-, sussurrai incredula appoggiandomi alla scrivania.

-L'ho chiesto ad un tuo amico. Comunque non voglio disturbarti, ma ti volevo chiedere se anche voi domani andate ad Inverness-. “Anche”? Ci andavano anche loro?

-Si-.

-Bene allora dovrai sopportarmi per due giorni interi-, commentò ridendo mentre dentro di me pensavo che due giorni insieme a lui era il regalo più bello che Dio potesse farmi anche se avevo forti dubbi riguardo alla sua esistenza.

-Wow, be' ci divertiremo! Ci vediamo domani, buona notte!-, risposi e riattaccai elettrizzata. “Domani... Eccome se ti sopporterò”.

  
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