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Autore: Ireth_Mezzelfa    04/11/2011    5 recensioni
"Alla fine ho mollato tutto; tutto il resto intendo: ho mollato la scuola, ho mollato la casa, gli amici e il mio paese. Ho seguito lui e per forza di cose, quando ho scelto lui, ho scelto anche la band." Anche quando sei alla deriva, sballottato dalle tue stesse scelte, anche in quel momento, puoi aprire gli occhi e scegliere di decidere ancora tu. Una storia di musica e di domande, una ragazza che si trova immersa fino al collo in una vita che non le appartiene, tra strumenti musicali, notte folli e un amore confuso. Ma in fondo non era tutto ciò che aveva sempre desiderato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VII

 

"You say you want a revolution:
well you know, we all want to change the world
."



Ero nel mio letto.
Aprendo gli occhi il soffitto della mia infanzia era apparso su di me, senza che io capissi del tutto come.
Del giorno prima non riuscivo a distinguere precisamente un evento dall’altro: Andrea, l’autolavaggio, le chiavi, Alexandros, la sua sicurezza, il mio riufiuto…di com’ero arrivata a letto non avevo idea.
Restai lì quasi mezzora, con le gambe attorcigliate nelle lenzuola e strizzando gli occhi alla luce mattutina che entrava prepotente dalla finestra aperta: la mia testa era così vuota che non avevo nessuna voglia di dovermi alzare e rimescolare tutte le preoccupazioni che stavano là, ancora addormentate.

Un rumore strano al piano di sotto però, mi costrinse a rizzarmi a sedere di scatto: sembrava che qualcuno fosse appena entrato in casa.
Oh mio Dio.
Mi avvolsi nel lenzuolo, avendo dormito in biancheria, e scesi di soppiatto la ripida scala di legno che portava all’ingresso con il cuore che mi scoppiava e il cellulare pronto a chiamare la polizia, i pompieri, i carabinieri, l’ospedale e l’esercito tutti insieme, se fosse stato necessario.
Il piano di sotto era immerso in una penombra che in quel momento mi sembrò inquietante con gli scuri chiusi: c’era solo una strana luce grigio-blu che filtrava dalle tende.
All’ingresso non c’era nessuno.
Mi bloccai prima di entrare in cucina con tutti i sensi in all’erta: sì, c’era decisamente qualcuno che armeggiava in quella stanza.
Senza ragionare entrai decisa spalancando la porta e mi trovai di fronte alla sagoma di un uomo: urlai in preda al panico con tutto il fiato che avevo…e lo fece anche lui.
I nostri strilli e un gran baccano di cocci frantumati per terra rischiarono di farmi venire un infarto mentre tentavo di colpire alla cieca il tizio continuando a gridare e agitando mani, piedi, cellulare e lenzuolo.
“Ceci! Ahia!…Ceci, sono io! Piantala!” Si lamentò una voce familiare.
Alzai lo sguardo ancora intenta a graffiare il braccio del ragazzo e lo riconobbi: Jacob!
“Ma cosa ci fai qui?” Esclamai fissandolo incredula e mollando la presa. “Perché sei in casa mia?”
Esitai un momento mentre il mio sguardo si spostava sul pavimento. “E perché stai rompendo le mie tazze?”
Lo guardai tutta scarmigliata con gli occhi sgranati e un’espressione stupida da semiaddormentata aspettando una risposta e lui mi guardò con un sorriso sghembo.
“Prima di tutto, per quanto mi dispiaccia, meglio che tu ti copra.”
Effettivamente ero mezza nuda. Raccattai il lenzuolo da terra e mi ci arrotolai dentro velocemente.
“Comunque ero venuto qui per farti un caffè.” Continuò lui chinandosi a raccogliere quel che restava delle tazzine da caffè.
“Tu lo sai che questa spiegazione è da stalker malato, vero?” Dissi io guardandolo dall’alto per la prima volta nella mia vita di persona bassa.
Jacob ridacchiò e si alzò per buttare via la ceramica: conosceva casa mia, i Jump-in erano venuti più volte a Venezia a trovarmi e li avevo ospitati spesso in quegli anni.
Lo seguii fino al fornello dove lui cominciò a preparare il caffè prendendo altre tazze dal mobile. Rimasi ad osservarlo senza sapere che dire: ancora non riuscivo a connettere il fatto che lui fosse lì.

“Sono venuto anch’io con Lefteris per accompagnare Lazou qui.” Disse ad un tratto mentre accendeva il gas.
Tacque qualche secondo ed io lo esortai a proseguire con un lieve “Mhm…”
“Ieri sera…” Proseguì Jacob. ”…quando lui è uscito per parlarti, noi abbiamo aspettato in albergo pensando che ti avremmo rivista presto e saremmo partiti domani per tornare a Londra dai ragazzi, Ma…”
Deglutii intuendo il seguito del racconto.
“Ma Lazou ci ha telefonato dicendo che voleva divertirsi e, quando è tornato, ha trascinato Lefteris in discoteca senza troppe spiegazioni e senza nemmeno dirci dov’eri e cosa fosse successo.”
Annuii ripensando alla sera prima e abbassai lo sguardo sulle rughe del legno del tavolo.
“Io ero rimasto in albergo a dormire ma quando sono rientrati…bèh, Lazou non era esattamente sobrio.”
Era totalmente ubriaco. Non era difficile immaginarlo.
“Così io e Lefteris abbiamo cercato di metterlo a letto tranquillo ma lui ha cominciato a divincolarsi e…insomma, per fartela breve quel malaka* di Alex se n’è andato a zonzo per Venezia e non riusciamo più a trovarlo.”
Lo guardai se possibile ancora più sconvolta. Alexandros conciato così avrebbe potuto fare di tutto: cadere in un canale per esempio.
Cominciai a sentirmi leggermente in panico.
“Ma…ma non l’avete seguito?!“ Mormorai mentre il caffè borbottava.
“Ci abbiamo provato ma si è messo a correre come un fottuto leprotto in mezzo alle stradine buie!” Esclamò Jacob iniziando a versare il caffè impugnando la moka con il guanto da cucina rosso di mia mamma.
“Oh mamma…” Sospirai fissando il vuoto oltre il fumo che saliva dalle tazze.
“Lefteris lo sta cercando in giro ed io sono venuto qui, così se fosse passato di qua lo recuperavo senza che ti desse fastidio. Ma poi si è fatto tardi e ho pensato di farti un caffè dato che ormai ti saresti svegliata comunque. E poi tu lo preparavi sempre per tutti…ora alla mattina sembriamo un branco di zombie!”
Guardai il chitarrista che girava piano il cucchiaino e mi guardava con un sorriso mezzo triste, mezzo gentile.
“Mi dispiace Jacob, non posso più farcela.” Dissi lentamente.
“Non devi giustificarti, gliki mou*. Sappi che comunque vada con Lazou, noi siamo dalla tua parte. Ci saremo sempre.”
Mi prese la mano guardandomi alzando le sopracciglia rassicurante e io gliela strinsi mentre anche il cuore mi si stringeva al pensiero di quanto bene volevo a tutti loro e a quanto non volessi perderli: erano stati la mia famiglia per gli ultimi due anni.

Bevemmo il caffè silenziosamente e intanto incrociavo mentalmente le dita sperando che Alexandros non si fosse fatto del male, che si fosse solamente addormentato in qualche anfratto.
Passarono i minuti ed io mi andai a lavarmi e vestirmi per ingannare l’attesa di una qualche chiamata di Lefteris che con il suo falso accento americano ci informasse di aver trovatoquell’idiota di Lazou coperto da cacche di piccione sotto un ponte.
Un toc toc al portone mi fece sobbalzare mentre mi lavavo i denti.
Mi lanciai giù dalle scale ed arrivai prima di Jacob alla porta.
“Al…”
“Hey, ciao.”
Rimasi per un momento confusa con lo spazzolino da denti in bocca: non era Alexandros.
“Andrea?”
Il ragazzo alzò le spalle per scusarsi.
“Mi spiace disturbarti a quest’ora solo che…”
“Sono loro?!”
Jacob sbucò da sopra la mia spalla affacciandosi alla porta e poi zittendosi alla vista di Andrea.
“Ops, scusa! Ho interrotto qualcosa?” Esclamò quest’ultimo fissando piuttosto sconcertato il greco.
“Oh no, figurati! Jacob è un mio caro amico che è venuto per…oh, insomma è una storia lunga.” Conclusi io distogliendo lo sguardo.
“Hai un sacco di storie lunghe tu.” Disse lui attraverso l’ombra di un sorriso strano, ricordando il nostro primo incontro.
“Scusate, io torno dentro.” Borbottò Jacob ritirandosi nuovamente in cucina e lasciandoci soli.
Restammo un po’ in un silenzio imbarazzato, senza riuscire a guardarci negli occhi: aveva una maglietta bianca con dei disegni colorati e un po’ troppo larga per il suo fisico magrolino.
“Bèh…” Iniziò lui. “…sono passato perché ieri…hem…”
In quella micro pausa sembrò portare entrambi alla mattina del giorno prima e ci fece arrossire contemporaneamente.
“…ieri mi pareva di avere capito che ti erano venuti a prendere e che dovresti ripartire presto quindi…quindi, ecco, io sono passato.” 
Andrea buttò lì le ultime parole come se nemmeno lui avesse ben chiaro cosa intendeva dire ed io sentii il cuore accelerare leggermente a quelle parole spezzate e risolute.
“Ma io non parto.”
Alla mia affermazione lui alzò lo sguardo sorpreso ed io mi strinsi nelle spalle annuendo.
“Ma c’era quel ragazzo…”
Deglutii e quasi smisi di respirare guardando quegli occhi circondati da lunghe ciglia nere che mi fissavano profondi e affamati di una spiegazione.
“Lo so.”
Restò lì a guardarmi fisso, come se stesse rielaborando le mie risposte poi, come attraversato da una scossa di parole si avvicinò di mezzo passo parlando veloce.
“Perchè Ceci, io non voglio che tu parta e…”
“E’ COLPA TUA!”
Un urlo quasi disumano ci fece voltare entrambi di scatto verso la strada ed mi mancò il fiato per un secondo: Alexandros stava barcollando verso di noi con un’aria tutt’altro che normale.
Aveva gli occhi segnati dall’insonnia di quella notte e si muoveva a passi incerti ringhiando e continuando a inveire contro di noi.
“Alexos!”
Lo guardai sconvolta lanciarsi contro Andrea che dopo una frazione di secondo di sconcerto si spostò all’indietro schivandolo.
“Ma che cosa…?”
Alexandros si voltò con lo sguardo annebbiato verso di me: rabbrividii.
“Tu mi ami, Cecy! Perché non vuoi più amarmi? Perché Ceci? Perché?!”
“Calmati Alex…” Mormorai shockata avvicinandomi alzando le mani e avvicinandomi lentamente.
“NO!” Gridò lui con un’espressione allucinata che mi pietrificò.
A quell’urlo apparve anche Jacob dietro di me.
“Lazou!”
Ma il ragazzo non lo ascoltava, mi guardava ancora con quella faccia disperata.
“Io lo so: è colpa sua vero? E’ colpa sua!”
Si slanciò nuovamente su Andrea che era rimasto come tutti noi bloccato a fissare quella scena surreale e penosa.
“Hey, ma che cavolo vuoi?!” Esclamò senza riuscire ad evitare una spallata e indietreggiando un po’ dopo l’urto.
Alexandros si voltò rapidamente guardandolo con aria cattiva e gli si buttò di nuovo addosso violentemente, spingendolo addosso a un muretto.
Mi portai le mani davanti alla bocca sconvolta.
“Ma sei impazzito!?” Gridò Andrea urtandolo a sua volta e spostandosi, visibilmente sull’attenti in caso l’ubriaco tornasse all’attacco.
“Lazou basta così!” Urlò Jacob spostandomi di lato e avvicinandosi ai due, ma quando era appena a un passo da Alex, questo si gettò con tutta la forza e la velocità possibile contro Andrea che però stavolta riuscì a muoversi in tempo: ci fu un tonfo sordo e Alexandros si schiantò prepotentemente contro il muro in una scena ai limiti del comico.
Non fosse per il fatto che cadde a terra privo di sensi.

All’improvviso sembrò esserci un silenzio ghiacciato.  Per mezzo secondo rimanemmo paralizzati a guardare il ragazzo a terra: Jacob aveva ancora la mano tesa per afferrare Alex, Andrea con i muscoli ancora in tensione sembrava scompigliato e scosso, io non riuscivo a battere ciglio, con gli occhi sgranati rimasi attonita.

Poi non capii più niente: mi lanciai in avanti senza riuscire a trattenere uno strano gemito e mi inginocchiai accanto al corpo inerte di Alexandros.
Gli sollevai la testa e sentii qualcosa di caldo e viscoso scivolarmi sulle dita.
“Oh mio Dio…Alexandros!”  Chiamai con un tono isterico senza ricevere segni di vita.
“Alexandros! Alexandros?”
Non rispondeva.
Il mio respiro si fece un rantolio veloce, mi sentivo girare la testa e sentivo solamente la voce di Jacob intenta ad urlare qualcosa confusamente.
Com’era potuto succedere? Perché non apriva gli occhi? Perché?
“Ceci, ascoltami!”
La faccia di Jacob mi si parò davanti con espressione decisa.
“Ceci, dimmelo!”
“Cosa?”
“Il numero del pronto soccorso! Presto!”
“Oh…sì, certo…”
Composi in qualche modo il 118 con le dita insanguinate e tremanti e, mentre Jacob parlava al cellulare concitato, percepii accanto a me Andrea che si accucciò al mio fianco.
“Dio santo…” Bisbigliò: la voce gli tremava.
Lo guardai senza espressione e cercai di dire qualcosa ma la mano di Jacob artigliò la spalla del ragazzo e lo scaraventò all’indietro.
“Lasciagli spazio!” Ordinò stranamente violento. “Hai visto cos’hai fatto?” Proseguì poi quasi urlando e con voce rotta dalla paura e dall’agitazione.
Andrea era pallidissimo, aprì la bocca per parlare ma Jacob si accanì nuovamente su di lui.
“Cerca aiuto, idiota!” Gridò e poi tornò a voltarsi verso il ferito.
Pochi minuti dopo la sirena di un’ambulanza ci raggiunse.

E poi ero in ospedale accanto a quel lettino.






Insulto a piacere: stupido/ idiota/ vari significati spiacevoli  (:
* Mia dolce/mia cara/ mia...Si insomma nomignolo affettuoso!




Eccomi tornata con un altro capitolo finalmente! Scusate l'attesa, ma la scuola è una sanguisuga...immagino mi possiate capire.
Bèh spero non rimaniate deluse nonostante la fine un po' hum, tragica? 
Siete le migliori lettrici del mondo.
Grazie a tutte e alla prossima!


Ireth



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