Lass mich deine Träne reiten
übers Kinn nach Afrika
wieder in den Schoß der Löwin
wo ich einst zuhause war
Zwischen deine langen Beinen
such den Schnee vom letzten Jahr
doch es ist kein Schnee mehr da
(…)
Sehnsucht versteckt
sich wie ein Insekt
im Schlafe merkst du nicht
dass es dich sticht (1)
La scala per la felicità è un’insidia dai mille gradini.
Li divori in corsa, fino al Paradiso, senza preoccuparti
d’inciampare.
Poi capita: e scivoli giù.
A un passo dal vertice, tuttavia, Hermione Granger arrivò
senza rimpianti, perché aveva il cuore di una leonessa e i sogni di una bambina;
perché era una funambola della vita e, all’equilibrio, preferiva il brivido
dell’abisso; perché aveva quindici anni, e a quindici anni non ti preoccupi mai
di cadere, se puoi volare.
***
L’aria è densa; la luce, tenue.
Protagonisti e comparse, filtrati da un velo ocra, hanno il
fascino incantato del dagherrotipo.
Hermione Granger si muove con languida indolenza e si
specchia compiaciuta nel desiderio di mille sconosciuti: l’immagine che la sua
mente riflette non ha più niente della sgraziata adolescente che odia.
Hermione sorride senza sentimento.
È donna è bambola è preda.
È quanto desidera da sempre, perché dietro la maschera da
strega ambiziosa c’è ancora l’abisso di una femminile, fragilissima
incompletezza.
Oltre la cornice barocca di uno specchio, la principessa che
chiama per nome ha vent’anni e un’invincibile bellezza.
I sogni si avverano, se hai la costanza di mantenerli vivi,
pensa; poi, con l’amore che un artista riserverebbe al capolavoro di una vita,
sfiora con cautela il fermaglio che trattiene un’elaborata acconciatura.
Dov’è la massa informe che le ricadeva in vortici e nodi
lungo le spalle? I suoi capelli ricordano al tatto la seta, e riflettono la luce
delle candele come dense volute di miele di castagno.
Gli occhi le brillano della consapevole incredulità di chi si
scopre all’improvviso, e si ama come nessuno oserà mai.
Sono meravigliosa. Sono una Veela.
La vacuità di quel pensiero dovrebbe strapparle un brivido,
ma non c’è spazio per l’austera dignità della vecchia Hermione: la crisalide si
è spezzata e la farfalla non guarda indietro.
“Cosa ti avevo promesso?”
La voce di Draco la raggiunge alle spalle, morbida come
velluto.
Velluto è la sua bocca senza calore, che pure ora le sfiora
rovente la pelle.
Hermione chiude gli occhi e non lo chiama, perché i nomi sono
incantesimi che devi maneggiare con cautela.
È Pigmalione, questa notte, non Draco.
Hermione-Eliza gli appartiene.
“Non mi fido delle promesse. Sono solo menzogne senza
coraggio.”
Parla senza pensare, con una malizia consumata da cortigiana.
Draco ride e la costringe a voltarsi. Occhi negli occhi, sono
un fronte aperto e fortezze da espugnare.
Qualcosa di caldo e denso le scivola dentro, ma il pudore le
impedisce di chiamarlo per nome.
“Vuoi ballare?”
Vorrei morire, pensa Hermione.
Morire in un istante di grazia e felicità perfetta.
Morire prima di aprire gli occhi e scoprire che questo
miraggio d’intimità e bellezza è il patetico frutto delle fantasie solitarie di
una perdente nata.
Il dagherrotipo si spopola; il magico seppiato delle
illusioni ha posto solo per due.
La presa di Draco è gentile, eppure ferma. Contro la sua
vita, le dita di Malfoy esercitano una pressione che sa di desiderio e di
possesso.
Hermione gli si affida, perché si riconosce in quella
pretesa: è sua e va bene così.
Invisibili orchestrali arpeggiano romantici virtuosismi.
Mi sei piaciuta al primo sguardo.
Le labbra di Draco non si muovono, ma l’eco di quella dolce
menzogna la raggiunge come una carezza.
Nella bolla liquida del desiderio, i sensi non conoscono
confini: parla solo la pelle.
Hermione solleva il capo e offre la gola al carnefice in
segno di resa.
La bocca di Malfoy è rovente; il primo bacio, un marchio
indelebile.
Non apre gli occhi, Hermione, quasi non respira. Non vuole
spezzare un incantesimo dal sapore imprevisto e dal calore rassicurante.
Il primo bacio dal primo amore.
Non esiste ancora una lingua che sappia descrivere
quell’emozione.
È una carezza e un affondo.
Le dita di Draco si perdono nei suoi capelli; strattonano
ogni ciocca con una prepotenza che la lusinga.
Non teme più nulla, Hermione. Se la terra sotto i suoi piedi
svanisse, continuerebbe a danzare sul nulla.
“Sai di zucchero.”
Un sospiro. Un brivido.
“Sei dolce.”
Hermione apre gli occhi.
“Sei mia.”
Urla come se un incendio stesse divorando il mondo.
Voldemort ride, scoprendo zanne giallastre, da lupo.
Sulla grana candida della pelle non più immacolata, una
giovane strega fissa incredula il Marchio Nero.
“Sei mia.”
Poi, per fortuna, si sveglia.
***
“Non posso crederci…”
Ron scuote il capo e fissa torvo la cutrettola spennata che
deve chiamare ‘professore’.
Severus Piton lo ignora, concentrandosi su Neville.
Le vacanze della Yule sono imminenti, ma l’entusiasmo del
torturatore non scema.
Dev’essere una vocazione, pensa Ron. Come i gemelli sono
nati guastatori e Percy noioso come un’ora di Pozioni, Piton ha succhiato
sadismo in culla.
“Allora, signor Paciock? Vogliamo parlare del Paliarus
Africanus?”
Neville boccheggia.
Ron è quasi sicuro che conosca la risposta, ma è lo sguardo
di Severus a salificarlo, perché c’è in quel lugubre monaco la giovialità
dell’inquisitore e la pietà del boia.
Ha l’aura di un basilisco, sissignore.
“Scommetto che…”
Harry gli dà di gomito, invitandolo a fare silenzio. Quando
la vittima tace – lo sanno tutti – il corvaccio ingordo si prepara a spolparne
un’altra.
Magari, se ci fosse un volontario…
A sorpresa, tuttavia, là dove si aspetta di vedere una mano
alzata, un viso arrossato e fremente, c’è un posto vuoto.
“Hermione?” bisbiglia.
“Non la vedo da ieri sera. Ho come l’impressione che…”
“Harry Potter!” gongola Piton – e l’eroe di Hogwarts lo
folgora con un’occhiata che suggerisce: Ron? Spero che la tua linguaccia ti
strozzi, un giorno o l’altro.
“Questa loquacità imprevista mi rallegra… Posso aspettarmi
una lunga dissertazione?”
Harry si alza e si guarda intorno con la lucida disperazione
dei martiri: tutto il coraggio del mondo, a volte, non basta a sopravvivere a
un’interrogazione.
“Non so cosa sia; non sono mai stato in Africa.”
Ron sogghigna, mentre il professore assume quel delizioso
color verdolino che anticipa le collere peggiori.
Fred e George sarebbero fieri di te, Harry, pensa. E
anch’io, perché sei il mio migliore amico e il mio eroe anche quando perdi.
“Curioso, perché scimmiesco è il solo aggettivo che mi
sovviene quando si tratta di qualificare un intelletto come il vostro,” ringhia
Piton, il tono morbido e conciliante di una vecchia porta mal oliata.
“Grifondoro perde cinquanta punti per i suoi indegni rappresentanti, e altri
dieci per l’entusiasmo di Weasley.”
Ron sussulta, quasi punto da una vespa. Gli occhiacci neri,
torbidi e maligni del pozionista lo squadrano quasi fosse uno gnomo da giardino
– o una caccabomba.
“Qualcosa da obiettare?”
Che uno schiopodo ti centri un occhio prima del tramonto,
gli consiglia la sua coscienza nera, travestita da Fred – o da George.
Ron china il capo e si disprezza quel tanto che basta a
chiamare ‘pessima’ una già grigia mattina d’inverno.
“Se nessuno sa rispondere…”
“Pallurus Africanus, detto anche Ruellio e, in italiano,
Lazzeruolo. È una pianta arborea della famiglia del nespolo, le cui foglie hanno
forma simile a quelle del Protesemolo. Cadono sul principiare dell’autunno, dopo
aver assunto una tinta rossastra. Le infiorescenze si presentano come grappoli
color dell’erba, avviluppati come boccioli di rosa e sostenuti da un calice
dalle molteplici sezioni. Sarà quest’ultimo a trasformarsi in un frutto carnoso,
poco più piccolo della comune nespola. In principio si presenterà verde e duro,
ma, con il procedere della maturazione, diventerà rosso e molto dolce. Nella sua
polpa si troveranno racchiusi tre piccioli ossei. Quest’albero, tipico dei climi
caldi, si coltiva prevalentemente in Italia e in Linguadoca. Allo stato
selvatico può presentarsi spinoso e i suoi frutti sono detti ‘Lazzeruolo’.
Contiene un olio pregiato ed è utilizzato nelle pozioni astringenti e nelle
soluzioni medicamentose per contrastare il vomito. Così, almeno, riferisce
Nicolás Lemery nel suo Trattato Universale delle droghe semplici (2).”
“Io, quello, lo odio,” ringhia a mezza bocca Ron, mentre Von
Kessel torna a sedersi, altezzoso e composto. “Quanto vorrei che Hermione gli
desse una lezione…”
È un pensiero caldo, pieno del suo affetto maldestro – pieno
dell’inquietudine di un’assenza cui non sa dare spiegazione.
“Già,” gli fa eco Harry, fissando un posto vuoto che pare
quasi accusarli.
Oltre le mura di Hogwarts, una neve acquosa e triste si
prepara a coprire di bianco le troppe ombre di un’infanzia a scadenza.
***
“Hai un’aria stanca.”
La voce di Draco non ha più nulla della tiepida dolcezza del
sogno, ma è un dettaglio che la rassicura.
Hermione solleva le spalle, e gli regala una risposta
evasiva. “Non ho dormito molto, tutto qui.”
Sii onesta: non hai dormito e basta.
Hai trascorso la tua prima notte fuori dal Dormitorio, non ti
sei presentata al tavolo della colazione e hai ignorato le lezioni della
giornata.
Stai impazzendo, signorina Granger.
“Allora? Ti ho fatto una domanda!”
E ti perdi, tanto per aggiungere un pizzico di ridicolo a una
frittata malfatta.
“Cosa?”
Draco le mostra il galeone. “Mi hai dato un appuntamento. Immagino che tu sappia anche dove.”
“Non è un appuntamento!” puntualizza con un imbarazzo che la
scopre più di quel che vorrebbe. “Comunque sì… Credo di aver trovato il posto
perfetto.”
Draco solleva ironico un sopracciglio. “Non ci disturberà
nessuno, vero? Perché…”
Hermione ne afferra il polso, furibonda con la
signorina-so-tutto per aver scelto il letargo nel momento meno opportuno;
terrorizzata da un’adolescenza che l’aspetta al varco e non le ha dato il
preavviso. Confusa da un ragazzo che non sa se amare o temere – che l’attrae,
forse, proprio perché la spaventa a morte.
Il corridoio del settimo piano è deserto e silenzioso.
La debole luce che filtra da una bifora proietta ombre
spettrali sulla pietra grigia.
Barnaba, inseguito dai Troll, si concede una solitaria
bestemmia, mentre la clava cade e rinnova un vecchio rito.
“Bel posto. E dove hai intenzione di far sparire il corpo?”
Hermione gli rivolge un’occhiata furibonda. “Non sei
divertente. Fino a prova contraria, è stata tua l’idea di…”
Malfoy le offre i palmi e scuote il capo. “Sono sollevato:
hai il senso dell’umorismo di un Imp (3)!”
“Io non ho…”
“Oh, sì che ce l’hai! Il che vuol dire che non sei perfetta!”
Hermione vorrebbe concedersi il lusso dell’ultima parola, ma
l’intuito le dice che farebbe il gioco di un avversario imprevedibile e
scorretto.
Se solo non mi piacesse così tanto…
Un pensiero scomodo, che non l’abbandona più, come non si
allenta la morsa del disagio che le ha lasciato un sogno surreale e troppo vivo.
L’infanzia muore affogata, ma nessuno ha mai il coraggio di
dirtelo.
Un bel mattino ti svegli umido di qualcosa che non
racconterai a nessuno, perché un sudario di decenza è quanto ti resta per
seppellire il bambino che non sei più.
Era umida, Hermione, quando ha aperto gli occhi. Umida di
lacrime, di terrore e di piacere.
Umida in viso e tra le cosce.
“Adesso aspetta,” farfuglia, e si sforza di ricordare come
abbia già dischiuso un uscio provvidenziale.
“Cosa? Che arrivi qualche elfo a buttare giù la parete?”
Harmione arriccia le labbra e sbuffa. “Ti preferivo una
volta, sai?”
“Che vuoi dire?”
“Che sei sfacciato. Ci conosciamo, noi due? No, non direi.
Eppure mi parli come se sapessi tutto di me, o…”
“Mi hai salvato la vita, ricordi? E qualcosa di me, fino a
prova contraria, lo sai eccome. Sai chi è mio padre e hai un’idea molto precisa…
Delle sue inclinazioni, no?”
Hermione apre la bocca, sorpresa.
“Sai che ho provato a giocare sporco e che mi è andata male.
Sai che non sono molto bravo a trattare con le ragazze…”
“Questo non…”
“Ti ho messo a disagio, e si vede. E cosa so di te… Vediamo…
So che sei una strega fantastica, ma che non te lo dice mai nessuno. So che ti
piace metterti in mostra, anche se ti rende impopolare. So che pensi di essere
brutta e che il disordine ti snerva. So che ti piace l’Aritmanzia, perché i
numeri ti danno sicure…”
“So che se non la smetti subito, potrei allungarti un pugno!”
Eppure sorride, Hermione; sorride anche se non vorrebbe.
Sorride anche se dovrebbe sentire quella vocina urlare: pericolo, pericolo,
pericolo.
“Come non detto.”
“D’accordo, te lo concedo: forse un po’ mi conosci. Questo
non vuol dire, però…”
“Rispetterò la distanza di sicurezza. Promesso.”
E le promesse sono fatte per essere infrante. Lo sanno
entrambi.
“Ottimo… Ora, se volete onorarmi della vostra attenzione…”
La Stanza delle Necessità è di nuovo accessibile; in luogo
del bugigattolo in cui ha trascorso la notte, tuttavia, si apre un salottino
dalle tinte pallide.
“Ma non c’era un muro?”
“C’era e adesso non c’è più. Benvenuto nella magica
Hogwarts!”
“Ah… Interessante,” mormora Draco.
La costatazione è di una freddezza respingente, ma Hermione
non se ne accorge.
Forse non può.
Forse non vuole.
“E… Ce ne sono molti di luoghi come questi?”
“In che senso?”
“Camere segrete o nascondigli o passaggi nascosti?”
Hermione fa spallucce. “Sì, parecchi… Perché? T’interessa
evadere?”
Gli occhi di Draco scivolano su ogni arredo, avidi di
dettagli. “Non credo proprio: altrimenti come farei a tramare alle spalle del
vostro Harry Potter?”
“Un cospiratore? Troppo scontato per uno che si chiama
Malfoy!”
L’insostenibile banalità della vita – come della verità – è
invece proprio quanto ti fa inciampare; quanto ti costringe a cadere, a
guardarti allo specchio e ammettere che no, non sapevi leggere l’interlinea del
Destino.
“Hai ragione: suona banale. Ma ci sono molte cose che mi
trattengono qui.”
“Ad esempio?”
“Un clima e un cibo migliori di Durmstrang.”
“Solo questo?”
“Le ragazze. Una, in particolar modo.”
Hermione distoglie lo sguardo. Le labbra di Draco sorridono,
ma i suoi occhi sono freddissimi: è la prima volta che coglie il dettaglio, e un
brivido le corre lungo la schiena.
“Ma forse è meglio cambiare argomento.”
“Sì… Credo anch’io.”
Un clima gelido si è sostituito alla tiepida e rassicurante
complicità di qualche istante prima.
Malfoy trasforma le sue emozioni in un’altalena; la consegna
a picchi d’euforia, come agli abissi di un’ansia senza nome.
Se fosse un manipolatore, potrebbe affrontarlo, perché è una
giovane leonessa senza paura. Il potere che Draco esercita, tuttavia, è frutto
di una concessione che può imputare solo a se stessa.
È Hermione Granger che l’ha reso invincibile, desiderandone
l’attenzione.
È Hermione Granger che non può più permettersi di perdere il
controllo.
“Siamo qui perché devo imparare a ballare…” articola con
qualche difficoltà. “Perciò…”
Draco riduce di nuovo a zero la distanza che li oppone.
“Perciò… Comincia a rilassarti, Hermione,” le sussurra all’orecchio.
E quella voce, quelle dita fendono il fragile diaframma della
realtà per restituirla alla nebbia di un dagherrotipo seppiato.
È come nel mio sogno, pensa con un ultimo guizzo di
lucidità.
Dimentica l’orrore dell’incubo, Hermione.
Dimentica e si abbandona a un’illusione felice.
Pare.
Note: (1) Lasciami cavalcare la tua lacrima
oltre il mento verso l’Africa
di nuovo nel grembo della leonessa
dove una volta ero a casa
Tra le tue lunghe gambe
cerco la neve dell’anno scorso
ma là non c’è più neve
(...)
Il desiderio si nasconde
come un insetto
nel sonno non ti accorgi
che ti punge
Sehnsucht - Desiderio, Lyrics ©1997 Rammstein
Questa traduzione bellissima non è mia, ma, per comodità e
pigrizia, mi sono affidata all’ottimo Daniele Benedetti del sito Metal
Germania (http://www.metalgermania.it/)
(2) La mia è una parafrasi dall’opera omonima, traduzione
italiana a stampa, Venezia, 1721, 43.
(3) «Confusi spesso con i Pixie, gli Imp invece non hanno le
ali. Sono alti fra i 15 e i 20 cm, e sono molto scuri, generalmente marrone
scuro o nero. Predilige i luoghi umidi, soprattutto le rive dei fiumi, dove, con
uno strano senso dell’umorismo, ama far sprofondare i malcapitati. Si nutre di
insetti e si riproduce come le Fate, tranne il bozzolo. I piccoli alla schiusa
sono già perfettamente formati e misurano circa 2,5 cm.» Da J.K. Rowling, Gli
animali fantastici: dove trovarli, 2001, Salani edizioni.
Nota (bis): come ho già scritto altrove, sono davvero
mortificata per i miei recenti ritardi. Purtroppo ho gravi problemi familiari –
problemi che coinvolgono persone a me vicinissime – e questo, oltre a portarmi
via tempo, mina soprattutto la mia serenità. Non vogliatemene, ma immagino che
capiate benissimo come fare la spola con un ospedale non metta nelle condizioni
di pensare a Hogwarts (o a qualcosa del genere).
So anche che siete tutti (almeno lo immagino) persone di
buonsenso e di buon cuore, e che dunque non pretendete nulla che non sia in
grado di darvi, ma ciò non toglie che mi senta per prima in dovere di fornirvi
almeno una spiegazione.
Da ultimo – mi permetto di scriverlo qui, poiché pare che sia
ormai cosa pubblica – alla pubblicazione di Pelle Nuda, è seguita una
specie di curiosa crociata anti-me, che mi ha un po’ demoralizzata (non
per i giudizi sulla storia – legittimi e sacrosanti – ma per l’#ashtag ‘merda’
abbinato al mio nome e cognome effettivi, in aggiunta ai simpatici inviti
a ‘morire’ o ‘ritirarmi’ giunti via pvt :-/).
Come avrete notato, sono una che se ne sta per i fatti
propri. Mi piace scrivere e mi piace, soprattutto, condividere. Non mi trovo a
mio agio con alcune reazioni che – pare – sono tipiche della rete, come non ho
intenzione di farmi ‘nemici’ solo perché ho osato partecipare a un
concorso e, fatalità, sono stata apprezzata.
Non sono una persona che si compiace della cattiveria –
propria e altrui. L’ostilità degli altri – che abbiano o meno ragione – mi
riduce però al silenzio.
Se fossi un po’ più lenta del solito, insomma, vi chiedo di
portare pazienza. Non mi sono dimenticata di voi: non potrei mai.