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Autore: Donnie    07/11/2011    3 recensioni
Dafne non crede nel destino. Ma la sua favola inizia per caso. Inizia con un viaggio, con una cotta infantile e segreta, con l'incontro che le cambierà la vita.
Dafne è una matricola italiana, una mente perspicace e brillante, un concentrato di curiosità e tenerezza... e la sua favola si materializza in California, con il Principe per eccellenza, il cui impero è ben diverso dal classico Castello.
Ma la realtà torna sempre a metterle una mano intorno ai fianchi, ricordandole che il suo posto è con in piedi per terra.
Nota dell'autrice: la storia è del tutto frutto della mia fantasia. Sarà importante (e centrale) la figura di Mark Zuckerberg (fondatore di Facebook).
Dal capitolo 5:
Una voce sincera, pulita. Potevo dirlo? Sì, dolce.
Non era il signor McDonough, no: io, quel timbro non l’avevo mai sentito da vicino. E dove allora? Dove?
Stavo per voltarmi, ma quelle mani mi misero davanti agli occhi un bigliettino da visita.
I’m CEO, bitch.
Interviste. Interviste e video su YouTube, ecco da dove proveniva il ricordo di quella voce.
Girai completamente la testa e, mi vergogno ad ammetterlo, rimasi con la bocca semiaperta e gli occhi spalancati per la sorpresa. Le mie guance, probabilmente presero fuoco.
Avevo di fronte a me Mark Zuckerberg.
Mark Zuckerberg in carne ed ossa, cazzo.

Hope you'll enjoy it!
- D o n n i e;
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Iniziate a tirare fuori i fazzoletti. 
Prossimo capitolo dopodomani, poi l'epilogo. 
Donnie vi ama. <3


39. California king bed.

 

Era cambiato molto da quel giorno. Erano passate al massimo due settimane, tanto per cambiare. Eppure, dopo quella stupida partita di tennis, il mio cuore si era fatto a metà. Chiunque mi avrebbe chiamata stupida, imbecille, deficiente, decerebrata e qualsiasi altro aggettivo di significato negativo esistente al mondo: stavo prendendo a calci l’opportunità più bella della mia vita, probabilmente l’unica vera opportunità che mi fosse mai capitata… ma non riuscivo a smettere di pensare all’altra faccia della medaglia. Come sarebbe stato con Andrea? Cosa stavano facendo lui ed Anja?
Cosa erano, in fin dei conti?
Passavo le giornate a rimuginare sul divano, fissando il vuoto ed accarezzando Beast meccanicamente, quasi come se non sentissi nemmeno il suo pelo morbido e lungo.
Continuai a pregare, rendendomi conto da sola di quanto fossi patetica: iniziare a credere in Dio e sperare che esistesse per il mio tornaconto era la cosa più vigliacca ed egoista che potesse venirmi in mente, ma non riuscivo a farne a meno.
La mia preghiera era più o meno la stessa ed avevo anche la sfacciataggine di recitarla ad alta voce, mentre Mark era a lavoro.
«Siamo sempre stati così vicini, petto contro petto, guancia a guancia. Allora come mai quando lo tocco con le mie dita sembra che ci sia della distanza tra noi? In questo letto gigante- (lo stesso letto della suite di Sharm el Sheik, che Mark aveva comprato affinché nessuno potesse amarsi sul nostro amore) -siamo distanti diecimila miglia. Forse ti sto chiedendo troppo, Dio. Forse sto chiedendo troppo alle stelle, ma perché non riesco a volere solo il suo cuore per me?!Perché sto vivendo nel dubbio? Il dubbio mi sta uccidendo, mio Dio. E se ci sei, ti prego, ti supplico, indicami la strada da seguire. Ti prometto che, questa volta, la seguirò. Perdona i miei peccati. E liberami dal male. Amen.»
Sì, d’accordo, la mia preghiera somigliava moltissimo ad una famosa canzone di Rihanna… e quindi? Non avevo molta fantasia per queste cose. Sarebbe stato più semplice inventare una formula o un teorema, dannazione.
 
Se quel maledetto giorno all’Università avessi detto di no. No, non voglio partire; no, non ho mai letto quel libro, non conosco quel film; no, chi è Mark Zuckerberg? Cos’è Facebook, mi scusi?; no, devo studiare, non posso bloccare sul nascere la mia carriera accademica!
 
Andai in bagno e mi guardai allo specchio con aria sprezzante, carica di una strana voglia di prendermi a schiaffi. Come mi permettevo di rifiutare- anche solo col pensiero –tutto l’oro che mi era cascato addosso?
Presi l’iPhone e mi sedetti sul bordo della vasca, mettendomi a navigare un po’ su internet. Consultai il meteo italiano e le notizie dell’ultim’ora della mia Penisola, come facevo ogni giorno. Stavo per connettermi a Facebook quando sentii le chiavi girare nella serratura dell’ingresso: lasciai il telefono sul lavandino ed andai ad accogliere il mio convivente, con il sorriso più realistico che riuscissi ad indossare.
Aveva in mano varie buste e le poggiò sul tavolo della cucina, baciandomi immediatamente.
Sentii le sue mani avide e calde, come non erano da un po’: magari il segno era proprio quello, magari era la strada da percorrere.
Mi lasciai portare in braccio fino al nostro letto egiziano, dove mi sentii sfilare via tutti i vestiti. Feci lo stesso con lui, poi commisi uno dei miei errori più grandi: mi lasciai bendare gli occhi e mi abbandonai totalmente a lui e alle sue mani. Correvano sul mio corpo nudo, accarezzandolo con un appetito quasi cocente. Passeggiavano sulla mia pancia, tra le mie cosce, curiose ed impazienti.
C’era Mark sopra di me, era lui che stava entrando dentro di me, era lui che mi stava regalando uno dei piaceri più intensi di tutta la mia breve vita sessuale, era Mark che mi stava facendo gemere ed ansimare, era lui che mi tappava la bocca con i baci. Eppure, io non potevo vederlo. Io potevo solo immaginarlo.
Potevo immaginare che una mano fosse sua ed una di Andrea. Desideravo che un bacio fosse suo e quello immediatamente dopo appartenesse al mio amico italiano. Uno, poi l’altro, poi di nuovo il primo, dentro e fuori di me. Chi volevo? Per chi sospiravo?
Quando sciolse il foulard che avevo intorno agli occhi restammo sdraiati per un po’ in silenzio. Ed eccoci lì, come nella canzone, come nella mia preghiera: vicini e lontani. Ci eravamo appena appartenuti ma il vuoto si sentiva nell’aria.
Si alzò per andare a farsi una doccia ed io ne approfittai per andare in cucina a preparare uno spuntino.
Sul tavolo vidi una busta non sigillata, col simbolo di Facebook sulla parte anteriore. La aprii, curiosa, e trovai il segno che stavo cercando.
I vincitori del concorso eravamo io e Pavel.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime, Dio esisteva davvero ed io l’avevo scoperto nel momento giusto. La fede mi esplose improvvisamente nel petto, limpida e sincera, sotto forma di speranza. Il mio posto era in California, il mio posto era accanto all’uomo che mi aveva chiesto di vivere con lui; lo stesso uomo che mi aveva saputa amare alla luce del sole, senza farmi mancare nulla.
Misi tutto come l’avevo trovato ma, quando mi voltai, Mark era lì, ancora in boxer. Prese il mio cellulare e lo buttò sul tavolo, come se avesse voluto romperlo.
«Pensavo fosse il mio iPhone. C’è un messaggio per te» disse, atono. I suoi occhi erano spenti e sprezzanti.
Il mio cuore tremò, d’amore e paura. Il messaggio era di Andrea.
Ciao Dafne.
Anja… mi faccio schifo da solo a dirlo, ma Anja è stata un capriccio. Io lo so che tu sei felice, ma so che con me potresti esserlo altrettanto. Anzi, di più.
Io ti amo, meraviglia. Ti amo e non riesco a smettere di pensare a quella notte. Quella notte, io e te, siamo stati di più della perfezione.
Mentre leggevo il messaggio, Mark strappava la lettera con i nomi dei vincitori del Progetto: la mia vita a Palo Alto era ufficialmente finita.

  
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