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Autore: lelle31    08/11/2011    2 recensioni
Che succederebbe se una ragazza appena arrivata in città si trovasse invischiata nel caso Kira? E se la stessa ragazza fosse entrata a contatto con un Death Note in precedenza? E se, come se non bastasse, fosse già morta una volta? Potrebbe spezzare l'apparente quiete di una persona, cambiando non solo il suo destino, ma anche quello di molti altri? Leggete e scopritelo.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il discorso durò in totale più di un’ora e chiaramente non ne compresi neanche una sillaba. Tuttavia, mi sentivo molto orgogliosa di me stessa per non essermi addormentata, specialmente visto e considerato quanto mi aveva fatto venire voglia di sbadigliare il primo dei due oratori.

Anche non capendo una singola parola di ciò che diceva, infatti, avevo notato subito l’arroganza e il disprezzo ben celato dietro il tono di voce allo stesso tempo freddo e deciso. In effetti, dovevo fargli i miei complimenti. Se non fossi stata allenata da anni passati a decifrare ciò che c’era dietro le belle facciate e i cortesi sorrisi che i ricchi amici della mia famiglia sfoggiavano ai ricevimenti e alle feste, probabilmente avrebbe abbindolato anche me.

Di certo, a giudicare dai mormorii concitati che sentivo provenire da diversi gruppi (quasi esclusivamente femminili), aveva fatto centro con  il resto della platea. Sbuffai. Sebbene fossi troppo lontana dal palco per vederlo bene, intuivo senza problemi il motivo di tutta quell’eccitazione. Chiaro. L’“Allarme Super Figo a ore 3!”, dopotutto, per una ragazza era comprensibile in qualunque lingua. Peccato però che avessi conosciuto abbastanza tipi del genere da affermare che cotante meraviglie avevano un enorme insopportabile difetto: erano degli stronzi di prima categoria. Meglio starne alla larga, mi avvertiva il buon senso dopo tutte le storie delle superiori finite male.

E proprio quando iniziavo a pensare che la mia linea di riflessioni, mi avrebbe condotto a un triste quanto indesiderato revival del liceo, fui riportata alla realtà dall’inizio del secondo intervento. Infatti, con mia sorpresa, era stato proprio lo strano ragazzo con cui mi ero scontrata poco prima, a prendere la parola.  Dalla mia postazione, a quel punto, avevo allungato il collo il più possibile con l’intenzione di cogliere ogni particolare del suo viso che mi rivelasse qualcosa riguardo alle parole che stava pronunciando, il suo carattere, i suoi evidenti segreti. Ma tutto quello che ero riuscita a carpire da quella distanza era che la situazione non lo metteva affatto a disagio. Appariva rilassato mentre leggeva il proprio discorso di fronte a tutte quelle persone, molte delle quali lo fissavano sussurrando sorprese, contrariate o intimidite dal suo aspetto. Ciò aumentò in ugual misura la mia stima e la mia curiosità nei suoi confronti.

Forse fu quella la ragione che mi spinse a cercarlo fra la marea di studenti seduti, una volta che lui e l’altro ragazzo ebbero ceduto la scena a un uomo di mezz’età, che supposi, essere il preside e che non degnai della minima attenzione. Ero troppo occupata a setacciare con lo sguardo ogni millimetro della sala.  Non sembrava una grande impresa scorgere una massa di capelli neri così disordinata in mezzo alla folla, ma posso garantire che quando l’ottanta per cento delle persone presenti ha lo stesso colore di capelli, è più facile a dirsi che a farsi.

Speravo che qualcuno si alzasse e se ne andasse, in modo da poter prendere il suo posto e passare più avanti, ma rimasero tutti incollati alle sedie fino alla fine e solo dopo un  altro lungo applauso, la massa di persone si avviò  verso l’esterno. Mi sgranchii braccia e gambe, dopodiché li imitai, cercando di convincermi che dopotutto non importava se avevo perso le tracce di quel tipo.

Mentre camminavo, vidi una limousine nera fermarsi nel parcheggio dell’università. Qualche riccastro in arrivo, pensai.  E invece, rimasi di stucco nel constatare che l’auto era lì per il famigerato ragazzo che ormai temevo sarebbe diventato il mio chiodo fisso. Stava parlando con qualcuno fuori dal veicolo, mentre saliva. Prima che lo sportello gli venisse chiuso lanciò un’occhiata al proprio interlocutore. Poi il suo autista salì, mise in moto e partì, sfrecciando tra i gruppetti di studenti sparpagliati nel parcheggio. Mmmh. Il mistero si infittiva.

Tentando di non farmi notare, buttai un’occhiata veloce nella direzione in cui avevo calcolato si trovasse la persona con cui stava parlando. E sorpresa, sorpresa, vi trovai il ragazzo che aveva tenuto il discorso insieme a lui. Quello per cui tutte stravedevano. Nella frazione di secondo in cui lo fissai, mi accorsi che era effettivamente molto carino. E qualcosa dentro di me, mi suggerì anche che era molto pericoloso.

Improvvisamente fui invasa da un’ansia crescente, che mi fece risalire il viale a passo di marcia, con i tacchi degli stivaletti che scandivano la mia folle ritirata, sotto gli occhi di tutti quegli studenti che solo un paio d’ore prima mi avevano messa tanto in imbarazzo. In quel momento non poteva fregarmene di meno di loro. Finalmente oltrepassai i cancelli aperti e inspirai in maniera profonda, cercando di calmarmi. Poi estrassi il cellulare e chiamai l’albergo perché mi mandasse un taxi. Nel giro di mezz’ora varcai la porta della mia stanza, sollevata come non ero mai stata in tutta la mia vita.   
 
 
Nello stesso tempo, quartier generale


 L POV


Quella era stata decisamente una mattinata interessante. Avevo finalmente fatto la conoscenza del figlio del sovrintendente Yagami, Light. Come mi ero aspettato, dopo averlo osservato attraverso le telecamere per giorni, la sua reazione alla rivelazione della mia identità, era stata composta e fredda. Anche troppo controllata. E questo non faceva altro che aumentare i miei sospetti, almeno a pelle. Perché dal punto di vista delle prove, le possibilità che lui fosse Kira erano meno del 5%. Troppo poche per puntare un dito contro di lui e troppe per non mettere in agitazione l’intero quartier generale.

A quel pensiero rivolsi la mia attenzione al pezzo di torta che stavo mangiando. Era davvero deliziosa. Raramente mi capitava di potermi concentrare su qualcosa che non fossero i casi a cui lavoravo, ma a quell’ora ero solo con Watari, quindi nessuno poteva aver nulla da ridire, se mi rilassavo qualche secondo. O se avevo dei modi bizzarri e a volte dicevo o facevo cose che ferivano le persone. Come era successo con il padre di Light. Anche se non era facile per me esternarlo ero molto addolorato per lo stress a cui stavo sottoponendo il sovrintendente Yagami. Ma io dovevo prendere Kira e non potevo indulgere in inutili sentimentalismi.

Mentre ero assorto in queste riflessioni, Watari entrò nella stanza con il tè appena fatto e me lo poggiò davanti. Poi si sedette accanto a me e mi sorrise. Io ricambiai. Consideravo Watari come un padre. Si era sempre preso cura di me, mi aveva accolto nel suo orfanotrofio quando ero ancora piccolo per poi seguirmi per il mondo aiutandomi negli incarichi che a mano a mano avevo accettato. Credo fosse l’unica persona sulla faccia del pianeta di cui mi fidassi davvero e una delle rarissime a cui avessi mai mostrato i miei sentimenti. Le persone a cui sorridevo, infatti, si potevano contare sulle dita di una mano.

E questo mi fece venire in mente che c’era qualcun altro da aggiungere a quell’esigua somma. La ragazza di quella mattina. Sentii una sensazione di calore nel portare la sua immagine alla mente. I capelli castani, gli occhi nocciola. Quegli impressionanti tacchi a spillo, che la facevano apparire molto più alta di quanto fosse in realtà. E quel sorriso così… dolce. Sorrisi di nuovo, involontariamente a quel ricordo.

“Ryuzaki” mi chiamò Watari, utilizzando il mio nome fasullo e riportandomi alla realtà “Posso sapere a cosa stai pensando?" "Sei arrossito e non fai che sorridere oggi”mi fece notare con gentilezza. Alzai lo sguardo, imbarazzato, e lo portai nel suo, notando che aveva una scintilla divertita negli occhi. Probabilmente aveva già capito tutto ma tentai comunque di mentire “A niente”. Il sorriso di Watari si allargò a quella bugia. “Lei com’è?" chiese, complice. Io abbassai lo sguardo. Le guance mi andavano a fuoco per l’imbarazzo e la vergogna. “ Molto carina” sussurrai, infine. “Ma non ho tempo per questo”aggiunsi con voce più decisa. “Tutti contano su di me perché prenda Kira. Quella è la mia priorità, adesso”. 

E così doveva essere. Dovevo farlo per il mondo. Per la squadra investigativa che stava rischiando moltissimo. E per il padre di Light, che stava soffrendo più di tutti, a causa delle mie supposizioni. “ Ryuzaki” sussurrò Watari, appoggiandomi una mano sulla spalla e facendomi alzare gli occhi. Mi stava fissando con una serietà che non vedevo da molto tempo. Ne rimasi notevolmente sorpreso.

“ Tu stai lavorando giorno e notte a questo caso.” continuò solennemente “ Io ne sono testimone. Ti sei privato di sonno, energie e tempo per risolverlo. Non c’è nessuno che si stia impegnando quanto te.” Abbassò un secondo lo sguardo cercando le parole giuste. “Io” disse poi sorridendomi “sono molto orgoglioso della tua scelta di mettere la tua intelligenza a servizio delle forze dell’ordine, ma a volte mi chiedo se tu non ti stia, ecco, perdendo qualcosa. C’è così tanto là fuori.” Sospirò.

Era così strano sentirlo parlare in quel modo che non seppi come replicare. Ma a quanto pareva non aveva ancora finito di stupirmi. “Non sentirti in colpa, se ti prendi una pausa ogni tanto” ora mi sembrava tornato quello di sempre. Il suo tono era di nuovo benevolo e incoraggiante. “Specialmente non se pensi a una ragazza”e mi fece l’occhiolino. Scossi la testa mentre mi versavo il tè nella tazza. Dopodiché riportai la mia attenzione sul caso, archiviando quella piccola divagazione.  
 
 
L’angolo dell’autrice
Questo capitolo è un po’ più lungo degli altri, ma dopo averlo riscritto e modificato due volte, ho deciso di lasciarlo così. Spero che vi sia piaciuto perché partorirlo è stata una vera impresa. Fatemi sapere cosa ne pensate.

  
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