Il libro
di inglese aveva
l’angolo destro completamente accartocciato, dato che da una
settimana il suo
proprietario sfogava la frustrazione sulla carta, su tutti i fogli che
aveva
sottomano. Lo sguardo buttato ogni tanto sull’unico banco
vuoto alla sua sinistra,
Tsubasa stava mollemente aspettando che il professore facesse il suo
ingresso
in classe per iniziare la lezione. L’insegnante
entrò poco dopo e, salutato dagli
alunni, aprì il registro per iniziare l’appello.
Arrivato alla lettera N,
anzichè saltare il nome che il ragazzo attendeva con
attenzione, il prof lo
chiamò e non ottenendo risposta alzò lo sguardo.
- Qualcuno
sa dirmi dov’è
Nakazawa-san?-
Un
mormorio si elevò tra i
banchi: la scuola era iniziata da una settimana e nessuno aveva visto
Sanae, alcuni
pensavano si fosse ritirata dato che i professori non la chiamavano
nemmeno
durante gli appelli.
- I suoi
genitori ci hanno avvisati
che sarebbe stata assente la prima settimana, ma oggi doveva essere qui
se il
professor Takeda non ha capito male.-
Un rumore
di passi in corridoio
ammutolì i presenti e la porta scorrevole si aprì
di colpo.
- Nakazawa
presente,
professore, scusi il ritardo.- disse intervallando le parole col
fiatone.
Tsubasa
rimase a bocca aperta,
le gote rosse per la corsa l’avevano resa proprio deliziosa,
per non parlare
dei capelli.
-
Nakazawa...- li indicò il
docente.
Sanae
prese in mano le trecce
afro che si era fatta fare da una giamaicana nel Queens
e si giustificò.
- Ho
chiesto al capo
insegnanti, mi ha detto che sono al limite del regolamento ma
accettabili, ho una
dichiarazione firmata da lui.-
Il
professore scosse la mano,
poi si schiarì la voce.
- No, mi
fido, è che sarebbe
opportuno che li legassi con un nastro. Per il banco, mettiti pure di
fianco a
Ozora.-
Obbedendo
al professore si
accomodò al suo posto e sfilò un nastro rosso
dalla sua cartella con cui legò
le treccine. Scostandosi i capelli dalla spalla rivolse lo sguardo a
Tsubasa
che la stava guardando e gli sorrise, poi ammiccò in
direzione di Yukari e
Morisaki che stavano accanto alle vetrate. La lezione finalmente
iniziò e il
professore diede indicazioni a quale pagina aprire il libro.
- Visto
che sei arrivata in
ritardo e a quanto pare ti sei fatta un bel soggiorno negli States, che
ne dici
di leggere e tradurre tutta pagina trentadue, Nakazawa-san?-
Sanae non
si scompose e tenendo
il libro tra le mani si alzò in piedi.
Il suo
compagno di banco
cercava di seguire le righe, che venivano lette con un’ottima
pronuncia, ma
ogni tanto sbirciava il profilo abbronzato della ragazza stupendosi
come se la
vedesse solo in quel momento per la prima volta. Terminato il compito
lei si
risedette e il professore partì con le domande prendendo
persone a caso. Tsubasa
si chinò sul banco cercando di rendersi quasi invisibile, ma
nemmeno lui sfuggì
all’interrogazione. Aveva compreso la domanda, ma non aveva
idea di come
impostare la risposta e come sempre aspettava che il suo angelo custode
si
occupasse di lui, però il suggerimento sperato non
arrivò e il professore lo
fece sedere ammonendolo. D’istinto si voltò verso
Sanae, che stava con lo
sguardo fisso sulle pagine del libro e nuovamente sentì
l’amaro sapore della
delusione. Non poteva sapere che la ragazza si era concentrata per non
obbedire
all’impulso di mostrarsi servizievole con lui e dargli il
tanto sospirato
suggerimento.
Durante la
ricreazione i
ragazzi del club di calcio passarono a trovarla.
- Ehi
Anego, ti sei fatta una
bella vacanza, eh? - Ishizaki sorrideva a trentadue denti.
-
Pensavamo non tornassi più
indietro.- incalzò Kisugi.
- Ammetto
che sono stata
tentata.- sorrise agli amici che le facevano un sacco di domande.
L’unico
che non si sentiva
partecipe era Tsubasa, che dopo aver udito quella frase si era
rabbuiato. La
ragazza sembrava persa in un altro mondo, un luogo dove i suoi amici
riuscivano
a entrare senza problemi, mentre lui non ne trovava
l’accesso. Non era Sanae a
impedirglielo, anche se in più di un occasione gli sembrava
cambiata. Probabilmente
era il suo aspetto che gli dava questa idea, quindi si
limitò ad ascoltare le
risposte che dava ai suoi compagni senza intervenire.
- Dicci la
verità, Anego, hai avuto
qualche avventuretta estiva?- chiese maliziosamente Ishizaki.
Quella
domanda allertò ogni
cellula del corpo di Tsubasa.
- Non te
lo dirò MAI.- rispose
lei mostrandogli la lingua, per poi scoppiare a ridere assieme agli
altri.
Tsubasa
non si sentiva a suo
agio, gli sembrava di avere di fronte un’estranea.
- Ehi,
capitano. Tutto a
posto?- chiese Sanae accompagnando la domanda con un sorriso.
Finalmente
la rivedeva,
quell’espressione così dolce, quella che le faceva
comparire le fossette ai
lati della bocca e che rendeva più armoniosa la forma delle
sue labbra, quella
che faceva brillare il caldo dei suoi occhi castani, quella che, aveva
difficoltà ad ammetterlo, gli era mancata.
Durante la
pausa pranzo, Sanae
estrasse il cellulare dalla cartella e lo accese, poi raggiunse gli
altri per
andare assieme alla mensa. Tsubasa si affiancò a lei,
sguardo basso come un
colpevole, ma non proferì parola, incerto su cosa dire alla
sua prima manager.
-
Sanae...-
La ragazza
si voltò nella sua
direzione.
- Ecco...-
prese a balbettare,
ma un suono lo disturbò.
Lei
rispose alla chiamata e un
sorriso le illuminò il viso quando salutò la
persona dall’altra parte con un “hello”
quasi cantato.
- Tsubasa,
non credo di aver
tempo di venire a pranzare con voi. Potresti dirlo tu agli altri?-
La vide
correre verso le scale
per la terrazza, poi come un cane bastonato si diresse alla mensa dove
gli
altri erano già lì ad attenderlo.
- Ehi,
capitano, ma Sanae-chan?-
chiese Izawa.
- Al
telefono. Dice che non ci
raggiungerà per il pranzo.- borbottò.
Un coro di
esclamazioni si levò
dai suoi amici che a turno iniziarono a fare congetture sul probabile
interlocutore.
- Ah, ve
lo dico io, Sanae ha
conosciuto qualcuno a New York.- chiosò Kisugi.
-
Può essere, del resto è una
ragazza carina.- aggiunse Morisaki.
I compagni
annuirono tra di
loro.
- Poi i
capelli così le stanno
benissimo. Non pensi anche tu, capitano?- domandò Izawa,
cercando di
coinvolgere il loro taciturno amico.
Tsubasa
era troppo intento a
massacrare un pezzo di tamago yaki[1]
con le bacchette da quando aveva sentito l’ipotesi
di Kisugi. Perchè gli
dava tanto fastidio anche solo pensare a qualcuno accanto a Sanae? Chi
era lui
per sentirsi così irritato?
- Ehi,
Tsubasa, ci sei?- Yukari
gli scosse una mano di fronte.
- Scusate,
ragazzi, ‘sta roba
fa schifo. Me ne torno in classe.- e detto questo si alzò
per andare a posare
il vassoio e uscire, ma durante il tragitto fu intercettato da Kumi,
che con la
solita insistenza lo arpionò per il braccio.
- Ti va di
accompagnarmi in
terrazza?-
Stava
quasi per rifiutare,
quando gli venne in mente chi avrebbe incontrato assecondandola.
Sanae,
intenta a parlare,
appoggiata con i gomiti alla ringhiera, nemmeno sentì la
porta alle sue spalle
aprirsi. Una voce fastidiosa richiamò la sua attenzione e il
suo sguardo
incontrò quello di Kumi e Tsubasa.
Bene,
vedo che non hai perso tempo.
Si
rigirò tentando di dominarsi
e continuò la sua conversazione, simulando
un’indifferenza da guinnes
dei primati. Il ragazzo stava di
spalle alla ringhiera in modo da porterla avere nel proprio campo
visivo,
mentre la kohai non faceva altro
che
squittire sulla bellezza del panorama, neanche fosse la prima volta che
lo
vedeva. A un tratto si voltò verso il suo interlocutore, ma
vide che lui era
distratto e focalizzato su qualcos’altro, o meglio, su
qualcun altro. Kumi si
sentì un po’ offesa e con una scusa banale si
congedò, ma vedendo la reazione distratta
di Tsubasa si irritò ancora di più.
Sanae ora
rideva, scherzava,
come non aveva mai fatto con lui. Sembrava felice: era mai stata
così in sua
compagnia?
Finalmente,
la vide chiudere
quel dannato aggeggio e voltarsi. Lei rimase spiazzata vedendolo da
solo.
- Sei
solo? E Kumi?-
Scrollò
le spalle quasi a
significare che non era importante.
- Sanae,
lei mi si è
appiccicata addosso...sai com’è fatta...-
-
Perchè mi dai spiegazioni?-
chiese ostentando una reale curiosità.
- Ecco...-
Bravo,
adesso cosa m’invento?
Le
scappò una risata per la sua
goffaggine.
- Tra poco
rinizia la lezione.-
disse, superandolo, e con un tocco sistemò meglio i capelli
sulla sua schiena
facendo tintinnare le perline che legavano le estremità
delle trecce.
-
Sanae...- lei si voltò e
attese.
- Oggi ci
sei al club, vero?-
quella domanda suonò più come una preghiera.
Un sorriso
le si allargò sul
volto.
- Ma
certo.- rispose spostando
la testa di lato in maniera sbarazzina.
Almeno una
delle sue certezze
non era venuta a mancare.
Il
pomeriggio era ancora troppo
caldo e i ragazzi chiedevano costantemente pause per andarsi a
rinfrescare,
l’unico che resisteva e non si allontanava mai dal campo era
proprio Tsubasa
che continuava a provare i suoi tiri contro la rete sguarnita. Ogni
tanto i
suoi occhi cercavano la figura a bordo campo, che aveva sostituito la
solita
tuta con un paio di pantajazz rossi e una canottiera bianca con la
scritta “I love NY”,
indumenti che esaltavano
decisamente le forme prossime alla maturazione della ragazza.
La cesta
dei palloni stava
iniziando a svuotarsi e Sanae se n’era accorta da molto ma,
decisa a continuare
con il suo atteggiamento distaccato, fece finta di non rendersene
conto. Il
mister notò che il ragazzo si era accorto di aver esaurito
la scorta e guardava
le manager grattandosi la nuca, come se questo bastasse ad attirare la
loro
attenzione e, per la prima volta in tre anni, dovette far notare alle
ragazze
che il loro aiuto era richiesto.
- Ah,
sì. Kumi vai ad aiutare
Tsubasa.- borbottò scocciata la prima manager.
Quel tono
di voce urtò
parecchio il ragazzo che si voltò a guardarla mentre gli
dava le spalle,
impegnata a piegare gli asciugamani puliti da portare negli spogliatoi.
Non
mi ha neanche chiamato “capitano”.
Vide la
Nishimoto avvicinarsi a
lei per dirle qualcosa e notò che scrollava le spalle, come
se qualunque cosa
le avesse detto non la riguardasse. La kohai
si era riempita le mani di palloni che rischiavano di
sfuggirle dalla presa
da un momento all’altro e Tsubasa dovette darle una mano per
evitare che le
sfere rotolassero da ogni lato. Diede un ultimo sguardo al bordo campo,
ma vide
che se n’era andata dentro gli spogliatoi a posare la pila di
asciugamani
aiutata da Yukari.
-
Sanae-chan, scusa se te lo
chiedo? Hai conosciuto qualche ragazzo in America?-
La ragazza
sbuffò: a Yukari non
avrebbe potuto mentire, non sarebbe stato giusto dato che si era
dimostrata
sempre tanto comprensiva e disponibile con lei.
-
Più o meno.-
La sua
amica allargò gli occhi
per lo stupore.
- Che
significa “più o meno”?-
- Nel
senso che ho incontrato
un ragazzo, ma non ne voglio parlare.- cercò di chiudere
l’argomento. Spiegare
la situazione a Yukari sarebbe stato complicato e se lei era davvero
sua amica
non l’avrebbe forzata a parlarne, ma si sentì una
persona pessima quando ne vide
l’espressione mortificata.
- Mi
spiace, Yukari-chan. Sei
una cara amica, lo sai, ma la situazione è un po’
ingarbugliata.-
- Nel
senso che lui è là e tu
qui?- chiese.
- No,
è un discorso lungo e
complicato.-
Ti
prego, non chiedermi altro Yukari.
La ragazza
sospirò, poi
sorrise.
- Quando
sarai pronta me ne
parlerai.-
La
risposta di Sanae fu un
abbraccio di gratitudine.
Gli
allenamenti erano finiti e
Sanae rispedì a casa Yukari e Kumi, spiegando che siccome la
prima settimana
era stata assente lasciando loro tutte le incombenze, voleva sdebitarsi
finendo
di riordinare da sola. Aveva anche bisogno di un po’ di
solitudine per
riappropriarsi di tutte le piccole cose che la legavano a quel club.
Aveva
finito di stendere le
magliette a cui aveva fatto fare un bel giro in lavatrice, poi aveva
cominciato
a pulire i palloni con un panno. Il sole stava scendendo lentamente e
la
temperatura era piacevolmente mite: nel campo deserto si respirava
un’aria di
pace e, avvertendo un brivido sulle spalle scoperte, Sanae
slegò il nastro per
sciogliere i capelli che le coprirono così la pelle nuda. Le
perline le
solleticavano la schiena, proprio lì dove la pelle rimaneva
scoperta tra la
canottiera e i pantaloni, ma a lei piaceva sentire i suoi capelli, che
di
solito tagliava corti in nome di una decantata comodità,
così lunghi: merito
delle extention che le aveva
applicato Maylea, la simpatica ragazza che aveva pazientemente
intrecciato le
sue ciocche, talmente lisce e scivolose, per un intero pomeriggio. Quel
viaggio
oltreoceano era stato un toccasana per lei: aveva scoperto una parte di
sè che
non aveva mostrato mai nemmeno a se stessa, forse per paura, quella che
l’aveva
spinta a chiudersi in abiti maschili da bambina e che le faceva
ostentare una
grinta solo apparente per difendersi. Grazie a Yoshiko e alle
attenzioni di
Cody aveva scoperto il suo lato femminile, quello che voleva
disperatamente far
emergere, imprigionato dalla paura di non piacere a Tsubasa.
Pensò
a come si era svolta la
giornata e si potè ritenere soddisfatta del suo
comportamento che finalmente si
stava allontanando dallo zerbino che si era ridotta ad essere e, cosa
migliore
in assoluto, Tsubasa sembrava essersi accorto del cambiamento. Sorrise
tra sè
ignara della presenza alle sue spalle e, infilando l’ultimo
pallone nella
cesta, scostò la massa di trecce che era scivolata in avanti
quando si era
chinata per prendere lo strofinaccio. Il rumore di una frustata con
conseguente
grido di dolore la fece voltare di scatto con gli occhi sbarrati.
Di fronte
a lei stava Tsubasa
che, dolorante, si teneva il braccio colpito dai suoi capelli.
Imbarazzata andò
a toccarlo proprio lì dove erano evidenti i segni lasciati
dalle perline.
- Scusami
davvero, non pensavo
fossi dietro di me. Mi spiace, ti fa male?- chiese mortificata.
Tsubasa le
sorrise e le
assicurò che stava benissimo. Lei alzò lo sguardo
dal bicipite che si stava
arrossando e incontrò gli occhi scuri del ragazzo che la
stava fissando. La
vicinanza e l’espressione dei suoi occhi che le parve
così dolce stavano
mandando all’aria i suoi buoni propositi, ma dentro di
sè prevalse l’orgoglio
che le impedì di arrossire o iniziare a innervosirsi.
- Uff,
dovrei pensare di farle
sciogliere.- si portò l’estremità
imperlata di una treccia davanti agli occhi.
- Ti
stanno benissimo.-
Ho
sentito bene? Quello era un complimento? Non fare la scema e non andare
in
visibilio, Cody ti ha sommersa di complimenti molto più
elaborati di questo.
Dentro la
sua testa angeli e
demoni svolgevano una battaglia oratoria, ma i buoni propositi ebbero
la
meglio.
- Sei
gentile, ma tenerle
troppo a lungo mi rovinerebbe i capelli.- spinse via il cesto per
andarlo a
sistemare nel magazzino.
- Ti posso
aiutare?- chiese lui.
- Mmm, no
ho finito, chiudo
qui, mi cambio e me ne vado.- spiegò.
- Ti
aspetto così ti
accompagno.-
Io
e lui da soli sulla strada di casa...no, scordatelo Sanae, non ci devi
cascare!
- No, vai
pure, tanto non vado
a casa.-
- No?-
- I miei
genitori avevano
voglia di una serata alternativa e hanno prenotato al ristorante.
Adesso
telefono a mio padre per dirgli di venirmi a prendere.-
Ottima
scusa, Sanae, speriamo che non ti chieda di aspettare il suo arrivo con
te...
Il ragazzo
rimase un po’ male,
sperava di poter fare due chiacchiere una buona volta dato che in tutta
la
giornata, tra impegni e telefonate e i suoi compagni che avevano tenuto
banco,
non aveva potuto parlare con lei.
-
Sarà per un’altra volta.- si
sforzò di sorridere.
Si
congedò e la lasciò andare a
cambiarsi. La ragazza si chiuse alle spalle la porta dello spogliatoio
e
sbuffò, poi sorrise al proprio riflesso nello specchio.
- Sei
proprio una pessima
bugiarda, Sanae.-
Muahahahahahah,
ebbene Sanae è tornata, ma il povero Tsubasa ci capisce
ancor meno di prima:
acconciatura nuova, un misterioso interlocutore telefonico e il suo
essere così
distaccata. Cosa sarà successo negli USA?
Per
saperlo…alle prossime puntate!
Ringrazio
i lettori e soprattutto chi lascia un commento facendomi sapere cosa
pensa di
questa storia. Alla prossima. ;) PS: Tadaima, il titolo del capitolo è un'espressione giapponese che si usa quando si rientra a casa. Di solito chi entra dice "Tadaima" e chi accoglie in casa risponde "Okaeri".