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Autore: Saerith    09/11/2011    8 recensioni
"Occhio per occhio, dente per dente" era in sintesi la logica dietro il codice di Hammurabi. Cosa succederebbe se Sanae iniziasse a ignorare Tsubasa?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il libro di inglese aveva l’angolo destro completamente accartocciato, dato che da una settimana il suo proprietario sfogava la frustrazione sulla carta, su tutti i fogli che aveva sottomano. Lo sguardo buttato ogni tanto sull’unico banco vuoto alla sua sinistra, Tsubasa stava mollemente aspettando che il professore facesse il suo ingresso in classe per iniziare la lezione. L’insegnante entrò poco dopo e, salutato dagli alunni, aprì il registro per iniziare l’appello. Arrivato alla lettera N, anzichè saltare il nome che il ragazzo attendeva con attenzione, il prof lo chiamò e non ottenendo risposta alzò lo sguardo.

- Qualcuno sa dirmi dov’è Nakazawa-san?-

Un mormorio si elevò tra i banchi: la scuola era iniziata da una settimana e nessuno aveva visto Sanae, alcuni pensavano si fosse ritirata dato che i professori non la chiamavano nemmeno durante gli appelli.

- I suoi genitori ci hanno avvisati che sarebbe stata assente la prima settimana, ma oggi doveva essere qui se il professor Takeda non ha capito male.-

Un rumore di passi in corridoio ammutolì i presenti e la porta scorrevole si aprì di colpo.

- Nakazawa presente, professore, scusi il ritardo.- disse intervallando le parole col fiatone.

Tsubasa rimase a bocca aperta, le gote rosse per la corsa l’avevano resa proprio deliziosa, per non parlare dei capelli.

- Nakazawa...- li indicò il docente.

Sanae prese in mano le trecce afro che si era fatta fare da una giamaicana nel Queens e si giustificò.

- Ho chiesto al capo insegnanti, mi ha detto che sono al limite del regolamento ma accettabili, ho una dichiarazione firmata da lui.-

Il professore scosse la mano, poi si schiarì la voce.

- No, mi fido, è che sarebbe opportuno che li legassi con un nastro. Per il banco, mettiti pure di fianco a Ozora.-

Obbedendo al professore si accomodò al suo posto e sfilò un nastro rosso dalla sua cartella con cui legò le treccine. Scostandosi i capelli dalla spalla rivolse lo sguardo a Tsubasa che la stava guardando e gli sorrise, poi ammiccò in direzione di Yukari e Morisaki che stavano accanto alle vetrate. La lezione finalmente iniziò e il professore diede indicazioni a quale pagina aprire il libro.

- Visto che sei arrivata in ritardo e a quanto pare ti sei fatta un bel soggiorno negli States, che ne dici di leggere e tradurre tutta pagina trentadue, Nakazawa-san?-

Sanae non si scompose e tenendo il libro tra le mani si alzò in piedi.

Il suo compagno di banco cercava di seguire le righe, che venivano lette con un’ottima pronuncia, ma ogni tanto sbirciava il profilo abbronzato della ragazza stupendosi come se la vedesse solo in quel momento per la prima volta. Terminato il compito lei si risedette e il professore partì con le domande prendendo persone a caso. Tsubasa si chinò sul banco cercando di rendersi quasi invisibile, ma nemmeno lui sfuggì all’interrogazione. Aveva compreso la domanda, ma non aveva idea di come impostare la risposta e come sempre aspettava che il suo angelo custode si occupasse di lui, però il suggerimento sperato non arrivò e il professore lo fece sedere ammonendolo. D’istinto si voltò verso Sanae, che stava con lo sguardo fisso sulle pagine del libro e nuovamente sentì l’amaro sapore della delusione. Non poteva sapere che la ragazza si era concentrata per non obbedire all’impulso di mostrarsi servizievole con lui e dargli il tanto sospirato suggerimento.

Durante la ricreazione i ragazzi del club di calcio passarono a trovarla.

- Ehi Anego, ti sei fatta una bella vacanza, eh? - Ishizaki sorrideva a trentadue denti.

- Pensavamo non tornassi più indietro.- incalzò Kisugi.

- Ammetto che sono stata tentata.- sorrise agli amici che le facevano un sacco di domande.

L’unico che non si sentiva partecipe era Tsubasa, che dopo aver udito quella frase si era rabbuiato. La ragazza sembrava persa in un altro mondo, un luogo dove i suoi amici riuscivano a entrare senza problemi, mentre lui non ne trovava l’accesso. Non era Sanae a impedirglielo, anche se in più di un occasione gli sembrava cambiata. Probabilmente era il suo aspetto che gli dava questa idea, quindi si limitò ad ascoltare le risposte che dava ai suoi compagni senza intervenire.

- Dicci la verità, Anego, hai avuto qualche avventuretta estiva?- chiese maliziosamente Ishizaki.

Quella domanda allertò ogni cellula del corpo di Tsubasa.

- Non te lo dirò MAI.- rispose lei mostrandogli la lingua, per poi scoppiare a ridere assieme agli altri.

Tsubasa non si sentiva a suo agio, gli sembrava di avere di fronte un’estranea.

- Ehi, capitano. Tutto a posto?- chiese Sanae accompagnando la domanda con un sorriso.

Finalmente la rivedeva, quell’espressione così dolce, quella che le faceva comparire le fossette ai lati della bocca e che rendeva più armoniosa la forma delle sue labbra, quella che faceva brillare il caldo dei suoi occhi castani, quella che, aveva difficoltà ad ammetterlo, gli era mancata.

 

Durante la pausa pranzo, Sanae estrasse il cellulare dalla cartella e lo accese, poi raggiunse gli altri per andare assieme alla mensa. Tsubasa si affiancò a lei, sguardo basso come un colpevole, ma non proferì parola, incerto su cosa dire alla sua prima manager.

- Sanae...-

La ragazza si voltò nella sua direzione.

- Ecco...- prese a balbettare, ma un suono lo disturbò.

Lei rispose alla chiamata e un sorriso le illuminò il viso quando salutò la persona dall’altra parte con un “hello” quasi cantato.

- Tsubasa, non credo di aver tempo di venire a pranzare con voi. Potresti dirlo tu agli altri?-

La vide correre verso le scale per la terrazza, poi come un cane bastonato si diresse alla mensa dove gli altri erano già lì ad attenderlo.

- Ehi, capitano, ma Sanae-chan?- chiese Izawa.

- Al telefono. Dice che non ci raggiungerà per il pranzo.- borbottò.

Un coro di esclamazioni si levò dai suoi amici che a turno iniziarono a fare congetture sul probabile interlocutore.

- Ah, ve lo dico io, Sanae ha conosciuto qualcuno a New York.- chiosò Kisugi.

- Può essere, del resto è una ragazza carina.- aggiunse Morisaki.

I compagni annuirono tra di loro.

- Poi i capelli così le stanno benissimo. Non pensi anche tu, capitano?- domandò Izawa, cercando di coinvolgere il loro taciturno amico.

Tsubasa era troppo intento a massacrare un pezzo di tamago yaki[1] con le bacchette da quando aveva sentito l’ipotesi di Kisugi. Perchè gli dava tanto fastidio anche solo pensare a qualcuno accanto a Sanae? Chi era lui per sentirsi così irritato?

- Ehi, Tsubasa, ci sei?- Yukari gli scosse una mano di fronte.

- Scusate, ragazzi, ‘sta roba fa schifo. Me ne torno in classe.- e detto questo si alzò per andare a posare il vassoio e uscire, ma durante il tragitto fu intercettato da Kumi, che con la solita insistenza lo arpionò per il braccio.

- Ti va di accompagnarmi in terrazza?-

Stava quasi per rifiutare, quando gli venne in mente chi avrebbe incontrato assecondandola.

Sanae, intenta a parlare, appoggiata con i gomiti alla ringhiera, nemmeno sentì la porta alle sue spalle aprirsi. Una voce fastidiosa richiamò la sua attenzione e il suo sguardo incontrò quello di Kumi e Tsubasa.

 

Bene, vedo che non hai perso tempo.

 

Si rigirò tentando di dominarsi e continuò la sua conversazione, simulando un’indifferenza da guinnes dei primati. Il ragazzo stava di spalle alla ringhiera in modo da porterla avere nel proprio campo visivo, mentre la kohai non faceva altro che squittire sulla bellezza del panorama, neanche fosse la prima volta che lo vedeva. A un tratto si voltò verso il suo interlocutore, ma vide che lui era distratto e focalizzato su qualcos’altro, o meglio, su qualcun altro. Kumi si sentì un po’ offesa e con una scusa banale si congedò, ma vedendo la reazione distratta di Tsubasa si irritò ancora di più.

Sanae ora rideva, scherzava, come non aveva mai fatto con lui. Sembrava felice: era mai stata così in sua compagnia?

Finalmente, la vide chiudere quel dannato aggeggio e voltarsi. Lei rimase spiazzata vedendolo da solo.

- Sei solo? E Kumi?-

Scrollò le spalle quasi a significare che non era importante.

- Sanae, lei mi si è appiccicata addosso...sai com’è fatta...-

- Perchè mi dai spiegazioni?- chiese ostentando una reale curiosità.

- Ecco...-

 

Bravo, adesso cosa m’invento?

 

Le scappò una risata per la sua goffaggine.

- Tra poco rinizia la lezione.- disse, superandolo, e con un tocco sistemò meglio i capelli sulla sua schiena facendo tintinnare le perline che legavano le estremità delle trecce.

- Sanae...- lei si voltò e attese.

- Oggi ci sei al club, vero?- quella domanda suonò più come una preghiera.

Un sorriso le si allargò sul volto.

- Ma certo.- rispose spostando la testa di lato in maniera sbarazzina.

Almeno una delle sue certezze non era venuta a mancare.

 

Il pomeriggio era ancora troppo caldo e i ragazzi chiedevano costantemente pause per andarsi a rinfrescare, l’unico che resisteva e non si allontanava mai dal campo era proprio Tsubasa che continuava a provare i suoi tiri contro la rete sguarnita. Ogni tanto i suoi occhi cercavano la figura a bordo campo, che aveva sostituito la solita tuta con un paio di pantajazz rossi e una canottiera bianca con la scritta “I love NY”, indumenti che esaltavano decisamente le forme prossime alla maturazione della ragazza.

La cesta dei palloni stava iniziando a svuotarsi e Sanae se n’era accorta da molto ma, decisa a continuare con il suo atteggiamento distaccato, fece finta di non rendersene conto. Il mister notò che il ragazzo si era accorto di aver esaurito la scorta e guardava le manager grattandosi la nuca, come se questo bastasse ad attirare la loro attenzione e, per la prima volta in tre anni, dovette far notare alle ragazze che il loro aiuto era richiesto.

- Ah, sì. Kumi vai ad aiutare Tsubasa.- borbottò scocciata la prima manager.

Quel tono di voce urtò parecchio il ragazzo che si voltò a guardarla mentre gli dava le spalle, impegnata a piegare gli asciugamani puliti da portare negli spogliatoi.

 

Non mi ha neanche chiamato “capitano”.

 

Vide la Nishimoto avvicinarsi a lei per dirle qualcosa e notò che scrollava le spalle, come se qualunque cosa le avesse detto non la riguardasse. La kohai si era riempita le mani di palloni che rischiavano di sfuggirle dalla presa da un momento all’altro e Tsubasa dovette darle una mano per evitare che le sfere rotolassero da ogni lato. Diede un ultimo sguardo al bordo campo, ma vide che se n’era andata dentro gli spogliatoi a posare la pila di asciugamani aiutata da Yukari.

- Sanae-chan, scusa se te lo chiedo? Hai conosciuto qualche ragazzo in America?-

La ragazza sbuffò: a Yukari non avrebbe potuto mentire, non sarebbe stato giusto dato che si era dimostrata sempre tanto comprensiva e disponibile con lei.

- Più o meno.-

La sua amica allargò gli occhi per lo stupore.

- Che significa “più o meno”?-

- Nel senso che ho incontrato un ragazzo, ma non ne voglio parlare.- cercò di chiudere l’argomento. Spiegare la situazione a Yukari sarebbe stato complicato e se lei era davvero sua amica non l’avrebbe forzata a parlarne, ma si sentì una persona pessima quando ne vide l’espressione mortificata.

- Mi spiace, Yukari-chan. Sei una cara amica, lo sai, ma la situazione è un po’ ingarbugliata.-

- Nel senso che lui è là e tu qui?- chiese.

- No, è un discorso lungo e complicato.-

 

Ti prego, non chiedermi altro Yukari.

 

La ragazza sospirò, poi sorrise.

- Quando sarai pronta me ne parlerai.-

La risposta di Sanae fu un abbraccio di gratitudine.

 

Gli allenamenti erano finiti e Sanae rispedì a casa Yukari e Kumi, spiegando che siccome la prima settimana era stata assente lasciando loro tutte le incombenze, voleva sdebitarsi finendo di riordinare da sola. Aveva anche bisogno di un po’ di solitudine per riappropriarsi di tutte le piccole cose che la legavano a quel club.

Aveva finito di stendere le magliette a cui aveva fatto fare un bel giro in lavatrice, poi aveva cominciato a pulire i palloni con un panno. Il sole stava scendendo lentamente e la temperatura era piacevolmente mite: nel campo deserto si respirava un’aria di pace e, avvertendo un brivido sulle spalle scoperte, Sanae slegò il nastro per sciogliere i capelli che le coprirono così la pelle nuda. Le perline le solleticavano la schiena, proprio lì dove la pelle rimaneva scoperta tra la canottiera e i pantaloni, ma a lei piaceva sentire i suoi capelli, che di solito tagliava corti in nome di una decantata comodità, così lunghi: merito delle extention che le aveva applicato Maylea, la simpatica ragazza che aveva pazientemente intrecciato le sue ciocche, talmente lisce e scivolose, per un intero pomeriggio. Quel viaggio oltreoceano era stato un toccasana per lei: aveva scoperto una parte di sè che non aveva mostrato mai nemmeno a se stessa, forse per paura, quella che l’aveva spinta a chiudersi in abiti maschili da bambina e che le faceva ostentare una grinta solo apparente per difendersi. Grazie a Yoshiko e alle attenzioni di Cody aveva scoperto il suo lato femminile, quello che voleva disperatamente far emergere, imprigionato dalla paura di non piacere a Tsubasa.

Pensò a come si era svolta la giornata e si potè ritenere soddisfatta del suo comportamento che finalmente si stava allontanando dallo zerbino che si era ridotta ad essere e, cosa migliore in assoluto, Tsubasa sembrava essersi accorto del cambiamento. Sorrise tra sè ignara della presenza alle sue spalle e, infilando l’ultimo pallone nella cesta, scostò la massa di trecce che era scivolata in avanti quando si era chinata per prendere lo strofinaccio. Il rumore di una frustata con conseguente grido di dolore la fece voltare di scatto con gli occhi sbarrati.

Di fronte a lei stava Tsubasa che, dolorante, si teneva il braccio colpito dai suoi capelli. Imbarazzata andò a toccarlo proprio lì dove erano evidenti i segni lasciati dalle perline.

- Scusami davvero, non pensavo fossi dietro di me. Mi spiace, ti fa male?- chiese mortificata.

Tsubasa le sorrise e le assicurò che stava benissimo. Lei alzò lo sguardo dal bicipite che si stava arrossando e incontrò gli occhi scuri del ragazzo che la stava fissando. La vicinanza e l’espressione dei suoi occhi che le parve così dolce stavano mandando all’aria i suoi buoni propositi, ma dentro di sè prevalse l’orgoglio che le impedì di arrossire o iniziare a innervosirsi.

- Uff, dovrei pensare di farle sciogliere.- si portò l’estremità imperlata di una treccia davanti agli occhi.

- Ti stanno benissimo.-

 

Ho sentito bene? Quello era un complimento? Non fare la scema e non andare in visibilio, Cody ti ha sommersa di complimenti molto più elaborati di questo.

 

Dentro la sua testa angeli e demoni svolgevano una battaglia oratoria, ma i buoni propositi ebbero la meglio.

- Sei gentile, ma tenerle troppo a lungo mi rovinerebbe i capelli.- spinse via il cesto per andarlo a sistemare nel magazzino.

- Ti posso aiutare?- chiese lui.

- Mmm, no ho finito, chiudo qui, mi cambio e me ne vado.- spiegò.

- Ti aspetto così ti accompagno.-

 

Io e lui da soli sulla strada di casa...no, scordatelo Sanae, non ci devi cascare!

 

- No, vai pure, tanto non vado a casa.-

- No?-

- I miei genitori avevano voglia di una serata alternativa e hanno prenotato al ristorante. Adesso telefono a mio padre per dirgli di venirmi a prendere.-

 

Ottima scusa, Sanae, speriamo che non ti chieda di aspettare il suo arrivo con te...

 

Il ragazzo rimase un po’ male, sperava di poter fare due chiacchiere una buona volta dato che in tutta la giornata, tra impegni e telefonate e i suoi compagni che avevano tenuto banco, non aveva potuto parlare con lei.

- Sarà per un’altra volta.- si sforzò di sorridere.

Si congedò e la lasciò andare a cambiarsi. La ragazza si chiuse alle spalle la porta dello spogliatoio e sbuffò, poi sorrise al proprio riflesso nello specchio.

- Sei proprio una pessima bugiarda, Sanae.-

 

 

 

Muahahahahahah, ebbene Sanae è tornata, ma il povero Tsubasa ci capisce ancor meno di prima: acconciatura nuova, un misterioso interlocutore telefonico e il suo essere così distaccata. Cosa sarà successo negli USA?

Per saperlo…alle prossime puntate!

Ringrazio i lettori e soprattutto chi lascia un commento facendomi sapere cosa pensa di questa storia. Alla prossima. ;) PS: Tadaima, il titolo del capitolo è un'espressione giapponese che si usa quando si rientra a casa. Di solito chi entra dice "Tadaima" e chi accoglie in casa risponde "Okaeri".



[1] Rotolo di frittata

  
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