6
CAPITOLO
Ormai era fatta.
Non si riusciva a
spiegare la furia e la rabbia che le attraversava il corpo inesorabilmente. Era come se le si fosse iniettato nelle vene un
desiderio terribile di colpire, di fare del male.
Questo le fece molto
paura. Non avrebbe mai immaginato di poter pensare quelle cose.
Le uniche volte in cui
era ricorsa alla violenza era stato per difendersi… nulla di
più. La sua sopravvivenza era l’unica cosa che aveva contato in quel momento.
Ma quando aveva
accettato l’alleanza di Gilbert, le si era formato istintivamente un
sorriso malefico nel viso. La solo idea di farla pagare a Damon Salvatore e a
tutti quei vampiri la eccitava da morire, le offriva un ambiguo senso di
appagamento.
Briony si intravide nello specchio della
cabina telefonica.
Il volto che vide
riflesso non poteva appartenerle. Quel volto distorto e agghiacciante era il
suo? Le sembrò distaccarsi dalla sua stessa faccia, si spaventò di quello che
vide e si allontanò in fretta dal suo riflesso, respirando a fatica.
Era riuscita a
riprendere il controllo di se stessa, era tornata finalmente normale ma il
cuore batteva velocissimo. Il desiderio di vendetta era svanito, così in fretta
come era comparso, lasciando solo confusione.
<< Avrò fatto bene
ad accettare l’offerta di John? >> si chiese ripetutamente Briony, camminando verso il paese.
Non pensava che la loro
alleanza le avrebbe fatto correre dei rischi, ma credeva di aver fatto un
errore nell’accettare così precipitosamente. E se qualcuno lo avesse saputo e
avrebbe frainteso?
Qualcuno come….
Ma smise di pensarci. In
fondo lei e John volevano la stessa cosa. Proteggere le persone che amavano.
Cosa c’era di sbagliato in questo? E se nel pacchetto era incluso anche di
vendicarsi di Damon meglio no? Uno in meno di cui
preoccuparsi.
Ma nonostante tutto quei
pensieri non riuscivano a calmarla. Il cuore non cessava di battere forte per
una schiera di emozioni.
Oltrepassò la piazza con
fare incerto. Si sentiva ancora scossa dopo quello che aveva provato e sentito… Il sangue le ribolliva nelle vene e ormai
stava per scoppiare. Se qualcuno si fosse avvicinato con un fiammifero sulla
sua pelle probabilmente avrebbe preso fuoco.
Sfortuna volle che
incontrò Carol Lockwood.
<< No, non ora ti
prego >> pensò Briony amaramente.
Ma Carol le venne
incontro sorridendole: “Briony! Allora hai deciso di
restare?”
La ragazza non fece in
tempo a rispondere che si ritrovò vicino John Gilbert.
“Buongiorno
Signora Lockwood… Briony.”
L’uomo si voltò verso la ragazza e le sorrise.
“Ciao.” Briony non osava dire nient’altro. Non voleva
rispondere alle domande impertinenti di quella vecchia acida e non voleva
neanche affrontare il discorso con John.
All’improvviso vide in
lontananza una coppia che passeggiava: la donna mostrava delle
case con una cartina in mano a un uomo distinto con un completo nero.
Osservando attentamente notò che quella coppia erano….Elijah
e Jenna?!
Briony spalancò occhi e bocca
contemporaneamente, e senza volerlo esclamò:
“Ma cosa…?” Il suo volto preoccupato e shockato non passò
inosservato a Carol e a John, che si girarono verso la stessa coppia. Jenna poi
notò la loro presenza e corse subito verso di loro.
“Briony!
Elena mi aveva detto che eri tornata!” Jenna le si parò di fronte con un
sorriso estasiato e contento, mentre vicino a lei c’era Elijah che la guardava
fisso negli occhi incuriosito ma con distanza.
Entrambi osservavano con
sospetto i loro strani partner, per motivi diversi: Briony si
chiedeva cosa faceva Elijah con una ragazza innocente Jenna e cosa
voleva da lei, mentre Elijah si
domandò se doveva preoccuparsi dell’ambigua vicinanza tra lei e il diabolico zio Gilbert, che più spesso aveva procurato problemi.
Briony smise di pensare a simili cavolate e
abbracciò la sua amica d’infanzia.
“Jenna!” rispose con
felicità dandole un bacio sulla guancia.
“Mi sei mancata!
Prometti che non scappi più!” mormorò Jenna che aveva quasi le lacrime agli occhi.
Briony sorrise e le accarezzò il viso. Era
felicissima di aver visto la sua cara Jenna,
erano state molto unite in passato soprattutto nel periodo della scuola e la
considerava una vera e leale amica.
Ma non riusciva a dimenticare… il fastidio quando l’aveva vista a
passeggio con Elijah come due fidanzatini. Jenna non stava forse con
quell’insegnante di storia? Che cosa c’entrava col quel vampiro?
Il fastidio si stava
tramutando in qualcosa che non doveva proprio esistere dentro di lei, e
razionalmente lo definì una sorta di preoccupazione per l’amica.
Briony infatti continuò a fissare Elijah
domandandosi ripetutamente il perché della sua vicinanza con l’ignara Jenna. E allo stesso tempo Elijah osservava John e Briony con un espressione fredda, quasi inquietante,
come se avesse già capito tutto.
Briony entrò in panico e abbassò lo sguardo
per non far apparire il suo disagio.
Carol, che finora non
aveva parlato, aveva notato la tensione e disse: “Briony,
probabilmente non conosci Elijah Smith. E’ un esperto di storia ed è venuto
a Mystic Falls per
studiare la nostra cultura.”
La ragazza si girò verso
Elijah e sorrise divertita. “Smith?”.
“Sì, non ho ancora avuto
occasione di dirvi che…” Elijah guardò Briony sorridendo gentilmente “La signorina Forbes mi sta ospitando a casa sua in questo momento”
Tutti guardarono Briony sorpresi, incluso John,
che non se l’aspettava.
<< Oh oh.
>>
“Mmm sì..”
rispose lei titubante “Elijah cercava un posto dove stare, abbiamo fatto due
chiacchiere e insomma la mia casa è grande e gli ho offerto di stare lì.” Cercò
di non far trapelare il suo turbamento e che il vampiro si era quasi imposto
nel voler stare a casa sua.
“Non sapevo che cercava
un alloggio, se me lo diceva avrei provveduto sicuramente a procurarne un
altro più… appropriato” disse con un tono
acido Carol.
“No” rispose lui
prontamente “La casa va benissimo. Finchè la
signorina vorrà ospitarmi…” Elijah lasciò la
frase in sospeso, guardando John. E lui ricambiò con uno sguardo
diabolico.
“Briony..”
Carol continuò con le sue domande impertinenti “Non mi hai detto se rimani o
no..”
“Ho deciso di restare.”
rispose convinta.
“Oh bè… sai che dobbiamo parlare di quanto è accaduto… mio marito e tuo padre, come ben sai,
avevano fatto un accordo per il bene di tutti. Pensavamo che tu rimanessi a
Seattle per sempre.”
<< Ti piacerebbe
>>
“Carol ormai la cosa è
risolta no? Il caso è chiuso, non vedo perché dovete trattarmi come la persona
che non sono…” rispose fissandola seriamente ma
con una striscia calda di fastidio che le percorreva sotto la pelle.
“Oh no ma certo!”
rispose nervosa Carol guardandosi attorno “E’ solo che il
tuo ritorno ci ha colti alla sprovvista e immagino che non avessi pensato alle
conseguenze..”
John si intromise nella
discussione “Carol, se Briony vuole
rimanere non vedo il motivo per cui non debba restare. Come ha detto lei, il caso
è risolto e nessuno ne parla più ormai. Sono sicuro che Briony non darà nessun fastidio anzi..”
“Sì però dovete capire… le circostanze… insomma
non farmelo dire così ma lo sai che nella tua famiglia ci sono parecchie cose
in ombra, e il lavoro così adatto alla tua genia non ti aspetta più a Seattle?”
affermò Carol contorcendosi
le mani agitata ma con una sicurezza spavalda nella voce.
Briony sgranò gli occhi allibita. Cosa
sapeva quella vecchia befana? Come osava criticarla per la natura del suo
lavoro, quando non l’aveva neanche scelto lei e aveva solo dato una mano con le
scartoffie nei casi? La stavano davvero trattando come una che ci sguazza nel
soprannaturale, che crea un’allegra combriccola con i mostri, quando la realtà
era ben altra.
Le venne tuttavia da
guardare Elijah di sottecchi per via della nuova situazione che era venuta a
crearsi, ma per fortuna riuscì a focalizzarsi sul mettere Carol al suo posto. Intanto gli altri
guardavano straniti la scena, interrogandosi in silenzio.
“Il mio innocuo e civile
lavoro che ambiva ad aiutare la comunità si è concluso. E… non devo certo essere io dire adesso che ci sono
tante cose in ombre soprattutto in questa cittadina e chi la governa. Purtroppo
non ci si può far niente.” Disse sicura con un sorriso fintamente sarcastico.
Carol stava per
strozzarsi per quella frecciatina, quando per fortuna intervenne John.
“Ma!” Questa volta John
alzò la voce “Abbiamo altri problemi a cui pensare. Io in quanto membro del
consiglio sono favorevole che Briony resti e
pace fatta… Andiamo! Non vorrà cacciare
dalla città una ragazza che non ha fatto niente di male!”
Briony guardò John sorpresa e gli sussurrò
un grazie.
Jenna anche lei per una
volta diede ragione a John, e disse che Briony aveva
tutti i diritti di restare e non c’era bisogno di fare tutto quel trambusto.
“Non sono io che l’ho
deciso. Un anno fa il padre di Briony e mio
marito hanno fatto un accordo che doveva essere rispettato. Credevo che lei
fosse tornata solo per venire a trovare la sorella ma vedo che non è così. Deve
essere il capo del consiglio a decidere se puoi rimanere a Mystic Falls o no.”
“E chi è il capo del
consiglio?” chiese Briony
“Damon Salvatore”
Il suono di quel nome le
diede una morsa allo stomaco. Restò paralizzata non riuscendo a capire il perché
di tutto questo.
Damon Salvatore….quel vampiro bastardo che non si faceva
alcuno scrupolo ad attaccare le persone e che aveva mentito spudoratamente
sulla sua identità, era capo del consiglio?!
Elijah, che finora non
aveva parlato, disse con un sorriso guardandosi attorno “Andiamo bene.”
Briony sapeva cosa voleva dire… a Damon Salvatore bastava un semplice “no” per
scacciare Briony dalla città e evitare
inutili problemi con quella guastafeste.
Si chiedeva come avesse
fatto ad aver intortato mezza città e mezzo consiglio. Come potevano quei
cretini credergli? Era un imbroglione e li stava ingannando nella maniera più
spregevole.
Un vampiro senza
scrupoli a capo di un consiglio che dava la caccia a dei vampiri. Forse era per
questo che alla fin fine gli innocenti ci rimettevano sempre.
Senza volerlo si mise a
ridere tra sé e sè. Ma non era una risata
comica. Era una risata che faceva male, che tagliava prima di tutta se stessa.
Carol allora la guardò
torva ma non disse niente.
Briony si mise le mani nei capelli cercando
di sistemarseli, ma lo fece per nascondere le lacrime di rabbia che stavano per
fuoriuscire. L’agitazione stava prendendo possesso delle sua ossa così come
l’indignazione che proprio un vampiro doveva decidere per la sua vita… Non ne aveva avute già abbastanza?
“Beh, come è strana la
vita no?”
Nessuno rispose. L’unico che capì che ormai Briony era
al limite fu Elijah, che disse a Jenna che il loro giro
turistico era finito e invitò Briony ad
andare a casa con lui.
John però non fu
d’accordo e disse che era meglio se andava a casa di Elena,
dove era fra amici. E sottolineò l’ultima parola in modo tagliente, come se Elijah non
fosse uno di loro.
John Gilbert non si
fidava dei fratelli Salvatore, figuriamoci di un Originario.
Briony ringraziò John ma disse che sarebbe
andata a casa sua perché era troppo stanca. Elijah allora senza perdere tempo
prese il braccio di Briony e andarono via
di lì.
La presa sul suo braccio
era molto forte ma lei non oppose resistenza. Il gelo della mano di Elijah
invase tutto il suo braccio ma non ammorbidì la rabbia che aveva dentro.
Era troppo arrabbiata… troppo frustata… se
avesse detto una sola parola, sarebbe accaduto il finimondo.
Come prima era ansiosa
di uccidere… di uccidere tutti quelli che
le facevano del male e che osavano contrastarla.
“Dove hai messo la
macchina?” le chiese Elijah all’improvviso.
“Non lo so.” rispose
scontrosa non guardandolo nemmeno.
Elijah lasciò correre
per questa volta e non fece più nessuna domanda. Aveva notato che Briony era agitata, molto agitata. Il suo stato
d’animo sfiorava un furia incontenibile, ma nascondeva una delusione atroce
sotto la superficie e un senso di sconfitta.
Briony sembrò ritornare all’improvviso alla
realtà e sembrò accorgersi solo in quel momento della presa di Elijah sul suo
braccio.. la presa di un vampiro che non osava mollarla e
che la teneva in pugno… sembrò tornare
lucida e cercò così di scostarsi per impedirle di toccarla ancora. Non
importava se lui era Elijah, quello che a volte si era dimostrato tanto galante con
lei, perché in quel momento si rese conto che dopotutto era un vampiro. Un
Originario per giunta.
Cose le era saltato per
la testa?
Elijah comunque non
aveva proprio intenzione di lasciarla andare e continuava a camminare,
noncurante delle sue proteste.
“Lasciami.” gli ordinò
lei cercando ancora di scansarsi da quella presa glaciale. Vedendo che lui non
le dava la benché minima occhiata, lei cercò di essere più gentile:
“Per favore.”
Lui però non se la bevve
che infatti sorrise freddamente dall’alto: “Un classico. Voi umani cercate di
risolvere i vostri guai solo con un semplice per favore o mi dispiace, che in
realtà non è nemmeno sincero.”
Briony si irrigidì notevolmente. Credeva di
essere la sola a fare distinzione tra vampiri e umani dopo l’ultima conversazione
con Elijah, ma a quanto pare non era così… e
si poteva intravedere benissimo come quel vampiro orgoglioso la pensasse su
quella differenza.. La sua perenne superiorità l’avrebbe fatta imbestialire ma
in quel momento rimase apatica.
Smise di lottare e si
costrinse a restare al fianco di Elijah. Anche se, nonostante le apparenze,
sembrava che tra di loro stesse per sorgere una barriera invisibile che
permetteva l’uno di vedere l’altro, ma non di entrare in contatto.
Quando finalmente
tornarono a casa nessuno dei due disse niente. Briony si
era un po’ calmata, le mani avevano smesso di tremare dalla rabbia e il suo
cervello non pensava più all’idea di uccidere qualcuno, magari Carol Lockwood. Ma era ancora scossa dalla notizia che Damon
Salvatore fosse il capo del consiglio. Le venne da ridere ma si trattenne.
Elijah aveva osservato
per tutto il viaggio quella strana ragazza. Si chiedeva cosa avessero da
spartire lei e quell’infido di John Gilbert. Li aveva trovati molto in
confidenza e questo non gli aveva fatto per nulla piacere.
John Gilbert era il
tipico individuo che pensava solo al proprio tornaconto, non gli interessava se
qualcuno ci andava di mezzo o soffrisse. Per di più era davvero diabolico nei
suoi piani. L’appellativo meno volgare che Elijah gli venne in mente pensando a
quell’uomo era “feccia umana”.
Elijah però aveva molte
domande da farle. Di cosa stava parlando Carol Lockwood?
Di quale caso? Perché si era arrabbiata in quel modo? Cosa c’era tra lei e John
Gilbert?
Non erano affari suoi,
ma erano tutti sulla stessa barca. E Elijah voleva capire veramente chi aveva
di fronte, senza inutili preamboli.
Briony evitò lo sguardo indagatore che le
lanciava il vampiro in silenzio, e andò direttamente in cucina.
Si sciacquò la faccia
con l’acqua fredda nel lavello.
“Sei silenziosa.” disse
Elijah entrando anche lui in cucina. Appoggiò elegantemente la spalla contro lo
stipite della porta.
“Sono solo un po’ tesa…”
“Per quello che ha detto
Carol Lockwood?” Elijah rise freddo “Non devi
dare peso a tutto quello che dice. Quella donna è una perdente, crede che dopo
la morte del marito sia lei a governare Mystic Falls ma in realtà non ha capito niente di tutto
quello che sta succedendo.”
Briony non rispose. Gli dava le spalle.
Elijah si avvicinò lentamente.
Senza fare alcun rumore.
“Non si riferiva a
quello che sta succedendo ora. Si riferiva a un fatto accaduto un
anno fa. Che ti riguarda.” puntualizzò.
Briony si innervosì. Non era proprio il
momento adatto per parlarne. Non voleva… era
ancora arrabbiata… tormentata.
“Che cosa hai
fatto Briony?” Nella sua domanda però non c’era
un tono d’accusa. Voleva solo sapere cosa le era successo.
Ma in quel momento lei
esplose. Si girò verso di lui irritata. Non sembrava neanche più lei. Elijah
vide della rabbia e dell’aggressività repressa in quella ragazza. I suoi occhi
sembravano diventati accesi.
“Mi stai facendo il
terzo grado ed io dovrei pure risponderti semplicemente?" le fuoriuscì un
sorriso tirato, si mise disturbata una mano nei capelli "Dio mio.. tu sei
un vampiro!" gli disse come se fosse quello il gran problema del suo
stato. "Io non ti devo dire proprio niente, anzi sei tu che mi devi
qualcosa! Credi che il fatto che tu sia un maledetto vampiro ti dia qualunque
diritto? Non ce l’hai e mi dispiace infrangere il tuo solido orgoglio, anzi no
non mi dispiace visto che a te non piacciono i falsi buonismi! Ma sono cose che
riguardano solo me. Me soltanto!” Urlò alzando di molto il tono della voce.
Il vampiro non sbattè neanche le palpebre, continuava a fissare la
ragazza con uno sguardo gelido che non faceva trapelare niente. Come se non
fosse affatto interessato al suo stato d’animo deteriorato e spezzato.
Briony deglutì nervosa, e farfugliò un
“lasciatemi in pace” mentre si incamminava fuori dalla cucina come una
furia.
Ma Elijah all’improvviso
la prese per un braccio con forza e le impedì di uscire. Con uno strattone si
ritrovarono vicini, l’uno di fronte all’altra.
Quel gesto così brusco
la prese in contropiede perché finora aveva giudicato quel vampiro misterioso
un tipo freddo, scostante, non incline a mostrare la sua enorme forza fisica.
Infatti lui utilizzava solamente la sua calma gelida e i suoi occhi neri
diabolici per intrappolare le sue vittime.
Si vede che con lei si
divertiva ad usare altri mezzi.
Lo sguardo del vampiro
la incenerì quando Briony tentò di
divincolarsi, inutilmente.
“Tu non vai da nessuna
parte.” disse feroce Elijah.
Probabilmente il tono
della ragazza così irrispettoso nei suoi confronti lo aveva fatto mandare in
bestia.
Briony gli diede dei colpi sul petto per
strattonarsi ma era come se avesse sferrato un pugno a una parete di pietra.
“Lasciami! Io non ho
fatto niente!” gridò col respiro affrettato, non osando guardarlo in faccia.
“Ah no?” chiese Elijah
con un sorrisetto, sollevandole il mento.
Briony non volendo arrossì. Sperò comunque
che il pallore per via della paura facesse soccombere il rossore dovuto
all’imbarazzo di quel gesto.
“Perché, anche tu vorrai
custodirti i tuoi segreti oscuri, Elijah.” Affermò lei poi indossando una
maschera dura perché era l’unico modo per non farsi soccombere da tipi del
genere che pretendevano di possedere il mondo.
Il vampiro perciò
corrugò la fronte, non aspettandosi quella dimostrazione di carattere. La
teneva ancora in pugno, i loro occhi induriti sembravano irrimediabilmente
legati da un filo invisibile.
“Capovolgere la
situazione non ti sarebbe d’aiuto. E non sono stato io a comportarmi da
maleducato adesso.” Replicò lui sicuro ma con un sorriso furbo che gli stirò le
labbra sottili.
Sentendosi
colpita, Briony non riuscì oltre a
sostenere quello sguardo, fu anche troppo per lei, quindi lo abbassò
miserevolmente. Non c’erano vie di fuga, anche volendo non
sarebbe riuscita ad allontanarsi e allora in quella lotta si arrese, lasciando
cadere il braccio esausta.
“E ora che vuoi fare?”
le chiese Elijah in tono disinteressato.
Briony non lo guardò in faccia, tentando di
riprendere il ritmo impazzito del cuore.
“Non ti conviene mai più
rivolgermi un tono del genere.” ribattè lui
subito dopo in tono fermo, non ammorbidendo però la sua presa.
Briony abbassò di più lo sguardo per
sfuggire ai suoi occhi tetri, come una piccola preda.
In realtà era tutta una
finta, non si era arresa e non aveva lasciato da parte il suo odio. Le arrivò
alla testa quella dolce sensazione come quella che aveva provato dentro la
cabina telefonica.
Briony svelta come un serpente si liberò di
lui e si girò prendendo un coltello da uno dei cassetti. Ma Elijah, che aveva
dei buoni riflessi e più esperienza di lei, la fermò bloccandole di nuovo il
braccio.
Il coltello era ancora
impugnato nel palmo della mano di lei, ma la presa dell’Originario sul suo
braccio era così forte da impedirle qualunque movimento. Eppure sarebbe
bastato poco… il coltello era vicinissimo
al petto di Elijah, sopra la clavicola.
Si guardarono negli
occhi in segno di sfida, il respiro di Briony era
stranamente spezzato e cominciava ad avere freddo nel braccio. Lo
sguardo di Elijah invece era duro come il marmo.
Questa volta Briony cedette sul serio. La presa del vampiro sul suo
braccio era talmente forte che lei lasciò cadere per terra il coltello con un
gemito di dolore.
Cadde per terra anche
lei stremante e ormai senza forze. Respirava appena.
Non voleva farsi vedere
debole. Non davanti a un vampiro.
Le vennero le lacrime
agli occhi dalla rabbia.
“Ora cosa fai, piangi?
Che capovolgimento di spettacolo” commentò Elijah con freddezza e risentimento,
alzando il sopracciglio e guardandola dall’alto.
Lei dal canto suo lo
fissò arrabbiata. In lui non vedeva più lo stesso Elijah: bello, elegante e
affascinante, che l’aveva salvata e che si era dimostrato così gentile
portandola a letto a dormire senza neanche torcerle un capello.
Vedeva solo un orribile
vampiro che doveva essere eliminato, con cui non doveva averci niente a che
fare. Uno come lui non ha diritto di vivere. E’ un mostro, solo un mostro.
<< I vampiri e gli
umani non possono vivere nello stesso mondo. Una delle due razze deve per forza
scomparire dalla faccia della terra >> così le diceva sempre
suo padre.
Aveva ragione.
Ad un tratto però
socchiuse le palpebre e le riaprì all’improvviso. Come se si fosse appena
svegliata da un incubo che lei stessa aveva vissuto nella realtà.
Cosa aveva fatto? Perché
si era comportata in quel modo orribile? Cosa le era saltato in testa?
La rabbia e l’odio che
l’avevano percossa qualche attimo prima erano svaniti del tutto. Briony non riusciva a capire, ad immaginare come aveva
potuto pensare quelle cose… e tentare
addirittura di accoltellare Elijah.
Non era più in lei,
il cuore sembrava essersi spento dentro il petto.
Elijah si accorse del
suo cambiamento repentino infatti sbattè le
palpebre, stranito.
Un attimo prima Briony sembrava una furia indemoniata come se fosse
posseduta da Satana in persona, mentre ora era ritornata normale. La stessa
ragazza che l’aveva soccorso a casa Salvatore.
Briony tremava tutta, aveva paura della
reazione di Elijah e della propria. Non aveva mai sferrato un attacco così
violento con un coltello. Sembrava come se il suo cervello non ragionasse più e
il corpo agisse in base ad istinti che non le appartenevano.
Forse davvero era
rimasta troppo traumatizzata dal passato.
“Elijah..” Briony balbettò il suo nome. Non riusciva a guardarlo
in faccia dopo quello che aveva combinato. Temeva un’altra sua reazione brusca
e di scorgere nei suoi occhi l’odio che poco prima l’aveva attraversata.
“Non so cosa mi
sia preso, non stavo pensando… mi dispiace,
non volevo farlo..” Era sul punto di piangere, ma questa volta non dalla
rabbia.
Elijah la osservò
attentamente. Era un buon lettore di menti dopo tutti quei secoli passati a
vivere con gli umani, a scorgere ogni loro incertezza e sentimento. Captava
ogni singolo pensiero anche semplicemente da un battito cardiaco.
Le credeva. Il suo cuore
che ora batteva all’impazzata mostrava la sua paura, come se stesse gridando a
gran voce di ricevere compassione.
Il suo probabilmente era
stato un gesto estremo, folle sì ma dettato dalla frustrazione, dal sapere che
nessuno stava dalla sua parte o la proteggeva. Un gesto umano. Disperato.
Si inginocchiò davanti a
lei e le disse piano: “Non hai fatto niente, tranquilla”
Briony tremava ancora come una foglia, con
gli occhi sbarrati dal terrore, pallida come solo un’umana poteva essere.
Elijah allora ebbe compassione per lei, almeno un po’. Sentì quell’emozione che
aveva assopito per troppi secoli ricrescere lentamente, sorpassando la sua
corazza indistruttibile.
La fece alzare con
delicatezza, cercando di non farle male. Lei continuava invece a guardare in
basso. Non aveva il coraggio di guardarlo.
“Mi dispiace...”
Sussurrò lei debolmente.
Sentendo che lui
rimaneva in silenzio, parlò ancora: “Ma mi dispiace sul serio… non è una bugia.”
Lui allora le sorrise
piano, riuscendo infine a crederle perché era davvero sincera.
“Non preoccuparti. Posso
capire la tua reazione..” incominciò lui.
“No, non puoi capire.”
rispose lei piano.
Briony alzò lo sguardo e lo
guardò. Piangeva.
“Dovresti lasciar
perdere, sul serio. Tu che hai vissuto così tanto tempo capirai che non è sano
scavare sul passato.” Mormorò mestamente.
E lui lo sapeva bene,
fin troppo. Pur di non farsi inseguire dagli errori del passato, si era chiuso
in se stesso, impedendosi di credere in cose a cui un tempo credeva con tutto
se stesso.
Ciò nonostante si
sentiva quasi in obbligo di restare lì ad ascoltare dopo come anche lui le
aveva fatto pressione. “Forse mi interessa.” Disse diplomatico mettendosi le
mani nelle tasche.
Briony allora lo guardò, non più con l’odio
e la rabbia di poco prima. Le sembrò diverso, anche lei si sentì diversa in
quel momento in cui lo guardò col cuore in piena di emozioni traboccanti.
“Ho toppato.” Mormorò
tra sé e sé, scuotendo la testa e avendocela con se stessa. “Oh davvero, ho
toppato alla grande. Forse stare a diretto contatto con i vampiri persino nella
fascia personale mi fa sentire un fiammifero che prende fuoco.” Disse
alla fine con un sorriso finto mentre gli occhi brillavano ancora per le
lacrime.
Elijah tenne gli occhi
stretti fissi su di lei, immobile, non lasciandosi offendere da quel discorso.
Capendo però il
contrario, Briony lo guardò rammaricata.
“Non è per te. La situazione forse ci è sfuggita di mano, ma… sono io. Non si può capire quando il problema
deriva solo da me.” Disse, chiudendosi a riccio e intrecciando le braccia
contro il petto.
Elijah corrucciò le
labbra, meditabondo, e mentre abbassava lo sguardo si avvicinò di un passo.
“Forse confidarsi
aiuterebbe a sgravare i pesi dal cuore. Soprattutto quando hai una vita
preziosa davanti da vivere. Ma forse io sono l’ultimo che dovrebbe essere
testimone di una tale confidenza, vista la situazione.” L’ombra di un sorriso
si affacciò per un attimo sul suo volto marmoreo, ma il colore cupo dei suoi
occhi prevalse, così come la serietà della sua figura.
Briony abbassò lo sguardo, con un sorriso
colpevole. “Mi dispiace per..”
“Capisco.” La interruppe
lui.
“No.” Proruppe lei
d’istinto, non facendocela più a trattenersi o a fingere. Alzò lo sguardo con
un sospiro affranto. “Che sia assurdo, tanto vale esporsi ora, anche con te
perché tanto io..” sviò lo sguardo mordendo il labbro per non mostrarsi così
fragile. Ma alla fine la debolezza del momento vinse. “Io non ho nessuno.”
Le lacrime scendevano
lentamente sul suo viso, ormai che senso aveva essere orgogliosi e dimostrarsi
forti?
Elijah la guardava
stranito e confuso. Per la prima volta non sapeva cosa dire.
“Nessuno mi ha difesa..”
Continuava a sfogarsi, pur un ultimo tentennamento nel nascondersi dietro un
muro. Ma doveva per forza farlo altrimenti sarebbe impazzita come prima. Che
senso aveva tacere ancora la verità? Elijah aveva diritto a una spiegazione e
il suo sguardo serio in quel momento non le metteva alcun disagio. Come se
stesse aspettando di leggerla come un libro nuovo.
Lui aspettava che lei
finisse la sua storia. Non voleva farle pressioni.
“Un anno e mezzo fa… ti ho detto che sono stata attaccata da un
vampiro. Quel vampiro era il mio fidanzato Ivan.” Al solo pensiero di quella
notte si mise a ridere. Il destino a volte era strano. Perché proprio a lei era
capitato questo?
“Stavo tornando a casa.
Avevo passato il pomeriggio a casa di Jenna come sempre. Stavo tornando a casa
a piedi anche se la mia casa era piuttosto distante. In un vicolo davanti a me
notai due persone, due piccioncini che si baciavano. Non ci badai molto, in
fondo era anche buio. Ma avvicinandomi notai una cosa. Il ragazzo era Ivan. Era
come se la terra fosse sprofondata sotto i piedi. Non riuscivo a reggere quella
delusione. Io e Ivan convivevamo insieme da qualche mese, lui aveva intenzioni
serie ma io ero ancora confusa perché ero giovane per impegnarmi sul serio,
anche se Ivan era un bravo ragazzo. Così sembrava. Gli urlai un sacco di cose
orribili: che era un pervertito, un bastardo e che non doveva farsi più vedere
davanti a me. Dalla rabbia che avevo non mi accorsi che la sua bocca era
intrisa di sangue… e corsi via.
Stavo correndo più
veloce che potevo, volevo andarmene da lì e svegliarmi da quell’incubo che
nessuna ragazza vorrebbe mai vivere. Finalmente arrivai vicino a casa. Ma
davanti alla porta notai che lui era lì. Ad aspettarmi.
Gli chiesi con arroganza
cosa volesse da me, lui non si prese neanche la briga di scusarsi o di chiedere
perdono, niente. Voleva solo che lo facessi entrare. Io gli risi in faccia.
Entrai in casa e gli sbattei la porta in faccia. Sentivo però di continuo i
suoi colpi forti sulla porta. Speravo che prima o poi se ne andasse ma non
cessava di battere alla porta e di urlare di farlo entrare. Ormai stanca,
mandai un messaggio a mio padre per chiedergli di venirmi a prendere perché
Ivan sembrava avesse perso il lume della ragione. Non volevo stare in quella casa
con quel matto fuori. Dissi a Ivan di andare all’inferno e di non farsi più
vedere a casa mia. Ma lui con un tono più gentile mi disse che voleva solo
riprendere la sua roba. Per poi scomparire.
Rimasi sorpresa. Pensai
che tanto valeva farlo entrare così me ne sarei sbarazzata subito. Gli aprì la
porta e lo feci entrare. Non l’avessi mai fatto! Mi fece cadere con uno
spintone e ho battuto forte la testa per terra. Non avrei mai immaginato che
avesse una tale forza. Riuscì ad alzarmi traballante ma lui… mi prese alla spalle con una velocità
sorprendente, cercando di soffocarmi. Mi feci prendere dal panico e cominciai
ad urlare disperata. Non riuscivo neanche a pensare il perché di tutto quello.
Provai a graffiarlo, a implorarlo di non farmi del male ma lui mi sussurrava
all’orecchio cose orribili.. inquietanti.. era davvero un mostro, una bestia.
Non pareva neanche più umano. E infatti con una forza disumana Ivan mi sbattè forte contro il muro, tanto che un quadro cadde
sulla mia testa. Ero quasi svenuta. Vedevo il mio sangue sulla parete e non
avevo più la forza di urlare. Credevo che sarei morta… Provai
di nuovo a implorarlo ma lui non mi ascoltava, pareva sul serio un mostro che
mi teneva in pugno.
Lui mi fece alzare
con violenza e vidi la cosa più agghiacciante che avessi mai visto. I
suoi denti…il suo viso. Non poteva essere…! Credevo davvero di impazzire visto che
quello davanti a me non poteva essere reale.. i vampiri non esistono, erano
solo storie dell’orrore. Ma all’improvviso si avvicinò verso il mio collo e mi
mostrò quanto la realtà fosse cruda, mordendomi con avidità, spinto da una
furia cieca. Non importava quanto dolore sentissi, resistetti e cercai di
riprendere le ultime forze rimaste. Urlavo come una pazza, cercando di
divincolarmi, ma senza successo. Volevo andarmene via, volevo che Ivan
bruciasse all’inferno per quello che mi stava facendo.
La porta all’improvviso
si aprì e vidi mio padre. All’inizio non riusciva a capire cosa stesse
succedendo, ma come una furia balzò vicino a Ivan e gli sferrò un bel pugno per
farlo allontanare da me. I due combattevano, non riuscivo a vedere bene perché
ero sul punto di svenire ma notavo che Ivan era in netta difficoltà, come se si
fosse indebolito tutto a un tratto, non riusciva a schivare i colpi di mio padre
che teneva tra le mani un paletto di legno.
Il telefono
all’improvviso squillò. Allora pensai fosse la nostra unica salvezza. Avevo
paura per me… e per mio padre. Credevo che
saremmo morti. Incurante del dolore, mi alzai da terra barcollante e risposi.
Era una mia amica di scuola, Kate. Non mi importava cosa volesse dirmi,
incominciai a urlare disperata dicendo che doveva chiamare subito la polizia,
che Ivan aveva tentato di uccidermi e che stava per uccidere pure mio padre.
Kate presa dal panico disse che avrebbe chiamato subito lo sceriffo. Con un
sospiro, riattaccai; il sangue stava scendendo lungo la fronte e il collo mi
faceva male come se andasse a fuoco. Caddi alla fine con un tonfo sul
pavimento.
Fu mio padre a
svegliarmi. Stava urlando disperato il mio nome. Teneva la mia testa sulle sue
ginocchia e cercava di non far uscire altro sangue. Non riuscivo a parlare. Mi
disse che dovevo stare tranquilla, che sarebbe andato tutto bene e che Ivan era
morto.
Trascorsi tanti giorni
all’ospedale. Non riuscivo a muovermi, forse dallo shock o dal male. Sembravo
in una fase catatonica. Solo mio padre aveva il permesso di parlarmi. La
polizia non mi aveva ancora fatto domande in merito a quello che era successo.
Quando ne fui in grado, chiesi a mio padre come era morto Ivan e lui
impassibile disse che gli aveva infilato un paletto nel cuore, solo così quelli
come lui potevano morire.
Mi disse tutto:
dell’esistenza dei vampiri, che lui era un cacciatore e che Ivan si era
trasformato. Non potevo crederci. Fino ad allora avevo vissuto dentro una
campana di vetro. Come avevo fatto a non accorgermi che i miei genitori
facevano quella vita? Come potevano i vampiri esistere veramente e soprattutto
come c'ero finita di mezzo io?
Mio padre mi disse che
non mi aveva detto niente perché voleva proteggermi. Ero troppo giovane e
impreparata per fare quella vita pericolosa. Mi disse anche che i vampiri
avevano spesso attaccato quella città e che avevano fatto passare l’accaduto
come “attacchi di animali”, ma questa volta non potevano fare la stessa cosa.
Colpa della mia telefonata a Kate, in cui spiegavo che era stato Ivan ad
aggredirmi.
Quando parlai con Liz Forbes confessai
quello che mio padre mi aveva detto di dire. Avrebbero chiuso il caso in
fretta, scrivendo nelle pratiche che Ivan mi aveva aggredito perché volevo
lasciarlo e mio padre era intervenuto per difendermi, ma aveva dovuto ucciderlo
altrimenti sarebbe finita peggio. Credevo che poi tutto sarebbe andato per il
meglio. Così diceva mio padre.
Ma il peggio sarebbe
venuto dopo. Non avevo messo in conto gli sguardi accusatori dei cittadini, dei
miei compagni e dei miei amici. Tutto lo scandalo e il sospetto perché il
soprannaturale non poteva essere concesso. Non credevano che Ivan potesse aver
fatto una cosa simile, immaginavano che in realtà fosse solo colpa mia, che ero
diventata pazza come mio padre. Tutti infatti vedevano mio padre come uno
stralunato, che andava in giro di nascosto di notte a fare cose terrificanti.
Giravano strane storie sul suo conto. Oltre al fatto che frequentasse degli
uomini. Questa storia aveva creato parecchio scandalo.
E ora che era successa
quella cosa orribile al “povero” Ivan, pensavano che era stata tutta colpa mia
e che mio padre mi aveva coperta. Gli unici che erano rimasti al mio fianco
furono John e Jenna, ma neppure da loro avevo ricevuto davvero comprensione.
Jenna mi stava vicina, mi telefonava sempre ma lo vedevo nei suoi occhi… vedevo il sospetto, e anche la paura. Tra
noi due, Ivan era quello più serio, più fragile e più malleabile. Se uno
metteva i piedi in testa all’altro e che mostrava la sua tremenda
testardaggine, quella ero io. Inoltre la storia che avevo detto alla polizia
sembrava poco plausibile. Ivan un assassino? Da ridere. Un ragazzo così per
bene, di buona famiglia mentre io ero solo la figlia del pazzo Bill Forbes e di una madre che mi aveva abbandonata, come
se quella fosse una mia macchia mostruosa.
John invece non diceva
niente per non turbarmi, lui sapeva che io ero innocente ma non voleva fare
domande inopportune che mi avrebbero destabilizzata.
La versione per il
consiglio era che io non ricordavo niente, ero svenuta prima che Ivan mi
mordesse e non potevo quindi sapere che fosse un vampiro. Mio padre diceva che
era meglio che nessuno sapesse che io ero a conoscenza dei vampiri. Per la mia
sicurezza era meglio così. Era un segreto che condividevamo solo io e lui. Per
questo John non mi faceva domande. Non voleva traumatizzarmi né mettere in
pericolo il consiglio.
Caroline invece… si vergognava di me. E’ vero ora è cambiata, è
diventata più matura e responsabile, ma prima! Era una scolaretta superficiale
e egoista, vedeva la storia di Ivan come un oltraggio, una seccatura. Pensava
che se gli altri mi consideravano una pazza, allora avrebbe considerato pazza pure
lei perché era mia sorella. Era una cosa che non poteva permettersi, non ora
che aveva raggiunto la fama di reginetta della scuola.
Mi chiese qualche volta
come stavo, se avevo gli incubi, ma erano frasi di circostanza. Solo per
dimostrarsi carina quando in realtà non sopportava quello che io e il mio
ragazzo avevamo combinato alla sua reputazione di ragazza perfetta con famiglia
perfetta.
Dopo qualche mese mi
accorsi che ero diventata un’estranea per quella città. Quando ero in giro la
gente mi fissava come se fossi uscita da un manicomio, le telefonate dei miei
amici diminuirono e non potevo confidarmi con nessuno del trauma che avevo
subìto. Sembrava come se fossi una coccia senza guscio.
Nessuno poteva capire
quello che provavo. Quanto dolore sentivo… e
non solo fisico. Non so se tu riesci a capire come ci si sente ad essere odiati
e etichettati ingiustamente come dei mostri e non poter far nulla per
contrastarlo.
Mio padre mi convinse
che sarebbe stato meglio per me andarmene da quella città. Avrebbe pagato lui
le spese e mi avrebbe trovato un lavoro. La trovai una buona idea perché non
volevo più restare lì, emarginata e in preda di un'orribile solitudine, e così
acconsentì.
Il sindaco Lockwood inoltre non tollerava la mia presenza, diceva
che ero pericolosa per l’incolumità della città e perché magari potevo
ricordare tutto e andarlo a spifferare in giro... come se quello che era
accaduto fosse colpa mia! Mio padre e il sindaco fecero così un accordo.. non
mi sarei mai fatta più vedere in città.
Alla mia partenza mi
vennero a salutare John e anche Jenna, che piangeva a dirotto. Avevo sbagliato
a dubitare del loro affetto, soprattutto di quello di Jenna. Aveva solo paura
per me, che questa esperienza mi avesse cambiata per sempre. E John bè…è sempre John. Condivideva i timori del consiglio
cioè che io ricordassi tutto, ma quando aveva saputo quello che mi era successo
era corso subito in ospedale e aveva trascorso notti intere al mio fianco
mentre dormivo, pregando che riuscissi a sopravvivere.
Caroline mi aveva
mandato un messaggio augurandomi buon viaggio e di chiamarla non appena fossi
arrivata a Seattle.
Forse era meglio così.
Dovevo andarmene. Quella città non mi apparteneva e io non appartenevo a lei.
Punto.
E qui finisce la mia
triste storia.”
Elijah aveva passato
quel tempo ad ascoltarla serio senza mai interromperla. Alcune volte la
guardava sorpreso e allibito, non riusciva a credere che gli abitanti di Mystic Falls fossero
così meschini e pieni di pregiudizi. Proprio una fogna di città come aveva
sempre pensato.
“Mi dispiace che tu
abbia dovuto sopportare tutto questo.” disse per rincuorarla.
Briony lo guardò leggermente sorpresa. Non
si aspettava il suo dispiacere, tutti le dicevano che Elijah non provava
emozioni. Sentì un improvviso calore nel petto mentre guardava il suo volto di
marmo. Gli sorrise:
“Oh beh… ormai è acqua passata. Ho imparato ad andare
avanti.”
Cercò di asciugare come
meglio poteva le lacrime che continuavano a scendere. Elijah le porse
gentilmente un fazzoletto e lei lo ringraziò.
“La reazione che hai
avuto prima…. è perché hai ancora paura dei
vampiri vero? Provi rabbia per quello che ti è capitato. Non hai ancora voltato
pagina, deduco.”
“Non so cosa mi è successo… ero infinitamente arrabbiata perché non
riuscivo a spiegare come quei rimbecilliti avessero accettato Damon Salvatore
come capo del consiglio..”
“Per Damon
non c’è alcun problema. Lo costringerò io ad acconsentire al tuo
ritorno permanente qui. Se non vuole che un’altra matita gli ricapiti dritto
nel collo o peggio, farà come dico io.”
Briony si mise a ridere. “Da quanto vedo i
tuoi aspri con Damon sono cominciati ben prima che io arrivassi! E meno male
che qualcun altro la pensa come me su di lui.”
“E’ soltanto un
arrogante che crede di avere tutti in pugno solo perché è immortale ma non
basta questo a sopravvivere. Ora ha abbassato la cresta perché ha trovato pane
per i suoi denti.”
“A proposito Elijah… nessuno sa della mia storia… quindi.” Briony gli
lanciò uno sguardo eloquente.
“Come ho detto ieri…non mi piace spettegolare. Puoi stare
tranquilla.” Le rivolse poi un sorriso gentile, che la fece arrossire e le
provocò delle farfalle nello stomaco.
Deglutì cercando di
darsi un contegno e lo ringraziò.
Elijah si fece poi
corrucciato: "Di solito raccontare storie per nulla felici è la mia
specialità. Anche se non mi reca mai gioia. Ma devo dire che la tua storia
supera le mie aspettative." E le rivolse un piccolo sguardo di sostegno,
non di compatimento ma semplicemente comprensione e empatia.
"Oh. Quindi ho
sorpreso un Originario!" disse Briony scherzando
e sgranando gli occhi.
Elijah le fece un
flebile sorriso, rimanendo comunque composto nella sua posizione. Briony si chiese come mai si era sfogata proprio con
lui, con un vampiro poi! Forse perché non la criticava né la giudicava per
quello che aveva fatto, visto che lui sapeva come andasse il mondo e di quante
brutalità ingiuste era afflitto. Non aveva mai pianto per aver perso Ivan, mai.
Forse era senza cuore come loro, ma non riusciva a provare pena o tristezza per
lui.
Inoltre quando Elijah la
guardava in quel modo… non la stava
soggiogando ma sentiva che dentro di sé poteva fidarsi. Anche se era...
“La mia esperienza con
Ivan non è stata molto utile. Non sono riuscita neanche a darti una coltellata
come si deve.” disse scherzando.
“A proposito…” Elijah si avvicinò pensieroso e le sfiorò il
braccio con delicatezza. Il contatto con la sue mano la fece tremare. Era
fredda e gelida. Briony sentì il suo cuore
perdere battiti negli attimi in cui le dita di Elijah scivolavano lungo il suo
braccio. Ma non perché le provocavano del dolore fisico.
“Non ti ho fatto
del male, vero?” chiese lui serio.
“No non preoccuparti,
sto bene.” rispose lei con un fil di voce spezzato per via dei brividi che
l’avevano dominata.
Lui allora la guardò in
viso e Briony temette che riuscisse a
leggerle la mente in quel momento.
Ma invece disse:
“Mi preoccupo eccome. Da
quando hai degli attacchi così isterici e fuori di controllo?”
Briony allora si strinse nelle spalle:
“Avevo della
rabbia repressa… non so neanche io il
perché abbia reagito in maniera così violenta… Mi
sono spaventata di quello che potevo fare…. Non
potevo essere io..” disse in maniera confusa.
“Ho vissuto con voi
umani per tantissimo tempo. Può capitare che dopo esperienze traumatiche uno
possa esplodere. Sfogarsi fa bene…”
“Dici? E se accoltellavo
qualcun altro, magari la signora Lockwood? Non
che non mi piacerebbe ma…mi spaventa questa
parte di me…”
Elijah le sorrise.
“Credimi, tu Briony Forbes sei
una delle persone meno violente e psicopatiche che conosca. E io ho conosciuto
tante persone nella mia vita. Non vedo nulla di malvagio in te.” Il tono di
voce era serio, ma leggero come una carezza di velluto.
Briony lo guardò dritto negli occhi.
Quelli erano occhi
inquisitori, profondi, amareggiati.
Quello che vi lesse la
sorprese. Nei suoi occhi si intravedeva un’ombra remota di emozione – remota ma
c’era - di sentimenti, di compassione… Quella
compassione che non aveva mai visto in nessuno, neppure in un normale essere
umano.. proprio perché lui sapeva la verità e riusciva a comprenderla.
Il supporto di Elijah le
diminuì notevolmente il dolore e la solitudine che aveva provato un anno prima.
Si chiese come mai il
padre diceva sempre che i vampiri non provavano nessuna emozione. Forse alcuni
sì, ma aveva intravisto in Elijah qualcosa di elegantemente puro… Come se avesse un cuore nascosto dietro la sua
corazza di ghiaccio. Niente a che vedere con le storie che le aveva raccontato
suo padre.
Gli sorrise dolcemente,
come se in quel modo lei lo ringraziasse per quello che aveva detto.
“L’unica cosa positiva
di questa giornata… è che ho scoperto
il tuo cognome! Smith? Davvero poco originale, devo dirtelo!”
“A me non sembrava male
accanto il mio nome…” rispose lui pensieroso.
Briony rise, dicendo che stava scherzando.
Calò un silenzio
imbarazzante tra i due. Elijah continuava a fissarla sempre con quel fare
misterioso e indagatore; allora Briony si
imbarazzò e cercò di guardare qualcos’altro. Quello sguardo inquisitorio le
metteva comunque soggezione. Non la solita paura ma… qualcosa in
lui le piaceva…da morire.
“Hai detto che hai
vissuto tante esperienze tra gli umani e che per questo non noti nulla di
malvagio in me…. Ma allora come sembro? Cioè una
normale ragazza umana o…” Lasciò la frase in
sospeso. La sua opinione su di lei la incuriosiva… e
la temeva allo stesso tempo.
Elijah corrugò la
fronte, stringendo gli occhi:
“Non sei per
niente normale… sei solo… senza precedenti, perciò imprevedibile. Nessuno
si sarebbe comportato come hai fatto tu. Ospitarmi e soccorrermi senza fare
inutili storie. Aiutarci pur sapendo i rischi… e
sopportarne il peso senza mai lamentarti. Fare tutto questo per tua sorella e
per degli sconosciuti.”
Elijah la fissò e come
prima le accarezzò il braccio, sempre attento a non farle male. Lo sguardo
attento ma anche assorto.
Quel contatto la fece
sussultare e Briony pregò che lui non se ne
fosse accorto.
Per fortuna Elijah
sembrava assorto nei suoi pensieri.
Infine disse. “Però
avverto grande paura in te… sei piena di contraddizioni..
e piena di dolore e di rabbia, ma ti reprimi.”
Quanto aveva
ragione. Briony aveva sempre avuto un carattere… superbo e per nulla calmo. Ma reprimeva
questo suo lato del carattere per paura dell’opinione che avessero gli altri.
Per paura che si allontanassero. Non era un’eroina senza macchia e senza paura.
A volte la sua forza era pura finzione per dimostrare qualcosa agli altri, una
maschera, cosicché fossero orgogliosi di lei e non l’avrebbero mai abbandonata,
come aveva fatto sua madre… o peggio
tradita, come aveva fatto invece Ivan.
Sì. Era piena di paure.
La più grande era quella di perdere le persone che amava. Non poteva
sopportarlo.
Avrebbe voluto
abbracciare Elijah per dimostrare che aveva ragione. E per contraccambiare in
qualche modo quello che aveva detto.
Ma non riusciva a
muoversi. Aveva troppa paura di quello che sarebbe successo dopo… di provare qualcosa che non doveva.
Non poteva affezionarsi
a un vampiro… avrebbe soltanto sofferto.
Sia lui che lei. Non credeva alle storie impossibili che avevano il lieto fine.
Briony tornò alla realtà scacciando quei
pensieri assurdi e riuscì solo a dire:
“Grazie Elijah.
Nonostante a volte io parli a sproposito, sei davvero una bella persona…più di quanto immagini. Mi fa piacere che tu
sia qui con me e di aver parlato senza inganni… davvero.”
E gli sorrise dimostrando davvero la sua sincerità.
Lui a sua volta le
sorrise gentilmente e alzò la mano dal suo braccio per accarezzarle piano il
viso. La toccò in un modo così delicato, come se avesse paura che quella
ragazza si rompesse come un fragile pezzo di vetro. Come se fosse la prima
volta che si lasciava andare.
“Non avere paura di
seguire quello che sei... qualsiasi cosa tu pensi o provi… La
paura è solo uno spreco di tempo.”
Briony non riusciva a capire quella frase
enigmatica. O forse la capiva perfettamente e aveva paura di ammetterlo.
Ciò nonostante l’agitazione
nello stomaco lasciò spazio alla delusione quando lui, con un piccolo sorriso
di sovrappensiero, indietreggiò di alcuni passi, lasciandola andare e sfumando
completamente l’atmosfera che si stava creando.
Mentre il cuore batteva
ancora veloce si diede della stupida per aver pensato chissà cosa. Non doveva
neanche farlo, e forse era meglio che non fosse accaduto l’avvicinamento che
dentro di sé aveva desiderato con tutte le sue forze.
Mentre Elijah si
allontanava all’interno della cucina, con lo sguardo scostante ripreso, Briony prese quel tempo per riprendere il controllo delle
sue emozioni, anche se fu difficile per come era stata attratta e colpita un
attimo prima, in maniera piuttosto sensazionale.
“Questo vuol dire che
non dovrei avere paura neanche di te? E tu non hai mai sprecato qualcosa per
questo?” lo provocò lei di rimando.
Nel tempo di un secondo,
sembrò come se un lampo gli fosse attraversato nella mente, ricalcando l’antica
armatura che lo circondava. La freddezza del volto dell’Originario venne
incrinata con un sorriso sghembo, rivolto a metà verso di lei:
“Non ti suggerivo
comunque di abbassare la guardia. Non ce n’è mai abbastanza.” Replicò soltanto
e ritornando a quel che stava facendo, come se non volesse proseguire.
Briony cercò di non far finire le cose così,
quando non sapeva neanche come era accaduta quella lontananza repentina dopo
quello che si erano detti, ma all’improvviso sentì dei forti rumori alla porta
che la fecero sobbalzare dalla sorpresa.
“Briony!!!
Dovevamo vederci un’ora fa, dove sei finita?”
Erano gli strilli di
Caroline. Cavoli, con tutto quello che aveva passato si era dimenticata che
dovevano andare a fare shopping.
Non sapendo come congedarsi
senza troppe figuracce, cercò di trovare una qualche via di fuga mettendosi una
mano tra i capelli sciolti ma fu proprio Elijah a farlo per lei, senza troppi
giri di parole, quasi ci fosse abituato da tempo.
“Vai. Non sprecare il
tuo tempo.” Le disse cordiale, lanciandole un’occhiate fugace come se non ci
fosse alcun problema, o magari volesse lui in primis isolarsi dopo aver provato
quel tipo di approccio.
Non voleva esporlo, ma Briony ci rimase male per questo, credeva davvero… tuttavia in silenzio mise a posto in cucina,
pronta a fare ciò che doveva fare e a tornare al mondo reale. Prima che uscisse
però, notò la figura di Elijah
dileguarsi solitaria via di lì, quasi assorbendo uno spazio vuoto.
Briony rimase a guardarlo, non sapendo che
pensare davvero. Forse era troppo paranoica, Elijah l’aveva aiutata a
confidarsi e l’aveva sostenuta per quello, non doveva per questo farsi troppo
viaggi mentali.
Eppure la sensazione di
star percorrendo un terreno minato, col rischio di rompere tutto, c’era in lei.
Voltò lo sguardo,
sospirando per scacciare il disagio.
Forse era stato meglio
così, l’aver lasciato cadere la conversazione e l’essersi bloccati in tempo.
Mentre usciva per
incontrare Caroline, ricordò la sensazione della vicinanza del volto di Elijah
vicino al suo, prima che lui si allontanasse tutto a un tratto.
Fu percorsa da dei
brividi per il desiderio. Si sentì ridicola. Ma allo stesso tempo il suo
cuore muto e solitario tornò a battere impazzito dopo tanto tempo.. come se
qualcuno gli avesse donato improvvisamente vigore.
FINE CAPITOLO
Spero che vi sia piaciuto il
capitolo :--) Briony voleva saltare
addosso ad Elijah ahaha chiamatela scema!!
:D