Primo Capitolo
And every dream is just a dream after all...
Cinque giorni prima...
And every dream is just a dream after all...
Cinque giorni prima...
Nella città di New York, i primi giorni di Dicembre erano sempre i più freddi dell'anno.
Quella notte poi, il gelo era particolarmente pungente.
Erano le tre del mattino.
Roy Montgomery si girò e rigirò nel letto.
Non riusciva a chiudere occhio.
Guardò sua moglie Evelyn che dormiva beatamente accanto a lui e si lasciò sfuggire un lieve sorriso.
Erano secoli che non passavano più del tempo insieme, da soli, come facevano una volta.
Magari quell'estate avrebbero potuto concedersi finalmente quella famigerata crociera attorno al
Mediterraneo che sognavano fin da ragazzi...aveva accumulato abbastanza giorni di vacanza da poterci fare
davvero un pensierino...chissà...
Mediterraneo che sognavano fin da ragazzi...aveva accumulato abbastanza giorni di vacanza da poterci fare
davvero un pensierino...chissà...
Kate Beckett era appena crollata sul divano del salotto.
Un paio di sue vecchie compagne dell'accademia di polizia, in città per qualche giorno, l'avevano convinta a
trascorrere con loro la serata e così, tra un bicchierino di tequila e un'occhiata ammiccante di troppo ad uno
sconosciuto, si era fatta mattina.
trascorrere con loro la serata e così, tra un bicchierino di tequila e un'occhiata ammiccante di troppo ad uno
sconosciuto, si era fatta mattina.
Meno di tre ore di sonno e poi di corsa in ufficio.
Rick Castle si alzò dal letto ed uscì dalla stanza il più silenziosamente possibile per non svegliare sua
madre e sua figlia.
Era la quarta notte di fila che faceva quell'orribile incubo.
Spari. Sangue. Alexis in lacrime.
Quelle terrificanti immagini erano impresse a fuoco nella sua mente.
Non riusciva a non pensarci.
Ingerì in fretta una pastiglia di aspirina, poi si avviò nuovamente nella sua stanza.
Kevin Ryan si svegliò di soprassalto.
Si stropicciò piano le palpebre e diede un'occhiata alla radiosveglia che teneva sul comodino.
Segnava le tre e trenta.
Si sfiorò lievemente una guancia con la mano.
Doveva ricordarsi di radersi.
Si girò sul fianco destro, cercando di riprendere sonno.
Javier Esposito era steso sul letto, con le braccia intrecciate dietro la nuca.
Stava fissando il soffitto, rischiarato dalle luci dei lampioni e dai fari delle auto di passaggio.
Girò la testa da un lato.
Il suo sguardo si soffermò sulla ragazza che giaceva distesa al suo fianco.
Era bellissima, su questo non c'era alcun dubbio, ma decisamente non era il suo tipo.
Guardò l'orologio.
Ancora due ore e finalmente le avrebbe detto addio.
New York Police Department
12th Distretto Squadra Omicidi
ore 7.15
"Non riesco ancora a credere che tu abbia avuto il coraggio di mollare uno schianto come Moira!" esclamò
Ryan, rivolgendo un'occhiata indignata al collega.
Ryan, rivolgendo un'occhiata indignata al collega.
Esposito si fece una mezza risatina.
"Che vuoi che ti dica, fratello? Non era la donna giusta per me" disse, pendendo all'indietro su due gambe
della sedia "Fortunato tu che hai trovato quella santa ragazza di Jenny che ti sopporta..."
della sedia "Fortunato tu che hai trovato quella santa ragazza di Jenny che ti sopporta..."
"Sì come no, fai lo spiritoso" borbottò Ryan, voltandogli di nuovo le spalle per tornare ad occuparsi del
rapporto sul caso Walker.
rapporto sul caso Walker.
Montgomery aveva chiesto a lui e Beckett di terminarlo entro quel fine settimana, così erano alcuni giorni
che ci lavoravano su, senza sosta.
che ci lavoravano su, senza sosta.
La sera precedente lei avrebbe dovuto consegnargli gli appunti finali dell'incartamento ma inspiegabilmente
non si era fatta viva.
non si era fatta viva.
Verso le 7 e 30, le porte dell'ascensore si spalancarono e Beckett fece il suo ingresso nel dipartimento.
Pallida, assonnata, ancora in piena crisi post - sbornia e reduce da un'ora di intenso traffico mattutino.
Non si presentava esattamente nella sua forma fisica migliore.
"Wow gli zombie sono davvero tra di noi!" la accolse Esposito con fare allusivo.
Lei abbozzò un sorrisetto di circostanza.
"Esilarante, davvero" replicò, caustica.
Trascinandosi quasi a fatica attraverso la stanza, raggiunse la sua postazione e, dopo aver letteralmente
lanciato la giacca sullo schienale della poltrona, vi crollò sopra con tutto il peso.
lanciato la giacca sullo schienale della poltrona, vi crollò sopra con tutto il peso.
"Se stavi così male potevi prenderti un giorno di malattia" le fece notare Ryan.
Kate gli rivolse un'occhiata in tralice.
"Senti da che pulpito viene la predica" replicò con fare polemico" Dimmi un pò, hai dimenticato forse che
Jenny ha dovuto portarti via con la forza l'ultima volta che sei stato male?"
Jenny ha dovuto portarti via con la forza l'ultima volta che sei stato male?"
"Hai l'influenza" insistette Ryan, ignorando la sua obiezione.
"Io non ho l'influenza..." fece lei "...l'ultima volta che sono stata ammalata ero ancora alle scuole
elementari..."
"Anche i virus hanno paura di te" sghignazzò Esposito.
Beckett lo guardò in cagnesco.
"Ci sentiamo particolarmente spiritosi stamattina?!"
Il Capitano Montgomery fece capolino dal suo ufficio.
"Riunione di gruppo" annunciò a gran voce "Rintracciate anche Castle..."
Kate aggrottò la fronte.
"Non è ancora arrivato?!" esclamò, sorpresa.
"No"
"Strano, di solito la mattina è sempre il primo a farsi vedere.."
"A quanto pare stamattina siamo un pò tutti fuori dal mondo!" osservò Montgomery alludendo all'aspetto
disastrato di Kate, in modo neanche troppo sottile.
Esposito e Ryan soffocarono una risata.
Nei minuti che seguirono, Beckett provò a rintracciare Castle sia a casa che sul cellulare ma senza alcun successo.
"E' molto strano...non riesco a mettermi in contatto con lui..." riferì sottovoce a Ryan ed Esposito, evitando di
farsi sentire dal capitano.
"Vedrai che tra poco sarà qui" tagliò corto Esposito.
Entrarono nella stanza delle riunioni e presero posto attorno al tavolo in attesa che Montgomery desse
disposizioni precise sul nuovo caso da seguire.
"Michael Cooper, quarantacinque anni..." esordì il capitano "...nativo dell'Arizona ma residente da quindici
anni a New York, sposato, con tre figli, stimato primario e chirurgo del Metropolitan Hospital, uno degli
ospedali più famosi dello Stato..." sullo schermo di proiezione apparve la fotografia dell'uomo, capelli
brizzolati, occhi scuri, sguardo altero e magnetico "...la moglie ha denunciato la scomparsa
questa mattina, ma è probabile che sia sparito molto tempo prima..."
"Mi scusi...la scomparsa?" lo interruppe Esposito.
"Sì, la scomparsa..." ripetè Montgomery, impettito" ...stavolta le nostre indagini saranno un pò diverse dal
solito e più avanti vi spiegherò perchè... "
I tre agenti si scambiarono sguardi confusi ma non avanzarono altre obiezioni.
"A quanto pare, il signor Cooper aveva partecipato ad un convegno sulla Neurochirurgia, tenutosi un paio di
giorni fa ad Orlando, in Florida. La polizia ha interrogato tutti i colleghi che erano con lui e hanno
confermato all'unanimità che Cooper si trovava sull'aereo privato che li ha ricondotti qui a New York, perciò
qualunque cosa gli sia accaduta, è accaduta a New York..."
"Cosa sappiamo di lui?" domandò Ryan.
"Apparentemente ha la fedina penale candida come quella di un neonato" rispose Montgomery.
"E non apparentemente?" incalzò Beckett.
"Sarà vostro dovere scavare a fondo nella sua vita privata, passata e presente" disse il capitano "Come
l'esperienza ci insegna, anche le persone migliori hanno delle storie sordide che vogliono tenere
nascoste...scopriamo i suoi scheletri nell'armadio e troveremo un modo per rintracciarlo, sperando che non
sia già troppo tardi! Voglio sapere ogni cosa di questo tizio, dal suo numero di scarpe ai nomi delle
sue ragazze del liceo..."
Stava per aggiungere altro, quando la porta della sala si spalancò ed entrò Castle.
Montgomery proseguì senza interrompersi.
"Esposito e Ryan, fatevi un bel giretto al Metropolitan Hospital, sperando che qualcuno dei colleghi di
Cooper possa raccontarci qualcosa di interessante sul suo conto...Beckett e Castle, per la vostra immensa
gioia, le indagini riguardanti il suo passato sono tutte vostre..." e rivolgendosi direttamente ai due aggiunse"
...più notizie riuscite a raccogliere sul suo conto, meglio è...non dimenticatelo..."
"Signore, non ha risposto alla nostra domanda" soggiunse a quel punto Esposito "Perchè questo caso è stato
affidato a noi? Non c'è nessun omicidio su cui indagare o almeno non ancora..."
"Cooper è un magnate internazionale della Sanità" spiegò Montgomery "Metà delle donazioni benefiche che
ogni anno vengono versate nelle casse di questa città provengono direttamente dalle sue tasche e stiamo
parlando in termini di miliardi di dollari...non so se mi spiego.
Diciamo solo che il sindaco ha voluto affidare le indagini sulla sua scomparsa al team di investigazione più in
gamba della città..." fece un leggero sorriso compiaciuto "Parole sue, non mie..."
Con un chiaro gesto della mano, comunicò che la riunione era conclusa.
Ci fu un rimestìo confuso e rumoroso di sedie poi ad uno ad uno i membri del gruppetto si allontanarono
dalla sala, dissolvendosi per i corridoi.
Beckett vide Castle imbucarsi furtivamente nella sala relax e lo seguì.
Appoggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto, rimase ad osservarlo mentre con movenze
fin troppo rallentate e impacciate cercava di preparare un caffè.
"Notte brava a New York City, stallone?" lo punzecchiò, divertita.
Castle sobbalzò.
Era talmente perso nei suoi pensieri che non si era neppure reso conto che Beckett fosse entrata nella
stanza.
La tazza di ceramica che stringeva nella mano destra cadde rovinosamente sul pavimento, frantumandosi in
mille pezzi.
"Fortuna che era ancora vuota!" commentò Kate, avvicinandosi prontamente per dargli una mano a
raccogliere i cocci.
"Già" mugugnò vagamente Castle.
Beckett si soffermò a guardarlo in silenzio.
Inginocchiato sul pavimento, lo sguardo vacuo perso nel vuoto e le dita tremanti che sfioravano le
mattonelle alla ricerca di frammenti di ceramica.
Sembrava a dir poco stravolto.
Neppure i party più sfrenati a cui aveva partecipato durante i tre anni della loro collaborazione professionale
lo avevano mai ridotto in quelle condizioni.
"Ti senti bene, Castle?" gli domandò quasi in un sussurro.
Lui la guardò momentaneamente negli occhi.
Avrebbe potuto semplicemente confidarsi con lei, erano amici dopotutto,
ma c'era qualcosa che lo tratteneva dal farlo.
Conosceva Beckett.
Se solo le avesse confidato che le sue preoccupazioni e il suo penoso stato d'animo erano legate ad un
sogno, non lo avrebbe mai preso sul serio.
"Sto bene" rispose, rialzandosi in piedi.
Sentì la mano di Kate sfiorargli appena il braccio.
Lavorando a stretto contatto per così tanto tempo avevano sviluppato un feeling molto profondo, tanto che a
volte l'uno riusciva a percepire i tormenti interiori dell'altra ancor prima che lei stessa se ne capacitasse.
E viceversa.
Difficile nasconderle la verità.
"Si tratta di un sogno ricorrente che continua a tormentarmi" le confessò infine, pensando che ormai fosse
meglio sputare il rospo.
"Un incubo?"
Castle si limitò ad annuire.
"Dai...raccontami..."
"Non ha una vera e propria continuità..." spiegò Castle " ...sono solo una serie di immagini confuse che mi
passano davanti agli occhi, velocemente...come le città in autostrada...e poi quelle urla di terrore...Alexis che
piange...io...io non riesco mai a focalizzare niente in modo chiaro perchè ogni volta si interrompe nello
stesso punto e io mi sveglio di colpo...tremendamente agitato..."
In un'altra occasione, Beckett si sarebbe divertita un mondo a prenderlo in giro ma non stavolta.
Era seriamente preoccupato, glielo poteva leggere in volto.
"Sai che si tratta solo di uno stupido sogno, vero?" cercò di rassicurarlo con un sorriso "Nel nostro lavoro
capita spesso di vedere delle cose agghiaccianti e spaventose e a volte ci lasciamo condizionare più del
normale...è umano reagire in questo modo, anche per gli scribacchini montati come te,
non c'è nulla di cui vergognarsi..."
Castle scosse la testa.
"Non è vergogna...è paura" precisò.
"E di cosa avresti paura esattamente? Le immagini che vedi in quel sogno non sono altro che il frutto della
tua fervida e quanto mai folle immaginazione, non sono reali, Castle..."
"Ma lo sembrano.."
"Sì ma non lo sono"
Castle tirò un lungo sospiro.
"Sai, negli ultimi tempi ho sempre paura che qualcosa possa mettere in pericolo la vita delle persone che
amo, magari è proprio questo il significato nascosto del sogno...si tratta di una specie di segnale
dell'universo, un avvertimento..."
Beckett roteò gli occhi.
"Oh ti prego, non ricominciare con i segnali dell'universo" commentò, esasperata.
Castle si finse offeso.
"Un giorno ti pentirai di aver voltato le spalle all'universo, detective!" la ammonì con ironica enfasi.
"Muoviti a bere quel caffè, Messaggero dell'Universo! Abbiamo delle indagini da portare avanti" sghignazzò
lei, avviandosi verso gli ascensori.