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Autore: Sophrosouneh    10/11/2011    0 recensioni
“Soltanto la sua fiera presenza statuaria infondeva nel cuore di Thaet una sicurezza innata che la portava a nutrire una flebile speranza di salvezza.
“Grazie.” Bisbigliò a denti stretti abbassando la testa.
“Dovere” rispose Vhes, concedendosi un sorriso rilassato alla vista dell’impaccio della minore.
Così, mentre il sole calava lento dietro le nubi antracite. In quel disperso angolo di infernale paradiso, si rovesciava copiosa una tempesta depuratrice di mali. L’acqua corrente lavava via il sangue dalle anime e la polvere dai ricordi. Ma, allo stesso tempo, custodiva i segreti nei cuori di ogni dimora.”
Le tre Erinni: tre sorelle che non potrebbero essere più differenti. Vhes la forte, Thaet la subdola ed Inarwe la fragile. Ed è proprio quando la minore si trova ad affrontare la realtà che le si para di fronte il più insidioso dei nemici: la paura di affondare sé stessi.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alba di sangue- Pont-Saint-Martin 16 marzo1987

 
“Pare che in questo luogo il demonio non si sia mai stancato di tendere le sue reti. A cosa vuoi che servano gli intrighi di un santo o di un vagabondo? Satana non smetterà certo di praticare il male solo per aver ricevuto l’anima di un cane! Sai Inarwe, io ritengo che certi umani siano davvero stupidi! Non credi anche tu?” domandò la statuaria presenza dagli aurei boccoli sciolti lungo la schiena e riversi sulla parete brulla della caverna in cui si trovava.
“Io trovo che sia sciocco affidarsi ad una leggenda del genere.” sussurrò la minore.
“Esatto, è una sciocchezza! Una vera idiozia! ” ribatté la donna conferendo enfasi ad ogni sillaba.
“Ma sai, gli uomini ammucchiano gli errori di tutta la loro vita e creano un mostro che chiamano destino. Detestano l’idea di indeterminatezza che il libero arbitro concede loro; preferiscono immaginarsi legati per collo con una corda che li conduce lungo il sentiero per loro predestinato. Va ben al di sopra di quella che possa essere la mia comprensione.” Terminò la donna dagli occhi corvini profondi come la voragine stessa dell’inferno.
Autoritaria alzò un indice al cielo: “La lezione del giorno è: mai credere alle dicerie!” a Vhes piaceva stilare una lezione ogni giorno da impartire alle sue sorelle. Quando attraversava quei momenti pareva una maestra costretta ad insegnare a degli scolari insofferenti.
A Inarwe piacevano quei piccoli secondi di pace in cui poteva godersi la compagnia della sorella maggiore. Gettò una fugace occhiata alla figura di Vhes che, imponente come una statua scolpita nel più bianco marmo, si appoggiava al fianco del monte e, a braccia conserte, osservava la piccola città sottostante brulicare di vita. Quando non c’erano di mezzo i mortali la donna pareva rilassare un po’ la sua espressione perennemente furibonda, per concedersi un po’ di riposo.
“Vhes, non pensi mai che ci sia qualcosa di sbagliato in quello che facciamo?” chiese la castana, abbassando subito lo sguardo.
La Furia la osservo titubante per qualche secondo.
“No” rispose telegrafica la bionda, ma Inarwe era decisa sul fatto che non avrebbe mollato, ormai voleva che la sorella fosse messa al corrente delle sue supposizioni. Se avesse avuto ragione forse una vita sarebbe stata risparmiata.
“Ieri sera ho incontrato quel giovane, e mi ha parlato della sorellina, e del fatto che abbia agito sotto il comando impartitogli da qualcun altro.” La minore non aveva il coraggio di alzare lo sguardo su Vhes perché sapeva che, qualora avesse intravisto i suoi occhi dalle profondità infinite, avrebbe sicuramente perso ogni traccia di sicurezza.
“Tu hai fatto cosa??” la voce di Vhes già cominciava ad assumere quella nota stizzita che prendeva quando veniva contrariata.
“Non è come pensi, io volevo solamente …” ma non riuscì a finire la frase che si trovò sdraiata a terra con la guancia dolorante. La figura della sorella la dominava in tutta la sua altezza e aveva dipinta in volto un’espressione disfatta dall’orrore.
“Brutta stupida perché non vuoi capire che c’è un valido motivo se non voglio che tu ti avvicini ai sogni degli umani? Non sei ancora capace di mantenere il controllo. Non ti rendi conto che potevi perderti per la vita tra gli anfratti della mente di quell’essere.” tuonò Vhes.
“Si chiama Varian.” Sussurrò debolmente.
“Cosa hai detto?”
“Ho detto che il suo nome è Varian.” Ripeté abbassando gli occhi e stringendosi spasmodicamente al petto l’orlo della cupa veste.
A quell’affermazione l’ira di Vhes parve congelarsi sul suo volto. Quelle iridi calamitanti come buchi neri si soffermarono sulla figura della sorellina spaventata da quel suo temperamento tanto severo.
Non era mai successo che Inarwe, per quanto dolce e introversa potesse essere, si prendesse così a cuore un essere umano. Era sempre riuscita a indossare le vesti di familiari ed amici delle vittime, facendo sempre in modo che mai trasparissero i suoi sentimenti e le sue insicurezze. Il dono della piccola era tanto sottile quanto estremamente letale e Vhes era perfettamente a conoscenza del fatto che la vita di Inarwe era costantemente sul filo del rasoio. Se non avesse fatto la massima attenzione avrebbe rischiato grosso. Nel loro lavoro non potevano permettersi coinvolgimenti di nessun tipo. La sorellina lo sapeva bene, e in tutti quei secoli non aveva dato segno di tentennamenti neppure una volta, ma allora perché adesso era venuta fuori con quei discorsi?
Per quanto odiasse ammetterlo, la sua reazione era stata esagerata, seppure dentro morisse dalla voglia di proteggerla e vegliare su di lei ogni istante per salvaguardarla da ogni male, Vhes sapeva che era suo preciso compito di sorella maggiore lasciare ad Inarwe lo spazio adeguato per esprimere la sua arte. E, vedendola sofferente e maltrattata proprio da colei che avrebbe dovuto anteporre la sua felicità alla propria, le si strinse il gelido cuore in una morsa d’acciaio. Eppure si era ripromessa che avrebbe protetto Inarwe e Thaet da qualsiasi pericolo si fosse presentato. Le faceva male pensare che, per quegli occhi d’ametista, adesso l’unico nemico era proprio lei.
 
“Scusami” le sussurrò sollevando l’esile corpicino tra le braccia e cominciando a carezzarle la testa. Non appena si fu seduta a sua volta, le esili braccia di Inarwe le si avvolsero attorno alle spalle, infondendole quel calore di cui tanto aveva bisogno in quel momento.
Calde lacrime cominciarono a cadere dagli occhi socchiusi della minore, andando ad imperlarsi nella matassa aggrovigliata dei suoi capelli castani e sulla veste dorata della sorella maggiore.
“Vhes, c’è molto di più in lui di quel che appaia. Noi dobbiamo fare qualcosa.” Le bisbiglio all’altezza dell’orecchio Inarwe.
La maggiore sospirò profondamente, ponderando la situazione.
“Non è così semplice. Tu cosa pensi ci sia sotto?” le chiese la maggiore scrutandola attentamente in volto.
“Personalmente temo che quelle voci di cui mi ha accennato, altro non siano che una sua illusione.”
“La mente umana è un imperscrutabile labirinto in cui i ricordi si ripropongono quando meno te lo aspetti. Non cercare di comprendere come ragionino le nostre vittime; dammi retta, il nostro lavoro è più semplice se tracciamo una linea di netta divisione tra noi e loro. Tu non puoi fare niente per salvarlo, ormai ha deciso da solo di avviarsi verso l’autodistruzione di entrambe le sue personalità.”
Inarwe spalancò gli occhi esterrefatta.
“Questo vuol dire che tu già ne eri a conoscenza?” chiese oltraggiata per il fatto di essere stata tenuta all’oscuro di tutto.
“Non era necessario che tu lo sapessi.” Ed ecco che la solita maschera di ghiaccio tornava ad incastonarsi sul volto si Vhes.
“Invece sì!” ribatté Inarwe dando prova di tutto il coraggio di cui fosse capace.
Senza che potesse fare niente per fermarle calde lacrime cominciarono a scendere ancora più insistenti lungo il profilo delle sue guance rosee.
“Entro sta notte la sua coscienza sarà annientata definitivamente. Farai meglio a metterti l’anima in pace.” Disse alzandosi in piedi e facendo per andarsene, mentre la piccola si raggomitolava con le braccia al petto.
“Noi siamo sorelle Inarwe, siamo la tua famiglia. Guarda dentro di te e decidi quale strada scegliere, ma ricordati una cosa: qualunque cosa tu deciderai di fare io e Thaet ti rimarremo sempre accanto.” Aggiunse, senza neppure voltarsi e ad Inarwe parve, anche se solo per un istante, che un sorriso incorporeo increspasse le sue labbra di pietra.
In meno di un secondo il corpo della sorella si fuse con la veste ed uno splendido falco spiccò il volo nell’aria frizzante dell’alba, lasciandosi alle spalle la caverna. Le piume dorate rilucevano dei caldi toni dei raggi del sole nascente, incantando lo spirito della piccola, come ogni volta che vedeva la sorella assumere la sua forma animale. Era così nobile e fiera che le faceva venir voglia di nascondersi agli occhi del mondo.
Rimase lì a piangere in silenzio, con il cuore in tempesta squarciato dal fragore dei lampi che le attanagliavano l’anima.

 

  
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