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Autore: Andry_    10/11/2011    1 recensioni
Londra. Due ragazzi, cresciuti insieme, si trasferiscono nella capitale per inseguire i loro sogni e, tra una cosa e l'altra, scoprono che l'amicizia, forse, non è l'unica cosa che li lega. La vita però, si sa, è imprevedibile, e riserverà loro diverse sorprese che cambieranno notevolmente la loro esistenza.
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La storia è frutto della mia fantasia e, anche se ha come protagonisti alcuni personaggi del mondo dello sport, sono presenti incongruenze sulle loro vite, ma lo scopo di questa ff è quello di dilettare e coinvolgere il lettore, e non quello di raccontare nei dettagli la vita di uno di questi personaggi.
Genere: Romantico, Song-fic, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2.


Era una timida mattina d'estate, e io stavo tornando a casa con papà dagli allenamenti della sua squadra. Adoravo andare agli allenamenti con papà, non so perché ma li trovavo molto più divertenti che restare a casa con la tata a giocare con le bambole. Ero una tranquilla e sorridente bambina di sei anni, nata a Londra il 14 maggio 1989, che viveva a Compton, un piccolo paese in periferia della capitale, figlia dell'architetto Benjamin Evans e dell'avvocato Jessica Williams. Figlia unica, a causa degli impegni dei miei genitori, spesso e volentieri mi trovavo a casa da sola con la tata ad annoiarmi. Così, papà, visto che a tempo perso allenava i pulcini dell' A.F.C. Newbury, a volte mi portava con se per farmi passare un po' di tempo all'aria aperta divertendomi. Frequentavo una scuola dell'infanzia privata, in modo che mia madre riuscisse a "gestirmi" tra i suoi innumerevoli impegni di lavoro, quindi non avevo amici nel mio quartiere ed ero costretta a passare tutto il mio tempo libero in casa, con Isa, la mia tata. Lungo la strada che portava a casa, ci imbattemmo in un campetto da calcio in terra battuta che, personalmente, non avevo mai visto. Guardai papà che camminava con il borsone a spalle e, senza che ci fu il bisogno di parole, entrammo nel campetto con un pallone. Lui si sistemò in porta mentre io mi preparavo a fargli goal. Feci il primo tiro, il secondo, il terzo, e lui ovviamente mi lasciò segnare, ma, al quarto, rinviò col piede la palla lontana. Pensai che avesse sbagliato, ma ovviamente, lui aveva calcolato tutto, come sempre. Il pallone era ricaduto accanto a due bambini, su per giù della mia età, che ci stavano guardando giocare e che io non avevo assolutamente notato. Mi invitò ad andare a riprendere il pallone e a chiedere a quei due bambini se volessero unirsi a noi; obbedii. Con la spontaneità e l'innocenza di una bambina di sei anni priva di malizia, mi recai da quei due bambini un po' imbarazzata. -Ciao, potete ridarmi il pallone?- chiesi tranquilla. Uno di loro me lo porse. Feci per andarmene, ma uno sguardo di papà mi fece cambiare idea. -Volete giocare con noi?- i due si guardarono e poi accettarono. -Si, va bene. Io sono Dan- disse il bambino dagli occhi chiari -E io sono Theo- aggiunse con un simpatico sorriso il bambino coi capelli riccioli. Iniziammo a giocare e, come sempre quando ci si diverte, il tempo volò in un baleno. Si era fatto tardi, così io e papà accompagnammo i due bambini alle loro rispettive case, scoprendo, con mia piacevole sorpresa, che abitavano nel nostro stesso quartiere, e poi rientrammo. Ricordo che quel giorno indossavo un vestitino candido come la neve, ma quando rientrai a casa aveva decisamente cambiato colore; i miei bellissimi capelli biondi sempre perfetti erano un groviglio unico. Mia madre, quella sera, rientrata stranamente presto, mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite, io invece ero felice, perché avevo conosciuto i miei nuovi (primi e unici) migliori amici. Le cose tra noi tre sono sempre andate alla grande, da quel giorno non ci siamo più separati. Mi sono sempre stati vicino, anche dopo la separazione dei miei e la mia scelta di vivere con papà per non dovermi dividere da loro. Eravamo tutti legati da una grande passione, oltre che da una grande amicizia: il pallone, anche se in modi diversi. Io mi ero dedicata alla pallavolo che, dopo aver assistito dal vivo ad una finale europea, era diventata la mia grande passione. Theo e Duncan invece avevano iniziato a giocare a calcio nella squadra di mio padre, dove Theo, nella sua prima e unica stagione, segnò più di cento goal. Dan, purtroppo, non era dotato dello stesso talento del nostro amico e così, dopo aver provato diversi sport, trovò la sua vocazione nel rugby. Come ho detto, eravamo inseparabili, degli amici fantastici, fino a che non giungemmo al liceo. Li, infatti, iniziarono i primi problemi, se così si possono definire. Frequentammo tutti il Downs School College, anche se con indirizzi diversi. Theo e Dan avevano scelto l'indirizzo di matematica, mentre io avevo preferito quello linguistico. Come dicevo, però, in questo periodo iniziarono ad esserci tra noi dei piccoli problemi. Circa dieci anni dopo il nostro primo incontro, il rapporto tra me e Dan era leggermente cambiato. Da qualche mese, infatti, mentre la carriera di Theo iniziava a prospettarsi molto più rosea di quanto avessimo mai potuto immaginare, noi avevamo iniziato a frequentarci, andando oltre ad un semplice rapporto di amicizia. All'inizio filava tutto liscio, stavamo bene insieme, e il nostro rapporto con Theo non era stato minimamente intaccato, ma quel giorno le cose cambiarono.

  
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