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Autore: Camelia Jay    12/11/2011    5 recensioni
Mariah è una ragazza buona, intelligente ma davvero molto timida e riservata, che da più di due anni ormai è innamorata di Aiden Jenney, il quale, per uno scherzo del destino, dall'inizio dell'anno è il suo compagno di banco.
Vanessa invece è una ragazza allegra e socievole, ma purtroppo è goffa e impacciata e non di rado le capitano dei brutti incidenti (si legga: battere costantemente il sedere per terra). Dopo una grande umiliazione pubblica subita dal ragazzo per cui si era presa una cotta, sta appena cominciando a rialzarsi (in senso metaforico, nonostante tutte le cadute che fa) quando la vicinanza di un ragazzo che cerca di tirarla su di morale le confonde di nuovo le idee.
Questo ragazzo è... Aiden.
Due protagoniste per una sola storia d'amore possibile: scorrerà buon sangue tra Mariah e Vanessa?
Chi delle due avrà il cuore di Aiden, in un amore che si consuma sotto le fredde giornate nevose di metà gennaio?
Nota: di capitolo in capitolo si alterneranno i POV di Mariah e di Vanessa.
Dal futuro capitolo cinque: "Le lacrime scgorgarono a fiotti dai miei occhi, bagnandole il maglioncino di lana color lavanda, mentre lei mi stringeva. Non avevo mai pianto per lui prima. Anche se, sinceramente, pensavo che la prima volta che l'avessi fatto sarebbe stato a causa di una nobile sofferenza, e non per una stupida, insignificante gioia senza valore".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quattro

Vanessa is not crawling

 

 

 

Per le ore successive non fui in grado di seguire alcuna lezione: l’agitazione che mi aveva messo ciò che avevo fatto, infilare quella busta nell’armadietto di James, mi aveva offuscato la mente e non ero capace di concentrarmi su nient’altro.

«Una lettera d’amore» mi aveva detto Catherine non appena l’avevo informata di ciò che avevo fatto «non è qualcosa di troppo arcaico?» aveva aggrottato un sopracciglio nella stessa maniera in cui lo facevo anch’io. Eravamo due gocce d’acqua, infatti, con la differenza che lei era più alta di me di venti centimetri.

Sì, ci avevo pensato anch’io. «Catherine» le avevo risposto, irritata «ti sembra questo il modo di tranquillizzarmi?»

Ma sapevo, in fondo, che lo faceva a fin di bene.

Quando infine la campanella annunciò con mio sommo gaudio il concludersi dell’ora di Storia dell’Europa, con le gambe che a malapena si reggevano su se stesse, imboccai la via per il corridoio. Ancora una volta la massa di studenti mi travolse e a fatica giunsi al luogo di destinazione.

Avvertii un dolore immediato e brusco alla schiena, nell’istante in cui un gomito di un passante mi colpì e, come accade tutte le volte che qualcuno mi urta così violentemente, rovinai per terra con un tonfo tale che mezzo corridoio si voltò a guardarmi. “Ecco, ti pareva?”, pensai, il mio sedere che ormai aveva familiarizzato con tutti i pavimenti su cui avevo messo piede.

Rossa in viso, cercai di tirarmi su, mentre qualcuno sghignazzava alle mie spalle mentre altri ridevano fragorosamente dinanzi a me, le bocche spalancate. “Che avete da ridere? Non vi è mai capitato di cadere per terra?!” Ma mi rendevo conto che nessuno fa così tanti incidenti quanto me. Sono stata progettata per attrarre le calamità naturali.

Stavo rialzandomi quando in quel momento qualcosa di bianco e squadrato fluttuò davanti ai miei occhi. Mi inginocchiai sul pavimento e guardai in basso: mi era caduto davanti un foglio di carta scritto. Con la mia calligrafia.

Alzai gli occhi.

James era davanti a me, la sua ombra che torreggiava sul mio corpicino, e con la mano aveva lasciato cadere per terra la mia lettera, sfilata dalla busta. Mi guardò con i suoi occhi algidi e azzurri di ghiaccio. «Tua?» disse solo, la voce monocorde.

Tutti ci stavano guardando.

Mi bloccai: il ragazzo che mi piaceva aveva sventolato davanti a tutti la mia lettera e mi stava fissando, esigendo una risposta.

«Uhm… sì…» mormorai, imbarazzata. Ripresi frettolosamente la lettera tra le mani e, una volta rialzatami, tesi le mani e gliela porsi di nuovo, speranzosa.

Lui, bruscamente, mi respinse. «No, non se ne fa niente» disse scocciato, tutti gli sguardi puntati su di noi.

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Avrei voluto essere sotterrata a dieci metri di profondità in un campo di margherite, in quel momento.

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«Ehi, avete visto quella lì?» i primi commentino pungenti si stavano già innalzando dalla folla. Percepii una rabbia crescente che non si arrestava e si faceva strada prepotentemente dentro di me. Volevo spaccare la faccia a tutti.

Strappai la mia lettera in tanti piccoli coriandoli, e la lasciai cadere per terra, tutti gli altri che come degli avvoltoi si buttarono addosso a quei frammenti di carta mentre fuggivo di corsa in bagno.

In mezzo alla stanza sudicia che puzzava di urina misto a sapone scadente, con il cestino pieno di assorbenti usati e avvolti nella carta, buttai fuori un urlo rilasciando tutta la mia voce e la rabbia repressa. Iniziai a dare calci al muro, il calcestruzzo che si scrostava dalla parete. Il trucco che mi ero messa accuratamente pensando che forse oggi James l’avrebbe notato mi colò giù per le guance insieme alle lacrime, un groppo in gola che faceva quasi male, i singhiozzi convulsi che mi muovevano su e giù l’addome a ritmo irregolare.

Mi aveva umiliata davanti a tutta la scuola, quello stronzo. Non si meritava niente, non si meritava quella lettera, non si meritava me, non si meritava il mio amore.

Gemetti sferrando un ultimo calcio, che questa volta colpì l’aria. Decisi che il prossimo ragazzo che avrebbe attirato il mio interesse lo avrei analizzato prima con molta attenzione, o mi sarei ritrovata fregata così un’altra volta, sola e sconsolata a piagnucolare come una bambina nel bagno delle ragazze.

Non appena mi girai il mio senso di umiliazione aumentò ulteriormente – come se non stessi già abbastanza male –: una perfetta estranea, alta e con dei lunghi capelli castani, mi stava guardando durante uno dei miei momenti peggiori. “Meglio di così cosa ci può essere?” pensai con amara ironia. La vidi distogliere immediatamente lo sguardo. Cos’è, forse mi credeva pazza? Be’, tanto normale non dovevo essere per aver avuto una cotta per un tipo che tutte le volte in cui gli rivolgevo la parola appariva scocciato e infastidito.

Quello fu il nostro primo incontro, ed era stato deciso proprio per quel giorno preciso, in quel lurido bagno.

Gli occhi mi bruciavano di lacrime. Avevo bisogno di ripulirmi. Sfortunatamente, però, era finita la carta da qualsiasi parte. “Che palle”. Così chiesi un fazzoletto alla sconosciuta, facendoglielo presente.

Costei mi guardò dapprima sorpresa, poi, gentilmente, mi porse un fazzoletto di carta tanto agognato. Non mi disse nulla. Le fui grata, perché l’ultima cosa che mi ci voleva era qualcuno che si intromettesse ancor di più negli affari miei. Ne avevo già avuto abbastanza di tutta quella gente in corridoio, che probabilmente si stava ancora contendendo i pezzi della mia lettera strappata.

«Tutto bene?» mi domandò lei con esitazione. Probabilmente era perché era quello che si soleva dire in queste situazioni, e non la biasimai.

«Sì. Adesso sì.» Non era del tutto vero, ma andava decisamente meglio di prima.

Continuai a guardarla per un paio di istanti, nella vaga speranza che dicesse qualcos’altro per rompere quel silenzio imbarazzante, poi mi resi conto che lì quella più a disagio delle due era lei. Dunque, con un altro fugace ringraziamento, mi decisi a uscire dal bagno – possibilmente a testa alta, sebbene sapevo che sarebbe stato pressoché impossibile.

Appena fuori dal bagno mi imbattei in Aiden Jenney, riconobbi la sua figura alta e dal fisico asciutto, gli occhi scuri che mi squadravano sorpresi e allo stesso comprensivi. «Oh, sei qui» disse lui non appena gli sbucai davanti.

Cosa voleva questo adesso?

«James ti stava cercando» proferì.

Per un attimo un barlume di speranza si riaccese e sobbalzai. Tuttavia, la ragione che mi era rimasta e l’espressione di Aiden mi suggerivano che non poteva essere vero: James non mi avrebbe mai cercata, era stato sin troppo chiaro qualche minuto prima. «No» mi limitai a dire, irritata «non è vero.»

Vidi Aiden mordersi un labbro. «Già, non è vero, però avrei voluto che si scusasse con te. Almeno permettimi di scusarmi al posto suo.»

Alzai le sopracciglia, piacevolmente meravigliata. Forse la cavalleria non era morta. «Non credo che servirà a qualcosa, comunque… concesso.»

«Magari più tardi gli parlo» aggiunse in seguito.

Scossi la testa. Non sarebbe servito e poi sarebbe stato l’ennesimo pretesto per fargli ricordare dell’umiliazione pubblica che mi aveva inferto. «No, davvero, non importa. Grazie, Aiden» gli mostrai un sorriso.

«Figurati. Come fai a sapere il mio nome? Non ci siamo quasi mai parlati.»

Ops.

«Ehm… sai, siccome mi piaceva James…» mi strinsi nelle spalle mentre cercavo di fornirgli una spiegazione plausibile.

Lui mi interruppe senza pretendere troppo. «Ah, sì, ho capito, non preoccuparti.»

Per cercare di smorzare la tensione che si era appena creata, capii che l’ideale era presentarmi a mia volta, così anche lui avrebbe saputo chi sono. «Vanessa» dissi, porgendogli la mia mano destra.

Lui, in maniera affabile e contemporaneamente gentile, me la strinse. «Piacere, Vanessa. Se vuoi posso fare un tentativo, parlare con James e mettere una buona parola per te, non so…»

«No!» esclamai. «Assolutamente. Non ne voglio più sapere di lui. Mi ha rifiutato una volta, mi basta e avanza.»

Lui rimase immobile per un attimo, scrutandomi con i suoi intensi occhi marroni. Alla fine scrollò le spalle. «Bene, è così che si fa: ci si rialza e si va avanti.» Prima di voltarsi e andarsene, sparendo dal mio campo visivo, mi fece l’occhiolino. «Così si fa, Vanessa.»

Stetti lì impalata per qualche secondo.

Mi guardai la mano che mi aveva stretto.

Non credevo possibile una cosa del genere: per una volta in un ragazzo la bellezza era direttamente proporzionale alla gentilezza, e non inversamente.

Mi avviai nella direzione dell’aula della professoressa Jones, ancora moralmente per terra, ma almeno non stavo strisciando.

 

 

 

Jade’s place:

Quarto capitolo bello pronto per voi! :P quello stronzetto di James ha umiliato Vanessa, che si è fatta consolare un po’ dalla nostra Mariah e un po’ da Aiden xD ma si saprà rialzare, perché lei è forte!! Nonostante sia un po’ imbranata o___o per questo mi rispecchio bene in lei, anche io sono un’imbranata certe volte :P spero mi continuerete a seguire. Grazie mille dei commentino che mi lasciate, mi danno un piacere immenso!!!! Anticipazioni time!!!

Nel prossimo capitolo...

"Dio, l’aveva visto. Si stava insospettendo e stava venendo a controllare. “Oh mamma, e adesso che faccio?! Devo avvertirlo! Oddio, come faccio, come faccio…?!”

I miei occhi sbarrati e il mio viso che stava diventando repentinamente pallido malcelavano la forte emozione che provavo in quel momento. Sapevo di dover avvertire Aiden che Garden stava venendo a controllare, ma ciò avrebbe significato… quel che avrebbe significato."

Jade
PS: non dimenticate di passare dalla MIA PAGINA! Ora ha pochissimi iscritti perché l'ho appena creata ma siete voi che farete la differenza se metterete "mi piace" ;D
PPS: se non avete altro da fare o se vi piacciono le mie storie, allora andate a dare un'occhiata a Superbia e Presunzione e Violet - Annabelle's diary. Vi attendo numerosi, sia lì che nei miei prossimi capitoli!!
   
 
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