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Autore: rospina    12/11/2011    2 recensioni
La seconda guerra mondiale incombe sull'Europa e sull'Italia, tutto appare uguale e diverso da sempre, perchè il vento impone la sua danza e i suoi tempi e non resta altro che muoversi ai suoi ritmi per non essere spazzati via...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ma questa immensa felicità non fu che un attimo, così come era arrivata si infranse come un muro di cristallo:

“Oh Federico, quanto vorrei che il tempo si fermasse in questo momento. Ma non è possibile! Troppe cose sono cambiate in questi anni, tu al tuo fianco hai una donna, io ho degli obblighi …”

“Ma io non la amo, e Inès non ama me!”

“Come fai ad esserne certo?”

Lui raccontò del loro patto, della malattia di Inès e tutto il resto …

“Non puoi essere certo che per lei sia rimasto tutto come allora …”

Il cuore dell’uomo si gelò, non aveva pensato a questa eventualità. Pensò che quello sarebbe stato uno scherzo del destino per fargli pagare i suoi errori, le sue scelte così sbagliate, socchiuse gli occhi e subitamente gli vennero in mente alcune situazioni in cui l’atteggiamento della sua fidanzata era cambiato nei suoi riguardi: che fosse realmente innamorata di lui?

Passò oltre la figura di Giulietta, dal pavimento rivestito di legno raccolse la camelia e con dolcezza l’appuntò sui capelli di lei, proprio come fece qualche anno prima; ma questa volta all’orecchio le sussurrò:

“Perdonami … se solo potessi tornare indietro lo farei … ma non posso, ed allora ti chiedo solo di ricordarmi come qualche anno fa … non ciò che sono adesso”

Giulietta Paso non ebbe il tempo di rispondere, la voce stridula di donna Adelina le entrò nelle orecchie:

“Oh ma che bella coppietta, la sua fidanzata sta per morire e lei …” guardava con cattiveria Federico, e poi girandosi verso Giulietta proseguì “ho sempre saputo che eri una sgualdrina da quattro soldi … è per questo che a suo tempo ti ho cacciato dalla mia casa, saresti stata capace di ingannare mio figlio con le tue stupide moine” il piccolo corpo di quella donna era in grado di contenere una cattiveria infinita.

“Paris mi aiuti …” mormorò Inès ormai steso sul divanetto

“stia tranquilla farò tutto ciò che desidera” la donna si appese alla cravatta dell’uomo che le stava a lato, avvicinò il suo volto a quello di lui e a fior di labbra sussurrò:

“mi aiuti ad ottenere ciò che voglio …” in quell’istante entrarono Federico e Giulietta. Vennero osservati in silenzio, Federico si accostò alla fidanzata e chiese piegandosi su di lei:

“che ti succede?”

“Ho tanto male qui …” si portò una mano sul petto, e con gli occhi cercava Fabio, che ormai era distante e aveva preso posto accanto a Giulietta cingendole le spalle con un braccio, quella scena le provocò un'altra fitta, forte come quella che avuto pochi minuti prima, e stavolta guardando Federico Inès  farfugliò: “Non sapevo dove fossi, e io mi sono sentita morire …” Federico Sepúlveda sbiancò. Questa volta fu lui ad avere una fitta al cuore. Giulietta guardò Fabio e si strinse a lui. Guardò fuori dalla finestra e poté vedere il vento.  Vedeva il vento danzare.

Vedeva ciò che era impossibile vedere e toccare.

Il vento.

 E lui faceva la sua danza.

Incurante di ciò che accadeva nelle stanze di quelle case. Due lacrime le scesero dai grandi occhi neri, capì che tutto era finito, tutto era svanito. Lei non era più una ragazzina che viveva di sogni ed illusioni, non era più la Giulietta che era rimasta legata ai ricordi di un amore dolce era una donna che aveva fatto i conti con la realtà, una vita che mai avrebbe immaginato vivere. Fatta di ricchezza e tristezza allo stesso tempo. In quel delirio della sua anima torturata da tanti dolori, oltre a vedere l’invisibile tristezza del suo cuore e quella di Federico , udì il vento, che mentre ballava rideva.

Un riso cinico.

Ironico.

Ancora una volta incurante e crudele

Si spalancò la finestra, che provocò un forte trambusto, ed il vento entrò: violento, a schiaffeggiare il volto di Giulietta. La giovane donna abbassò gli occhi, infilò il suo braccio in quello di Fabio e senza guardarlo negli occhi disse:

“andiamo … hanno bisogno di stare soli …”.

Non appena i due passarono la porta del salotto, corse loro incontro Tommaso, il figlio di Adelina , che ansante disse:

“Ci sono i soldati tedeschi …” aveva occhi pieni di paura, sapeva di essere un obbiettivo per i soldati, sapeva che rischiava di essere preso ed essere portato via. Giulietta capì il suo terrore, con sguardo d’intesa concordò con Fabio una tacita richiesta. Prese il ragazzo e lo accompagnò nella sua stanza, dove vi era ancora  Diletta che giocava con Alessandro:

“Zia! Avevi promesso di  giocare con me”

La donna si chinò su di lui e baciandolo le disse:

“No amore, ascoltami bene, tu adesso stai qui buono buono, stai qui con Diletta e Tommaso, in silenzio.”

Il bambino, che era ormai divenuto un ometto annuì. Senza fare domande, si sedette sulla sedia che usava sempre la zia per pettinarsi. Sapeva che era inutile fare domande.

Nessuno aveva le risposte che cercava.

Dieci giovani ragazzi in divisa verde, e due ufficiali in alta uniforme erano entrati in casa Paris battendo i piedi e facendo sentire la loro presenza.

Con voce squillante si rivolsero a Paris, che l’era andato incontro tendendogli la mano.

L’alto ufficiale, con forte accento alemanno disse:

“Io non volere stringere la mano a traditore …”

Fabio cadde dalle nuvole, non riuscì a capire cosa stesse accadendo, tutto il frastuono richiamò l’attenzione di Federico, che si recò nell’atrio.

Vide il volto di Fabio bianco come un cencio, e Giulietta poco distante che guardava la scena. Con fermezza e senza esitazione raggiunse l’atrio, dove un enorme lampadario in cristallo sovrastava immobile le loro teste. Allungando una mano si presentò:

“Sono l’ambasciatore Sepúlveda”

Gli uomini di fronte a lui rimasero in silenzio. Si guardarono per un istante, poi allargando un sorriso sulle loro labbra strinsero quella mano sospesa a mezz’aria:

“Ci scusi ambasciatore, noi siamo qui per Paris, non per lei, però ci fa molto piacere incontrarla, il nostro Führer ha una grande reputazione della sua nazione, e pensa che suo figlio sarà un grande uomo …”

“Mio padre sarà orgoglioso di sapere cosa pensate di me” rispose lui secco. Lo avevano scambiato per suo padre, gli aveva dato fastidio quell’accostamento, perché lui non condivideva le idee politiche di suo padre. Un padre padrone, che aveva scelto per lui sempre, fino all’ultimo, per questo si ritrovava a dover stringere mani a uomini viscidi, che avrebbe volentieri portato alla forca piuttosto che sorridergli falsamente; ma gli rimbombavano ancora nelle orecchie le parole di sua madre, quando le aveva consigliato di non fare il ribelle, fu così che decise di gabbare quell’uomo che aveva sempre deciso anche per lui. Aveva deciso di seguire passo passo le sue regole, le sue leggi, perché suo padre non sarebbe mai potuto entrare nella sua mente, scoprire i suoi pensieri, e così quando era ripartito per l’Italia il padre gli aveva detto:

“Sono felice che tu abbia capito cosa conta davvero nella vita:soldi e potere, tutto il resto non ti porterà mai a nulla … va’ e fa’ si che Italia e Germania spendano il più possibile in armi e argento … noi gliene daremo quanto ne vorranno …”  gli aveva sorriso stringendolo,mentre sua madre da lontano lo accarezzava con lo sguardo, le parlava con lo sguardo, con i suoi meravigliosi occhi le diceva quanto lo amava e quanto lo sosteneva, lei che le leggeva l’anima e il pensiero, sapeva che suo figlio non si era fatto corrompere, e quando lo salutò le disse solo:

va’ fai risplendere ciò che il tuo cuore ti detta, e se per caso un giorno ti troverai in difficoltà su quale strada seguire … segui sempre la più difficile, solo così saprai che è quella giusta” si asciugò le lacrime e lo vide scomparire.

Adesso per Federico era giunto il momento di seguire quel consiglio, in quel momento non sapeva che fare, ma ebbe paura che accadesse qualcosa a Giulietta, e sapere che i nazisti erano sulle tracce di Paris, voleva dire che lui realmente si era pentito! Nonostante tutto questo lo facesse morire dentro, doveva difenderlo! A gran voce chiamò Donna Adelina, che in un istante comparve:

“Portaci del tè nel salotto dove è la mia fidanzata”  la donna annuì e disparve, mentre Federico si giustificò:

“Vogliate scusarmi, ma la mia Inès si sente poco bene”

I volti contratti di tutti i presenti si sciolsero, e una volta raggiunta la stanza Paris chiese:

“Posso sapere a cosa devo la vostra visita?”

“Certamente, stiamo cercando un giovane, si chiama Tommaso Conti, figlio di un insegnate ebreo, e ci hanno detto che lavora qui”

“Si sta sbagliando di grosso, perlomeno, qui è da tempo che non ho più aiutanti, se escludiamo la povera Adelina, che di sangue ebreo non ha traccia” rise. Ma quella risata venne interrotta dalla voce debole di Inès che in spagnolo chiese:

ma siete sicuri che il giovane autista non sia proprio il ragazzo che cercano?”

Calò il silenzio.

Federico incenerì la donna con lo sguardo. Forse i soldati non avevano capito. La situazione venne smorzata da Paris che raccontò una barzelletta anti-ebrea, tutti risero .

Giulietta si alzò di scatto, e disse:

“Scusatemi, mi sono appena ricordata che devo preparare la merenda ad Alessandro”

“Chi è Alessandro?” chiese un ufficiale mentre posava la sua tazza di te

“E’ il figlio di Giulietta” disse con slancio Fabio.

Dopo qualche istante che Giulietta non era più tra gli invitati Federico si alzò con una scusa e disparve.

Raggiunse Giulietta nella sua stanza:

“Perdonala … non so perché Inès si stia comportando in questo modo!”

“Non è di lei che mi importa, ma di Tommaso e Diletta, sono nascosti nella mia stanza” entrarono, e li videro che stavano giocando con Alessandro, Giulietta disse:

“Tommaso i tedeschi sono qui per te! Devi scappare!”

Diletta si sentì morire.

Il suo Tommaso era in pericolo, che poteva fare? Dove poteva andare? Iniziarono a scenderle delle grosse lacrime, mentre Alessandro chiese:

“Perché piangi? Vogliono portare il tuo Tommaso dove c’è anche la mia mamma e il mio papà? Non piangere, se si incontrano poi tornano tutti assieme” a Giulietta le si gelò il sangue nelle vene. Nonostante avesse fatto l’impossibile per farlo vivere in un modo fatto di  ovatta, lui aveva capito tutto, e allungando le sue mani, che ormai arrivavano chiaramente al volto di Diletta, le asciugò le lacrime. Diletta lo abbracciò e lo mise fra le braccia della zia, non voleva farsi sentire piangere in quel modo. La tristezza si era impadronita di loro, e la paura regnava incontrastata.

“Tommaso, ascoltami – Federico si rivolse al giovane uomo che le stava di fronte –ho degli amici fidati alla frontiera, potresti partire e raggiungere l’Argentina. Ma devi essere pronto a lasciare tutto, lì ti daranno un nome nuovo, una nuova identità, non sarai più Tommaso Conti, sei disposto a farlo?” erano occhi negli occhi, gli stava offrendo un biglietto di sola andata in una terra lontana, ma il prezzo da pagare era alto, doveva annullare il suo passato. Guardò Diletta, che avvicinandosi le disse tra le lacrime:

“Vai, non pensare a me … preferisco pensarti lontano da me, che morto!” lo abbracciò e lui le baciò le labbra.

“Giulietta, tu scendi in cucina col bambino e preparagli in fretta un pezzo di pane e marmellata, quelli non sono stupidi, se ti chiedono di me, di che mi hai visto entrare in bagno!”

Giulietta seguì le sue istruzioni; infatti si stavano già chiedendo dove fossero finiti, e vedendo Alessandro tutto sporco di marmellata sorrisero.

Tommaso doveva decidere subito.

Annuì. Era pronto a fare quell’immenso sacrificio. Federico lo abbracciò:

“Sapevo che avresti preso una saggia decisione – poi all’orecchio gli sussurrò –non fare il mio stesso errore portala con te!” solo in quel momento sulle labbra di Tommaso si formò un sorriso,largo e disteso, e chiese a Diletta:

“Vieni con me?”

“Si! Si! Si! Mille volte si!” le rispose la giovane.

“Bene, ora che è tutto sistemato ascoltami bene, non potete portarvi  nulla, stanotte alle tre vi incontrerete con un uomo che ho conosciuto al porto, è un giovane sardo, si chiama Giovanni Peroni, mi pare una persona di polso e ha grandi idee, con lui vi imbarcherete e inizierete una nuova vita. Sappiate che non dovrete mai voltarvi indietro, non scrivete, non tornate … dimenticatevi questa patria, e cercate di essere felici”.

Arrivò l’ora della cena. Fino ad allora nessuno aveva più parlato del giovane Tommaso.

“Paris, noi dobbiamo cercare Conti, ci hanno detto chiaramente che era qui!”

“Ma è tardi! Lo cercheremo domattina …”

“No! Voi italiani siete abituati a rimandare il lavoro, noi no!”

Iniziarono le loro ricerche, controllarono ovunque, dopo ore di ricerche gli ufficiali si congedarono:

“Le dobbiamo delle scuse … aveva ragione lei”.

Finalmente disparvero.

 

   
 
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