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Autore: Leitmotiv    13/11/2011    2 recensioni
Pia conosce perfettamente l'arte del mentire agli adulti.
Cain s'illude di poter capire le persone con una sola occhiata.
E poi ci sono gli altri, a scuola, per strada, in quelle simmetriche case della working class di Manchester.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ammirazione


                                                                     AMMIRAZIONE








La classe di Cain era composta da una quarantina di elementi, ed era una delle classi piu' chiassose del liceo.
Le quattro mura, rallegrate da poster di natura didattica e qualche stampa artistica, ospitavano almeno una decina di stereotipi tipici di una classe.
C'era quello grasso e arrogante, il teppista brufoloso, la spia dallo sguardo nervoso, il lezzone con le unghie sporche, quello che riscuoteva successo fra le ragazze, i gemelli antipatici, il presunto "finocchio"e via discorrendo. Cain faceva parte della categoria "simpatico ma riservato", categoria a cui appartenevano tutti quei ragazzi che non avevano tanta voglia di avere a che fare con gli elementi piu' esuberanti della classe. E per esuberanza, s'intendeva "casino".

Cain era un ragazzo sveglio, bravino negli studi, considerato simpatico dai coetanei piu' agitati finche' si trattava di  ridere ai loro scherzi, spesso crudeli, non fare la spia e suggerire durante i compiti o le interrogazioni. Tre regole basilari che  Cain Turner, allora matricola,  non si era fatto sfuggire ai fini di sopravvivenza fin dai primi giorni di scuola.
Una delle sue presunte qualita' era quella di  saper  inquadrare le persone con poche occhiate critiche, ed era una di quelle attivita' quotidiane che lo gasavano moltissimo.

Per tutta la giornata scolastica Cain aveva lottato contro il prurito che la carta velina gli stava procurando al fianco, ed il pensiero che la realizzazione del suo tatuaggio fosse appena all'inizio, lo stava convincendo che forse non era stata poi un'idea grandiosa farsi fare un tatuaggio permanente da una ragazzina di quattordici anni, giusto per risparmiare una manciata di sterline. Gli studi di tatoo costavano un botto, troppo per le sue tasche.
- Se prude..cazzo! - aveva pensato piu' volte, stringendo il lapis fra le dita.
- Non hai un'aria molto rilassata, oggi - constato' il ragazzo che era solito sedersi nel posto alla sua sinistra, sporgendosi verso di lui. Jhonny Hans, un biondo slavato che dimostrava almeno cinque anni in piu' dei suoi coetanei - Dopo ce ne andiamo dietro l'emporio, ho una paio di sigarette artigianali che potrebbero fare al caso tuo.
Cain storse il naso - Non c'entra il nervosismo, e' che ho una cosa fastidiosa appiccicata al fianco - Jhonny era un ragazzo a posto, ma non voleva rivelargli che si stava facendo fare un tatuaggio da una del primo anno, perche' in verita' era un gran tirchio - E' un cerotto - aggiunse, prima che l'altro ci posasse le dita per controllare.
- E dove ti sei fatto male? Le hai prese?- chiese il biondino, sottovoce, tornando  con le braccia conserte.
- No... sono rimasto agganciato ad un...un coso sporgente nella rimessa della scuola.
- Eri andato lì per fumare?
Cain colse il suggerimento al volo, ed annuì, tornando con lo sguardo alla lavagna, dove il professore stava appuntando alcune note di biologia.

Dopo le lezioni il giovane Turner  uscì di fretta dalla classe, seminando Jhonny  ancor prima che questo finisse di riporre i libri nello zainetto.  Arrivo' alla propria abitazione, un isolato distante da quella di Pia, saluto' velocemente sua madre  che stava discutendo animatamente al telefono con sua zia su quale colore si adattase alle nuove piastrelle del bagno, e chiuse celermente la porta della propria camera.  Camicia e pantaloni volarono sul letto in meno di venti secondi.
Si posiziono' di fronte alla specchiera interna dell'armadio, circondata da una cornice di piccoli, stravaganti  ritagli di giornale - Stai a vedere che mi sono gia' beccato un'infezione... - penso',  togliendo delicatamente i cerotti .
La porzione di pelle su cui Pia aveva cominciato a puntinare l'inchiostro continuava ad essere arrossata come il giorno precedente, ma non aveva un'aria allarmante. Cain  avvicino' il fianco al vetro della portafinestra, che dava sul cortile, l'unica superficie fresca che la stanza gli offriva.  

- Anche se le creazioni di Pia che ho visto addosso agli altri studenti non sono affatto male,  e' pur sempre una cazzo di ragazzina...e' lenta, e mi chiedo quanta esperienza possa avere - Poggio' la fronte al vetro trasparente - L'altro giorno ho fatto lo splendido con lei, ma in fin dei conti non sono stato capace di dirle che forse dovevo pensarci un po', prima di ingaggiarla... Ma ormai le avevo gia' infilato lo schizzo da realizzare nello zaino. Non potevo fare la figura del coglioncello e  tirami indietro.
Il cellulare che aveva lasciato nei pantaloni vibro', fuoriuscendo dalla tasca sul piumone - Sul display apparve il nome  "Pia T", e la T stava per tatoo. Non che conoscesse altre ragazze con quel nome,  anche se aveva scoperto da una targhetta appesa al suo zaino, che il suo nome completo era Porthia Hunt, ma evidentemente la ragazza trovava piu' consono ed immediato l'abbreviazione in Pia.  Era una cosa da lei, aveva pensato immediatamente Cain.
Quest'ultimo lesse l'sms che gli era stato inviato, stavolta poggiando il fianco arrossato alla specchiera.
- Non scordarti i soldi. Non suonare il campanello, la vicina mi tiene d'occhio quando i miei non ci sono. Quando sei vicino casa fammi uno squillo, ti lascero' la porta aperta, entra subito. Non venire prima delle otto.

- Sembra un ordine da Scotland Yard.
Sospiro', digitando velocemente la risposta , ovviamente, di natura umoristica - Pensi che dovro' togliermi le scarpe gia' in strada e mettermi un passamontagna, o posso entrare come un cristiano qualunque?
La risposta arrivo' in un battibaleno - Non sono cristiana, non capisco quello che vuoi dire.
Cain non capì subito l'accento sarcastico di quelle parole, e comunque non fu del tutto certo che si trattasse veramente di  sarcasmo.


Alle otto e un quarto, Cain si trovava quasi davanti all'abitazione di Pia.
Immedesimato nello spirito di segretezza di quell'incontro, si nascose dietro  un furgone parcheggiato lungo il ciglio della strada, e fece uno squillo alla ragazza, tenedosi pronto allo sprint finale nella sua abitazione; spio' entrambe le case adiacenti a quelle di lei per individuare la vicina ficcanaso, ma nessuna delle due case sembrava illuminata.  Da sotto la luce debole dei lampioni, non poteva scorgere se la porta era stata aperta o meno, così, dopo qualche secondo di titubanza, si tolse veramente le sneackers che indossava, e balzo'scalzo verso casa Hunt.
Cain entro' e si richiuse la porta alle spalle, tutto teso nello sforzo di non far scattare rumorosamente la serratura.

Pia se lo ritrovo' addossato alla porta della propria abitazione, con le scarpe in mano ed il suo ombrellino scozzese sotto braccio.
- Ti sono diventati i calzini marroni - Osservo' placidamente, recuperando il suo ombrellino dalla stretta ascellare del ragazzo.
- .... - Cain avrebbe voluto sparare un qualche tipo di bestemmione, ma il pensiero della vicina appostata nel buio, con l'orecchio appiccicato alle mura, lo fece desistere immediatamente - Magari ora mi tolgo anche questi... - sussurro'.
- Te ne daro' un paio pulito, piu' tardi. Non avrei mai pensato che ti saresti tolto veramente le scarpe, avevo capito che stavi scherzando, e invece... - gli sorrise sorniona, da sopra la spalla - Ho gia' preparato tutto.
 Cain avrebbe voluto spiegargli che era stata lei, piuttosto, nell'sms di risposta di quel pomeriggio, ad essere stata decisamentete poco chiara, ma riuscì a partorire solo una breve domanda, che apparentemente  non  sembrava c'entrare nulla in quel frangente - Pia, sei cristiana?
La ragazza devio' in cucina, ed estrasse due tazze da una vetrina dal disegno moderno ed essenziale - No - rispose un po' sorpresa.
- Ah, ok - Cain si gratto' la tempia, e girello' per la stanza - Hai gia cenato? - chiese, sbirciando del pentolame sporco nel lavello a due vasche.
- Non si sente l'odore? - disse, indicando una pentola di ceramica bianca, adagiata sui fornelli spenti - E' zuppa - Si avvicino' ad un bollitore elettrico - Ho fatto una tisana, così almeno ti rilassi un po' mentre ti tatuo. Puoi bertela anche tutta, così sarai costretto a tenere una tazza in mano tutto il tempo ed eviterai di muoverti in maniera sconsiderata...
Il ragazzo aggrotto' le sopracciglia, ma i suoi occhi chiarissimi parevano sorridere come al solito.

I ragazzi si spostarono in camera. Pia poggio' sulla scrivania il vassoio con le tazze e l'infusore, facendo cenno al ragazzo di togliersi  cardigan e t-shirt. Stavolta prese gli abiti del ragazzo e li piego' sulla poltrona da lettura. Riconobbe il profumo che usava Cain, una fragranza fresca, appena riscaldata da lievi toni legnosi di sandalo ed un altro aroma che i suoi sensi non sapevano definire; lo aveva sentito anche la prima volta che si erano incontrati  nell'angusto ed umido deposito delle  attrezzature della piscina scolastica, ma non l'ultima volta che era venuto a casa sua.
Non gli aveva chiesto che profumo usava, anche se le piaceva davvero molto,  e probabilmente non avrebbe mai ammesso davanti al suo proprietario che lo trovava di suo gusto. Le sembrava un'inutile provocazione, un richiamo all'attrazione dei sessi, ed in cuor suo sapeva che Cain non avrebbe perso l'occasione per dire, maliziosamente, la sua.
- Versati da bere e siediti. Stavolta abbiamo un bel po' di tempo - disse, indossando i soliti guanti di lattice.
- I tuoi non tornano a casa, stanotte?
- Oh no. Torneranno, ma sono andati in un cinema con rassegna al seguito, fuori citta'. Non torneranno prima delle tre - si mise in posizione sullo sgabello, ed accese la macchinetta ronzante - Mio padre esagerera' sicuramente con l'alcol al rinfresco, e mia madre, che ha una guida molto prudente, ci mettera' il doppio del tempo a rifare lo stesso perscorso. Garantito.
- Ma senti un po'! - esclamo'  il ragazzo, colmando le tazze con una tisana semitrasparente ma profumatissima.

Un aroma di liquerizia, finocchio ed una pianta di cui Cain non si ricordava il nome, si diffuse per la stanza.
 Pia era gia' china e concentrata sul suo fianco sinistro, con l'ago in una mano, ed un panno per tamponare l'inchiostro nell'altra.  Con il passare dei minuti, avvolti nel silenzio e nell'aroma di tisana, la mano che stringeva il quadratino di cotone puntinato d'inchiostro, si era rilassata sull'anca del ragazzo; Cain sentiva  il contatto con il lattice del guanto, ed un lembo sfilacciato del panno solleticargli la pelle.  Rimase tuttavia concentrato sulla propria immobilta'.  Abbasso'  lo sguardo alla fronte di Pia, ai suoi capelli biondastri e la frangia lucida e scomposta. Era così lunga da impigliarsi nelle ciglia, e da nasconderle perfettamente le sopracciglia; Cain si chiese se erano piu' scure dei capelli, o  nordiche e chiarissime. Non se lo ricordava, non ci aveva mai fatto caso. Poi lo sguardo scese sul profilo ed oltre, e, siccome i suoi occhi erano pur sempre comandati da un cervello maschile, sbircio' la forma del suo seno, ma la felpa informe che  la ragazza indossava non gli suggeriva granche'.

Pia sollevo' un attimo lo sguardo, forse sentendosi osservata, ma Cain era gia' tornato a fissare gli intarsi della porta laccata di bianco che gli stava davanti.
Dopo un po' fu lui a rompere il silenzio.
- Senti Pia, ma la tua vicina non si chiedera' che cosa e' questo ronzio?
La ragazza si prese un attimo di pausa, sorseggiando un po' di tisana - La vecchietta  dorme al piano di sotto, perche' ha paura di fare le scale di notte, e da lì non puo' sentire cosa sto facendo in camera mia. Ma anche se stessimo al piano di sotto, non distinguerebbe le nostre voci dalla tv o questo ronzìo da un elettrodomestico... Io mi devo preoccupare solo del suono del campanello.
- Hai sempre una risposta per tutto.
- Piu' che altro ho orecchio - disse, afferrandosi un lobo.

Le ore passarono alternandosi fra una sorsata di tisana, ormai fredda, il rumore monotono del marchingegno che pompava  inchiostro, e delle brevi pause di entrambe i ragazzi, in cui Cain chiedeva a Pia la provenienza di  un qualsiasi, banalissimo oggetto della camera,  o  cercava d'introdurre una conversazione di tipo scolastico. E, sebbene i due ragazzi avessero molti piu' punti in comune di quanto si potesse pensare dall'esterno, Pia scoraggiava tutti i tentativi di Cain  senza  riservargli poi tanto garbo.

Piu' la ragazza schivava  i sorrisi  amichevoli, sempre un po' maliziosi, di lui  e piu' Cain si scervellava per catturare la sua attenzione.

A mezzanotte passata, Pia spense un attimo la macchina, con la preoccupazione che il suo prezioso acquisto potesse surriscaldarsi. Dette un'occhiata al led azzurro dell'orologio e  stiracchio' le membra.
- Ma i tuoi ti lasciano rincasare a che ora vuoi?- chiese al ragazzo.
Cain si era alzato, muovendosi in una serie di buffi piegamenti - Quando mia madre torna dal bingo, non passa mai da camera mia.  Io ho l'abitudine di chiudere a chiave la porta durante la notte, e se la sera esco di nascosto chiudo la stanza dall'esterno e lascio l'abat-jour accesa, così , vedendo la luce da sotto la porta, pensa che mi sono addormentato leggendo.
- E tu ogni volta fai così? E non  hanno mai sospettato nulla, i tuoi?
- Che vuoi che ti dica....non e' che io esca spesso di nascosto. Per ora ha sempre funzionato - disse, scrutando il panorama un po' scarno che s'intravedeva dalla finestra della camera: un albero da frutto,  un quadrato di giardino ed una sdraio di vimini.
- Anche io fino ad ora l'ho fatta franca. Ma ora risiediti, mi manca davvero poco. A proposito...ti piace come sta venendo?

Solo all'ora Cain si rese conto di essersi disinteressato dello scopo principale di quell'incontro clandestino. Sfioro' il fianco con le dita, sbattendo gli occhi, come ridestato da un sogno ad occhi aperti - Hai uno specchio?.
Pia aprì la porta di un piccolo ripostiglio, a cui era appeso uno specchio lungo e ovale. Cain intravide diverse pile di scatole da scarpe, e le invadenti torri di libri di cui la ragazza gli aveva parlato.
Solo a quel punto il moro si rese veramente conto di come il suo tatuaggio si era evoluto in un elaborato, seppur di piccole dimensioni,  incastro di geometrie morbide e fogliame antico. Pia era riuscito a sviluppare lo schizzo un po' maldestro che Cain gli aveva suggerito, in un blasone  avvolto da una serpe ed un intricato labirinto di foglie.
Il tatuaggio era privo di colore, ma ogni figura si stagliava gradevolmente, in un equilibrio che lascio' Cain privo di parole. Voleva complimentarsi, ma non gli venivano le parole giuste per farlo.

Pia sorrise appena, cogliendo lo stupore negli occhi del ragazzo.
- Lo vogliamo finire? - gli suggerì, riaccendendo l'apparecchio.

Cain annuì, fissando qualche attimo ancora la sua immagine riflessa nelllo specchio - E' incredibile - sussurro', infine. Poi torno' al suo posto.
- Pensavo che ti saresti innervosito perche' non e' identico al tuo disegno - dissse, puntando l'ago sulla carne.
- Non c'e' paragone con il mio disegno... Non so se era esattamente quello che avevo in mente, non sono riuscito ad esprimerlo nemmeno in quella schifezza che ti ho disegnato. Ma quello che hai fatto tu e' come se me lo avessi letto nel...nel subconscio. E' giusto parlare di subconscio? - Pia scosse il capo - Bhe, nemmeno io lo so, ma tu hai scovato una cosa che stava nascosta nella mia mente e l'hai disegnata sul mio fianco.
- Ho solo provato ad immaginare cosa fosse adatto a te, ed ho seguito l'armonia delle forme - affermo' lei, senza alzare lo sguardo dal lavoro certosino cui si stava applicando - Anche i sarti fanno lo stesso per  i loro clienti, no?
 -Sì...credo.


Quando Pia termino' il proprio lavoro,  aveva gli occhi un po' arrosati dalla stanchezza, ed il ronzìo della macchinetta le aveva saziato i timpani. Corrugo' la fronte, mentre avvertiva  un lieve mal di testa salirle dalla cervicale alle tempie.
- Mi puoi dare i soldi, prima di andare via?
Cain si era rivestito, non prima di aver ammirato diverse volte la creazione finita, sorridendo come uno scemo, e facendosi  applicare una nuova velina e dei  nuovi cerotti - Sì, certo... - estrasse alcune banconote dal portafoglio e gliele porse, disponendole a ventaglio - Sono tutti, no?
- Sì...- disse Pia, riponendoli nella tasca dei jeans.

Dunque non c'era molto altro da dirsi. Il tatuaggio era stato completato, ed  il pagamento era stato saldato. Entrambe i ragazzi rimasero alcuni attimi in silenzio,  e sulla faccia di tutti e due si capiva che avevano realizzato che non ci sarebbe stato un altro incontro. Le loro vite si erano gia' scrociate.
Si sarebbero salutati a scuola? Avrebbero scambiato ancora due parole, magari nel parco della scuola?  

Pia fu la prima a parlare - Scendiamo. Comincio ad avere sonno.

Cain uscì dall'abitazione con i propri calzini  infangati  in una busta di nylon, ai piedi ne aveva un paio pulito che gli aveva dato la ragazza, probabilmente appartenenti a suo padre.  Pia lo saluto' senza alzare gli occhi dal pavimento, ma Cain si fermo' ai piedi delle scale, quindi torno' sui propri passi e, chiandosi sul viso della ragazzina, sussurro' - Lunedì ti rendo i calzini. Ti mando un messaggio per metterci d'accordo.  Rispondimi, mi raccomando.














  
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