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Autore: Maricuz_M    16/11/2011    3 recensioni
Ilaria, una semplice ragazza di diciassette anni che, come la maggior parte dei suoi coetanei, usa spesso i social network. Facebook per gli amici, Twitter per sfogarsi.
Negli ultimi giorni estivi “fa conoscenza” con Anonymous. Entrambi sono all’oscuro dell’identità dell’altro.
Il nuovo anno scolastico non si apre nel migliore dei modi per Ilaria, costretta ad avere a che fare con Gabriele, trasferitosi da poco nella sua stessa città.
*Dal capitolo 2:
Per un secondo, incrociando quello sguardo color ghiaccio e quel volto di rara bellezza, mi dimenticai dell’istinto omicida dentro di me.
Non poteva essere vero. Era troppo bello per essere vero. Non poteva esistere un essere mortale così divino. Chi era la madre? Chi il padre? Dovevo assolutamente stringere loro la mano, avevano fatto un lavoro eccellente.
Si schiarì la voce “Posso passare o vuoi contemplarmi per altri dieci minuti?”
Mi pentii di aver sfornato così tanti complimenti tutti in una volta.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4


Anche il secondo giorno era iniziato malissimo.
I miei erano già andati a lavoro, mentre io, in ritardo, cercavo di infilarmi i jeans saltellando per la camera. Un classico. Mi preparai nel minor tempo possibile. Mangiai -o meglio, m’ingozzai- in due o tre minuti, poi presi lo zaino, uscii fuori e chiusi la porta.
Fregatura numero uno: pioveva.
Non avevo tempo ti cercare la chiave giusta, riaprire la porta e prendere l’ombrello, per cui tirai su il cappuccio della felpa e cominciai a correre. Fu terribile. Iniziavo a sentire la testa bagnata e lo zaino che mi sbatteva sulla schiena non mi dava una bella sensazione.
Poco dopo ero alla fermata del pullman, col fiatone e in ritardo. Controllai l’orario e aggrottai le sopracciglia, sotto la pioggia che continuava a scendere.
Bene. Pensai. Ero in anticipo di esattamente sette minuti, altro che ritardo.
Sospirai ed iniziai ad aspettare guardando una pozzanghera e le gocce che vi cadevano. Mi piaceva. Spesso mi perdevo a fissare piccoli particolari con un’attenzione maniacale, ad esempio un filo d’erba con un leggero vento. Mi dava un senso di armonia, la natura.
D’un tratto, non sentii più l’acqua cadermi sulla testa e sulle spalle. Continuai a fissare la pozzanghera. Non aveva smesso di piovere. Alzai lentamente la testa: un ombrello.
Mi voltai a destra, sempre con calma, quasi impaurita. Fissai quei due occhi chiari con insistenza, alla ricerca di qualcosa dire. Quel ragazzo doveva sempre comparire dal niente? Un giorno me lo sarei ritrovato in cucina a prepararmi il pranzo. Mi trattenni dal ridergli in faccia. L’immagine di Gabriele con un grembiulino, magari rosa, mi faceva ridere.
“Buongiorno signorina.” Mi salutò lui. Le parole contrastavano troppo con il tono di scherno che aveva utilizzato.
“Buongiorno.”
“Siamo di cattivo umore oggi?” Cristo, l’avevo a malapena salutato!
“Tutti i giorni, da quando ti ho incontrato.”
Ero veramente crudele con il nuovo arrivato, ma anche lui non era da meno. Ormai era andata in quel modo, ci odiavamo reciprocamente e ci saremmo odiati per molto tempo.
Sghignazzò dopo aver ricevuto la mia acida risposta. Passarono alcuni secondi in cui non dicevamo niente di niente, mentre lui continuava a tenere l’ombrello sulle nostre teste.
“..Beh?” fece lui ad un certo punto. Tornai a guardarlo ed alzai un sopracciglio. Che significava beh?
“Non mi dici niente?” Stava male?
“Io, a te, non devo dire niente.”
“Wo, tigre, ritira gli artigli. Volevo mi ringraziassi perché sto impedendo alla pioggia di bagnarti, ma fa niente.” E iniziò a fissare la strada davanti a sé.
Lo guardai. Sapeva che dicendo in quel modo mi avrebbe fatta sentire in colpa? Maledetto. Era come se sapesse già i miei punti deboli. Lo fulminai e lui parve accorgersene.
“Che ho fatto adesso?” mi domandò con gli occhi spalancati.
Scrollai le spalle perplessa. Quel ragazzo era veramente strano. Un attimo prima faceva il gradasso e quello dopo si preoccupava di quello che mi aveva fatto.
“Niente hai fatto, stavolta.” Dissi, infatti.
“E perché mi hai guardato male?”
“Ti guardo sempre male, che differenza fa se ti guardo male una volta in più?” non gli avrei mai detto la verità.
Sbuffò e lasciò perdere.
Passammo i successivi quattro minuti in silenzio. Notai che eravamo vicini, troppo vicini. Praticamente spalla a spalla. L’avrò ripetuto cinquantasette volte, ma non bastano mai: per quanto mi stesse sulle scatole, rimaneva il ragazzo più bello che avessi mai visto, anche se mi costava molto ammetterlo. Aveva anche delle belle mani.
Finalmente arrivò l’autobus. Da gentiluomo –se, vabè- mi fece salire per prima.
“Mi uccidi se mi metto accanto a te?” mi chiese mentre camminavamo per il piccolo corridoio del mezzo. Sospirai. Era anche una piattola, adesso? Scossi ugualmente la testa, infondo, se fosse rimasto zitto tutto il tempo, ce l’avrei fatta a sopportarlo.
Ci sedemmo e, poco dopo, partimmo.
Ero silenziosa a pensare al niente, con lo sguardo rivolto all’esterno e  il cappuccio calato sulla testa, ma mi sentivo osservata. Mi voltai verso di lui, trovandolo con la testa appoggiata al poggiatesta, che si chiamava così per un motivo ben preciso, e completamente rivolta verso di me.
“Perché mi stai fissando?” domandai, giustamente.
“Perché sei un tipo strano.”
“Senti chi parla..” borbottai, assumendo un espressione contrariata, come quella di una bambina che non riceve il suo giocattolo preferito. Sì, ero abbastanza infantile su questo punto di vista.
Sorrise, probabilmente per la mia faccia, poi continuò “Sei strana con me.”
“Perché non ti sbavo dietro come quelle galline di Cloe e il resto del pollaio?” alzai un sopracciglio, di nuovo. Non poteva essere per quello. Il suo ego era così spropositato?
“Non proprio. Non solo non mi sbavi dietro, mi odi pure. E per un motivo stupido!” disse, molto tranquillamente. Roteai gli occhi e mi passai una mano sulla faccia. Perché solo io dovevo avere a che fare con persone del genere?
“Ma tu di solito spalmi il gelato addosso alle persone?” domandai esasperata. Non c’era altra soluzione al suo definire stupido quello che mi aveva fatto. Ma da dove veniva?
“No, ma per te ho fatto un’eccezione.”
Lo guardai in modo strano. Non sapevo se essere spaventata, perplessa, sorpresa o indifferente. Scossi la testa e riappoggiai la testa al finestrino mormorando “Quanto manca..?”
Rise di gusto, come non l’avevo mai sentito. Bene, anche la risata era bella, quindi la pecca era unicamente il carattere. Quando smise, finalmente, non lo sentii più per tutto il tragitto. Aveva capito che non avevo voglia di parlargli. Ero quasi contenta, ma poi pensai che mi rimanevano sei ore da passare con quello spaccone accanto. Sospirai. Stessa cosa valeva per il giorno dopo, e quello dopo ancora, ancora e ancora! No, non potevo farcela.
L’autobus si fermò e lo seguii fuori. Siccome Gabriele andava con calma –troppa calma-, lo superai e mi diressi verso l’edificio. Entrai e mi avviai verso le scale, non curante e del tutto disinteressata a ciò che stesse facendo lui. Peccato che al secondo scalino mi sentii afferrare la mano. Mi voltai scocciata.
“Ehi tigre, fuggi? Non mi aspetti neanche?”
“Dovresti ringraziare il fatto che stia fuggendo e non stia attaccando.” Risposi, poi guardai le nostre mani, ancora unite, e continuai “E non ti prendere troppe confidenze.” Scrollai il braccio, mi girai e continuai la mia salita.
Wow, ero glaciale.
Lo sentii sospirare, poi me lo ritrovai accanto.
“Sai cosa?”
“No, cosa devo sapere?”
“Volevo provare ad instaurare un rapporto decente, quello dell’ombrello mi era sembrato un buon inizio e quella di fare conversazione una buona idea, ma tu non mi permetti di avvicinarmi più di tanto.” non lo disse con un tono accusatorio, ma mi fece uno strano effetto sentire quelle parole uscire dalle sue labbra “Per cui, se vuoi che il nostro rapporto non cambi da come è adesso, mi adeguerò. Potrebbe comunque essere divertente.” E finì con un sorriso che non aveva niente a che fare con il discorso appena fatto.
Continuai a salire le scale fissandomi i piedi senza rispondere. Perché non dicevo niente? In realtà un po’ mi dispiaceva, ma se pensavo a quello che era successo soli due giorni prima o il suo semplice modo di ribattere alle mie affermazioni, domande o qualsiasi altra cosa, mi faceva saltare i nervi a fior di pelle.
“Chi tace acconsente.” Disse poi, con tono duro. Quel ragazzo era per caso un po’ lunatico? “Ora, se vuoi scusarmi, passo da un’altra parte. Ci vediamo in classe.” Così dicendo, non so neanche come fece, sparì, lasciandomi sola.
Cesare aveva appena varcato il Rubicone. La guerra era aperta.
 
“Tu sei completamente rincoglionita.” La schiettezza di Selene continuava a colpirmi ogni volta. Comunque, quella frase era riferita a me. Avevo appena raccontato l’accaduto a lei e Dafne, dato che il diretto interessato ancora non era arrivato in classe. Che fine avesse fatto, non lo sapevo.
“Grazie.”
“No, no aspetta. Ma sul serio. Cioè, non te lo dico così per dire. Sei vuoi ti do anche le motivazioni.”
“Non servono.”
“Ila, dimmi solo una cosa” stavolta parlò la bionda, con la sua solita intonazione dolce “per quale motivo ti comporti così con lui? Ok, non ti ha fatto fare proprio una bella figura in gelateria, e capisco che sei arrabbiata perché non ti ha chiesto scusa, comunque avresti dovuto dirgli qualcosa e provarci. Lui a rimediare ci ha pensato.”
“Non ci ho provato perché sai come mi comporto con i ragazzi come lui, e non vedo il motivo per cui non debba ricevere questo trattamento anche Bonetti.” Ero testarda? Giusto un po’.
“Perché è gnocco!” urlò Selene sconcertata.
“Chi è gnocco?” arrivò alle nostre spalle Gianmarco, pensando che parlassimo di lui. Non lo considerò nessuno, tranne Dafne che era arrossita completamente.
“Che c’entra?” domandai a Selene.
“Una cosa del genere dovrebbe esser premiata.” Scossi la testa.
“Non da me.” Ribattei.
“Che succede qui?” arrivò anche Andrea. Cos’era, un affare dello stato adesso? In quella classe nessuno si sapeva fare i fatti suoi?
“Oh, oh! Si cazzeggia e nessuno mi ha detto niente?” ecco, mancava solo Davide. Qualcun altro?
“Niente è successo, niente!” sbottai io, azzittendo tutti. Tranne uno.
“Nervosa, tigre?” mi girai completamente, stringendo i denti. Dietro di me, Gabriele si stava comodamente sedendo su un banco, sorridendomi sornione e strafottente. La solita faccia a schiaffi. La distanza c’era pure. Se avessi alzato il braccio l’avrei preso, e anche bene.
“Non sono affari tuoi.” Ringhiai.
“Se sono io la causa, ne sono onorato.” Proseguì lui.
Inspirai profondamente. Non picchiarlo, Ilaria. Non farlo. Possibile doversi ritrovare a pensare cose del genere? Sì. Possibile.
“Ti senti così importante?”
“Abbastanza.”
“Credo di essermi perso qualcosa..” sentii Andrea sussurrare queste parole. Oh, sì. Se ne era perse tante di cose, ed erano passati solo due giorni dal primo –accidentale- incontro.
“Hola chicos!” la professoressa di spagnolo fece il suo ingresso proprio in quel momento. Ottimo tempismo.
Mi voltai e andai a sedermi al mio posto. Dire che lo odiavo era poco. No, era niente. Qualche secondo dopo mi raggiunse anche lui, ovviamente senza degnarmi di uno sguardo. Ok, lo ammetto, visti da fuori sembravamo due bambini capricciosi, ma era più forte di noi comportarci in questo modo.
“Tu.” Fece la prof.
“Io.” Rispose Gabriele, con la sua faccia tosta.
“Non ho mai visto il tuo faccino, quindi sei quello nuovo.” Faccino? Adesso anche la professoressa doveva ricordargli che aveva un bel faccino? Dove saremmo andati a finire di questo passo?
“Esatto, Gabriele Bonetti.” Lei annuì.
“Hai fatto spagnolo gli anni passati?”
“Beh, in teoria si, solo che il nostro professore non aveva una grande vocazione per l’insegnamento. Penso di essere un po’ indietro rispetto a voi.”
Da qui in poi, non ascoltai più. Iniziarono a parlare del programma che avevamo fatto e di quello che invece aveva fatto lui, e non mi interessava minimamente. Cominciai a scarabocchiare su un fogliaccio con la penna. Amavo disegnare. Amavo l’arte in generale, in realtà. Qualunque. Però le arti visive le preferivo a tutte. La pittura, la fotografia, la computer grafica e la videoarte. Mi piaceva sia vederla che farla, a differenza di quelle performative come la musica, il teatro e la danza che sì, mi piacevano, ma non ero esattamente intonata, brava a recitare o a ballare. Secondo me era anche una questione di carattere. Per esempio io, sul palco a fare una qualsiasi esibizione, non mi ci vedevo proprio. Potevo vederci Selene, con il suo carisma a fare l’attrice, o Dafne, con la sua grazia a fare la ballerina, ma io no.
“..Archi?” la voce della professoressa bloccò i miei pensieri. Alzai velocemente la testa e mi rivolsi a lei.
“Si?”
“Stavo consigliando al tuo compagno di banco di farsi aiutare da qualcuno, visto che gli mancano molti argomenti e non possiamo aiutarlo qui a scuola per questioni di tempo.”
Annuii perplessa. E a me che importa?
“Mi ha detto che abitate vicino, e visto che so che sei preparata nella mia materia, potresti aiutarlo tu!”
“..Le ha detto che abitiamo vicino?” domandai, senza aver realmente realizzato l’altra parte del suo discorso.
Riflettei, perché avrebbe dovuto dirlo? Non sapeva dove abitassi. Inclinai la testa. Forse aveva fatto due più due. Avendo preso l’autobus alla stessa fermata aveva pensato che non fossimo molto distanti. Cavolo.
“Sì, ha detto così. Cos’hai Ilaria? Sei un po’ sulle nuvole?”
Ridacchiai, infamandola però col pensiero “Eh, sa, le vacanze. Comunque si, è vero.”
“Bene, allora Gabriele, se ti trovi con Ilaria qualche pomeriggio non è un problema immagino.” A me non lo chiedeva nessuno?
“Assolutamente nessun problema.” Simpaticone! Certo che era un problema. Per entrambi lo era. Perché aveva risposto in quel modo? No, io lo sapevo il perché. Si sarebbe sacrificato pur di far patire me, sua ufficiale nemica. Voleva rovinarmi la vita non solo a scuola, ma anche dopo.
“Perfetto. Vi organizzerete, tanto siete vicini.” Le persone che mi stavano attorno erano tutte grandi osservatrici. Tutti tranne me, che avevo notato quel particolare solo quel giorno. Questa ovviamente era una frase ironica.
Io e Gabriele ci guardammo. Io con odio –inaspettatamente, voi direte-, lui con uno sguardo soddisfatto, come se volesse dirmi “Ciao! Sappi che se fosse possibile morire per sfinimento, tra 10 minuti ci sarebbe il tuo funerale!”.
Anche quel giorno, non parlammo molto. All’intervallo fuggii immediatamente, non vidi neanche Cloe avvicinarsi per provarci con quell’essere che mi stava accanto, cosa di cui fui immensamente felice.
Prendemmo lo stesso autobus, al ritorno, ma per fortuna ebbe il buon senso di starmi alla larga. Quando scendemmo, ci salutammo con un semplice cenno col capo.
 
Computer. Computer. Computer. Era il mio pensiero fisso. Mi buttai come facevo di solito sulla sedia e caricai le pagine dei miei cari social network. Avevo bisogno di Twitter e di sfogarmi.
E di menzionare Anonymous.
 

Credo che il destino esista e che ce l’abbia con me.

 
Non avevo neanche avuto scelta, quella volta, eppure era un fatto che mi avrebbe segnato per il resto della mia vita, purtroppo in negativo. Ottimo, quel ragazzo mi faceva cadere anche le poche certezze che avevo. Maledizione.
Misi un po’ di musica, di quella forte. Quella che ti fa muovere la testa con aggressività e che ti fa formare sulla faccia un’espressione violenta. Istinti omicidi on.
Una manciata di minuti dopo, la risposta del ragazzo misterioso.
 

Io invece continuo a pensare che sono gli uomini forti a creare gli eventi. ;)
 

Sarà. Pensai.
 



Ta tan. Rieccomi.
Ilaria e Gabriele oggi si sono dati guerra, non vi dico quanto durerà né se, effettivamente, lo farà. :3 
Volevo semplicemente mettere una frase ad effetto.
Non so bene cosa dire, quindi ringrazio ulteriormente chi mi "sostiene" preferendo, seguendo, ricordando e recensendo. Grazie anche a Vanilla Planifolia per il suo consiglio che ho cercato di seguire. :D
Solita cosa, se avete domande chiedete, sarò felice di rispondervi! 
Tra qualche giorno tornerò con il quinto capitolo!
Ciao!

Maricuz
   
 
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