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Autore: Hika86    17/11/2011    1 recensioni
Il sole e uno yacht, innumerevoli palchi per il Giappone e per l'Asia, stadi traboccanti di fan, voci che gridavano i loro nomi. Quella vita non era la loro [...] eppure dal loro primo contatto, non sapevano come, ma erano certi che quella appena ricordata era un'esistenza reale, fatta di momenti autentici di cui ricordavano suoni, sapori e sensazioni come se li avessero sperimentati sul serio. In quel turbinio di ricordi c'era una sola parola ripetuta all'infinito. «Arashi» dissero all'unisono tornando a guardarsi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'







Le albe non erano fatte per lui. Amava dormire, ma soprattutto adorava sonnecchiare vicino al forno, con il calore del fuoco e il profumo di pane fresco che si spandeva nell'aria. Il problema era che il fornaio era lui, quindi non poteva alzarsi più tardi nè addormentarsi vicino al forno. Ad alleggerirgli il carico c'era la sua famiglia fortunatamente. Prima tra tutti sua madre, che lo conosceva a sufficienza per arrivare al negozio intorno alle sei prima di tutto per svegliarlo nel caso si fosse appisolato sulla sedia nell'angolo della cucina e poi per cominciare a dargli una mano pulendo il bancone, le ceste e le mensole dove avrebbe messo il pane appena fatto. Senza di lei, si diceva mentre impastava con pazienza affondando le mani nel morbido miscuglio che avrebbe presto messo a cuocere, sarebbe stato perso. E non solo per il lavoro ma perchè sua madre c'era sempre stata per lui, anche nel periodo più nero della sua vita.
Al secondo posto, senza alcuna ombra di dubbio, c'era Kasaki. Ohno Kasaki era la sua figlia di cinque anni, il che faceva di Ohno Satoshi un padre. Un ragazzo padre per l'esattezza. La madre era stata la sua fiamma per tutti gli anni delle medie e del liceo, all'ultimo anno le si era finalmente dichiarato ed era stato ricambiato. Evitava di ripensare a quel breve periodo, dopo il diploma, in cui erano stati insieme. Il periodo in cui lei lo aveva ingannato riempiendogli le orecchie di belle parole, promettendogli la vita che voleva. Alla fine lo aveva lasciato solo, scomparendo dalla circolazione, con una neonata tra le braccia. Nonostante il primo anno di difficoltà, con la famiglia a sostenerlo era riuscito ad andare avanti e tra loro si era instaurato un rapporto magnifico: lui era il suo eroe, ma anche il papà sbadato da accudire ogni tanto, lei era la sua donna, il suo unico vero amore da coccolare, ma anche da guidare con sicurezza lungo il percorso della vita.
Il nome, Kasaki, lo aveva scelto lui.*
Diede forma alle pagnotte con grande pazienza, mentre canticchiava a bassa voce una melodia totalmente inventata o che forse aveva distrattamente sentito da qualche parte; con molta probabilità era la musichetta di sottofondo di qualche programma educativo di Kasaki. Tirò fuori dal forno la prima teglia e la lasciò sul tavolo a raffreddare mettendo dentro la seconda. Con uno sbadiglio preparò alcuni ingredienti per la pasta frolla, puntò il timer e si rannicchiò sulla sedia nell'angolo della cucina, rigirandosi tra le mani il matterello più piccolo.
Fuori era ancora buio, ma cominciava ad albeggiare lontano. Una prima striscia chiara di cielo era ben visibile lì dove i palazzi erano più bassi all'orizzonte.



«Masaki kuuuuun!!!» gridavano da fuori l'edificio «Il camion è caricato. Masaki!»
«Eccomi! Sto arrivando!» disse il ragazzo in risposta mentre scendeva le scale indossando una giacca leggera sopra gli abiti da lavoro. Qualche uccellino aveva preso a cinguettare timidamente da quando il cielo aveva cominciato a tingersi di un blu un po' meno scuro di quello tipico notturno. Si chiuse la zip della giacca uscendo sul retro del locale. «Ti ho messo la lista dei posti sul cruscotto. Fai attenzione mentre guidi» spiegò il giovane che lo attendeva all'esterno, richiudendo i portelloni posteriori di un furgoncino bianco
«Sì, grazie Yusuke kun. Penso di non aver bisogno della mappa stavolta» ridacchiò
«Sei sicuro? Ti perdi tutte le volte che abbiamo un nuovo cliente a cui consegnare» sospirò incrociando le braccia il fratello
«Sicurissimo, allora io vado» salutò aprendo la portiera di destra e salendo sul posto di guida
«Che fai? Aspetta!» lo richiamò l'altro. Dovette scendere dal furgone: si era dimenticato di allacciare il grembiule prima di indossare la giacca e risultava così tutto disordinato con i vestiti, non era una bella figura da fare davanti ai clienti. Mentre il fratello minore gli dava una mano guardò verso le finestre del secondo piano: vivevano tutti in una villetta unifamiliare e al primo piano avevano allestito un ristorante di cucina cinese. Si chiamava "Keikarou". Era un localino modesto, ma tutta la famiglia -ad eccezione di lui- se la cavava molto bene in cucina e avevano una piccola lista di clienti fissi che si facevano portare certe pietanze ogni giorno. Una mensa di una piccola azienda cinese fuori Tokyo, un ristorante etnico più famoso che si faceva portare i piatti più semplici già fatti, alcune mense scolastiche che davano anche piatti cinesi e sale da gioco o altri negozi all'ora di pranzo.
«Fai attenzione» salutò infine il fratello, facendo un passo indietro e agitando la mano. «Vadooo» sospirò salendo sul furgoncino e mettendo in moto. Lo osservò nello specchietto che continuava a fissarlo fin quando non svoltava l'angolo: Masaki non era bravissimo in cucina, a volte si perdeva quindi poteva sembrare inutile per aiutare la famiglia, ma risultava simpatico a molti clienti che decidevano di rifornirsi al "Keikarou" o di rimanere fedeli a loro proprio perchè si affezionavano al loro giovane fattorino.



Mentre faceva colazione gli piaceva guardare i programmi del mattino senza l'audio. Probabilmente era una specie di deformazione professionale, ma senza ascoltare niente gli riusciva più facile capire se un video era girato sufficientemente bene da lasciar capire il suo messaggio solo dalle immagini. Era fermamente convinto, infatti, che il primo mezzo di comunicazione di un video fosse, appunto, quello visivo e non uditivo.
Stava seguendo le notizie di "Mezamashi" mentre mangiava svogliato una ciotola di riso, agognando piuttosto un bel bicchiere di caffè espresso di Star Bugs. Quello che facevano in Giappone era più gustoso rispetto a quello che beveva in America tutte le volte che ci andava. Era anche più saporito anche se quando era stato in Italia per girare un cortometraggio... era lì che aveva bevuto il vero caffè. Quello lo aveva tenuto sveglio eccome! Infatti si era comprato una moka, ma si era dimenticato di prendere il caffè macinato quindi era rimasta sulla mensola dei souvenir dei tanti luoghi che aveva visitato. Principalmente prendeva polvere, ma poche cose non prendevano polvere in quell'appartamento: il letto e la cucina. Erano gli unici punti della casa in cui stava le poche volte che riusciva a tornare lì e a rimanere per un po', il più delle volte era un viaggio per qualche ripresa oppure rimaneva a dormire da colleghi di lavoro o negli uffici di montaggio.
Il silenzio assoluto dell'appartamento venne interrotto dal suono del citofono. Si alzò controvoglia ed andò a rispondere. «Si?»
«Ninomiya sensei? Il suo taxi è arrivato» risposero dall'altra parte
«Arrivo» concluse prima di chiudere la conversazione.
Solitamente non gli piaceva essere interrotto mentre era intento ad analizzare un video, ma non era poi così importante giudicare le inquadrature dell'ultimo servizio sull'autunno alle porte. Quella mattina il primo breathing per i suo futuro film era la cosa più importante: avrebbe incontrato il cast degli attori, avrebbe finalmente illustrato il suo progetto per quella pellicola. Adorava il suo lavoro, adorava infervorarsi nello spiegarlo agli altri. Finì in fretta il riso della ciotola e poi abbandonò le stoviglie nel lavandino, già pieno di altri piatti sporchi.
Indossò la giacca del suo completo bianco e mise gli occhiali da sole sul naso lanciandosi un'occhiata allo specchiò prima di uscire.



Entrò in cucina che già c'era un allegro chiacchiericcio. «Buongiorno» gli venne detto praticamente in coro da tutti i presenti. Erano seduti al tavolo sua madre, sua moglie, sua sorella maggiore Mei e la figlia maggiore: le donne di famiglia insomma. «Buongiorno a tutte. Il nonno?» domandò sedendosi con loro
«Ha già mangiato e si sta vestendo» rispose sua madre passandogli la caffettiera ancora fumante
«Papà! E' vero che tu e il nonno dovrete partire per l'Hokkaido il mese prossimo?» chiese la ragazzina al suo fianco in divisa alla marinaretta color rosso e arancione
«Staranno via solo una settimana, Akane chan» rispose la madre
«Ha ragione la mamma. Saremo subito di ritorno» spiegò lui con la mano sospesa sopra il piatto delle brioche, intento a scegliere quale prendere «Ma ti mancherò lo stesso, non è vero? E' per questo che lo chiedi?» fece tutto sorridente
«No, è che la zia Mei vuole portarmi con lei a fare spese, ma se ci sei tu a casa poi voi sempre sbirciare nei nostri sacchetti» ridacchiò la figlia nel vedere la faccia delusa del padre
«Sho kun, tra venti minuti siamo in macchina» annunciò il signor Sakurai comparendo sulla soglia della cucina in quel momento, sistemandosi meglio la cravatta. Sho salutò e annuì, pronto a rispondere, ma venne subito interrotto da un urlo vivace: un bambino di otto anni irrompeva in quel momento nella stanza. «Papàààà!!! Akane mi ha rubato di nuovo la calcolatrice che mi ha regalato il nonno!!» strillava con le lacrime agli occhi. Shu, il fratello minore di Sho, quindi lo zio, lo rincorreva con il berretto giallo in mano: si occupava lui di accompagnarlo a scuola dato che l'università era di strada, ma tutte le mattine era un incubo convincerlo a vestirsi senza prima tornare a strillare qualcosa agli altri della famiglia in giro per casa, chi a fare colazione, chi a vestirsi o a lavarsi i denti. «Mi serve! Alle medie si fanno tante verifiche sai? Tu ci giochi e basta, io devo studiare» ribattè la ragazzina stringendo tra le mani la cartella
«Non puoi prestargliela per oggi, Aki chan?» domandò Sho addentando la brioche scelta
«No! No! Poi lei non me la ridà» sbraitò mentre la mamma lo prendeva in braccio per asciugargli le lacrime
«Non è vero sai? Le vere studentesse delle medie restituiscono le cose. Se non lo fanno tornano a fare le elementari» spiegò Sho, ma la cosa non convinceva nè Akira, nè Akane**. Persino Mei lo guardò di traverso: non gli riusciva mai di raccontare una frottola per convincere i figli a fare qualcosa, erano troppo intelligenti, bisognava spiegargli la verità o non avrebbero cambiato idea. Tra una tentativo e l'altro gli cadde l'ultimo pezzo di brioche nella tazza di caffè e si macchiò la camicia con uno schizzo. I figli scoppiarono a ridere e lo presero in giro: gli succedeva tutte le mattine.
Dopo colazione tornò in camera a cambiarsi rapidamente. La moglie lo placcò sulla soglia, prima che potesse uscire, dandogli un bacio per salutarlo, quindi fu libero di tornare al piano di sotto e correre in macchina dove lo aspettava suo padre. Dopo la laurea aveva cominciato a lavorare nel suo ufficio. La paga era ottima, avrebbe potuto permettersi una casa altrettanto grande e bella solo per la sua famiglia, ma... a sua madre piacevano i nipoti, la moglie, una perfetta casalinga, si divertiva a gestire una casa con otto persone e aveva un ottimo rapporto con Mei, mentre Shu era molto affezionato a lui e ci sarebbe rimasto male al vederlo andare via. Al padre poi piaceva fare la parte del grande capo famiglia... anzi, capo tribù!



Si guardò nello specchio per la milionesima volta, sistemandosi un ciuffo. Si umettò le labbra con la punta della lingua e si passò le mani sulla camicia. Dire che era nervoso non rendeva l'idea.
Il nome di Matsumoto Jun era conosciuto in tutto il Giappone. Idol di grande fama, attore in svariate serie televisive, richiestissimo come ospite nelle trasmissioni e come "piatto forte" di ogni rivista per adolescenti e donne di svariate fasce d'età. Mancava solo una cosa alla sua carriera: la fama internazionale; e quello era il giorno in cui avrebbe cominciato la scalata per raggiungerla. Ecco perchè era maledettamente nervoso.
Il cellulare gli squillò «Pronto?» chiese vedendo un numero sconosciuto e aprendo a fatica il flip del telefono avendo le mani sudaticce «Shuichi... non sei divertente» sbuffò sedendosi su una sedia e incrociando le braccia tenendo il cellulare con la spalla «Se hai chiamato solo... ah mi sembrava di sentire un'altra voce! Tu e quell'altro rompiscatole fareste bene a ripassare che domani registriamo il nuovo singolo... sì, sì tutte scuse... sì, vabbè. Vi farò sapere» sospirò e chiuse la comunicazione senza nemmeno salutare. In quel momento entrò il suo manager «Sei pronto? Mi hanno detto che il regista sta arrivando» spiegò tutto agitato
«Sì, sono a posto» annuì Jun ostentando tranquillità. Quando la gente si agitava intorno a sè tendeva a recuperare il sangue freddo, come per difendersi istintivamente dal panico altrui che avrebbe altrimenti alimentato il proprio. Non aveva diritto di lamentarsi, infatti non lo faceva mai, ma dentro di sè sentiva che qualcosa andava cambiata nella sua carriera. Aveva cominciando come solista e da tre anni lo avevano messo in un gruppo di altri cinque facendoli debuttare tutti insieme. Vendevano e andavano bene, ma tutti avevano la sensazione che gli altri fossero solo il suo contorno e non era ciò che sperava quando gli avevano detto che avrebbe debuttato con dei compagni. Non voleva continuare ad essere il piatto forte da solo, voleva delle spalle a cui appoggiarsi, dei ragazzi che stessero sul palco con la sua stessa forza.
Così non era, ecco perchè aveva cominciato a deviare la propria carriera verso la recitazione. Amava la musica, ma non poteva portare da solo il peso di un gruppo intero, almeno davanti alle telecamere chiunque era responsabile solo del proprio lavoro e la riuscita del prodotto finale era indubbiamente l'unione della fatica di tutti. «Ti hanno chiamato?» domandò il manager riferendosi ai ragazzi del gruppo
«Sì, quei furfanti... volevano deridermi un po'» rispose storcendo il naso
«Lo sai che ti vogliono bene vero?» sospirò quello mentre gli apriva la porta «Hai più esperienza di loro quindi per ora ti tocca il lavoro più difficile, ma vedrai che col tempo riusciranno a trovare un loro modo per stare in piedi da soli»
«Ma si che lo so» scosse il capo «E anche io voglio bene a loro. L'hanno fatto solo per farmi arrabbiare, sapendo che così avrei scaricato la tensione e sarei stato più tranquillo dopo» sorrise e prese un profondo respiro: oltre la porta della sala riunioni lo attendeva l'inizio di una grande carriera che avrebbe potuto portarlo anche in America, non erano momenti che capitavano tutti i giorni.



Il regista può farsi attendere, ma non troppo. Aveva fatto un ritardo di 30 minuti. Poco giapponese, ma ormai aveva preso alcuni modi di fare occidentali. Insomma, da una mezzoretta stava seduto al suo posto ad ascoltare il discorso noiosissimo del produttore giapponese. Nel frattempo però aveva fatto una prima analisi del cast: in parte erano attori che aveva espressamente richiesto lui come portavoce della volontà della parte americana della produzione, ma altri erano stati una volontà della parte giapponese. Uno di questi era l'attore che avrebbe ricoperto il ruolo protagonista del film: Matsumoto Jun. Nino, che era giapponese e sapeva cos'era un idol nell'industria dello spettacolo del suo paese, non avrebbe mai preso lui per quel ruolo tanto delicato, ma le trattative per la scelta del cast erano state lunghe e difficili e alla fine aveva dovuto cedere su qualche punto per guadagnare qualcosa in alti. Una maggiore libertà espressiva nel suo lavoro, che in America era praticamente scontata mentre in Giappone no, gli era costata la cessione della scelta dell'attore protagonista. Quella libertà però gli avrebbe dato la possibilità di spremere come un limone quell'idol da quattro soldi e riuscire, forse, a ricavarne qualcosa di decente che non rovinasse del tutto quel suo primo lavoro di collaborazione cinematografica nippoamericana.
Finalmente il produttore giapponese gli cedette la parola e Nino si tolse la giacca bianca, rimanendo con la camicia celeste e la cravatta scura. Non appena cominciò il suo discorso in vece della controparte d'oltreoceano, illustrando anche i suoi obiettivi come regista, cominciò a slacciarsi i bottoni dei polsini e a rimboccarsi le maniche. Aveva preparato una presentazione in diapositive delle varie fasi delle riprese e i vari momenti della storia, spiegando come pensava si sarebbero sviluppati i sentimenti dei personaggi e come sarebbe quindi cambiata la regia per mostrare meglio quei cambiamenti.
Dovette ricredersi. La protagonista femminile, scelta da lui, era un ottima attrice metà giapponese e metà americana che però non aveva mai vissuto da altre parti all'infuori degli stati uniti. Aveva quindi una mente più indipendente, critica e brillante di quanto Nino invece non si aspettasse dai colleghi giapponesi. Lei fece domande, pose dubbi e diede la sua opinione. Inaspettatamente Matsumoto Jun fece lo stesso. In maniera molto più gentile e pacata, certo, chiedendo scusa se dava l'idea di uno arrogante o di star mettendo in dubbio lui, Ninomiya Sensei, ma comunque si era fatto avanti e gli aveva così dato un'idea completamente nuova rispetto al pregiudizio che aveva su di lui.
Terminarono la riunione che erano tutti molto stanchi. Nino stesso sembrava avesse partecipato ad una maratona: quando spiegava le sue idee e i suoi progetti si infervorava e, preso dal timore di non essere compreso, metteva tutto se stesso nelle parole che usava. Molti si congratularono con lui. Si avvicinò l'attrice che aveva scelto. «Ninomiya Sensei, ha fatto un ottimo discorso» gli disse sorridente
«Grazie mille, spero che lavoreremo bene insieme» rispose in un perfetto inglese alla donna che non parlava un giapponese stentato
«Sinceramente sono rimasta colpita dalla sua chiamata, ma sono felice»
«Possiamo anche darci del tu, sono anni che ci conosciamo» ridacchiò disinvolto mentre raccoglieva le sue carte che, nel parlare, aveva sparso alla rinfusa sul tavolo «E' dal diploma alla scuola di cinema che non ci vediamo. Ne hai fatta di carriera»
«Anche tu Kazunari, l'ultima volta che di siamo incontrati forse è stato proprio il giorno dopo la fine dei corsi. A Los Angeles. O... no aspetta, ci siamo visti di sfuggita ad un red carpet a New York due anni fa, ricordi?»
«Sì, hai ragione, ma tu eri assediata dai fotografi» risero insieme «Allora, facciamo un buon lavoro» le disse
«E' la nostra prima collaborazione, farò del mio meglio» rispose con sicurezza per poi fare un inchino alla giapponese
«Possiamo anche stringerci la mano sai?» e così fecero, divertiti.
Aveva finito di raccogliere le sue cose che un'altra persona spuntò al suo fianco «Scusi... Ninomiya Sensei». Quando si girò aveva davanti a sè Matsumoto «Ah, Matsumoto Jun san. Molto piacere»
«Il piacere è mio, la ringrazio moltissimo per avermi preso in considerazione» rispose subito il giovane. Avevano la stessa età, ma quel ragazzo era tanto elegante e formale che sembrava più grande. Per essere coetanei ed entrambi al livello di trovarsi in quella sala immaginò che anche l'altro doveva aver lavorato duramente. Anche se la strada per essere notato tra i registi americani era ben diversa da quella per essere notato tra gli idol giapponesi. Per certi versi meno competitiva e di nicchia, ma per altri molto più massacrante e piena di sacrifici. «Volevo dirle che seguo da sempre i suoi lavori. Ammiro gli sforzi che ha fatto durante la sua carriera per tentare di emergere e, come fan, sono veramente felice che sia arrivato a questo livello» gli parlava composto, ma molto sorridente, segno che doveva essere veramente entusiasta di trovarsi lì «Mi dispiace se le sono sembrato un po' sfacciato durante la riunione, è che non riesco a stare zitto quando ho un'opinione da esprimere»
«Non importa, non importa» rispose Nino scuotendo il capo «Sinceramente non credevo avrei mai sentito un "questa cosa secondo me non va bene" da un giapponese. Soprattutto non in un incontro ufficiale» ridacchiò «Ma io apprezzo la sincerità»
«Allora, spero di fare un buon lavoro con lei. La prego di guidarmi nella creazione di questa sua opera» concluse l'attore inchinandosi
«Oh si... ma certo, facciamo un buon lavoro» rispose facendo a sua volta un inchino un po' impacciato, non era più tanto abituato a quella formalità nipponica. L'attimo dopo il giovane, forse notando il suo imbarazzo o forse imitando ciò che aveva visto tra lui e l'attrice precedente, aveva steso la mano per stringere la sua. «Si fa un po' di confusione direi» rise divertito Nino completando quella stretta.
Improvvisamente furono entrambi attraversati da una specie di scossa elettrica potentissima. L'attimo precedente non si conoscevano, quello successivo sapevano tutto. Jun guardò Nino con gli occhi spalancanti e anche lui lo fissò alla stessa maniera: erano stupefatti, era come essersi appena conosciuti, ma non vedersi da una vita. Con quel contatto avevano ricevuto una specie di seconda coscienza, un sapere alternativo.
L'attimo dopo interruppero la stretta come si fossero morsi a vicenda. La gente intorno si ammutolì e li fissò sbigottita. «Scusate, posso rimanere solo con il nostro attore protagonista?» chiese Nino con il tono di voce incrinato. Il manager di Jun gli si avvicinò «Che hai combinato? Va tutto bene?» mormorò arrivandogli alle spalle
«Sì io...» rispose il ragazzo fissandolo incredulo «Lasciaci soli, non c'è problema» concluse chiudendo e riaprendo gli occhi lentamente.
Pian piano tutti uscirono dalla sala riunioni, ma finchè non si sentì il rumore della porta che si chiudeva dietro l'ultima persona rimasta non dissero niente. «Matsujun?» esplose Nino in tono isterico
«Tu... tu mi riconosci?» domandò Jun fissandolo con gli occhi spalancati
«Non so come sia possibile, non lo so. Che cosa è successo?»
«A me lo chiedi? Cosa è successo a te! Cos'è tutta questa... non sei tu, Nino. Non sei giapponese, com'è che sei così serio e affabile?»
«Cos... io... non capisco, cos'è successo?» ripetè per la seconda volta. Entrambi tacquero.
Che cos'era successo?
Da quando si erano stretti la mano avevano avuto come un dejavu ed improvvisamente nella loro testa si erano riversati i ricordi di una vita che non avevano mai vissuto: il sole e uno yacht, innumerevoli palchi per il Giappone e per l'Asia, stadi traboccanti di fan, voci che gridavano i loro nomi. Quella vita non era la loro: Jun aveva avuto la sua carriera da solista, Nino aveva vissuto più in America che lì; eppure dal loro primo contatto, non sapevano come, ma erano certi che quella appena ricordata era un'esistenza reale, fatta di momenti autentici di cui ricordavano suoni, sapori e sensazioni come se li avessero sperimentati sul serio. In quel turbinio di ricordi c'era una sola parola ripetuta all'infinito. «Arashi» dissero all'unisono tornando a guardarsi.



Non dovettero dare molte spiegazioni. Il regista e l'attore protagonista avevano da discutere. Punto.
Si rifugiarono sulle scale di emergenza degli studi, sconvolti. Entrambi si aggrapparono al corrimano e guardarono il panorama della baia di Tokyo e del Rainbow Bridge, perfettamente candido sotto la luce del sole mattutino di fine estate. Presero un profondo respiro.
«In questa...» fece per dire Jun, ma si bloccò abbassando lo sguardo pensieroso «Beh, come dire? In questa vita? Non so»
«Non lo so nemmeno io» scosse il capo Nino stringendo le labbra «Forse "esistenza"»
«Diciamo "fino ad oggi". Nessuno mi ha mai chiamato Matsujun» spiegò infine, poi rimasero ancora in silenzio. «Cosa pensi dovremmo fare?» domandò Nino che tremava leggermente
«Cominciamo... raccogliamo le idee» propose, ed entrambi annuirono «Cosa ricordi di quella vita?»
«Io... penso di ricordare tutto» spiegò l'altro «Voglio dire, nemmeno di questa vita ricordo veramente tutto, è impossibile no? E' lo stesso per quella. Ma... come dire, ho l'impressione che certi ricordi coincidano, non sembra anche a te?»
«Sì... sì ora che lo dici è vero: quelli dell'infanzia. Però ad un certo punto le due vite...»
«... hanno preso strade diverse vero?» lo interruppe Nino socchiudendo le palpebre e appoggiando i gomiti al corrimano, per alzare la mani a massaggiarsi le tempie «Dove.... dove.... ah! Certo!» si raddrizzò di colpo e spalancò gli occhi verso Jun «La Johnny's! Non siamo mai entrati nella Johnny's Enterateinment quindi non ci siamo mai incontrati»
«Hai ragione» annuì l'altro «E oggi la nostra agenzia... cioè... quell'agenzia non è nemmeno tra le più potenti in Giappone: ha avuto il suo periodo d'oro con gli SMAP e i V6, ma non sono seguiti gruppi particolarmente in vista e non ha mai avuto il successo che invece noi sappiamo aver avuto con gli.... beh con noi e tutti i gruppi che sono nati in quegli anni» ragionò passandosi il dito su una guancia, pensieroso «Ma il punto non è questo. Piuttosto, cos'è successo nell'altra vita? Io ho ricordo di quel mondo come se l'avessi vissuto fino a ieri sera: ricordo di... beh... di essere andato a dormire due volte» cercò di spiegare, in maniera confusa
«Ma di non esserti alzato, vero?» domandò Nino, improvvisamente preso da uno strano stato di eccitazione «Siamo andati a dormire in due vite, ma ci siamo risvegliati solo in una. Sembra un RPG» commentò
«Ti sembra il momento di far questi commenti da nerd?» domandò Jun aggrottando le sopracciglia
«No, hai ragione ma... è come se non ne avessi fatti per anni. Puoi capirmi?» e l'altro annuì. Il Nino attuale non giocava molto ai videogiochi, era troppo concentrato sul lavoro e non aveva mai avuto la possibilità di sviluppare la passione che invece aveva nella vita appena ricordata. Si concessero una pausa dai discorsi, entrambi cercando di raccogliere frammenti di ricordi di due vite: ora che si erano incontrati una delle due sembrava incerta. Non si spiegavano cosa fossero i 28 anni vissuti fino a quel momento, cosa significava tutto quello che avevano costruito fino ad allora? Com'era che la verità sulla loro esistenza era improvvisamente un'altra? E perchè quella verità si bloccava al giorno prima? Non erano ancora in grado di rispondersi, ma una certezza l'avevano... «Cerchiamo gli altri» disse dal nulla Jun
«E come? Li cerchiamo sull'elenco? "Salve signora Ohno, sono Ninomiya Kazunari. Lei non mi conosce, ma in un altra vita palpo il culo a suo figlio"» storse il naso Nino
«Cerchiamoli, ma non mi pare il caso di chiamare e spiattellare tutto così» gli rispose Jun sorridendo con le sopracciglia alzate
«Sì, sì, stavo scherzando» rispose quello muovendo una mano nell'aria, seccato «Da chi cominciamo?»
«Se la nostra infanzia è rimasta identica sono pronto a scommettere che anche qui c'è un Aiba Masaki che vive a Chiba» disse Jun avviandosi alla porta per rientrare negli studios «Cominciamo da lui. A meno che non gli sia capitato qualcosa di particolare nell'adolescenza, sarà diventato la persona solare e giocosa che conoscevamo nell'altra vita, non sarà difficile convincerlo a toccarci e fargli così ricordare la verità» propose. Nino lo seguiva a ruota, improvvisamente avevano ripreso i ruoli che spettavano loro: il puntiglioso pianificatore e il nanerottolo dalla lingua affilata. «Come fai a sapere che dobbiamo toccarci per ricordare?» domandò sorpreso
«Non ne ho idea, lo so e basta. Così come tu hai capito che qualcosa nel nostro destino è cambiato nel periodo in cui ognuno di noi sarebbe dovuto entrare nella Johnny's» spiegò scuotendo il capo «Ho l'impressione che da solo non ci sarei mai arrivato, avevo i ricordi un po' annebbiati prima che lo dicessi tu»
«Allora Chiba?» domandò Nino recuperando la giacca dalla sala riunioni, Jun annuì mentre scriveva un messaggio al cerca persone del suo manager. «E Chiba sia» si rispose da solo indossando giacca e occhiali prima di uscire senza dover dare alcuna spiegazione a nessuno.



Aveva appena posato la testa sul cuscino che un urlo dal piano di sotto lo fece sobbalzare «IMPOSSIBILE!». Era la voce della madre.
Si era alzato con le galline, come ogni mattina, e aveva scorrazzato per tutta Tokyo Est con il furgoncino a scaricare cibi, in pratica era a pezzi. Non si sarebbe alzato per quell'urlo, non sembrava di spavento, ma il rumore di piatti rotti subito dopo lo mise in allarme e allora scattò. Uscì di corsa dalla stanza, corse per il corridoio, quasi cadde dalle scale nello scenderle e arrivò miracolosamente incolume al pian terreno. Quando entrò in cucina vide il padre e il fratello di spalle che si affacciavano all'ingresso. «Che succede?» domandò un po' meno spaventato, al vederli tranquilli
«Ma tu guarda che coincidenza...» sospirò ridacchiando Yusuke
«Come arrossisce! E potrebbe essere nostro figlio!» borbottò il padre tornando ai fornelli «Oh, Masaki kun. Vai a sostenere tua madre prima che svenga» gli ordinò con una punta di gelosia nella voce
«Che succede?» insistette incuriosito. Attraversò la cucina e si affacciò a sua volta a guardare verso l'entrata del piccolo locale. L'attimo dopo gli sarebbe caduto qualcosa dalle mani se l'avesse avuto, oppure gli sarebbe caduta la mascella se fosse stato il personaggio di un anime: davanti alla porta d'ingresso stava Matsumoto Jun, l'idol superfamoso che piaceva tanto alla madre. «Vado a sostenerla» disse affrettandosi a raggiungere la donna che si stava inchinando più e più volte per aver rotto un piatto davanti ai clienti. «Mi spiace, veramente... mi scusi, non ho saputo trattenermi» diceva in imbarazzo
«Non si scusi più, per favore.... non si preoccupi» insisteva lui, ancora più in imbarazzo
«Ci penso io, scusate il disturbo» fece Masaki arrivando con la scopa «Mamma tu accompagnali al tavolo»
«Aiba chan!» esclamò la persona al fianco dell'Idol
«Oh... ci conosciamo?» domandò incredulo, squadrandolo da capo a piedi
«Ma no, Masa, è impossibile» bisbigliò la madre, prima di far segno ai due nuovi clienti di seguirla. Lui li osservò che si accomodavano: certo non era normale che uno sconosciuto lo chiamasse "Aiba chan". «Ah, ora ricordo» fece Yusuke comparendogli di fianco per passargli la paletta «E' Ninomiya Kazunari, un regista di fama mondiale. Devono fare un film insieme»
«Chi? Quel piccoletto?» domandò incredulo Masaki e il fratello gli tappò la bocca facendogli segno di abbassare la voce.
A quell'ora solitamente non cucinava, dormiva. Era così fino al pomeriggio tardi quando usciva a fare un paio di consegne serali in un collegio e in una casa di riposo. Quel giorno invece se ne rimase alla cassa a controllare la madre perchè il padre gliel'aveva ordinato. Lei era in solluchero, giusto la sera prima aveva speso cinque buoni minuti a decantare la bellezza di Matsumoto Jun ed ecco che questi si presentava nel ristorante in carne ed ossa. Perchè uno così famoso, e probabilmente pieno di soldi, finiva a mangiare in quel piccolo ristorantino cinese? Oltretutto accompagnato da un registra di Hollywood. Si stava ponendo quelle domande quando vide che i due clienti al tavolo avevano girato lo sguardo verso di lui e gli avevano fatto segno di avvicinarsi. Ogni tanto faceva da cameriere, ma non era molto portato, senza contare che era sempre tanto stanco da non riuscire a portare più di un piatto alla volta per ogni braccio. «Desiderate ordinare altro?» domandò avvicinandosi con un blocchetto in mano
«Perchè non ti siedi con noi?» propose subito il giovane regista
«Scusi?» Masaki lo fissò incredulo
«No, vedi... siamo della stessa età» si intromise l'idol lanciando un'occhiata fulminante all'altro «Ci farebbe piacere se ti sedessi con noi» concluse stringendosi nelle spalle e toccandogli la mano. Il giovane li osservò con gli occhi sgranati «Mi... mi dispiace signori, io sto lavorando» si scusò facendo un passo indietro per allontanarsi dal tocco di Jun e arrossendo vistosamente. Fece un inchino imbarazzato e si allontanò in fretta. Fuggì a grandi passi, poco misurati, in cucina. «Sono gaaaaaay!!!!» sussurrò con la faccia sconvolta, come se invece lo stesse urlando
«Cosa?» «Eh?» domandarono gli altri due ai fornelli
«Non dirlo a tua madre, ci rimarrebbe malissimo. Diglielo stasera tardi» rise tutto contento il padre
«Ma come puoi dirlo?» chiese Yusuke, allibito
«Quel Matsumoto! Mi ha accarezzato la mano "Ci farebbe piacere se ti sedessi con noi" ha detto... aaaah!» si tenne una mano sul cuore «Non avevo mai avuto delle avances da una coppia omosessuale» risero tutti quanti, ma quando Mamma Aiba arrivò a chiedere cos'avessero da sghignazzare nessuno aprì bocca.



«Ma come t'è uscita?» continuava a ripetere Nino alzando gli occhi al cielo
«E tu? "siediti con noi". Ma che modi sono?» sbottò Jun, risentito mentre finiva il brodo nella ciotola dei ramen «Comunque non ha funzionato, non capisco perchè. Eppure gli ho toccato la mano. So che era equivoco, ma se avesse ricordato subito, la cosa sarebbe passata in secondo piano e invece non ha ricordato proprio una fava» borbottò rimestando gli avanzi di spaghetti sul fondo della ciotola con le bacchette. «E meno male che "te lo sentivi", Matsujun» sbuffò l'altro «Adesso cosa facciamo?»
«Non ne ho idea... se non funziona toccandosi non sapremo nemmeno come far ricordare agli altri. Senza contare che non saprei come ritrovare Sho kun o il Riida. Aiba chan era quasi scontato e cercarne due in tre sarebbe stato più facile» si arrovellò Jun «Oh diavolo... intanto paghiamo il conto e usciamo di qui. Lo sguardo di sua madre è terribilmente imbarazzante». Nino ridacchiò per l'ennesima volta al toccare quell'argomento «Effettivamente è un po' strano ricevere quello sguardo dalla mamma di Aiba chan che in realtà ci conosce da anni»
«Andiamo, io non resisto!» esclamò l'altro alzandosi. Pagò per entrambi, Nino era taccagno anche nella sua seconda vita (certe abitudini erano dure a morire) e poi era colpa di Jun se erano andati lì a vuoto. Mentre pagava vide Aiba passare con un pila di piatti tra le mani, in precario equilibrio «Lei si fida?» domandò a bassa voce alla signora che stava battendo il totale alla cassa
«Eh? Cos... Oh!» si accorse anche lei del figlio «Masaki kun, cosa fai? Vai a riposarti, se fai questi lavori ti stanchi e rompi tutto» lo sgridò con un sorrisino bonario
«Sì mamma» rispose rassegnato lui. Jun lo osservò mentre appoggiava i piatti in cucina, rimanendo nella cornice della porta d'ingresso dove lui poteva ancora vederlo. «Scusi?» si sentì richiamare
«Oh, sì. Mi diceva?» si risvegliò e torno a guardare Mamma Aiba. Quando la guardò in viso, dopo quella situazione madre-figlio tanto tenera, sentì quasi pizzicargli gli occhi: lo sguardo adorante di lei, in quella vita, non aveva niente a che vedere con il sorriso dolce e affabile che Jun era abituato a vedere nell'altra vita. Improvvisamente si convinse che non avrebbe mai più riavuto quel legame speciale con le famiglie dei suoi amici e con i suoi amici stessi, se non avesse trovato una soluzione. Ma l'unica possibilità che conosceva era sfumata. Pagò e prese lo scontrino, con un groppo in gola. Masaki in quel momento uscì dalla cucina e lo guardò timidamente quando anche Nino li raggiunse. «Aiba chan» fece piano Jun, con voce strozzata «Spero un giorno di poter di nuovo ridere insieme a te» e non aggiunse altro. Si affrettò fuori dal ristorante e si fermò solo una volta raggiunta l'insegna fuori dal locale, distante dalla porta d'ingresso e più vicina alla strada. Nino gli appoggiò una mano sulla spalla «Troveremo un modo» disse piano. La verità era però che nessuno dei due sapeva come. Se si guardavano dentro, inoltre, non trovavano nemmeno una risposta al perchè fare una cosa simile. Ogni vita può essere migliorata, le loro non erano perfette, certo, ma questo non significava che avrebbero voluto cambiarla. Solo che la scoperta di quella realtà alternativa li aveva totalmente sconvolti: perchè non riuscivano a farsene una ragione, a considerarsi dei pazzi e andare avanti per le loro strade senza tentare di coinvolgere altri sconosciuti?
Forse perchè ormai sentivano che quelli non erano sconosciuti. Non più.
«Scusatemi!» si sentirono chiamare. Quando si voltarono videro Aiba uscire trafelato dal ristorante. «Scusatemi, credo di avervi offeso prima. Non volevo» fece inchinandosi profondamente «E' che mi avete colto un po' alla sprovvista e... davvero, vi chiedo perdono, ma non cerco storie di questo genere, ecco. Però non volevo offendere nessuno». Nino si voltò, non riuscendo a trattenere una risatina divertita: quella situazione aveva del tragicomico, ma lui tendeva a vedere più il comico che il tragico ormai. «Non scusarti, ci siamo spiegati male noi» scosse il capo Jun
«Posso... posso chiedervi un autografo per mia madre. Non aveva il coraggio di chiedervelo, ma credo sarebbe felice se l'avesse» spiegò il giovane cameriere
«Perchè no, certo che te lo faccio» rispose Nino tranquillo
«Io veramente per contratto non potrei» tentò di spiegare Jun
«Non me ne frega niente del contratto!» sbottò l'altro d'improvviso, nonostante pochi attimi prima fosse tutto calmo «Voglio lasciargli qualcosa di mio, fosse anche un...» sembrò mordersi la lingua e poi abbassò lo sguardo. Fu subito chiaro qual era il punto. Aiba e Nino si conoscevano da più tempo di tutti, anche se lo dava poco a vedere teneva all'altro in maniera speciale, era il suo legame più profondo dal periodo dei Juniors e di un tale ricordo, in quella vita, non possedeva alcuna prova. Non una foto, non una lettera e ora nemmeno un compagno con cui ricordare quei tempi. «Lo fareste? Grazie mille, davvero! Vi ringrazio» fece Masaki tutto contento, quindi gli porse il blocchetto degli appunti da cameriere. Jun scrisse per primo, poi passò a Nino che ci mise un po' più del normale. «Hai una calligrafia più tondeggiante» notò a bassa voce il ragazzo, sbirciando il foglietto a fianco
«Oh... si?» domandò Aiba confuso. Quando gli riconsegnarono il blocchetto lo guardò per qualche secondo, quindi scoppiò a ridere. «Tutto sommato siete brave persone!» esclamò il ragazzo dando ad entrambi un'amichevole pacca sul braccio. Quel contatto, seppur breve, fu sufficiente a sconvolgergli la mente. Rimase pietrificato sul posto per alcuni secondi, comportamento piuttosto innaturale, ed allora entrambi si preoccuparono «Sta bene?» domandò Jun aggrottando le sopracciglia
«Aiba chan?» fece Nino con una punta di angoscia nella voce. Il ragazzo sbattè le palpebre, come appena svegliatosi e li fissò «Nino kun?» fece fissandolo sbalordito «Nino! Matsujun!» esclamò gettando le braccia al collo ad entrambi ed abbracciandoli con impeto, stringendoli a sè. Gli altri due sospirarono sollevati, perchè stavolta aveva funzionato. Lo abbracciarono di rimando e per entrambi fu difficile trattenere le lacrime: era il loro Aiba chan adesso, quello che avevano sempre conosciuto, ma che in un certo senso non vedevano da 28 anni. Lui invece non si era trattenuto e si era messo a lacrimare, come suo solito, ma non aveva detto nulla. Dopo qualche minuto passò un gruppo di ragazzini chiassosi e decisero di allontanarsi, ma sarebbero potuti rimanere così anche un'ora perchè era meraviglioso riavere i propri compagni con sè dopo anni che non si vedevano. «Ma che giorno è oggi?» domandò Masaki passandosi il dorso della mano sugli occhi lacrimanti
«E' il quindici Settembre, giovedì» rispose Jun rassettandosi la giacca «Capisco che si tutto un po' confuso in questo momento e...»
«Cooosa? Che giorno è?!» esclamò ancora quello prendendolo per il bavero della camicia
«Ehi, stai calmo!» fece lui alzando le mani in aria «Ho detto che è il quindici! Il quindiciiii!! Mettimi giù...» e così fece
«Aiba chan, stai calmo. E' stato lo stesso per noi. Non sappiamo cosa...» fece per dire Nino tirando su con il naso
«Non importa, Nino kun, me lo spiegate per strada» lo interruppe Masaki togliendosi il grembiule legato in vita «Ora non c'è tempo, vado a prendere la giacca. Arrivo subito»
«No, ehi! Cosa?» fece Jun confuso e lo fermò prendendolo per il braccio prima che se ne andasse «Tempo per cosa? Dove stai andando?»
«A prendere la giacca» ripetè sbattendo le palpebre, sorpreso «Ma... come? Voi non...» farfugliò guardando i due compagni che lo fissavano senza capire «Se non ritroviamo gli altri entro la fine di oggi, Giovedì 15 Settembre 2011, non sarà mai più possibile tornare ad essere gli Arashi, quindi... ora vado a prendere la giacca» concluse tornando in casa quando sentì che la mano di Jun lo tratteneva con meno forza.



Nino voltò la pagina della copia del Mainichi Shinbun*** che si erano portati dietro dal Keikarou, continuando a guardare le pagine di economia. In vita sua non le aveva mai guardate perchè leggeva i quotidiani americani prima di tutto e se aveva a che fare con la stampa giapponese andava a vedere esclusivamente la sezione dedicata allo spettacolo. «Dov'è che sta?» domandò guardando tutti quei kanji ammassati nelle ampie pagine del giornale «Ma questo coso è giapponese? Non c'è mica l'hiragana, per me è cinese» borbottò
«C'è, c'è» disse Aiba chinandosi a leggere il foglio prima di indicargli un trafiletto laterale «Eccolo». Non era altro che un breve articolo sulla nuova promessa in campo economico, Sakurai Sho. Figlio del famoso magnate della finanza Sakurai era primogenito e quindi erede della grossa fortuna di famiglia. Dopo essersi laureato a pieni voti alla Keio University in economia aveva cominciato a fare carriera all'interno dell'azienda del padre. Aveva però rifiutato qualsiasi tipo di favoritismo e si era fatto cinque o sei anni di dura gavetta. Era innegabile però che fosse particolarmente talentuoso e dedito al lavoro, infatti in quel breve tempo aveva scalato le posizioni dell'azienda arrivando ad essere capo di un'intera divisione dell'azienda, quella di import-export con l'estero. Era difficile pensare che non ci fosse stato del favoritismo per il figlio del capo, ma era anche vero che molte altre aziende lo chiamavano per consulenze e per la sua grande capacità di trattare con gli stranieri. Forse era davvero bravo. «Scommetto che non ha mai dovuto fare un backflip in vita sua» ridacchiò Nino
«E certo non ha mai volato sul Kokuritsu... soffrirà di vertigini anche in questa realtà?» si domandò Jun sogghignando
«A voler essere pignoli nemmeno noi abbiamo mai dovuto fare un backflip» ragionò Aiba
«Parla per te» sbuffò il riccio
«Mi spiegate cos'è successo? Tanto il viaggio per arrivare a Tokyo è lungo»
«Non siamo in grado di dirti molto Aiba chan. Nemmeno noi sappiamo granchè. Ci siamo stretti la mano e improvvisamente abbiamo ricordato» gli spiegò Nino chiudendo la pagina del giornale «Le nostre due vite sono identiche fino al giorno in cui in una è cominciato il processo per entrare nella Johnny's e nell'altra no»
«Uh, cavoli! Hai ragione» spalancò gli occhi l'altro rendendosi conto della veridicità di quelle parole, ragionando intanto sulle due adolescenze che ricordava ora e cercando il giorno esatto in cui qualcosa era cambiato. «Per quanto riguarda i ricordi... ero convinto li si riacquistasse toccandoci tra noi, però quando ti ho preso la mano nel ristorante non ha funzionato, mentre quando ci hai dato una pacca sulle spalle qualche minuto dopo sì. Non capisco» sospirò Jun tenendosi ad uno degli appigli sollevando il braccio davanti al viso per nascondersi: un paio di ragazze lo stavano fissando da un po' ed era meglio non farsi riconoscere in quel momento. «Magari funziona solo se è un contatto spontaneo» ipotizzò Aiba «Ma come lo sapevi?»
«Non ne ho idea. Lo sapevo e basta, un po' come tu sai questa cosa del tempo. Come hai detto che era?»
«Dunque, non so come, ma posso dire con assoluta certezza che se non riusciamo a ricongiungerci tutti entro la mezzanotte del 15 Settembre 2011 non avremo più la possibilità di tornare ad essere gli Arashi»
«Che significa? Tornare ad essere gli Arashi? E quello che siamo ora?» domandò confuso Nino
«Io...» fece titubante Aiba abbassando lo sguardo «Credo funzioni così: entro oggi dobbiamo ritrovarci tutti e cinque e ricordare, una volta fatto questo avremo la possibilità di scegliere questa esistenza o l'altra. Gli Arashi o ciò che siamo ora»
«Perchè oggi?» chiese ancora il compagno seduto al suo fianco
«Non è che questo succede perchè è oggi. Abbiamo avuto una possibilità di scelta per tutti questi anni, semplicemente oggi è l'ultimo giorno. Un po' come la data di scadenza del latte: da consumarsi preferibilmente entro e non oltre il 15 Settembre 2011» tento di spiegare Masaki alternando lo sguardo tra Nino lì vicino e Jun, in piedi davanti a loro «Il punto è che fino ad oggi nessuno di noi ha mai incontrato un altro perchè ognuno ha fatto una vita totalmente diversa. E' stata una fortuna che almeno voi due lavoraste in un campo simile e che vi siate incontrati»
«Oggi scadiamo... quindi dev'essere successo qualcosa il 15 Settembre 2011 dell'altra vita che ha riavvolto il nastro e ha dato a tutti un'altra possibilità. Jun che hai?» domandò Nino sbuffando
«Quelle studentesse, credo mi abbiano riconosciuto» mormorò a disagio l'altro «Quanto manca?»
«E' la prossima» annunciò Aiba con un sorriso. Si alzò in piedi e si piazzò tra Jun e le studentesse, per coprire la sua figura «Ora che ci penso... almeno io ho vissuto senza dovermi nascondere» ridacchiò.
L'edificio in cui aveva sede la società della famiglia Sakurai era abbastanza imponente. Confrontato con alti grattacieli non era molto alto, ma faceva comunque la sua bella figura. I tre ragazzi rimasero davanti all'entrata a fissare la città riflessa delle grandi vetrate o, in alternativa, il loro riflesso nelle porte automatiche tirate a specchio. Un nanerotto vestito di bianco, uno stangone in completo elegante e un ragazzo delle consegne, ecco cosa mostrava la loro l'immagine: con quale fantomatica scusa un simile terzetto poteva entrare in quell'edificio gigantesco e avrebbe chiesto un colloquio con il figlio del super capo? Rimasero lì una buona mezz'ora a confabulare su come fare: entrare e chiedere direttamente di lui era da escludere, intrufolarsi nell'edificio pure, se li avessero scoperti prima di raggiungere l'obiettivo si sarebbero bruciati qualsiasi altra possibilità di avvicinarlo. Si fecero prestare una borsa per le consegne da un locale e mandarono Aiba a fingere di dovergli portare qualcosa, ma non risultavano richieste alla reception e quindi lo rimandarono indietro.
«Siamo destinati a rimanere bloccati qui» sospirò Nino appollaiandosi sulla ringhiera del marciapiede e incrociando le braccia
«Lo dicevo io, prima o poi tutti devono pranzare!» esclamò con un sorriso Masaki
«Ma sono quasi le tre, che pranzo vuoi che faccia? E poi chi ti dice che uscirà da questa porta?» borbottò quello in risposta, incupendosi
«A meno che in questa vita non sia nato da un parto gemellare, direi che quello è Sho kun» gli spiegò allora indicandogli l'entrata. Sakurai junior usciva in quel momento dalle porte a vetri lucide in compagnia di un altro uomo e di una donna. «Aaaah... la riunione è stata interminabile. Vado a mettere qualcosa sotto i denti e poi ci risentiamo, ok?» domandò sorridendo a quei due
«Certamente Direttore, a dopo» risposero inchinandosi verso di lui prima che questi si avviasse per conto suo lungo la strada. I tre ragazzi raccolsero le borse che avevano dietro, Nino saltò giù dalla ringhiera e cominciarono a pedinarlo: si spintonavano gli uni con gli altri o si tiravano per la giacca quando qualcuno accelerava troppo il passo, ovunque fosse andato lo avrebbero seguito e avrebbero trovato un modo per fargli ricordare.



Quella mattina, cambiandosi la camicia, si era trovato costretto a cambiare anche la cravatta e nella fretta se l'era allacciata al collo troppo stretta, ma per quanto avesse tentato di allentarla passandosi con nonchalance il dito tra il collo e il colletto della camicia non era riuscito a sentirsi meglio. Una volta libero da tutti gli occhi di colleghi, sottoposti e partner di lavoro presenti alla riunione di quella mattina si sentì libero di sfilarsi la cravatta del tutto. Mentre camminava per strada la ripiegò accuratamente e la mise nella tasca della giacca. Entrò in un ristorantino dove facevano pasta, ordinò un piatto di ramen, pagò in cassa e andò a sedersi nel tavolo infondo al locale. Davanti a lui c'era seduto un altro in giacca e cravatta, il che era strano dato che l'ora di pranzo era passata da un pezzo: anche in altri uffici le riunioni potevano diventare lunghe quanto le sue insomma? Ridacchiò tra sè a quel pensiero e prese il giornale appoggiato sul tavolo per dare una scorsa rapida alla prima pagina, con svogliatezza. Un gruppo di ragazzi si sedette al tavolo di fianco facendo rumore e chiacchierando. Il più confusionario dei tre ordinò tre ramen esattamente come lui.
In quel momento gli arrivò il piatto. Mentre la cameriera si scusava per l'attesa, Sho birciò l'uomo davanti a sè che stava per andarsene e si accorse che fissava il tavolo accanto con sguardo meravigliato. Soffiò sul piatto mentre si slacciava i bottoni della giacca, per potersi muovere più comodamente, quindi approfittò del gesto di rompere le bacchette per vedere come mai si era tanto meravigliato il tipo che se n'era appena andato. Il terzetto era effettivamente qualcosa di improbabile: uno era certo il ragazzo delle consegne del locale, ecco perchè aveva ordinato con tanta sicurezza, e gli altri due dovevano essere suoi amici ma... uno aveva l'aria da uomo impenetrabile -vestiva completamente di bianco e aveva ancora indosso gli occhiali da sole- e l'altro era l'uomo più bello che Sho avesse mai visto, sembrava brillare di luce propria.
Abbassò lo sguardo sul piatto e si concentrò sul suo pranzo, dato che moriva di fame, ma si appuntò mentalmente com'era composto quello strano gruppo: lo avrebbe raccontato a tavola quella sera, ai ragazzi piaceva sapere aneddoti delle sue giornate lavorative, specie se così divertenti. Fatto ciò guardò fuori dalla vetrata del locale le persone vestite ancora estive ma con qualche maglione in più dalla borsa o legato in vita: sarebbe arrivato l'autunno, si diceva, ci si avviava verso la fine dell'anno e il lavoro in azienda si faceva più intenso, poi c'erano i festival di Akira e Akane, quello nell'università della madre e nel liceo di Shu, avrebbero dovuto cambiare la biancheria dei letti... «Prego!» sentì dire con voce squillante. Sho tornò a guardare dentro il locale e vide il ragazzo delle consegne che gli poggiava un bicchiere d'acqua sul tavolo. Lo guardò basito «Ero andato a prenderla per noi e ho visto che tu non ne avevi...» gli spiegò questi con un sorriso smagliante
«Oh, allora scusa il disturbo» rispose sorridendo a sua volta e chinando il capo. A guardarli bene erano tutti e tre molto giovani, dovevano avere pressappoco la sua età. Certo questo non spiegava perchè fossero insieme nonostante la differenza d'aspetto: uno di loro sembrava quasi luccicare tanto era perfetto, ben pettinato, con un completo impeccabile e probabilmente costoso, pelle liscia, occhi profondi, ciglia lunghe. Doveva essere un modello. Che ci faceva con due così? D'improvviso gli andò di traverso l'acqua e cominciò a tossire sbattendo il bicchiere sul tavolo e allungando un dito ansante verso il piccoletto vestito di bianco. «Ehi tutto bene?» chiese allarmato tutto il tavolo
«Nin... Nino...» annaspò lacrimando
«Si è già ricordato? L'hai toccato dandogli l'acqua?» domandò il più bello
«Non ho fatto nulla, giuro!» si difese l'altro
«Ninomiya Ka... Ninomiya Kazunari?» riuscì infine a dire prendendo un respiro profondo. Si passò un tovagliolo sulla bocca sbattendo le palpebre piene di lacrime, continuando a fissarlo. Sho aveva studiato inglese alla perfezione (e per la verità sapeva anche il cinese mandarino e un po' di coreano) grazie alla madre e con tutti i viaggi che aveva fatto in America gli era stato più volte detto di un regista giapponese talentuoso e molto giovane che aveva studiato cinema negli States. Da allora si era informato perchè era uno dei primi argomenti di conversazione con i partner di lavoro stranieri quando erano fuori a cena.
Il giovane, additato, si tolse gli occhiali e lo fissò. «Sai chi sono?» domandò stupito
«Io... sì» balbettò Sho in risposta
«Sei un mio fan?» chiese ancora, sorridendo, con gli occhi che improvvisamente gli brillavano. Sho si prese un attimo per riflettere: non era un suo fan, però si era informato per poter parlare con i clienti americani di lui, solo che pareva così entusiasta che dirgli la verità sembrava fargli un torto. «Più o meno» rispose con un mezzo sorrisino «In America è piuttosto famoso, i colleghi di laggiù ogni tanto mi parlano di lei e allora mi sono informato»
«Ah si?» fece quello tutto contento. Ci aveva visto giusto: poteva dire indirettamente di non essere suo fan se aggiungeva una qualsiasi lusinga di modo da aggiungere una nota positiva alla sua frase. Cosa non insegnavano anni di contrattazioni con clienti ostinati come muli!
«Cosa? Nino kun sei famoso in America?!» esclamò il ragazzo delle consegne «Che storia è questa? Chi cavolo sei in questa vita?»
«Aiba chan...» sospirò quello passandosi una mano sugli occhi. Sho li guardò perplesso: si parlavano con un grado di familiarità molto elevato, allora com'era possibile che non sapessero i rispettivi lavori? «Beh sono lusingato comunque» fece Nino riprendendosi e sorridendogli «Posso offrirti qualcosa da bere?» domandò
«Come? A me?» chiese stupito Sho
«Sì, dai. Non mi capita di essere riconosciuto in Giappone perchè non ho molta fama qui e perchè sono un regista, quindi non ho la visibilità di un attore» spiegò tutto ringalluzzito, quindi si alzò dal tavolo «Ci porta quattro birre?» chiese verso la cucina prima di mettersi a sedere davanti a Sho «Possiamo bere insieme, vero?». Annuì e anche gli altri due si unirono. Finì così a bersi un bicchiere di birra con tre sconosciuti. Gli altri due si chiamavano Aiba Masaki, fattorino e tuttofare di un ristorante cinese di Chiba, e Matsumoto Jun che riconobbe solo dopo aver sentito il suo nome -Sho non era un appassionato del mondo della musica commerciale e quindi non se ne intendeva di superidol, ma questa era finalmente la risposta al perchè quell'uomo avesse un aspetto così dannatamente perfetto.
Non sapeva nulla di loro eppure bastò poco a capire che tutti e tre si adattavano quasi perfettamente alla sua personalità: non aveva nessuno con cui scherzare, ridere e chiacchierare, passando dagli argomenti seri alle stupidate, ed all'improvviso, per puro caso, sembrava aver trovato qualcuno. La vita di Sho, per la maggior parte del tempo, aveva ruotato intorno allo studio, lasciando i figli alla moglie per potersi concentrare sul futuro, e da quando aveva una posizione sicura nell'azienda aveva cominciato a girare intorno alla sua famiglia. Gli amici erano pochi, molto buoni, ma proprio pochi. Insieme a tre buffi ragazzi appena incontrati, sentiva però la mancanza dell'amicizia maschile: non si divertiva in quel modo da anni. «Secondo giro?» chiese Jun
«Secondo giroooo!!» esclamò Sho: aveva ancora un po' di tempo prima di tornare in ufficio e comunque a lui piaceva bere, quindi reggeva bene l'alcool. L'idol alzò una mano al di sopra del tavolo «Yaaay!» esclamò aprendola
«Yaaay!» rispose Sho alzando anche la propria per battergli un cinque mentre Masaki, ridendo divertito, lanciava un grido alla cucina per farsi portare altri quattro bicchieri.



Si erano rifugiati tutti e quattro nell'ufficio di Sho, al sesto piano dell'edificio dell'azienda e Masaki scorreva attentamente l'elenco telefonico seduto sul divanetto in pelle nell'angolo. Gli altri tre erano seduti alla scrivania: Sho al suo posto, Nino e Jun sulle sedie degli ospiti. «Come sarebbe a dire?» esclamò quest'ultimo
«Solo ciò che ho detto» sospirò Sho rigirandosi tra le mani la Mont Blanc che gli avevano regalato i suoi dopo un viaggio in Europa
«Ma non c'è dubbio vero?» domandò ancora «Voglio dire... è logico che vogliamo tornare ad essere gli Arashi!»
«Sul serio Matsujun?» chiese Nino intrecciando tra loro le dita e appoggiando le mani sul ginocchio, accavallando le gambe «Pensaci bene: non sappiamo come ma ci è stata data la possibilità di sapere dove saremmo arrivati con le nostre sole forze se non ci fossero mai stati gli Arashi. Devo direi che non te la sei cavata male in questa vita. Hai preso la stessa strada certo, ma sei da solo e... guarda un po'! Stai per andare sul grande schermo americano. Butteresti tutto questo per tornare a fare l'idol più famoso del Giappone?» gli domandò seriamente. Jun lo guardò in faccia «Sì» rispose senza esitare, poi abbassò lo sguardo «Ma è vero, non posso dare per scontato che anche gli altri siano così certi...».
Così come Nino sapeva che quella era la loro vita alternativa senza la Johnny's, Jun sapeva che dovevano toccarsi per ricordare, e così come Aiba sapeva che quello era l'ultimo giorno disponibile per scegliere una delle due vite, anche Sho aveva il suo pezzo del puzzle: la decisione doveva essere univoca, se solo uno di loro avesse scelto quella vita piuttosto che gli Arashi, nessuno sarebbe potuto tornare alla realtà del gruppo. Era piuttosto logica come cosa se si pensava che la vita da idol esisteva perchè esistevano gli Arashi, ossia tutti e cinque, mentre quella vita era stata vissuta indipendentemente da ognuno e la sua esistenza reggeva semplicemente perchè ognuno di loro, singolarmente, c'era.
Man mano che andavano avanti con quella ricerca si rendevano conto di nuove cose: avevano cominciato la ricerca perchè rivolevano al loro fianco i vecchi amici, ma più andavano avanti più scoprivano quanto tragica fosse la loro situazione. Non solo avevano ancora poche ore per decidere cosa fare, ma dovevano essere tutti d'accordo. Chi era certo di voler tornare indietro non poteva non tenere in conto anche la vita a cui magari gli altri erano ormai affezionati e lo stesso valeva per chi voleva rimanere: che ne sarebbe stato degli Arashi e degli amici a quel punto?
«Credo di averlo trovato!» annunciò Aiba sollevando lo sguardo dall'elenco «Ohno Satoshi!»
«Perchè ha cercato lui?» sospirò Nino alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi
«Come puoi esserne certo? Ce ne saranno parecchi di Ohno Satoshi, per quello ti abbiamo detto di cercare il nome della madre prima, è abbastanza particolare da poter avere solo pochi omonimi e restringere il campo» spiegò nuovamente Sho
«No è che... ero curioso di vedere quanti Ohno Satoshi ci fossero e... beh qui c'è una panetteria con li suo nome» spiegò indicando l'elenco «E ha anche una pagina web. E' lui!» spiegò infine allungando il proprio cellulare e mostrando a Nino il sito in piccolo sullo schermo. Non c'erano dubbi, era lui.



«Era dannatamente serio quando diceva che avrebbe voluto fare il panettiere» constatò Jun incrociando le braccia una volta arrivati davanti al negozio. Ancora una volta avevano dovuto viaggiare fin dall'altra parte della città e dato che la panetteria stava in un paesino minuscolo avevano dovuto cambiare mille treni. Era tardi e l'insegna era già spenta, ma i quattro ragazzi provarono lo stesso ad entrare. «Permesso?» domandò Sho facendosi avanti per primo seguito a ruota da Nino e gli altri.
Il negozio all'interno era molto caldo e aveva un profumo lieve di crosta croccante, pastafrolla e marmellata di albicocche. Quando tutti furono entrati richiusero la porta e una campanella tintinnò. Poco dopo apparve una bambina sull'uscio dietro il bancone. Aveva i capelli castano chiari che le arrivavano a malapena alle spalle, raccolti in due treccine sotto le orecchie, una più alta dell'altra. I quattro ragazzi la fissarono attoniti. Lei fece un piccolo inchino e tornò di corsa nel retrobottega «Papiiii!! Non hai chiuso la porta! Ci sono delle persone di là!» la sentirono gridare
«Siiiii» sentirono rispondere. Era la voce di Satoshi, era il tono inconfondibile del loro Riida. La bambina tornò nel negozio «Ora arriva» annunciò come se non avessero già sentito tutto. «Kasaki chan, guarda i tuoi biscotti o si bruciano» disse Ohno apparendo nella cornice della porta «Buonasera. Saremmo chiusi, ma ho dimenticato di chiudere. Cosa posso darvi?» domandò girando lo sguardo ai cesti del pane «Non è che sia rimasto molto». I quattro lo squadrarono: quello era il loro Riida. Sorrideva pacato e gentile, non alzava troppo la voce e semi borbottava alcune parole. Basso, magrolino e con i capelli a spazzola continuava a mostrare più di dieci anni meno di quelli che in realtà aveva. «E' sua figlia?» domandò Sho, titubante. Non potevano stare lì impalati come degli scemi, dovevano agire. «S-sì» annuì quello, colpito «Di solito ci scambiano tutti per fratello e sorella»
«E' che l'ha chiamata "papi"» spiegò Sho
«E' vero» fece alzando l'indice in aria «Allora, so che non c'è molto ma...»
«Cercavamo dei biscotti. Sì, biscotti» si intromise Aiba adocchiando i vassoi vuoti «Ho sentito che ne ha in forno alcuni...»
«Oh, ma quelli veramente... li ha fatti mia figlia, non sono proprio bellissimi» spiegò imbarazzato
«Non importa, dobbiamo fare una festa in famiglia. Un dolce, diciamo, "casalingo" è più appropriato in confronto ad uno da pasticceria perfetto e ben fatto» spiegò Jun «Possiamo aspettare se ancora non sono pronti» e tutti quanti concordarono. Satoshi, da buon venditore, tentò di convincerli a prendere altro, perchè avrebbero dovuto aspettare un po' per quei biscotti e si sentiva in colpa a farli attendere, inoltre doveva chiudere il negozio per evitare che arrivassero altre persone... ma i quattro si dimostrarono inamovibili così alla fine il piccolo panettiere cedette. Chiuse il negozio e le luci della vetrina quindi invitò i ragazzi a sistemarsi in un angolo del laboratorio: non lo disse chiaramente, ma certo non avrebbe lasciato degli sconosciuti lì da soli con tutto l'incasso della giornata e poi con la bambina in negozio era meglio tenere d'occhio chiunque. I quattro si sedettero stretti su una panca e si misero in attesa. Per tutti era impossibile non osservare Ohno in quella veste inedita, per Sho soprattutto perchè era il primo di loro non ancora "risvegliato" che vedesse. «Come fanno a sembrarti pronti? Li hai messi nel forno poco fa» diceva a bassa voce alla figlia. Le teneva la mano dietro la schiena per sostenerla nel caso in cui cadesse dalla sedia sulla quale stava in punta di piedi per sbirciare nel grosso forno a legna. «Ma non posso sbrigarsi? I signori li vogliono!»
«Sono i primi dolci di Kasaki chan che vengono mangiati da estranei, devono venire buoni. Se sono cattivi non li vorrà più nessuno»
«No!» esclamò la bambina con lo spavento dipinto sul viso tondo. Il padre annuì. «Ecco, mi scusi...» accennò Sho facendosi avanti per richiamare l'attenzione di Ohno «Come ha detto che si chiama?»
«Kasaki» rispose quello voltandosi verso i clienti. Fece un gesto di avvertimento alla bambina perchè non allungasse le mani verso il fuoco e rivolse l'attenzione a loro. «Ohno Kasaki» mormorò Sho
«E' un bel nome» annuì Nino e gli altri concordarono
«Anche io ho due figli, ma più grandi» spiegò ancora Sho «Ho avuto un po' di problemi sa? Non è cosa di tutti i giorni vedere un padre tanto giovane». A quella frase gli altri tre si girarono a fissarlo increduli: fino a quel momento, raccontando della vita alternativa che aveva vissuto, non aveva accennato minimamente alla sua famiglia. Aveva detto di essersi sposato appena maggiorenne con la ragazza di cui si era innamorato al liceo, ma non aveva parlato di alcun figlio. «Quanti anni hanno i suoi?» domandò Satoshi sedendosi sulla sedia di fianco a Kasaki per tenerla d'occhio
«Nove la bambina e sette il maschietto» rispose Sho
«Kasaki chan ne ha cinque» spiegò l'altro «Avevo già venticinque anni»
«Ero decisamente più giovane quando ho avuto Akane» ridacchiò Sho. I tre compagni li fissavano increduli: perchè Sho non aveva raccontato di quella cosa fino a quel momento? Forse perchè era stato l'unico ad aver costruito una famiglia prima che incontrassero il Riida e se n'era vergognato? «E' stato difficile?» domandò il giovane panettiere
«No, non troppo... da ragazzo mi sono occupato dei miei fratelli minori con cui ho molta differenza d'età, ho dovuto rifare le stesse cose di allora. E poi c'era mia moglie» spiegò con un sorriso
«E' vero, in due è probabilmente più facile» annuì Satoshi con una punta di malinconia nella voce. La bambina si girò verso di lui e si piegò in avanti per farsi prendere in braccio, mettendogli le corte braccina intorno al collo. Gli si appiccicò nascondendo la faccia nel grembiule sporco di farina. «La mamma non c'è più?» domandò Aiba a bassa voce
«Ci ha abbandonati poco dopo la nascita» rispose lanciando un'occhiata intensa al fuoco «Ma ce la stiamo cavando bene» concluse con un breve sorriso. Che vita aveva fatto il Riida in quella realtà? A tutti vennero le lacrime agli occhi: avevano pensato che potessero accadere solo cose positive anche per quella vita alternativa, ma si erano sbagliati. La sfortuna capita a tutti, loro erano stati infatti molto fortunati, soprattutto con gli Arashi, a trovare degli amici fidati, dei fan preziosi che li sostenevano e a fare un lavoro che li appassionava e li divertiva. Tutto sommato erano stati fortunati anche in quella realtà, pur se con enormi sacrifici. Solo guardando Satoshi che teneva in braccio la figlia orfana di madre si resero conto di quanto generosa fosse stata la sorte con gli Arashi dando loro un bel lavoro, una vita divertente, famiglie complete e sorridenti. Eppure, nonostante il destino avverso di quella realtà, Ohno sembrava osservare le fiamme con la sicurezza e la solidità di una montagna.



L'orario era decisamente tardo, ma i biscotti erano finalmente pronti. I clienti di quella sera certo non si potevano dire normali. A parte il buffo assortimento di individui (uno bellissimo e vestito all'ultima moda, uno strano tipo in completo bianco, un terzo con la giacca delle consegne di un ristorante cinese di Chiba e un padre in completo da ufficio), anche i discorsi avuti con loro erano stati abbastanza insoliti. Inizialmente si era preoccupato al dover tenere lì per molto tempo degli estranei: lui non era un tipo loquace, poteva fare uno sforzo in quei minuti in cui doveva vendere qualcosa in negozio, ma l'idea di dover intavolare un discorso con dei perfetti sconosciuti per un'oretta lo spaventava. Senza contare che quella chiacchierona di Kasaki si era ammutolita al discorso di sua madre, come ogni volta. Poi però la serata aveva preso una piega strana. Sua figlia di era allontanata da lui per prendere qualcosa da mangiare nella credenza, non avendo ancora cenato, e uno di loro l'aveva aiutata, il ragazzo delle consegne. Si era fatto offrire del pane con la marmellata e si erano messi a parlare, giocando a qualcuno di quei giochi con le combinazioni da ricordarsi per battere le mani in sincrono a cui lui invece era negato: non che non si ricordasse le sequenze, ma dopo un po' si stancava perchè andavano sempre più veloci. Era un tipo pacato. Ne rimanevano comunque tre con cui chiacchierare, ma il padre in completo li coinvolse tutti in una discussione e pareva chiacchierassero tutti tranquillamente senza aspettarsi che lui dicesse troppo, ma ascoltandolo con attenzione le poche volte che apriva bocca per dire la sua. Si era creato un ritmo perfetto nel loro discorso.
Tranquillamente tirò i biscotti fuori dal forno e li fece raffreddare. I clienti sembravano non avere alcuna fretta il che gli parve certo strano, ma quell'atmosfera rilassata faceva per lui e la assaporava come fosse stata una pagnotta fatta tentando una nuova ricetta. Non si fece nemmeno troppe domande quando due di loro ricevettero delle telefonate, probabilmente delle famiglie, e si scusavano per il ritardo. A che servivano quei biscotti se ognuno era atteso in case differenti? Ma le persone strane sono tante al mondo...
Fece il pacchetto e lo consegnò a Kasaki. La bambina si era quasi appisolata tra le braccia di Masaki -questo il nome del ragazzo che l'aveva intrattenuta- ma si riscosse e con un sorriso porse il vassoio ai quattro ragazzi. Tutti ringraziarono, poi Ohno li riaccompagnò alla porta d'ingresso nonostante insistessero per dargli una mano a risistemare la cucina. Masaki, con il vassoio tra le braccia fu il primo ad uscire. «Allora... grazie infinite» disse facendo un inchino al fornaio «Kisaki! Bye, bye!» mosse la mano verso la bambina
«Bye, bye...» salutò lei con un sorrisino stanco
«Scusi il disturbo. Mi spiace se le siamo sembrati invadenti» disse subito dopo quello più basso di loro. Era alto quando lui. «Nessun problema, è stato piacevole» rispose piano
«Buonafortuna» fece quello chinando il capo e uscendo. Non sentì cosa disse, ma appena fuori prese a parlare animatamente con il compagno che portava il vassoio. «Grazie del disturbo, mangeremo i biscotti pensando a Kasaki» spiegò il più alto ben vestito. All'apparenza sembrava uno superficiale, invece aveva fatto dei discorsi interessanti e la sua voce, forse anche per suggestione del caldo della cucina, era particolarmente avvolgente. «Grazie a voi per averli presi, è molto contenta anche se non si vede» rispose Ohno
«E' stanca, l'abbiamo tenuta al lavoro troppo a lungo credo» ridacchiò leggermente «Allora... in bocca al lupo per tutto» si inchinò educatamente. Rispose all'inchino continuando a tenere aperta la porta all'ultimo di quello strano gruppetto. «Immagino che non potrà capire ciò che sto per dirle ma...» sospirò il quarto «Parlare con lei è stato, come dire? Rincuorante». Satoshi gli sorrise, un sorriso sincero che gli arrivava dal cuore. «Ho sempre pensato di aver avuto anni difficili. Studiavo come un pazzo perchè da me dipendeva il futuro della mia famiglia, ma dovevo anche curarmi dei figli appena nati e ho avuto giorni in cui memorizzavo libri nella notte mentre scaldavo biberon» spiegò abbassando lo sguardo «Ma mi rendo conto che io avevo una moglie ad aiutarmi, una sorella già grande e un fratello adolescente che poi è cresciuto abbastanza per darci una mano. Molte persone mi hanno sostenuto, quindi non posso immaginare cosa devi aver passato» concluse abbandonando il registro formale, senza rendersene conto. L'altro scosse il capo «La madre non c'era, ma anche la mia famiglia mi ha sostenuto. E poi il negozio era già avviato» lo rassicurò «La cosa positiva è che mia figlia vuole bene solo a me» ridacchiò a bassa voce. In un certo senso era vero: non aveva nessun secondo genitore con cui spartire l'amore di Kasaki e per un padre quella era una piccola gioia. Sakurai san, questo il nome dell'altro padre, tirò fuori un elegante astuccio di metallo e aprendolo ne prese un biglietto da visita che gli porse con un inchino «Forse è un po' ridicolo ma... volevo lasciarglielo» disse un po' in imbarazzo, riprendendo a parlargli con la dovuta formalità. Satoshi si inchinò e le prese per leggerlo. La bambina in quel momento si avvicinò «Signore, può portare sua figlia qui la prossima volta» propose con un sorrisino stanco «E' bello avere amici nuovi e anche a papà farebbe piacere avere un amico»
«Posso portare anche Akira o vuoi solo amichette?» domandò l'uomo con un sorriso
«Tutti e due è più divertente» rispose subito la bambina andando ad aggrapparsi alla gamba del padre. Quello rise e annuì «Va bene, la prossima volta verremo tutti e tre»
«Lo promette?» fece Kasaki «Mi piacerebbe che papà avesse un nuovo amico, lui è silenzioso sa?»
«Kasaki chan...» disse solo Satoshi, un po' in imbarazzo
«Lo prometto» sorrise raggiante l'uomo e allungò la mano verso la bambina chiudendola a pugno e lasciando fuori solo il mignolo. Quella intrecciò il proprio con il suo, per sancire la promessa, quindi il dito venne porto anche a Ohno. Stupito guardò Sakurai e ancora il dito «Prometto. Non importa cosa succederà non sarai solo» mormorò quello e il panettiere, un po' commosso, imitò la figlia intrecciando il proprio mignolo con quello dello sconosciuto davanti a sè.



I quattro ragazzi camminavano lungo la strada per tornare alla stazione. «Ci ho provato ragazzi, non ha funzionato» si scusava Sho «Mi sono anche sentito un po' stupido...»
«Senza il Riida non possiamo fare niente» scosse il capo Nino «A questo punto direi che non abbiamo scelta»
«Non ci penso proprio! Aggrediamolo nella notte, rapiamogli la figlia... facciamolo qualcosa per smuovergli i sentimenti e toccarlo in quel momento» pianificò Jun
«Matsujun, come ti salta in mente? Non possiamo fare una cosa del genere» ribattè risentito Nino «Certo che Ohno san come ragazzo padre non me lo sarei mai immaginato...»
«Ha le sue stesse guance» sospirò Aiba «E' carinissima... non posso pensare di far nulla a quella bambina»
«Forse non dovremmo fare proprio nulla» si intromise Sho che era rimasto in silenzio fino a quel momento, con le mani nelle tasche del completo
«Come "nulla"? E lasciare che il destino non ci dia la possibilità di scegliere?» fece Jun sconvolto «Io non voglio rinunciare così facilmente! Io tengo agli Arashi» spiegò fermandosi di colpo «Ho tutti questi ricordi meravigliosi, ho di nuovo voi. Non ho bisogno di altro, quindi perchè non dovrei lottare per riavere quello a cui tengo più di tutto? Ma sembra che a voi non importi più niente degli Arashi!» li accusò guardandoli. Si erano tutti fermati qualche passo più avanti e lo fissavano silenziosi. «Io tengo agli Arashi!» esclamò Sho aggrottando le sopracciglia «Ma tu non ci arrivi: tengo a voi, però ho vissuto quasi trent'anni di un'altra vita e ho costruito qualcosa a cui tengo in egual misura. Se scegliessi gli Arashi allora sceglierei anche di distruggere mia moglie, mia figlia Akane e mio figlio Akira. Sarà come se loro non sarebbero mai esistiti, ma allo stesso tempo se scelgo loro non riavrò mai più tutti voi, le persone che conoscevo, le esperienze fatte... non è una scelta facile e la risposta, per quanto mi riguarda, non è scontata» concluse con voce dura, quindi riprese a camminare.
Aiba trottò al suo fianco, silenzioso e dopo un po' gli prese la mano: non poteva comprendere il suo dilemma, per la sua famiglia l'una o l'altra realtà era sempre la stessa quindi avrebbe scelto gli Arashi perchè rivoleva i suoi amici; ma non avrebbe biasimato Sho se alla fine avesse deciso di rimanere.
Dal suo canto Sho non era arrabbiato con Jun, si era scaldato un po', ma non ce l'aveva con lui. Capiva il suo desiderio perchè era lo stesso che aveva lui: rivoleva gli Arashi con tutto il suo cuore perchè, anche se una parte di sè ricordava di averli salutati tutti la sera precedente dopo le riprese, un'altra parte non li aveva mai incontrati per quasi trent'anni e ora gli mancavano. Aveva vissuto due vite difficili, ma in un certo senso quella con loro era stata percepita in maniera più leggera appunto perchè li aveva avuti al suo fianco, a condividere gioie e dolori, fatiche e privazioni, vittorie e conquiste. Si era arrabbiato perchè sentiva nuovamente di aver bisogno di loro, ma sentiva anche di amare troppo i suoi figli e sua moglie per... ucciderli, in un certo senso. Pensava di trovarsi davanti una scelta ingiusta ed era arrabbiato perchè toccava proprio a lui farla. Ecco perchè non aveva insistito con Ohno: con quale cuore poteva dare al Riida la sua stessa pena dopo aver visto con quanta fatica aveva passato la sua gioventù crescendo una figlia da solo?
Arrivarono alla stazione dopo molto camminare in silenzio. Jun e Nino erano rimasti indietro, ognuno con le mani nelle tasche. «Sai che non ce l'ha con te» aveva detto quest'utimo a metà strada
«Sì, ma se così fosse farebbe bene» sospirò l'altro «Sono consapevole di aver fatto un discorso egoistico. Lo sapevo già da prima che questo desiderio è solo mio, ma non riesco a rassegnarmi. Ora che ho ricordato sono pronto a voltare le spalle a tutto ciò che ho conquistato con tanti sacrifici pur di riavervi tutti quanti, anche se questo dovesse significare tornare ad essere "solo" l'idol più famoso del Giappone, invece che essere un attore conosciuto nel mondo» spiegò scuotendo il capo «Non riesco a capacitarmi di come sia possibile. Ho desiderato questo giorno da quando ho realizzato che questa era la carriera che volevo intraprendere, ho lavorato duramente per più di dieci anni per arrivare dove sono, ma anche se sono ad un passo dal realizzare il mio obiettivo, anche se voglio bene alle persone che ho conosciuto qui... io penso di...»
«Sentirti solo?» lo anticipò Nino
«Sì... credo di sì» annuì arrossendo, poi un'esclamazione di sorpresa di Aiba richiamò la loro attenzione. Satoshi era seduto sulle scale d'accesso alla stazione, con una bicicletta lasciata a terra. Il primo tra loro lasciò la mano di Sho per correre verso di lui e gettargli le braccia al collo. «Aiba chan! Lo strozzi! Così lo strozzi!» strillò Nino andandogli dietro e cercando di staccarlo da Ohno. «Scusatemi» mormorò lui tra le braccia di Masaki «Ero un po' disorientato e dovevo lasciare Kasaki al sicuro». Sho rise di gusto, intanto Nino era riuscito a conquistare il collo del Riida, a cui aggrapparsi a sua volta. «Temevo non ci avesti mai ricordato» farfugliò nascondendo il viso contro la sua spalla, trattenendo a stento la gioia di riavere con loro il quinto membro. Se stava per piangere non lo videro, ma almeno riuscì a dissimulare tranquillità mentre abbracciava il Riida.
Sembravano un gruppo di pazzi a vederli, così si spostarono in una viuzza dove sostava un vecchio con il suo baracchino mobile. Vendeva patate dolci calde, forse era un po' presto per mangiarle dato che non faceva così freddo, ma Sho non aveva cenato (I primi due invece si erano scodellati due ramen in un giorno!) e poi sentivano tutti il bisogno di condividere ancora un pasto insieme. Seduti sul ciglio del marciapiede della via poco frequentata mangiavano il loro snack caldo, facevano girare il vassoio dei biscotti e si raccontarono ancora l'incredibile giornata appena passata. «Tu cosa sai Riida?» domandò di punto in bianco Jun, interrompendo Nino che stava ancora raccontando l'accesa e amichevole discussione avuta per attaccare bottone con Sho, prima che ricordasse chi erano. «Nh?» fece Satoshi con la bocca spalancata, pronto a prendere un nuovo morso del suo dolce. «Sì, qual'è la tua informazione?»
«Abbiamo scoperto che ognuno di noi sa qualcosa di questa storia, così sappiamo che le nostre vite sono cambiate nel giorno in cui ognuno di noi sarebbe dovuto entrare alla Johnny's Enterateinment, che abbiamo la possibilità di tornare a quella vita o di rimanere qui, ma che dobbiamo scegliere una delle due entro la mezzanotte di oggi» cercò di spiegare Sho, il più chiaramente possibile «Ma una volta ricordato tutto questo, sappiamo che l'unico modo per continuare una delle due vite, dobbiamo fare tutti una scelta unanime. Così è stato inevitabile mettersi a cercare tutti e trovare un modo per risvegliare ognuno di noi»
«Temevamo di averti perso per sempre Riida» si lagnò Nino «Ancora non abbiamo capito bene come funzioni questa cosa del toccarsi per ricordare. Jun ha ricordato proprio l'istruzione più balorda»
«Balorda?» esclamò quello ridendo
«Dimenticheremo» si intromise infine Ohno. Tutti lo guardarono straniti non capendo a cosa si riferisse. «Eh?» azzardò Aiba
«Una volta scelta la realtà in cui rimanere dimenticheremo l'altra» ripetè «Completamente» concluse azzannando l'ultimo pezzo di patata dolce. Quella nuova rivelazione era stata tanto lapidaria che nessuno ebbe il coraggio di dire qualcosa dopo averla sentita. «Quindi... è plausibile pensare che sia successo qualcosa il 14 Settembre dell'altra vita» cominciò a ragionare Sho, sciogliendo il silenzio «Quindi siamo tornati indietro e abbiamo rivissuto le nostre vite con l'opportunità di svilupparle senza esserci incontrati. Questa possibilità è valida fino ad oggi, vivendo così le due alternative per lo stesso periodo di tempo: se ci fossimo incontrati prima avremmo potuto scegliere allora, ma così non è stato e oggi scade questo strano fenomeno»
«E se non ricorderemo nulla dopo aver scelto... è possibile che riprenderemo a vivere la realtà dal 15 Settembre mattina come se nulla di tutto ciò fosse mai accaduto, nè nell'una nè nell'altra vita?» chiese Jun
«Sì, suppongo di sì» annuì l'altro
«Io ho un'idea» annunciò Aiba alzando la mano. Tutti si girarono verso di lui che finì il suo dolce e raccolse i tovaglioli dalle mani degli altri. Si alzò per buttarli nel cestino vicino e tornò indietro. «Andiamo a casa» disse infine
«Scusa?» domandò Nino aggrottando le sopracciglia
«Andiamo a casa» ripeté più lentamente
«Ho capito, ho capito... intendo dire: che significa "andiamo a casa"? Ce ne andiamo e tanti saluti?»
«No, non intendo quello. Che ore sono?» domandò ancora
«Le nove passate da poco» rispose Jun guardando il suo costoso orologio da polso
«Bene, prendiamo un taxi e per le dieci saremo a casa. Ognuno ci pensi da sè a cosa vuole fare, ma decidiamo una buona volta. Chi vuole tornare all'altra realtà si faccia trovare al Rainbow Bridge, dalla parte di Tamachi, alle undici e mezza. Chi non vuole rimanga dov'è» concluse stringendosi nelle spalle. Gli altri abbassarono lo sguardo, ragionandoci su. Era una proposta intelligente, in quel modo potevano ragionare con la propria testa senza farsi influenzare dagli altri e avrebbero evitato di scegliere di tornare solo per non sentirsi accusati dagli altri: chi avesse deciso di rimanere avrebbe scelto di farlo senza alcun timore. Il giorno dopo in ogni caso, qualsiasi cosa fosse successa, nessuno si sarebbe ricordato niente delle scelte proprie o degli altri.
«Va bene, allora io comincio ad andare» sospirò Sho alzandosi da terra
«Ci vediamo?» fece Jun per poi sorridergli quando si guardarono «Io spero di sì, Sho kun. Che sia in questa vita, per caso, o nell'altra, come sempre... io lo spero». L'altro annuì e fece un gesto di saluto a tutti quanti prima di allontanarsi aprendo il cellulare per chiamare il taxi.
Ohno si alzò subito dopo sfuggendo alla presa di Nino. «Kasaki starà già dormendo» disse inforcando la bicicletta «Ma il giorno dopo si ricorda se non le ho rimboccato le coperte. Ciao» concluse prendendo a pedalare senza aggiungere altro. Rimasero solo Aiba, Nino e Jun. «Aaaah... chiamerei un taxi ma non ho gli spicci» sospirò il primo ridacchiando
«Sei proprio scemo, te lo paghiamo noi dai» disse Nino alzandosi in piedi e dandogli una spallata per dargli fastidio senza dover tirare fuori le mani dalle tasche. La macchina arrivò in pochi minuti «Sei sicuro ti bastino quelli che ti abbiamo dato?» domandò Jun guardando dentro l'auto dove Aiba si era già accomodato «Devi andare fino a Chiba e poi tornare a Tokyo...»
«Sono sicuro! Me li farò bastare, fidati» sorrise alzando la mano in segno di saluto.
I due rimasti guardarono il taxi allontanarsi, attendendo in silenzio che svoltasse l'angolo e sparisse dalla loro vista. «A casa ho una montagna di piatti che mi aspettano» borbottò Nino
«Non pensi che fissandoli intensamente ti arriverà la risposta a questo dilemma?» domandò Jun
«Mi prendi per il culo?» e scoppiarono entrambi a ridere.



Rientrò in casa che i figli erano già andati a dormire. Sua madre e i fratelli stavano guardando qualcosa in televisione e Sho si fermò sulla soglia a fissare lo schermo.
Gli veniva da ridere. A quell'immagine si sovrapponeva una seconda in cui, tutti allegri, i suoi familiari guardavano lui in televisione ridendo e prendendolo in giro come se non fosse il loro figlio o fratello. Era una famiglia diversa da quella attuale, ma sentiva di amare entrambe. «Sho san» si sentì richiamare da una voce sottile. Si voltò e vide sua moglie che scendeva le scale e lo guardava sorpresa. «Che fine avevi fatto?» domandò raggiungendolo preoccupata «Mi hanno detto che sei uscito dall'ufficio presto ma non sei mai tornato a casa»
«Sì, perdonami» fece lui a bassa voce tendendole la mano «Ho incontrato dei vecchi amici, improvvisamente, e... abbiamo fatto un tuffo nei ricordi. Mi sono dimenticato del tempo che passava e sono tornato solo ora» spiegò
«Va tutto bene? Sei pallido» si preoccupò lei prendendolo per mano e lasciandosi attirare tra le sue braccia
«Akira e Akane stanno già dormendo?» domandò dandole un bacio sulla fronte
«Sì, sono uscita poco fa dalla loro camera. Akira ha preso un brutto voto e ha pianto tutta la sera chiedendo di te» spiegò la moglie appoggiando la testa al suo petto, tranquilla «Domani gli darai una mano a capire dove ha sbagliato?»
«Domani?» fece Sho irrigidendosi «Non lo so... non so se ci sarò domani» mormorò abbassando lo sguardo. La donna gli mise le mani sulle guance per forzarlo a guardarla negli occhi «Che succede, Sho san?». La osservò e sentì una morsa al petto. Lei era lì per lui, dopo la giornata faticosa che doveva aver passato accompagnando i figli a scuola, preparando colazione e cena per tutti, mandando avanti la casa... come sempre, lei era lì. Prima di tutto era sua moglie, la donna con cui divideva la sua esistenza, che aveva giurato di condividere con lui ogni ansia, ogni preoccupazione, così come tutte le gioie che avrebbero incontrato sul loro cammino. Ma questa volta non poteva dirle nulla, era una decisione che spettava a lui soltanto perchè non la doveva prendere solo il Sho-marito, ma anche lo Sho-idol che non le doveva nulla e che invece doveva tutto ad altri quattro meravigliosi compagni.
La abbracciò e la trascinò con sè lungo il corridoio, per nascondersi agli occhi della famiglia nel salotto. La baciò a lungo tenendola contro il muro, assaporando ogni istante, e quando finalmente la lasciò andare avevano entrambi il fiato corto. Appoggiò la fronte alla sua e chiuse gli occhi. «Sei strano stasera» sussurrò lei
«Pensavo...» mormorò lentamente «Qualsiasi cosa dovesse succedere io ti cercherei, sai? Se un giorno dovessimo perderci passerei la mia vita a girare il mondo pur di ritrovarti. Se dovessi dimenticarti credo che una parte di me mi porterà sempre verso di te per poterci incontrare in nuovo»
«Cosa stai dicendo?» domandò sorridendo leggermente a quei discorsi strambi
«Devo uscire un'altra volta» annunciò sciogliendo l'abbraccio «Ho dimenticato di fare una cosa»
«Per che ora torni?»
«Non aspettarmi alzata» le disse con un sorriso mentre recuperava la giacca all'ingresso. La moglie gli aprì la porta, ma lui si fermò sulla soglia. Gli sorrise debolmente e le accarezzò una guancia sfiorandola con i polpastrelli. «Devo prendere una decisione importante e potrei metterci un po', ma te lo prometto...» le disse con gli occhi che gli pizzicavano «Qualsiasi cosa succederà tornerò»
«Sho san...» fece per dire lei, improvvisamente spaventata da quelle parole
«Non preoccuparti troppo» la interruppe «Straparlo perchè sono stanco» ridacchiò nervosamente ed uscì.
Ascoltò la porta richiudersi e prese un respiro profondo alzando lo sguardo. «Comunque sia, tornerò. Si tratta solo di tornare a casa qui o di cercarti in un'altra vita. Sono sicuro che ci rivedremo in entrambi i casi» mormorò con le labbra tremanti. Il cielo era perfettamente sereno quella notte.



Dormivano tutti in casa. Era normale. Non lo era che lui fosse ancora sveglio. Andava a dormire tutte le sere alle otto, insieme alla figlia, data l'ora a cui doveva invece alzarsi ogni mattina. E nonostante il suo corpo fosse ormai abituato a quegli orari da anni, in quel momento non aveva sonno. Era la confusione forse, o forse il fatto che in lui si stavano mischiando due abitudini distinte: quella precisa e ben scandita del fornaio e quella sregolata dell'Idol. Lui, un idol? Per trent'anni non aveva mai pensato ad una cosa simile, ora invece era maledettamente plausibile. Anzi, era così, lui era un idol. Se gliel'avessero chiesto avrebbe potuto fare uno dei balletti degli Arashi in quell'istante.
Salì in silenzio le scale e arrivò alla cameretta di Kasaki, a fianco della sua. La luce era spenta e la bambina dormiva nel suo letto dalle lenzuola candide. Quanto era cambiato per lei! Ricordava il panico dei primi giorni in cui aveva saputo, a sorpresa, della nascita di quella bimba: la sua ragazza lo aveva abbandonato, lasciandogli tra le braccia quel fagotto a. Aveva passato notti insonni per via del suo pianto e per via delle preoccupazioni, c'erano stati anni durissimi in cui si era sforzato di imparare l'arte della panetteria e aveva dovuto anche occuparsi di seguire la crescita della bambina, in cui aveva un negozio da aprire e una figlia da accudire. E nonostante questo, ogni volta che lei era cresciuta un poco, gli aveva illuminato la vita. Ricordava il giorno in cui aveva detto la prima parola, quando l'aveva vista muovere il primo passo senza che l'avesse tenuta per mano. Ripensava con tenerezza a tutti i pomeriggi passati insieme a giocare nel parco o le domeniche spese a sfogliare i libri di ricette: lo ascoltava sempre con meraviglia quando le leggeva come fare quella pagnotta o quella focaccia.
Si accucciò a terra fissando il viso tranquillo di sua figlia che dormiva. Per attimo, nonostante tutto, la sentì un'estranea: la guardava con gli occhi di Ohno Satoshi, l'idol, e non la riconosceva. Poi vide nelle sue guance e nelle sue labbra i suoi stessi tratti e ricordò chi fosse. Quelle piccole labbra cantavano delle canzoni fantastiche, era intonata e così dolce da far sembrare delle grandi opere musicali anche le filastrocche per bambini.
Con un sorriso malinconico sfiorò la guancia di sua figlia, ma lo fece lievemente come avesse paura di farla sparire se solo avesse fatto più pressione sulla sua pelle liscia. Nonostante la leggerezza di quel tocco Kasaki si svegliò lo stesso «Papi?» domandò aprendo e chiudendo gli occhi un paio di volte
«Non volevo svegliarti» sussurrò Ohno
«Sei venuto a salutarmi ora?». Il ragazzo alzò gli occhi al cielo: se non le dava la buonanotte quella benedetta bambina se lo legava al dito per davvero! «Sì» le rispose alzandosi e piegandosi per darle un bacio sulla guancia morbida «Papi, saranno piaciuti i biscotti?» domandò ancora la bambina, chiudendo gli occhi mentre lo tratteneva abbracciandogli il collo con le piccole braccia. Satoshi, che stava per rimettersi in piedi si fermò a metà del gesto per non sfuggire all'abbraccio di Kasaki. Arrossì nell'oscurità: lo aveva abbracciato tante volte e gli era sembrato naturale in quei cinque anni, ma ora che una parte di lui non era mai stata padre, e raramente concedeva a qualcuno di toccarlo, si sentiva un po' in imbarazzo. «A me piacevano» rispose accarezzandole i capelli, cercando di comportarsi come sempre. Una cosa non era cambiata: era sempre stato uno di poche parole. «Buonanotte» sussurrò
«Uhn... 'notte Papi» disse lei in risposta, con la voce impastata dal sonno. In un attimo gli si strizzò lo stomaco. Sua figlia era la cosa più bella che aveva in quella vita, l'avrebbe lasciata? Invece di rimetterla sotto le coperte ricambiò il suo abbraccio alzandola dal materasso e stringendola a sè con forza, ma gentilezza per non farle del male: teneva contro il suo petto il tesoro che gli aveva dato la forza di andare avanti anche nei momenti più bui e che ancora gli dava una spinta quando la mattina presto si svegliava nel silenzio, prima di tutti. «Papi?» la vocina della figlia lo richiamò alla realtà
«Scusa Kasaki chan, scusa» farfugliò lasciandola andare e riportandole la testa sul cuscino, delicatamente «Non lo dico spesso è vero? Però ti voglio bene» sussurrò rimboccandole infine le coperte. La sentì che ridacchiava piano e debolmente per via della stanchezza «Non hai bisogno di parlare. Kasaki lo capisce lo stesso» rispose lei infine girandosi su un fianco e nascondendo metà della testa sotto la coperta. Satoshi sorrise e uscì dalla stanza per evitare che gli venisse da piangere al guardarla.
Con calma scese al piano terra e rimise la giacca. Era una scelta difficile da fare, ma sapeva già da prima che qualsiasi vita avesse scelto si sarebbe presentato in ogni caso all'appuntamento perchè si era detto che se anche avesse deciso di rimanere con sua figlia lo avrebbe detto a tutti, guardandoli negli occhi: avrebbero meritato di sentire la verità dalla sua bocca. All'esterno la temperatura era scesa un po' e si chiuse la zip della giacca prima di avviarsi verso la stazione. C'erano ancora treni, Masaki non aveva scelto a caso l'orario del ritrovo: chiunque si fosse presentato e avesse poi cambiato idea avrebbe fatto in tempo a prendere l'ultima corsa. «Se ci sei tu il mio cuore danza: cominciamo a muoverci dall'oggi verso il domani****» canticchiò piano camminando a lato della strada.



Tirava poco vento quella sera nonostante fossero affacciati sulla Baia di Tokyo.
Aiba stava appoggiato al parapetto del ponte con i gomiti, osservando il paesaggio notturno pieno di luci. Ad un certo punto si girò. «Cosa?» domandò avendo notato che Jun lo fissava da un po'
«Come hai fatta con quei pochi soldi?» chiese causando uno scoppio di risa. «Sei così curioso?» fece divertito «Semplice, non sono mai tornato a casa»
«E tutto quel discorso sul doverci pensare... e quant'altro?» ricordò l'amico
«Era giusto farlo per tutti, ma io non avevo alcuna decisione da ponderare. Sapevo cosa fare dall'inizio» rispose con un sorriso. Annuirono entrambi e tornarono a guardare il panorama. «Io voglio tornare a far parte degli Arashi» mormorò piano Jun
«Anche io» gli rispose Masaki
«Non credo che gli altri siano così certi di questa scelta. Tu sei sicuro?» domandò dubbioso
«Lo sono» fece con un sorriso «Non è che mi dispiaccia la vita che ho fatto fin'ora. Amo aiutare la mia famiglia mentre a volte, nell'altra vita, ho avuto l'impressione di star disturbando i miei familiari con la mia popolarità. In certe occasioni è stato un dispiacere intenso per me, quindi ora che so di essere stato utile in questa vita sono felice. Siamo felici, anche qui ma... come dire» ci ragionò su «Beh lasciamo stare, io voglio tornare» concluse rapidamente, in imbarazzo, e tornò zitto. Jun non aveva capito bene il discorso di Aiba, ma non c'era verso di cavargli fuori una confessione a meno che questi non se la sentisse di farla spontaneamente quindi non domandò oltre.
«Oh ma come siete romantici!» sentirono esclamare alle loro spalle. Quando si girarono Nino aveva indici e pollici piegati a formare un quadro davanti al suo viso e vi guardava dentro con un solo occhi aperto, come se li stesse inquadrando con una macchina da presa. «Credevate che me la fossi squagliata vero?» sghignazzò raggiungendoli
«Hai detto che andavi a fare un giro più di un'ora fa» gli ricordò Jun «Era più che plausibile pensare che avessi cambiato idea» si strinse nelle spalle e tornò a guardare giù dal ponte
«Sono stato tentato» ammise appoggiandosi a sua volta al parapetto con il ventre, tenendo le mani in tasca. Un filo di vento gli scompigliò la frangetta «Non siete mai stati da soli all'estero per molto tempo. Io ci sono stato per anni e so cosa significa venire squadrato da tutti perchè ero chiaramente straniero. In tutti questi anni ho intrapreso una strada difficile e le umiliazioni sono state tantissime: non essere accettato in una società che si dice moderna... vedere discriminato il proprio lavoro e impegno solo perchè si è diversi. Ho dovuto ingoiare tanto di quell'amaro per arrivare dopo sono arrivato oggi» sospirò arricciando appena il labbro «Così ho avuto un momento in cui mi sono chiesto se effettivamente ero pronto a buttare tutto quanto al vento» finì la sua spiegazione piegando appena il capo di lato, come volesse guardare quel mondo di sbieco nella ricerca di una risposta. Rimasero in silenzio tutti e tre: gli altri due non avevano il coraggio di chiedergli se l'averlo di nuovo lì significava che aveva scelto gli Arashi. «Chissà cosa faranno Sho kun e e il Riida» disse invece Nino «Per loro dev'essere più difficile certamente»
«Se li conosco un po'» pronunciò Jun raddrizzando le spalle «Si presenteranno comunque»
«Dici che sceglieranno di tornare negli Arashi?» domandò Aiba sorpreso
«No, non dico quello. Dico solo che qualsiasi cosa sceglieranno di fare verranno qui in ogni caso. Non rimarrebbero a casa lasciandoci soli su questo ponte»
«Per l'esattezza» fece Sho camminando verso di loro, Ohno gli camminava al fianco «Ci siamo incontrati alla stazione. Siamo in ritardo?» domandò con un sorriso
«Mah... sarebbero le undici e quaranta, ma per voi faremo un'eccezione» sbuffò Nino, fintamente seccato
«Tanto domani non te lo ricorderai più» rise Ohno mettendoglisi al fianco.
Erano di nuovo tutti insieme e avvertivano un'aria diversa tra loro rispetto a quando si erano salutati. Forse perchè avevano sistemato i propri pensieri ed avevano le idee più chiare. Si misero in cerchio per potersi vedere tutti in faccia alla luce debole dei lampioni del ponte che si colorava di blu in quel momento. «Beh ci siamo» sospirò Sho stringendosi nelle spalle «Meno quindici. Cosa avete scelto?» e gli altri si guardarono, non sapendo bene da chi cominciare. «Ma è così importante?» domandò Nino «Non guardatemi così, voglio dire... è importante sapere cosa hanno scelto gli altri? Comunque tra quindici minuti non ricorderemo nulla»
«E' vero anche questo ma...» farfugliò Masaki pensieroso
«Forse è vero» annuì Jun con un sorriso sbilenco «Cosa importa? Io penso di aver costruito qualcosa di bello. Anzi, due belle cose: due vite di cui sono soddisfatto in ogni caso e che mi spronano ad andare avanti e sorridere comunque»
«Forse è semplicemente bello essere qui insieme» annuì Aiba «Indipendentemente da cosa succederà domani sono felice di avervi visto e di aver avuto la possibilità di scegliere la mia vita, beh... la nostra. Essere qui, a pochi minuti dalla fine di questo giorno, con voi, è una cosa meravigliosa. Non penso vorrei essere in nessun altro posto ora»
«Uhn, è vero» assentì Sho
«Ecco io...» accennò Ohno alzando gli occhi sui quattro compagni «Amo Kasaki come non ho mai amato nessuno in questo mondo» ammise «Ma tengo a voi come non ho mai tenuto a nessuno nell'altro, quindi penso non m'importi quale vita vivrò tra pochi minuti. Invece essere con voi adesso è importante, che sia l'ultima volta o meno che ci vediamo». Annuirono tutti e Aiba prese per mano Nino «Ha senso farlo?» chiese questi ridendo
«Ah boh non saprei» scosse il capo Masaki «Ma conforta, forse ho paura» ridacchiò nervoso. Jun prese l'altra sua mano e quella di Sho nell'altra, Nino intrecciò le dita con Ohno che chiuse il cerchio. «Comunque che giornata assurda!» esclamò Sho «A sapere che avrei rivissuto questa giornata non mi sarei impegnato tanto durante la riunione in ufficio»
«Se rimaniamo qui ti tocca rifarla!» rise Aiba
«Noooo» sospirò stanco
«Ma non saprai di averla già fatta» lo rincuorò Jun. Ridacchiarono tutti mestamente e tornarono di nuovo silenziosi.
Un orologio in una piazza lontana cominciò a suonare i rintocchi.
Uno.
«Stavo pensando... è il quindici Settembre vero?» domandò Sho.
Due.
«Sì» annuì Aiba.
Tre.
«Sarebbe il nostro anniversario nell'altra vita» fece notare.
Quattro.
«Dodici anni, vero?» ragionò Jun «Tanti eh? Auguri».
Cinque.
«Auguri» lo imitò Ohno.
Sei.
«Auguri, sì. Ma che senso ha?» chiese Nino ridendo.
Sette.
«Ah, possiamo fare una promessa?» chiese Satoshi d'improvviso guardandoli tutti con urgenza per farsi sentire prima che finissero i rintocchi.
Otto.
«Mi chiedo se riusciremo a mantenerla» mormorò Nino «Sentiamo».
Nove.
«Non importa cosa succederà dopo, cerchiamo di essere sempre gli Arashi: in questa vita cerchiamoci, nell'altra impegniamoci ancora di più».
Dieci.
«Va bene, ma dovremo lavorare duramente per mantenerla, se domani non la ricorderemo» avvisò Jun.
Undici.
«Arashi a tutti i costi!» esclamò Aiba alzando le braccia portandosi dietro le mani dei compagni.
Dodici.

NOTA AL TITOLO: "Tarareba" significa "E se..?" così come in inglese di marcano le "What If stories", un tipo di storie che è poi il genere di questa fic. "Nantoshitemo" significa "a tutti i costi", "non importa in che modo" e simili *Kasaki si scrive con i kanji di "fiore" e "fioritura/sbocciare", associato al cognome Ohno "Grande campo" può significare "Grande campo fiorito"
**Akira e Akane "amore per la luce"
***Quotidiano nazionale giapponese
****E' una frase tratta da "Kyou kara ashita he" (da oggi verso il domani), una canzone per bambini


EDIT: (21/05/2012) E' stato pubblicato uno spin off (come dire, side story) sulla coppia Ohno-Kasaki, s'intitola "Acqua e Farina"

Con clamoroso ritardo e grande sacrificio questa è la fic per il 12esimo anniversario degli Arashi. Auguri!!
E' stata un parto questa povera ff.
Era tutta nella mia testa (a parte alcuni dettagli) fin da subito, come quasi sempre, ma tra il lavoro, le lezioni di giapponese da preparare, l'università da seguire e le traduzioni (e va detto che tradurre Nazotoki mi porta via giornate intere) non riuscivo a trovare il tempo. IL TEMPO!
Tra poco è il mio compleanno, regalatemi tempo m(_ _)m onegai shimasu
Detto ciò, l'ho scritta nei ritagli tra una cosa e l'altra così non era pronta per il 15 settembre e non lo è stato per il 3 Novembre...ormai è andata così.

Parlando della ff in sè. E' nata probabilmente mentre lavavo i piatti e mi sono chiesta "e se gli Arashi se non fossero diventati gli Arashi? Cosa sarebbero oggi?". Chiaramente è tutta fantasia la mia, ma sviluppando la storia mi son resa conto che non volevo solo raccontare cosa era ognuno di loro... inizialmente l'idea era di raccontare la formazione degli Arashi non come gruppo idol, ma come gruppo indipendente formato da 5 ragazzi con vite diverse, poi però ho cambiato idea, pensando che per come avevo pensato i ragazzi nella vita alternativa era praticamente impossibile che si incrociassero e diventassero amici per formare una band. Allora ho optato per uno di questi miei giochetti, o scherzi del destino, che ho già ben sfruttato con "Being... Arashi", ma mentre quella era una ff più scherzosa questa vuole essere più riflessiva.
Ci sarebbero mille cose da dire, da parte mia, su come mi sono immaginata ognuno di loro e le loro vite, ma spero che molte cose siano venute fuori nella lettura... e credo si capisca anche che i miei preferiti sono stati Sho e Ohno. Ohno in particolare. Prendetemi per imbecille ma mentre scrivevo la scena nella stanza di Kasaki piangevo come una fontana, perchè anche se alla fine non si sa se Satoshi tornerà o meno, l'ho trovata commovente lo stesso... beh ho le mie motivazioni poi per piangere così tanto al possibile abbandono di un figlio.
Il finale è volutamente lasciato aperto. Ci ho riflettuto per un po', è stata l'unica cosa incerta fino alla fine (in confronto al resto che era tutto già deciso e preciso). Ancora qualche ora fa mi chiedevo se dare o meno un finale preciso. Alla fine no... un po' perchè io per prima non sapevo quale realtà scegliere di raccontare e u po' perchè... boh, forse preferisco queste ff in cui lascio che sia il lettore a fare qualcosa. In "Being... Arashi" ho lasciato che chi leggeva si divertisse e pensasse da sè la possibile conclusione della giornata e la motivazione, magari, per ciò che era accaduto. Qui lascio ancora che siate voi a pensare a cosa sia potuto succedere (chiaramente io lo so, anche se, perdendo tutti la memoria, non sarebbe comunque stato raccontato XD) e lascio che siate voi a scegliere in quale delle due realtà abbiano deciso di rimanere.
Ma in entrambe le due esistenze gli Arashi ci saranno: ad ogni costo.

  
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