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Autore: little_Grainne    14/07/2006    1 recensioni
.."Sei anche tu come tutti gli altri. Siete tutti troppo presi dalla vostra posizione, dalla vostra purezza, così come voi la chiamate, che non riuscite ad ascoltare gli altri. O forse non volete. Certo non sapete cosa si provi ad essere guardati come una bestia rara o ad essere additati o anche a sentire gli altri bisbigliare al tuo passaggio"... -se la dolce Luthien avesse avuto un fratello? leggete questa storia e recensite!
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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…questa è una storia che ho scritto tanto tempo fa, però è carina e mi piacerebbe che la commentaste! Lo so che è semplice e un po’ banale, però quando l’ho scritta da piccina era molto orgogliosa…così tanto per cominciare a conoscermi leggetela! ^__^

 

 

 

Il figlio del crepuscolo

 

Era nuovamente una splendida e luminosa giornata dentro in Menegroth, “le Mille Caverne” tradotto in lingua umana, nel Doriath, l’intramontabile regno del re elfo Thingol, famoso sovrano dei Sindar, gli Elfi Grigi o Elfi del Crepuscolo, e di sua moglie Melian, l’elfa più saggia di tutte le figlie della Terra-di-Mezzo.

Sì, Doriath, “Terra della Cintura” nella lingua degli uomini, anticamente chiamata Eglador, affascinante regno nelle foreste di Neldoreth e Region con capitale Menegroth, sul Fiume Esgalduin. Veniva anche detta Il Regno Nascosto, perché in un passato tenebroso, Melian fu costretta a far ricorso al suo enorme potere di Maia per creare un muro visibile d’ombra e smarrimento: la Cintura di Melian, che nessuno poté mai oltrepassare contro la sua volontà o quella di re Thingol, a meno di non essere dotato di un potere maggiore di lei, Melian la Maia. E questa terra interna, che a lungo fu detta Eglador, venne in seguito chiamata Doriath, vale a dire il regno vigilato, Terra della Cintura, regno di una guardinga ed eterna pace. Ed è di codesta terra che questa storia narra, del Regno Nascosto e di anche un giovane principe, il figlio prediletto dei Sindar: Lomion, il “Figlio del Crepuscolo”. Questi era un giovane di “solo” quattrocento anni, solo perché, dato che gli elfi sono immortali, anche il tempo per loro ha un altro valore. Se confrontata la sua età elfica con la nostra età umana, si può dire che avesse all’incirca diciotto anni. Era alto, slanciato e con un fisico che pareva scolpito. Come molti Elfi Grigi, aveva i capelli lunghi e neri, lasciati sciolti sulle spalle, con un’unica eccezione per una sottile treccia che gli scendeva lungo l’attraente volto, fiero ed orgoglioso come quello di tutti i giovani principi. I suoi grandi occhi erano di un blu profondo e luminoso, tanto profondo e luminoso che a fissarli intensamente ci si poteva restare abbagliati, come a guardare direttamente il sole. Il suo sorriso era di una bellezza rara, tanto rara che quando sorrideva con la bocca, tutto il volto gli si illuminava e sorrideva. Aveva mani grandi e forti e la sua pelle era molto abbronzata, grazie a tutte le scorribande nel bel regno del Doriath. Era allegro, amava fare lunghe cavalcate sulle sterminate praterie d’argento del Doriath ed era un maestro nel tiro con l’arco. Non si può dire che fosse proprio un principino modello, a volte si dimostrava proprio un irresponsabile giovanotto che aveva voglia solo di divertirsi. Questo almeno fino al momento in cui sua sorella maggiore, la più bella di tutti i figli di Iluvatar, il “Padre di Tutto” che mai vi fu o vi sarà, Luthien dalla beltà dell’aurora in primavera, decise di diventare mortale per amore di un uomo. Quest’uomo il cui nome era Beren, dopo aver visto per la prima volta Luthien danzare e cantare soavemente come un usignolo tra i boschi di Neldoreth, di sera e con la luce della luna sopra di lei, se ne innamorò perdutamente. Azzurro era il suo abito come un cielo sereno, grigi i suoi occhi come la sera stellata; il suo mantello era coperto di fiori dorati, ma i suoi capelli erano scuri come le ombre del crepuscolo. Ed è proprio per quest’ultimo motivo che, non sapendone il nome, Beren la chiamò in cuor suo Tinuviel, termine poetico per usignolo, “Figlia del crepuscolo”. Purtroppo il loro amore non fu accettato da re Thingol e grandi sofferenze dovettero passare insieme per questo amore. Alla fine, però, vinsero su tutti e riuscirono a vivere insieme da mortali.

 Al tempo di questa storia, Luthien dimorava con l’amato Beren in Tol Galen, l’isola verde nel mezzo dell’Ardurant, al di là del fiume Galen, nell’Ossiriad, luogo dove, non molto tempo dopo, sarebbero morti insieme. E il suo giovane fratello, il protagonista di questa storia, visse nel profondo del suo cuore tutte le pene della sorella, la vide cadere dalla bellezza più abbagliante a uno stato di semplice mortale. Osservò suo padre precipitare in un lungo inverno dell’anima, vide gli occhi di sua madre spegnersi dell’abituale luce, guardò il regno del Doriath soffrire per la perdita della sua principessa. E di tutto questo lui ne pativa molto, sì, ma solo nelle segrete del suo cuore. Amava intensamente la sorella ed aveva pianto tanto per la sua scelta, anche se nessuno lo aveva visto. In quelle notti aveva giurato che, quando sarebbe giunto il momento, lui avrebbe sposato esclusivamente un’Elfa di sangue puro, in modo che suo padre potesse ritornare a vedere la primavera dell’anima. All’apparenza era sempre il solito principe elfo, pieno di voglia di vivere e del tutto distaccato dal dolore della sua gente. Continuava a vivere felice, facendo quello che ogni giovane principe fa: approfittava a volte della sua posizione, rubacchiava qualche volta qualcosa da mangiare, faceva il “galletto” con le giovani della città…

Doriath viveva nella pace e nel dolore ed era indifesa, a parte dal fatto che c’era sempre la Cintura di Melian. Ed è di questa temporanea svista che Gothmog, signore dei Balrog, i “Demoni del Potere”, demoni di fuoco che servivano Morgoth, supremo capitano di Angband, approfittò. Assoldò dei nani mercenari, orchi, goblin e si mise in viaggio per distruggere il regno del Doriath, da sempre bramato dai suoi neri progetti.

Presto la notizia giunse alle porte di Menegroth e tutti gli Elfi Grigi accorsero spaventati dal loro re Thingol, perché Gothmog era il più terribile e feroce capitano di Morgoth. Thingol, preso anch’egli alla sprovvista e incapace di controbattere alla sventura imminente, mandò a chiamare il suo figlio unico e prediletto: Lomion, le cui gesta compiute in questa impresa divennero famose e furono a lungo cantate dai menestrelli di tutta la Terra-di-Mezzo.

Il giovane arrivò all’istante da suo padre, perché era da molto che questi non lo mandava a chiamare. Ma quale fu la sua sorpresa quando ascoltò ciò che aveva da dirgli il re suo padre:

«Lomion, figlio del crepuscolo, figlio mio e di Melian, figlio prediletto dei Sindar,» iniziò il sovrano, con voce ferma e stanca, «è arrivato il momento per dimostrare a tutti il tuo valore. Le forze di Gothmog stanno avanzando dirette qui, osano sfidare il potente regno del Doriath. Mai nessuno ha osato tanto. Ho già convocato qui i nostri fratelli, grazie alla nostra antica alleanza: gli Elfi di Bosco Atro, gli Elfi Verdi e gli Elfi della Luce. Sta a te, ora, figlio mio, creare un’armata tanto potente in grado di annientare Gothmog. Dovrai difendere, anche a costo della vita di tutta la tua armata, la Cintura di Melian. Ora vai. Nella Sala del Consiglio sono già riuniti tutti i nostri fratelli. Sta a te organizzare la difesa. Se tu perderai, sarà la fine dei Sindar.»

Lomion chinò il capo in cenno d’assenso e stava per andarsene, quando suo padre lo chiamò nuovamente:

«Bada di non morire, figlio mio. Non ho che te, ormai.»

Il ragazzo chinò nuovamente il capo, questa volta sorridendo d’orgoglio, e si diresse a passi svelti verso la Sala del Consiglio. Entrato qui, venne investito dalla luce che emanavano i suoi fratelli elfi. Si fermò a guardarli, costernato: erano tutti seduti vicini in lunghe file orizzontali ed erano più di cinquecento.

“Troppo pochi contro i mille di Gothmog.” Pensò Lomion.

Un attimo dopo  il suo sguardo fu attirato da una figura incappucciata in un mantello d’argento, simbolo degli Elfi della Luce. Bisogna sapere che tutti gli elfi sono coperti da lunghi mantelli, solo che questo era talmente incappucciato che si riuscivano a scorgere solo gli occhi. Nell’incontrare quello sguardo, a Lomion parve di essere trafitto da una lama arroventata. Non aveva mai visto elfi con occhi simili: azzurrissimi, di una chiarezza impressionante e insieme taglienti come una lama.

Il ragazzo si andò a sedere al suo posto, davanti a tutti, e il silenzio calò nella stanza. Si alzò, tremando un poco sotto tutti quegli sguardi puntati su di lui, ed iniziò a parlare lentamente:

«Benvenuti a tutti, fratelli miei. Io sono Lomion, figlio di Elwë, chiamato Thingol dai Sindarin, soprannominato Singollo dagli altri, “Mantogrigio” in lingua umana. Saprete certamente il motivo della vostra presenza qui nel Doriath, il regno dei Sindar, non starò ora a rispiegarvelo. Abbiamo poco tempo per organizzare una difesa che regga. Ascoltate la mia idea: ho pensato che una metà di noi potrebbe aspettare il nemico fuori dalla Cintura, attaccandolo al momento opportuno. L’altra metà, dovrebbe invece restare qui dentro le mura a difendere la città nel caso il Muro cedesse. Con un po’ di fortuna vinceremo.»

«Con un po’ di fortuna, dite?»

Una voce cristallina si era levata dal silenzio degli Elfi stranieri in quella terra. Lomion guardò con aria di sfida la massa di elfi e disse, con voce possente e chiara:

«Chi ha parlato?»

La figura incappucciata che aveva notato prima si alzò leggiadramente ed iniziò a parlare con tranquillità:

«Io, principe Lomion.»

Il ragazzo la guardò sospettoso, prima di riprendere a parlare:

«Chi siete voi che osate interrompermi in quel modo, per di più incappucciato come un ladro?»

L’elfo lasciò cadere il mantello e si mostrò per intero. Un’espressione di stupore comparve sul volto degli elfi, più grande di tutti in quello del principe Lomion: non era un elfo, bensì un’elfa, ed anche la più bella che avesse mai visto. Portava un leggiadro abito di seta bianca, una tunica che le cadeva dolcemente in piccole pieghe sul corpo snello, legata sulle spalle con due spille d’argento. Aveva i capelli di un biondo sfolgorante, in parte sciolti e in parte raccolti in due ciocche legate con un giglio bianco dietro la testa. Portava un anello di cristallo all’anulare della mano destra e molti bracciali d’oro le adornavano le braccia. Brillava di una grazia sconosciuta a tutti quegli occhi e la sua bellezza era paragonabile solo a quella di Luthien, la più bella di tutte gli elfi. Sorrideva e i suoi occhi ardevano di una luce mai vista, lucenti come pezzi di stelle roventi in un cielo sereno.

Ripreso dallo stupore, Lomion ricominciò a parlare rivolto alla fanciulla, questa volta con una voce che lasciava trapelare completamente il fascino che stava subendo dalla ragazza, da cui sembrava esserne illuminato:

«Una donna, qui? Chi siete, splendida creatura?»

La ragazza parve non badare al complimento ed avanzò con grazia tra i suoi fratelli, parlando dolcemente:

«Fino ad oggi il mio è sempre stato un nome maschile, grazie al quale ora mi trovo qui e grazie al quale ho potuto vivere delle esperienze che una donna non avrebbe mai potuto vivere. Questo nome è Maeglin e se mi sono mostrata per come sono veramente, è solo  perché voi me l’avete ordinato, principe.»

Lomion pareva in preda di un incantesimo ed ora che la fanciulla l’aveva raggiunto, la guardava come si guarda una dea. Le disse:

«Maeglin? Non significa forse “Sguardo Tagliente”? Chi siete in verità, incantevole fanciulla?»

«Il mio nome è Elwing, “Spruzzo di Stelle”, e sono qui per prestare servizio al mio principe.»

«Da quale casata venite?»

«Vengo da Valinor, la terra gli elfi della luce.»

«Cosa volevate dire prima con quell’affermazione?»

Elwing sorrise con dolcezza e, avvicinandosi ancora un po’ a Lomion, disse:

«Voi intendete vincere la battaglia con la fortuna, mio principe? Siamo seri, per favore! Ho combattuto più battaglie di quante ne abbiano viste tutti i presenti in questa sala, e vi assicuro che la fortuna è solo l’ultimo porto a cui rivolgersi. Se vorrete ascoltarmi, io ho un’idea di come sconfiggere Gothmot.»

Lomion, che era completamente affascinato dalla fanciulla, annuì con vigore:

«Vi prego, parlate se sapete! Penso che nessuno in questa sala oserà contraddirvi, se la vostra idea è vincente.»

Guardò con sguardo arroventato tutti gli elfi presenti e questi annuirono intimoriti da lui, ma anche inebetiti dalla bellezza di Elwing. Questa, dal canto suo, parve adattarsi completamente al ruolo di condottiero e cominciò a parlare con fermezza e convinzione:

«Vi ringrazio, principe Lomion. Dunque, la vostra idea non era male, ma se provata sul campo aperto si sarebbe dimostrata fallimentare perché troppo rozza e imprecisa. Ecco la mia idea. Innanzitutto occorrerà creare una squadra con i più abili dei qui presenti che vada incontro al nemico. Questa è l’ultima cosa che Gothmot si aspetta: per lui sembrerà un nostro suicidio. Ed è questo che voglio che avvenga. All’inizio dovremo sembrare inesperti e incapaci, dovremo farci bastonare un po’. Ma quando lui, preso della foga di ammazzarci tutti, commetterà l’errore di abbassare la guardia ai suoi preziosi Balrog credendo di aver vinto, ecco che noi attaccheremo proprio lì, al cuore, dove lui non si aspetterebbe mai. Gli rispediremo nell’abisso tutti i Balrog e poi, veloci come il vento, torneremo qui a difendere la Cintura. Sarà pericoloso, molto pericoloso. Molti di questa compagnia moriranno, non lo nego, ma chiedo a te, mio principe, il permesso di scegliere io i componenti di questo gruppo di eroi, evitando di mandare così al massacro elfi inutili.»

«Sì, fate come meglio credete.»

«Grazie, mio principe. Tutto questo a dopo, però. Devo spiegare il resto del piano al più presto, non ci resta tanto tempo. Allora, mentre questa compagnia andrà all’attacco, neutralizzando il pericolo maggiore rappresentato dai Balrog, gli elfi rimanenti si disporranno fuori della Cintura, pronti per sferrare un potente attacco contro i nani mercenari. Saranno circa mille tra nani, orchi e goblin, ma non abbiate timore, con un buon cavallo e una buona mira, sarà facile distruggerli. Ed ecco che la grande armata di Gothmot verrà sconfitta e i Sindar trionferanno! Gothmot fuggirà a gambe levate dal suo padrone e se avrà voglia di ritornare non troverà più solo cinquecento elfi intimoriti, bensì cinquemila elfi pronti ad annientarlo. Se vorrà la guerra, guerra ci sarà!»

Il silenzio calò nella sala. Dopo un istante Lomion riprese la parola, parlando lentamente:

«Il vostro piano sembra perfetto, ma anche estremamente rischioso. Non sarebbe meglio mettere dei guerrieri anche dentro le mura?»

Elwing scosse la testa con decisione:

«No, perché se la Cintura cadrà, non basteranno duecento soldati per fermare la furia devastante di Gothmot. A quel punto tutto sarà perduto. Bisogna colpire subito e con la massima potenza, questo è essenziale, principe.»

«Capisco e mi fido di te, bellissima Valar. Potranno credermi pazzo ad affidare il comando della spedizione ad una donna, ma sento che non mi deluderete, Elwing. Avete il mio completo appoggio e tutta la mia fiducia.» 

Elwing sorrise compiaciuta e chinò il capo con riverenza:

«Vi ringrazio mio signore, saprò essere all’altezza delle vostre aspettative.»

Anche Lomion sorrise:

«Ne sono sicuro»

I componenti della compagnia vennero subito decisi. Erano una cinquantina di potenti guerrieri, resi famosi in diverse battaglie per il loro coraggio. Tra loro v’era anche l’audace Elwing, vestita nuovamente come un uomo, e il temerario Lomion.

Tutto venne disposto come da istruzioni di Elwing e presto la truppa si mise in viaggio verso Gothmot. Cavalcarono per un’intera giornata e solo al calare del sole iniziarono a intravedere le fiaccole sempre accese dell’armata di Gothmot. Per tutta la notte cavalcarono silenziosi come ombre tra gli alberi, nascosti dall’oscurità, seguendo senza sosta le torce degli orchi. Così la mattina giunse presto e il momento di combattere risultò imminente. Prima di lanciarsi all’attacco, Elwing chiamò i suoi uomini e diede gli ultimi ordini:

«Dunque il momento è giunto. Ricordate: fingere, colpire e correre via. Il tutto dovrà avvenire in meno di mezz’ora. Dovremo essere davanti alla Cintura quando il sole sarà alto in cielo. Non temete, Iluvatar è con noi. Tutti noi siamo degli eroi. Ora andate e tornate vittoriosi

La compagnia si lanciò all’attacco tra le mille bestie di quell’orda di orchi e nani. Tutto avvenne come era stato detta da Elwing. Gothmot, un essere terrificante alla sola vista, lanciò gli orchi e nani all’assalto, lasciando nelle loro gabbie i suoi “bei” Balrog. La truppa finse di non essere in grado di difendersi e di attaccare, provocando così una foga crescente nel nero capitano che, pensando di aver già vinto, rideva e sbraitava ordini insieme:

«Allora, questa è tutta la forza dei famosi Elfi Grigi? Che delusione! Forza, ammasso di luride creature, uccideteli tutti! Voglio il loro cuore per pranzo e il loro sangue come vino!»

Proprio in quel momento tutti i guerrieri elfi, distesi per terra, si alzarono in piedi e corsero verso le gabbie dei Balrog. I nani e gli orchi che cercarono di rincorrerli morirono sotto una pioggia di frecce. Gothmot non riusciva a capire più niente in tutta quella confusione ed ululava infuriato perché qualcosa stava rovinando i suoi piani.

Nel frattempo, Elwing, Lomion e tutti della compagnia, avevano distrutto le catene che tenevano imprigionati i Balrog e li avevano liberati. Questi demoni, alti dieci metri e coperti di fuoco, si riversarono sul campo di battaglia e travolsero molti sfortunati orchi che capitarono sotto le loro enormi zampe anche, purtroppo, parecchi elfi. Elwing sapeva che era impossibile uccidere un Balrog con archi e frecce, figuriamoci cinque. I tutta quella confusione, la ragazza si avvicinò a Lomion e gli gridò:

«Sono in grado di creare una voragine sul terreno e di spedirci dentro i Balrog, ma ho bisogno del tuo aiuto. Devi donarmi il potere Maia che hai nelle tue vene grazie a tua madre.»

«Come puoi fare questo? Come posso aiutarti?»

«Sono anch’io una Maia, Lomion! Dammi la mano e il resto verrà da se.»

Quasi senza rendersene conto, Lomion, forse perché non aveva capito realmente ciò che gli aveva detto Elwing, le prese la mano sinistra e sentì la magia fluirgli dalle dita. Lucente come una stella e ardente dell’enorme potere delle Maia, Elwing levò il braccio destro al cielo e una sfera enorme d’energia bianca la si posò sulla punta delle dita, prima di essere scaraventata per terra con una forza impressionante. Una voragine si aprì ai suoi piedi e tutti i cinque Balrog vennero scaraventati in quel baratro da un’enorme forza sotto forma di vento. Dopo quel grande sforzo, Elwing si accasciò sulla spalla di Lomion, rimasto al suo fianco per tutto il tempo. Questi la prese in braccio e lei lo guardò riconoscente, sussurrandoli all’orecchio:

«Chiama alla ritirata i tuoi uomini, Lomion, figlio del Crepuscolo. Corri come il vento verso la Cintura

Il principe non se lo fece ripetere due volte e, con un grido elfico, chiamò tutti i superstiti dei suoi uomini alla ritirata e, tenendo stretto al suo corpo quello svenuto di Elwing, salì in sella al suo cavallo e partì veloce come il vento verso il Doriath, seguito a ruota dai suoi uomini. Nemmeno l’occhio più acuto sarebbe riuscito a scorgere in quel momento i cavalli con sopra gli elfi sfrecciare tra gli alberi, inseguiti da un ferocissimo Gothmot e dai suoi mostri.

Proprio come aveva detto Elwing, Lomion e gli elfi giunsero davanti alla Cintura quando il sole era alto in cielo. Qui trovarono tutti i cinquecento elfi appostati e pronti ad ingaggiare battaglia, esattamente come aveva disposto Elwing. Quando arrivò Gothmot con le sue orrende bestie, si capì subito l’esito della battaglia. In poco tempo, le forze del nero capitano vennero annientate e questi fu costretto a battere in ritirata con la coda tra le gambe. E da quello che io so, quella fu la sua più bruciante sconfitta.

Appena gli elfi si resero conto che avevano realmente vinto, lanciarono in aria archi e faretre e corsero ad acclamare il loro principe. Questi era chinato per terra e fissava con sguardo preoccupato il corpo inerme di Elwing, stesa supina sull’erba bruciata dalla lotta appena avvenuta. Gli elfi si disposero in semicerchio intorno a quel quadro commovente, non pronunciando una sola parola. Lomion teneva le mani di Elwing tra le sue e nel suo sguardo non v’era nessuna traccia della gioia per la vittoria della battaglia. Aveva occhi solo per la fanciulla. Forse per tutti gli sguardi puntati addosso, forse grazie alla presenza di Lomion, pian piano Elwing cominciò ad aprire gli occhi ed un attimo dopo era già in piedi, tra la gioia di tutti, sempre sorretta da Lomion, il quale la guardava come se ne fosse stato ipnotizzato.

Elwing, quando riuscì finalmente a riprendersi del tutto e a stare in piedi da sola, alzò lo sguardo e, prima lo puntò sugli Elfi che l’ammiravano con tanto d’occhi, poi lo posò su quello innamorato di Lomion. Questi le sorrise con tenerezza e allora a lei fu tutto chiaro. Sorrise anch’essa e si limitò a dire, alzando il braccio in segno di vittoria:

«Abbiamo vinto! I Sindar hanno vinto!»

Tutti gli Elfi alzarono le braccia al cielo e, cantando di gioia, marciarono dentro la Cintura, sorreggendo a turno Lomion ed Elwing sopra le loro spalle. Quando furono tutti dentro, nel Doriath iniziò la festa.

Lomion ed Elwing, però, corsero di nascosto nei boschi di Neldoreth, tenendosi mano nella mano. A lungo danzarono sulle note di melodie che solo loro udivano e a lungo passeggiarono stringendosi le mani. Quando, finalmente, Lomion riuscì a parlare, sovrastando la felicità che l’aveva invaso, disse, seduto abbracciato ad Elwing sopra un albero:

«Così sei una Maia, “Spruzzo di Stelle”! Niente potrebbe essere più perfetto! Se tu vorrai diventare la mia sposa, divideremo l’eternità insieme. Ma se tutto questo è un sogno, ti prego, non mi svegliare, perché il sogno più bello che io abbia mai fatto!»

Elwing sorrise e disse:

«Diventerò tua moglie, se tu vorrai, ma prima c’è una cosa che devi sapere, adorato Lomion.»

«Cosa, mia amata elfa?»

«Beh, il fatto è che non sono un’elfa. Almeno non completamente »

Il viso di Lomion impallidì:

«Sei un’umana?»

«Ecco, dire che sono un’umana è ancora più sbagliato di dire che sono un’elfa.»

«Ma cosa sei allora?»

Elwing sorrise imbarazzata e proseguì arrossendo via via che parlava:

«Io sono un unico esemplare di razza Mezz’elfa. Sai che significa?»

Lomion si alzò di scatto, allontanandosi da lei come se fosse infetta:

«Certo che so cosa sono i Mezz’elfi. Razze sporche e minori, generate dall’unione di un elfo e di un umano. Io ti amo, davvero, ma non posso sposarti, sono vincolato da un giuramento che mi vieta il contrario. Non posso tradire i miei genitori, lo capisci?»

Anche Elwing si alzò e questa volta il suo volto sembrava seriamente preoccupato:

« Sì, ti capisco, ma tu non dovrai fare nulla di tutto questo…Lasciami spiegare…Hai frainteso…»

«Basta,» urlò Lomion, «non voglio più stare a sentire le tue scuse, sporca Mezz’elfa! Non diverrò mai mortale. Mai!»

Elwing impallidì e indietreggiò, mentre sottili lacrime le rigavano il volto. Sussurrò:

«Sei anche tu come tutti gli altri. Siete tutti troppo presi dalla vostra posizione, dalla vostra purezza, così come voi la chiamate, che non riuscite ad ascoltare gli altri. O forse non volete. Certo non sapete cosa si provi ad essere guardati come una bestia rara o ad essere additati o anche a sentire gli altri bisbigliare al tuo passaggio.» Ora il suo sussurro era diventato sempre più forte, trasformandosi in un urlo scosso dai singhiozzi. «Non avete idea di cosa si provi ad essere lasciati sempre in disparte o ad essere derisi e a volte picchiati. Per cosa credi che mi sia sempre finta un uomo? Sì, anche per poter andare in battaglia, ma principalmente per poter, in un qualche modo, essere considerata qualcosa e per poter andarmene dal mio Paese natale. Sai quanto vale una donna Mezz’elfa? Meno di zero. Almeno se mi fossi finta un uomo, per il mio coraggio e il mio valore nessuno avrebbe potuto farmi o dirmi niente. Questo pensai e questo feci. E tutto questo solo a causa della vostra ignoranza! Se solo provaste ad ascoltare gli altri, invece che stare a sentire sempre ed unicamente le vostre parole. Sono delusa da te, Lomion, pensavo che tu fossi diverso, ma a quanto pare mi ero sbagliata.»

Abbassò tristemente il capo e, coprendosi il viso con le mani, corse via piangendo.

Lomion rimase sconcertato e profondamente colpito da quelle parole. Per tre giorni vagò pensieroso tra i grigi boschi del Denethor, rimuginando tra se quelle parole. Ed alla fine giunse ad una decisione.

Al morire del terzo giorno, si ritirò dal suo isolamento e, felice per la decisione a cui era giunto, corse sorridente come un pazzo alla ricerca della sua Elwing. La trovò poco distante da lui, seduta con gli occhi ricolmi di lacrime sullo stesso piccolo albero delle tre sere precedenti. Le corse vicino e le si inginocchiò davanti, prendendo le sue mani tra le proprie. Disse, tutto acceso dall’emozione:

«Non m’importa niente delle tue origini o se sei un’elfa o un’umana. Ti amo e voglio sposarti. Questa è l’unica cosa che conta. Se riuscirai mai a perdonarmi, mi riterrò davvero l’elfo più fortunato del mondo. E se dovrò diventare un mortale, poco male! Avrò qualcos’altro in comune con la mia adorata sorella Luthien. Se ti perdo adesso, ti rimpiangerò per l’eternità.»

Elwing, colta dalla commozione, iniziò a piangere più forte e lo abbracciò forte. Quando riuscirono a lasciarsi, Lomion salì sull’albero e si sedette vicino alla fanciulla, la quale ora, mentre si asciugava gli occhi ancora bagnati, rideva e non riusciva a fermarsi.

Lomion la guardò incuriosito e le chiese:

«Cose c’è, tesoro mio?»

Elwing riuscì a smettere di ridere e, ancora con qualche risolino, disse:

«Oh, Lomion, tutto quello che hai detto è molto romantico, ti fa davvero onore e grazie a questo ti perdono completamente. Guarda, però, che non ci sarà bisogno di fare nessuna delle cose che hai detto o di arrecare dolore ai nostri genitori.»

«Cosa vuoi dire?»

«Voglio dire che non hai capito niente al riguardo dei mezz’elfi. Beh, ti capisco, io sono l’unico essere vivente di razza mezz’elfa.»

«Vuoi dire che ho sbagliato tutto?»

«Precisamente. La gente chiama Mezz’elfi tutti quelli che hanno un genitore umano e uno elfo. Il punto è che sbagliano, e anche di grosso. Io sono una Mezz’elfa perché nella mia famiglia, esattamente dieci generazioni fa, una mia antenata elfa Maia sposò un umano. I suoi successori, forse per rimediare al suo “errore”, decisero così di sposarsi in futuro sempre con elfi. Anche se loro sarebbero morti, dopo dieci generazioni di matrimoni con elfi da quell’antenata, sapevano che sarebbe nato un bambino che avrebbe avuto nel suo sangue metà parte umana e metà parte elfica, con l’unica eccezione che al momento del matrimonio, in base allo sposo scelto, lui avrebbe potuto scegliere di che razza essere: umana o elfica. Quel bambino sono io, Lomion! Ovviamente, i miei genitori volevano che mi sposassi con un elfo. In questo modo la razza sarebbe tornata pura. Così, se io ti sposo, Lomion, uno diverrò un’elfa al cento per cento, due potremo vivere insieme per l’eternità, tre faremo entrambi contenti i nostri genitori. Vedi che è perfetto

Lomion sembrava sconcertato. La guardò con sguardo colpevole e poi l’abbracciò, dicendole:

«Se solo avessi saputo…»

«Se solo mi avessi lasciato il tempo per spiegarti…»

Lomion le sorrise, scese dall’albero e la prese in braccio. Mentre correvano verso il castello, mano nella mano, le disse:

«Andremo da mio padre, gli dirò tutto e poi ci sposeremo!»

Entrarono nella sala del trono e vi trovarono re Thingol e sua moglie Melian. Quando questi li videro entrare, si alzarono di scatto e gli corsero incontro. Melian abbracciò il figlio e gli disse:

«Tesoro mio, non sapevamo dove fossi finito. La battaglia è finita grazie a te, Lomion! Presentati a tuo padre con orgoglio!»

Lomion baciò la mano destra di sua madre e si inginocchiò davanti a suo padre con Elwing al suo fianco. Il re gli disse, con sguardo severo e voce tuonante:

«Hai dato il comando della battaglia in mano ad una donna! Grazie a tutti gli dei, sei stato fortunato. Ma che ti è preso, Lomion? Non vedo onore in questa azione!»

Lomion alzò lo sguardo e, presa la mano ad Elwing, guardò suo padre e disse:

«La grandezza di un sovrano si vede anche nelle persone che sceglie come consiglieri e nella sua umiltà. Io ho dovuto fare una scelta, padre, e non mi pento di averla fatta.»

Re Thingol sorrise e, fatti alzare i due giovani, li abbracciò con trasporto, dicendo:

«Saggia risposta. Sarai un grande re, Lomion.»

In seguito, Lomion ed Elwing spiegarono tutto ciò che era successo, dalla Sala del Consiglio fino al bosco  di Neldoreth. Il sovrano ascoltò tutto pazientemente e, alla fine del racconto, diede la sua benedizione ai due giovani innamorati. Il giorno dopo, tutti gli elfi accorsero ad assistere al matrimonio del principe Lomion e della principessa Elwing, celebrato proprio sul quel famoso bosco di Neldoreth. Non sarebbe giusto dire che vissero per sempre felici e contenti, perché sarebbe

PERFETTO!

 

Questa storia non è una di quelle solite storie che fanno piangere. Non è tragica ne drammatica. Parla semplicemente della vita di due giovani e del loro amore. Forse qualcuno penserà che Lomion non sia stato per nulla coraggioso, ma come detto da lui, il valore di un sovrano si vede anche dal coraggio nel fare certe scelte. Questo è quello che penso io, ma voi siete liberi di credere ciò che volete. Vi dico, però, che se mai avrete l’occasione di andare a visitare la terra dell’immortalità dove vivono gli elfi, e se per caso incontrerete un elfo, chiedetegli di raccontarvi del principe Lomion e della Mezz’elfa Elwing. Vedrete i suoi occhi illuminarsi e sentirete con quanto orgoglio vi narrerà le loro gesta. Oppure, potreste andare proprio da loro, e sentirete direttamente dalla loro bocca tutto ciò che volete. L’importante è che voi abbiate il coraggio di ascoltare quello che vi diranno, senza chiudervi le orecchie con solo i vostri pensieri.

Perché, sapete, tutti hanno bisogno di essere ascoltati e, a volte, anche di ascoltare.

   

 

 

Questa è una libera interpretazione di una delle storie tratte dal libro “Il Silmarillion”di Tolkien. Nella storia originale, Thingol e Melian avevano avuto una sola figlia, Luthien, e la loro storia si concludeva con la scelta di divenire mortale di quest’ultima. Io, da grande ammiratrice di Tolkien, ho voluto scrivere una storia, con la mia fantasia, di un possibile fratello di Luthien. Tutta la storia di Lomion ed Elwing e della loro avventura, è puramente frutto della mia fantasia. Tutti i nomi elfici di luoghi e persone con le relative traduzioni in lingua umana, provengono sempre da Il Silmarillion. Spero che Tolkien non se la prenda da lassù per il mio piccolo gioco!  

  

 

 

 

 

  
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