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Autore: lelle31    19/11/2011    1 recensioni
Che succederebbe se una ragazza appena arrivata in città si trovasse invischiata nel caso Kira? E se la stessa ragazza fosse entrata a contatto con un Death Note in precedenza? E se, come se non bastasse, fosse già morta una volta? Potrebbe spezzare l'apparente quiete di una persona, cambiando non solo il suo destino, ma anche quello di molti altri? Leggete e scopritelo.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi sedetti sul letto, mentre cercavo di capacitarmi della situazione di merda in cui mi ero ficcata. Un rapido esame di coscienza mi comunicò che la colpa era unicamente mia. Lo sanno tutti che gli spioni finiscono all’inferno. O erano i bugiardi?

Beh, comunque, il risultato era che mi trovavo nei guai fino al collo e non avevo la minima idea di come uscirne. Infatti, anche se l’istinto mi portava a fidarmi delle parole di quello strano ragazzo che, come aveva fatto solo poche ore prima, mi stava fissando attentamente, ciò non mi dava alcuna valida rassicurazione. Ero abbastanza convinta che la maggior parte dei malintenzionati avesse trovato il modo di tranquillizzare le proprie vittime, prima di tirare fuori il machete. Oppure la sega elettrica, se erano fan di Jason.

Ad ogni modo, per il momento era meglio accontentarlo e vedere cosa succedeva. Forse con un po’ di tempo in più sarei riuscita ad architettare qualcosa …. “Bene”, la voce bassa e profonda del mio interlocutore, interruppe i miei ragionamenti “Per cominciare, posso sapere il tuo nome?”.

La prima risposta che mi venne in mente di dargli non fu molto carina, visto che ero ancora stupidamente incavolata e offesa per la maniera in cui ero stata accolta lì dentro. Non ero mica una ricercata! Poi però mi resi conto che questo loro non potevano saperlo e poiché sentivo di essermi invischiata in qualcosa di grosso … era meglio che tenessi a bada i nervi.

“Solo se prima mi dici il tuo”, ribattei quindi il meno scontrosa possibile. Doveva capire che con me aveva trovato pane per i suoi denti. Se credeva di avere a che fare con un tipo docile e arrendevole, aveva decisamente sbagliato i suoi calcoli. Inoltre, ero davvero curiosa di imparare come si chiamava, così finalmente avrei potuto smettere di etichettarlo “quello strano ragazzo”.  

Tornando a concentrarmi sul presente, notai che lui era rimasto leggermente spiazzato dalla mia richiesta (cosa che peraltro non fu facile da interpretare, perché le espressioni facciali sembravano proprio non essere il suo forte), ma infine mi accontentò. “Il mio nome è Ryuzaki” disse semplicemente.

In quel momento entrò l’altro tizio, il vecchio, quello che mi aveva lasciata di sasso per la forza che aveva avuto nel tenermi ferma contro il muro, con un vassoio pieno di dolci e leccornie varie. Contrariamente a quello che adesso sapevo essere Ryuzaki, il suo volto era leggibilissimo, e dopo aver udito quella frase, ciò che vi potei osservare fu enorme stupore. I due si scambiarono un’occhiata che non compresi subito.

Poi mi sovvenne che forse era dovuta al fatto che il ragazzo mi aveva rifilato un nome falso, perché mi appariva evidente che lo fosse, anche considerato che non aveva aggiunto alcun cognome. Non che mi importasse più di tanto, comunque. Io viaggiavo con una falsa identità da quasi tre anni.

Ad ogni modo, il vecchio, dopo aver alzato gli occhi al cielo, si congedò, lasciandoci nuovamente soli. Tra me, che ero seduta sul letto, e lui che era … beh, posizionato in modo che si poteva definire solo bizzarro sulla poltrona di fronte a me, ora c’era il carrello. Poteva essere un buon diversivo per darsela a gambe. Ma dubitavo che sarei riuscita a fuggire, con i super riflessi del vecchietto lì fuori. Sospirai.

Ryuzaki (o qualunque fosse il suo vero nome) era tornato alla sua attività preferita: fissarmi. Ero sicura che prima o poi mi avrebbe perforato l’anima. Quando il silenzio iniziò a farsi pesante, decisi di terminare quelle quanto mai fuori luogo presentazioni una volta per tutte.

“Io sono Selena Clark” ma non gli allungai la mia mano da stringere. E nemmeno lui lo fece. D’accordo. E adesso basta con i convenevoli, pensai. Osservai le reazioni di Ryuzaki per cercare di capire cosa gli passasse per la testa. Sembrava talmente assorto che non ero nemmeno certa che mi avesse sentita. O che si ricordasse della mia presenza. Poi invece lo udii sussurrare tra sé e sé un “Selena”, come se fosse una strana parola di cui non conosceva il significato.

Nell’istante successivo fece qualcosa di inaspettato. Prese un piatto contenente una fetta di torta alle fragole e iniziò a sbafarsela contento, senza abbandonare quell’espressione riflessiva che, ormai me n’ero resa conto, doveva essere una sua caratteristica. Ero più che sicura di avere gli occhi fuori dalle orbite, ma lui non sembrò farci caso.  

Che razza di individuo avevo di fronte? Ero entrata nel circo senza accorgermene? Tuttavia, anche se ero ancora basita, dovevo ammettere che quel suo strano modo di fare gli conferiva una certa innocenza da bambino che mi indusse infine  ad abbassare la guardia. Improvvisamente mi fidai totalmente e incondizionatamente di lui. E anche se il mio buon senso mi urlava di tutto, l’istinto mi assicurava con certezza assoluta che non mi sarebbe successo nulla di male.

Così mi ritrovai a osservarlo leggermente divertita mentre finiva di divorare il dolce con lo sguardo perso nel vuoto. La verità che rifiutavo di accettare era che mi faceva un’assurda tenerezza. Avevo voglia di abbracciarlo, quasi. Okay, ragazza mia, adesso datti una calmata, mi ingiunsi. Aveva ragione Kate, perdevo sempre la testa per gli spiantati. E la cosa non faceva che peggiorare.

Iniziai a scuotere la testa, per cercare di riprendere contatto con la realtà, quando notai che Ryuzaki mi stava porgendo un piattino. Con una fetta di torta. Lo guardai sorpresa e lui per tutta risposta si limitò a dirmi con gli occhioni spalancati “Ho visto che la guardavi e ho pensato ne volessi un pezzo anche tu”. Annuii, prendendo il piattino mentre lui si risistemava con le gambe piegate contro il petto sulla poltrona.

Quando finalmente riacquistai l’uso della parola, biascicando qualcosa di simile a un ringraziamento, lui iniziò con il vero interrogatorio. “Selena” mi chiamò, mentre mangiavo soddisfatta. Alzai gli occhi da quella delizia, concentrandomi sulla sua richiesta: “Vorresti spiegarmi cosa ci facevi sulle scale, appostata in quel modo?”.  Domanda lecita. E che andava dritta al punto. Gli risposi con la massima sincerità, sperando che questo avrebbe potuto scagionarmi definitivamente.

“Io ...” sospirai,  “In effetti stavo solo curiosando. Non sapevo che stesse succedendo qualcosa di … importante”. Abbassai la testa, imbarazzata. “Comunque io non conosco il giapponese, speravo di imparare qualcosa nel tempo che trascorrerò qui. Per questo motivo, non ho la più pallida idea di che cosa stessero dicendo quegli uomini. Qualunque informazione voleste mantenere riservata è rimasta tale. Beh, a meno che non ci siano telecamere nel corridoio, ovviamente”.

In quel caso, qualcuno sarebbe già venuto a bussare alla porta per liberarmi, dunque era improbabile. “Ce n’erano ma ho provveduto a fare in modo che potessimo controllarle da qui” mi assicurò infatti Ryuzaki. Poi si fece più serio, passando all’argomento successivo. “Che cosa sai tu di Kira? Ti ha mandata lui?”

Questo non me l’ero aspettato. Kira … avevo già sentito quel nome da qualche parte, ma non ricordavo dove … “Kira, hai detto” ripetei, cercando di farmi tornare in mente tutto il possibile. “Mi devi scusare, ma non so molto su di lui. Il nome non mi è nuovo, però. E’ qualcuno famoso qui in Giappone?” chiesi speranzosa. Ma Ryuzaki era di nuovo perso nelle proprie riflessioni. Sembrava perplesso.

“Davvero non sai chi è Kira?” mi domandò infine. “No” scossi la testa, per enfatizzare la mia ignoranza.  Lui mi osservò con molta attenzione, poi mi svelò il mistero “Kira è un pericoloso serial killer che uccide criminali  in tutto il mondo, anche se il Giappone è sicuramente la nazione in cui è più attivo. Il che spiega la mia presenza qui”.

Wow. Quindi ero rimasta implicata in un interessante caso di polizia vs omicida psicopatico. O così sembrava. “Perciò, ” cercai di schiarirmi le idee “mi stai dicendo che tu e quegli uomini state dando la caccia a questo … chiamiamolo giustiziere?”. “Sì” confermò lui, addentando una banana.

Mi presi qualche secondo per riflettere su quelle informazioni. In quel periodo tra lo studio e i preparativi per il viaggio, non avevo guardato molta TV e da quando ero arrivata, ero stata sempre in giro. A momenti non avevo nemmeno ancora avuto una vera conversazione con la mia famiglia. Dunque era comprensibile che fossi rimasta un po’ indietro, in quanto a notizie.

Però, al tempo stesso, più rimanevo in quella stanza, più riuscivo a percepire la gravità della faccenda. Ryuzaki mi aveva puntato una pistola addosso, dove potenzialmente le probabilità di essere beccato e finire nei guai erano altissime, solo perché io mi ero comportata in modo un po’ insolito. Mi aveva fatta perquisire come una ladra, costringendomi a rimanere lì con lui. Sentivo che doveva esserci qualcosa di serio sotto per essersi comportato quasi alla pari di un criminale sulla base di … niente.

E poi iniziai a chiedermi cosa c’entrava lui, che doveva avere su per giù la mia età, in questa storia. Non doveva essere effettivamente la polizia ad occuparsene? Forse era nella lista nera di questo Kira. Magari scappava da lui. Ma, se quello che aveva appena affermato era vero, allora anche lui sarebbe dovuto essere un criminale. Mi stava scoppiando la testa.

“Senti” dissi con decisione, rivolgendomi nuovamente a lui “io ti giuro che non ne so nulla. Di questo Kira intendo. Sarei davvero curiosa di conoscere tutti i particolari, ma più sto qui, più le mie possibilità di rimanerne fuori, diminuiscono. Quindi, sono venuta qui, ho risposto con sincerità alle tue domande, ora me ne torno nella mia stanza. Grazie per la torta. Ci vediamo domani all’università”.  

Non avevo fatto neanche due passi che mi sentii tirare indietro. Ryuzaki aveva afferrato la mia mano con presa gentile e ferrea al tempo stesso. Non avrei mai finito di stupirmi di quanto quel ragazzo mingherlino fosse forte.

“Non posso lasciartelo fare” mormorò.


 POV L

“E questo cosa dovrebbe significare, scusa?”ribatté lei, con una certa dose di acidità.

Il calore che avevo visto nel suo sguardo fino a qualche secondo prima, era scomparso nel giro di un istante, rimpiazzato da una miscela di paura, sospetto e indignazione. Non potevo darle torto. Ma al tempo stesso, per sua sfortuna, si sbagliava su un particolare fondamentale.

Selena credeva di non essere ancora nella rosa di persone coinvolte nel caso Kira, quando invece c’era precisamente finita in mezzo. E finché non avessi avuto la certezza assoluta che quello che mi aveva appena detto corrispondeva al vero, ci sarebbe rimasta. Cercai di spiegarglielo.

“Non posso lasciarti andare perché non sono sicuro che tu mi abbia raccontato la verità. Purtroppo per te, il caso che stiamo affrontando è pieno di incertezze e non ci è concesso lasciare nulla al caso se vogliamo risolverlo. Quindi ti consiglio di metterti comoda, perché finché non mi sarò convinto al di là di ogni ragionevole dubbio che non hai nulla a che fare con Kira, rimarrai qui, dove posso tenerti d’occhio”.  

La reazione che le mie parole provocarono fu abbastanza prevedibile. Selena ritrasse la mano dalla mia, lasciandomi un’inspiegabile sensazione di vuoto, e si lasciò cadere nuovamente sul letto. Il suo volto era una maschera di shock, rabbia e incredulità, una versione più intensa dell’espressione che aveva assunto solo qualche momento prima.

“Tu non ne hai alcun diritto!” mi urlò in faccia, appena si fu ripresa. “Io non ho fatto nulla di sbagliato. Non ho infranto nessuna legge. E poi tu non sei un poliziotto ….” Improvvisamente si bloccò “… o forse sì?”mi chiese, insicura.

L’apparente ingenuità che dimostrava mi fece quasi sorridere. Di nuovo. Se l’aveva mandata Kira, era stata di certo una mossa molto furba. Chi avrebbe mai potuto sospettarne? O magari lei era un’ottima attrice. Questa era una delle cose che intendevo scoprire. “No, non lo sono.”risposi, dopo qualche secondo. Non sapevo quanto rivelarle sul mio conto.

D’altronde se fosse rimasta con me qualche giorno, sarebbe comunque venuta a conoscenza di una serie di particolari, quindi perché nasconderglieli?

“In realtà” continuai, prima che potesse riprendere la parola “io sono un detective. Ed è vero che non posso trattenerti qui contro la tua volontà, ma se ti lascio andare, sarò comunque costretto a metterti sotto stretta sorveglianza.  Il che significa che verrai pedinata e che dovrò piazzare delle telecamere nel tuo alloggio, senza escludere i posti dove non vorresti essere ripresa”e le lanciai un’occhiata eloquente.

“A te la scelta” conclusi soddisfatto, aggiungendo un paio di cucchiaini di zucchero al caffè. Mentre lo sorseggiavo, rimasi concentrato sulle sue reazioni. Sembrava stesse riflettendo intensamente sulle mie parole, quasi a trovare una scappatoia. A intervalli regolari, la vedevo fulminarmi di sottecchi, cosa da cui dedussi che si stava rendendo conto che non aveva altra scelta.

Infine, dopo aver fatto un lungo sospiro, disse: “D’accordo. Hai vinto tu. Resterò qui. Però ti avverto, mio padre è un medico legale che lavora da anni con l’FBI. Se mi succede qualcosa, non importa quanti nomi falsi ti inventerai, o dove ti nasconderai, perché loro ti daranno la caccia finché non ti avranno trovato. E a quel punto tremo, al pensiero di quello che capiterà a TE”. Pronunciò quella minaccia in tono freddo e sicuro, gli occhi che mi sfidavano a verificare l’effetto di un mio passo falso. Le credetti senza esitazioni, scoprendomi anche a considerare quanto quella posa così fiera e pericolosa le donasse.

 “Lo terrò a mente” ribattei, dopo qualche secondo, mentre cercavo di riscuotermi. Forse non era poi una grande idea quella di tenerla così vicina. I miei neuroni sembravano non funzionare a dovere con Selena nei paraggi. Erano infatti talmente sconvolti che nemmeno mi accorsi che aveva ripreso il discorso

“… e naturalmente voglio i miei vestiti e le mie cose con me. Se credi che domani uscirò con questo abito, dopo averci dormito una notte intera, allora hai DAVVERO qualche rotella fuori posto! Oddio. Sempre che tu non abbia intenzione di tenermi segregata qui. Ti avverto non è affatto una bella idea. Soffro di claustrofobia, specialmente nei luoghi in cui mi sento a disagio e questa stanza non è poi così grande …”.

“Non preoccuparti” fermai con calma quello sproloquio, “ come ti ho detto voglio tenerti d’occhio, quindi nei prossimi giorni, verrai con me all’università. Per quanto riguarda le tue valigie, invece, ora manderò Watari insieme a te nella tua suite a prelevarle, così che possa verificarne il contenuto. Spero non ti dispiaccia” aggiunsi alla fine, sotto il suo sguardo irritato.

“Ormai non mi sembra abbia più molta importanza ciò che provo io” sbuffò scontenta. Me ne risentii un poco. “Se dici così, mi fai sembrare una persona insensibile” borbottai.

“ Oh ma guarda che strano!” replicò sarcastica. “Ti ricordo che neanche un’ora fa mi stavi puntando contro una pistola, o te ne sei dimenticato? Ti pare forse che le persone gentili e comprensive  si comportino in questo modo con il prossimo?”.

“Ti riferisci a questa?” domandai, sollevando l’arma in questione dal comodino. La vidi rabbrividire sensibilmente al mio gesto. “M- mettila giù” balbettò spaventata. In realtà non c’era nulla da temere. “Guarda che è innocua” la rassicurai, con scarsi risultati.

Decisi allora di dimostrarglielo. Prima che potesse anche solo aprire la bocca per urlare, premetti il grilletto. Un secondo dopo, la stanza fu travolta da una rumorosa esplosione di coriandoli, che andarono in buona parte a finire tra i suoi capelli. Dalla canna della pistola, inoltre, faceva bella mostra di sé un pezzo di stoffa verde acceso, con su scritto uno scarlatto BANG!.

Seguì un attimo di silenzio, durante il quale Selena sembrò rendersi conto a poco a poco della situazione. Infine si alzò in piedi e con il tono più furente che le avessi  sentito usare durante la serata, scandì solo quattro parole : “TU. SEI. UN. IDIOTA!”.

Dopodiché uscì dalla stanza a passo rigido, sbattendo la porta dietro di sé. “Wow” sussurrai , profondamente colpito da quella reazione. Di una cosa ero sicuro, rimasto solo, nel bel mezzo del marasma in cui si era trasformata la camera.

Ed era che quella ragazza stava per sconvolgermi l’esistenza.



L'angolo dell'autrice

Ed ecco pronto anche questo capitolo.
Questa volta ci ho messo un po' di più ad aggiornare e chiedo umilmente perdono, ma questa settimana sono stata a casa pochissimo.
Spero che comunque il capitolo sia stato di vostro gradimento... Fatemi sapere che ne pensate.

  
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