Il salottino ha l’odore polveroso di vecchi ricordi
dimenticati; un aroma dolciastro, non sgradevole ma triste, che dice di mille
memorie inghiottite dal tempo.
La Stanza delle Necessità è una clessidra che oppone
l’immobilità di un istante all’emorragia della vita.
Hermione si chiede quanti, prima di lei – di loro – ne
abbiano violato la porta, per chiudersi in una bolla d’irrealtà. Il suo sguardo
accarezza ogni angolo, si perde negli interstizi e insegue le ombre: tutto, pur
di evitare quegli occhi.
Draco ostenta ancora le linee esili di un efebo, ma la
crisalide esausta sa di una guerra già vinta; l’acciaio delle iridi pallide
racconta di un’infanzia morta e di ambizioni adulte.
È un giovane predatore, Malfoy: quando nelle vene ti scorre
il freddo sangue dell’ambizione, tuttavia, l’età rende solo più imprudenti e
crudeli.
“Come sei rigida!” ironizza, strappandole un grugnito
frustrato. “Sai come chiamavano il valzer a Parigi?”
“No, e non m’interessa.”
Malfoy sorride e stringe la presa contro i suoi fianchi.
Sono così vicini da scambiarsi l’odore, ora: troppo, perché
parlare di controllo e razionalità abbia senso.
“Indecenza colpevole,” le sussurra Draco all’orecchio
– e sente il calore di quelle labbra; un brivido tiepido, come quel sospiro
tentatore.
Hermione deglutisce a fatica, ma solleva lo sguardo.
“Poetico,” articola con discreta freddezza. “Forse un po’ stucchevole ma
poetico.”
L’espressione di Draco non cambia, né si allenta la stretta.
Se lo sente addosso, Hermione. Una minaccia che non fa male.
“Dicevano che era un ballo tentatore, perché si balla
abbracciati.”
“È evidente, insomma, che non c’erano dame come la
sottoscritta.”
“Perché?”
Hermione si concede una smorfia di divertito sarcasmo. “Fossi
nel mio cavaliere, terrei d’occhio i piedi ed eviterei un contatto troppo
ravvicinato!”
Draco scioglie la stretta e ride di gusto. “Non esagerare. Il
ballo non sarà di sicuro la cosa che ti riesce meglio, ma non sei poi così
male!”
Hermione gli concede un grazioso inchino, prima di guadagnare
il divano d’angolo.
“Sei stanca?”
“Un po’. L’hai detto: il valzer non fa per me.”
Draco rotea gli occhi e sospira. “Sarà un duro
lavoro!”
C’è qualcosa di teatrale, in lui; qualcosa che odora
dell’esperienza consumata del vecchio stratega.
“Cosa c’è?”
Hermione socchiude le palpebre, senza smettere di fissarlo.
L’attrazione sfoca lo sguardo e distorce la prospettiva; ora
che sono lontani, invece, le invisibili crepe di una splendida maschera le
paiono evidenti.
Non ha paura e vuole che lo sappia.
Non è un pulcino indifeso, ma una leonessa che morde.
“Detesto tuo padre, lo sai? Lo detesto al punto che avrei
dovuto evitarti fin dalla prima volta in cui ci siamo incontrati.”
Draco serra le labbra, attonito.
“E sai perché? Perché è un pessimo attore. È un opportunista
disonesto e arrogante; sicuro, tuttavia, di farla sempre franca.”
La sua voce è ferma. L’incertezza di Malfoy le dà la forza di
proseguire.
“A un Purosangue aristocratico, nessuno dice mai di no. O
sbaglio?”
Draco non reagisce: la fissa, anzi, con uno stupore
autentico, che le comunica una sensazione di straordinario potere.
Se fosse più vecchia e scaltrita, saprebbe quanto pericolosa
sia la sicurezza che nasce da un affondo riuscito, ma deve ancora limare le
unghie, Hermione.
Deve ancora assaporare l’amaro residuo di una tazza chiamata
‘illusione’.
“Quando mi hai chiesto aiuto, quella notte… Be’, ho pensato
che tu fossi diverso. Lo pensavo fino a non molto tempo fa, a dire il vero.
Ecco, mi dicevo, il figlio di Lucius Malfoy non è un damerino arrogante e
falso come suo padre.”
Draco schiude le labbra, ma lo anticipa.
“Non ho ancora finito. Volevo fidarmi di te, perché… Un po’
mi piacevi, ecco tutto.”
Arrossisce, Hermione, eppure non cede.
Quando il Cappello ha sfogliato il suo cuore, oltre il
superficiale squallore della secchiona, ha trovato un fiume di lava.
È uno degli eroi di Hogwarts, miss Granger, non un’invisibile
pedina.
“Te lo dico, perché sono una persona onesta, io. Mi
piacevi e questo mi ha distratto. Ora che…”
L’espressione di Draco è cambiata, ed è una luce rabbiosa,
quella che gli oscura lo sguardo; una collera che potrebbe grandinarle addosso
impietosa.
Hermione, tuttavia, non si arresta.
“Ora che ti ho visto per quello che sei, però, posso darmi
della stupida e basta. Pensi davvero che non mi sia accorta che stai recitando
una parte?”
“Quale parte?”
La voce di Draco suona bassa e rugginosa: c’è in lui una
violenza latente che molto dice del suo ascendente.
È curioso ma Hermione ne è sollevata.
Non posso innamorarmi di un Malfoy. Se lui mi odiasse, tutto
sarebbe più facile.
È un pensiero lineare, persino rassicurante.
È un’ipocrisia di comodo, cui si ancorano entrambi: la
Leonessa e il Serpente.
Vorrebbero comandare ai sentimenti, ma quella del cuore è
un’anarchia che ammette solo rivoluzioni.
Non c’è legge, in amore: solo punti di vista.
Hermione abbandona il divano e si alza.
“Vuoi vendermi a Krum? Perché? Vuoi che ti racconti di Harry?
Vuoi che tradisca il mio migliore amico? Be’, non accadrà. Credi di potermi
sedurre? Abbassa il tiro, Malfoy.”
Malfoy.
È un sibilo sprezzante, offensivo come non sarebbe un insulto
diretto.
Draco sorride – una smorfia fredda e feroce.
“Tu sei pazza!”
“Credi?”
“Secondo te ha senso il modo in cui…”
“Ti ho dato una chance; molto più di una chance, anzi. Ti ho
chiesto solo di essere onesto con me, e tu cosa fai? Giochi al seduttore, come
se fossi una Lavanda Brown qualunque!”
Draco schiude le labbra, ma non riesce a replicarle.
“Sono brutta, ma non sono stupida. Pensi che non mi abbia
fatto piacere sentirmi al centro dell’attenzione, per una volta? Ovvio che ne ho
goduto! Era scontato! Scommetto che faceva parte del piano, no? Però vivo nel
mondo reale, Draco, e nel mondo reale, chissà perché, il figlio di Lucius
Malfoy…”
“Piantala di tirare in ballo mio padre!”
È un grido rauco, che non trasuda senz’altro controllo o
calcolo.
Privo di maschere, piuttosto, Malfoy è un bambino sull’orlo
delle lacrime.
“Io non sono mio padre. Io…”
“Tu hai provato a usarmi, come avrebbe fatto lui!”
Non lasciarti impietosire, Hermione.
Ricordati cosa è capitato a Ginny.
Ricordati che per quanto bianco sia il Serpente, il suo cuore
è nero.
“Io non ti sto usando… Volevo solo una scusa per stare con
te.”
“Che? Ma non…”
“Adesso sta’ zitta e lasciami finire. Tu sei convinta di
avere sempre ragione, no? Be’, ne conosco un altro come te; un altro che non
sbaglia mai, che ha una ricetta e una risposta per qualunque problema.”
“Ora non provare a…”
“Tu e Florian vi somigliate più di quello che vorreste e sai
una cosa? Entrambi pensate di conoscere tutto di me, e invece non capite
niente!”
Hermione apre la bocca, ma non trova parole da spendere.
Non questa volta.
Draco è furioso; macchie rossastre gli sfregiano la pelle
esangue e un velo opaco rende più liquidi che mai gli occhi mercuriali.
“Se c’è una cosa che non sopporto… Una cosa che non capisco,
è perché dobbiate pensare che io sia stato… Fortunato? Oh, sì: fortunato
ad avere come padre Lucius Malfoy. Io sono un buono a nulla raccomandato da…”
“Non ho detto questo!”
“Ti ho detto che ora parlo io!”
Meno di un passo a separarli.
La paura e il desiderio e la rabbia sanno ora delle lacrime
che Draco nasconde.
Sono lì, da qualche parte: Hermione riesce a sentirle.
“Mio padre mi ha mandato a Durmstrang! Eccolo, l’amore
di mio padre. Hai idea di come si viva in quel posto? No, non ce l’hai. Hai idea
di quanto sia duro andare avanti, se non sei…”
“… Se non sei?”
Ho perso il controllo, Draco, e se n’è accorto troppo tardi.
Hermione non lo sa, ma è vicinissima alla verità.
Le basterebbe afferrarlo per un polso, scoprirne
l’avambraccio sinistro, e tutto sarebbe chiaro.
Le basterebbe pronunciare quel nome e un orribile
castello di carte collasserebbe su se stesso.
È quel coraggio, però, che le manca.
Il coraggio di toccare con mano un dolore onesto.
“Niente… Fa’ conto che non sia successo niente,” le sibila
Malfoy. “A Viktor piaci lo stesso, anche se non sai ballare. Perciò…”
“A me piaci tu.”
Hermione respira a fatica, ma non rinuncia alla verità.
“Mi piaci quando sei… Vero? Quando non ti preoccupi di
sembrare meraviglioso. Quando non reciti il brutto copione scritto da qualcun
altro.”
Draco non reagisce.
“Per l’ennesima volta, Draco… Dimmi la verità… Quella vera.”
Malfoy si morde le labbra.
Nel silenzio incantato di una stanza inaccessibile, la
lezione di ballo è diventata una terribile lezione di vita.
Cosa chiami ‘rivelazione’? Una pezza pietosa lanciata
sull’ennesima menzogna, perché la realtà non piace a nessuno, se non agli
ipocriti.
“È vero, credevo di poterti usare.”
Le parole escono a fatica e fanno male.
Me l’aspettavo, si dice Hermione, e già pensa a come
rammendarsi l’orgoglio.
“… Ma è successo prima che mi salvassi la vita.”
“E ti aspetti che io ci creda?”
Draco scuote il capo. “No, non mi aspetto niente, a questo
punto. Se volevi la verità, però, adesso ce l’hai.”
Hermione non parla, né smette di fissarlo.
“Non doveva capitare; non proprio a me,” articola Malfoy con
un filo di voce. “Tu saresti stata solo una pedina, ma…”
“Ma?”
“Non potrei mai farti del male.”
Lo direbbe, Lucius?
Ti guarderebbe mai così?
“Viktor, allora? Che senso avrebbe…”
“C’era anche Krum, la notte dell’ippogrifo. Ho pensato che
facendogli un favore, avrebbe tenuto la bocca chiusa. La verità, però, è che…”
“Cosa?”
“Mi piaci, Hermione. Anche se andassi a quel maledetto ballo
con Astoria, finirei per guardare te. Viktor mi ucciderebbe, ma…”
Hermione si morde le labbra, divisa tra felicità e sospetto.
Sarebbe bello se il Principe Azzurro potesse davvero amare
Cenerentola ma Hermione non perde mai nulla: non le scarpe. Non la testa.
“Basta così. Basta. Hai ragione: non somigli a tuo padre.
Quelli di Lucius Malfoy sono bluff penosi, mentre questo… Wow… Saresti un attore
fantastico, Draco. Peccato che io sia…”
“Stupida! Stupida, cieca, cos’altro? Ti preoccupi tanto di
essere brutta, ma non è di sicuro per quello che i ragazzi ti girano al largo.”
Malfoy l’afferra per un polso – e non è una stretta gentile,
quanto una pretesa. “Pretendi di controllare tutto e tutti. Pretendi persino di
dire a me come dovrei sentirmi in questo momento! È umiliante! Io mi sto
umiliando per te.”
“Sono commossa,” replica fredda Hermione. “Mi chiedo quale
ragazza non vorrebbe ricevere una simile dichiarazione d’amore. Mi sto
umiliando per te… Tipico di un Malfoy!”
“Piantala!”
“Malfoy!”
“Piantala di usare il mio nome come se…”
“Malfoy!”
E poi succede.
Capita che realizzi d’aver finito le parole e che non ti
avanza il tempo di cercarne altre.
Capita che ti fidi dell’istinto e del desiderio.
Capita che scommetti al buio.
Tutto.
Capita che lei ti piace, e te la prendi.
È un primo bacio che somiglia quasi a uno schiaffo, pensa
Hermione, perché la bocca di Draco sa di rabbia e di risentimento.
Sono labbra piene di rancore, eppure morbide e caldissime.
Sono la prima carezza che riceve come donna; la prima pretesa
di possesso e di appartenenza.
Malfoy bacia con gli occhi chiusi e la goffa intraprendenza
dei ragazzini; sua è l’urgenza dei desideri repressi, delle voglie
inconfessabili e dell’inesperienza che morde il freno.
Se è un bugiardo, un ammaliatore, un manipolatore, la sua
lingua l’ha dimenticato.
Sei dolce, pensa Hermione. Sei dolce e bello da far
male.
Chiude gli occhi.
I loro respiri s’inseguono nel silenzio della Stanza che non
c’è, ironica metafora di quello che sono.
Di quello che potrebbero essere.
Una nata Babbana e un Malfoy?
Esistono ossimori più credibili.
“Ora ci credi?”
La voce di Draco somiglia a un sussurro.
“Non lo so,” sospira Hermione, prima di sollevare le
palpebre.
Occhi negli occhi, cercano qualcuno che l’incanto di un
istante ha cancellato.
“Non so se posso fidarmi di te.”
“Non ti sto chiedendo questo.”
Hermione sorride. “Puoi risparmiare il tuo tempo, allora,
perché già conosci anche la risposta all’altra domanda.”
“Forse no. Forse vorrei sentirla da te.”
Hermione gli accarezza lo zigomo, poi cerca di nuovo quella
bocca temuta e desiderata, nemica, eppure dolce.
Esistono verità che solo la pelle grida e il cuore ascolta:
in momenti come questi, la lingua non serve.
Non a parlare, almeno.
***
Lo studio di Severus Piton non è un ambiente che diresti mai
accogliente, ma alla debole luce delle candele è spettrale come pochi altri
luoghi.
Florian Von Kessel, nondimeno, sa che non deve guardarsi
dall’ombra, quanto dall’uomo – forse.
La verità è che il pozionista non scopre le carte.
Suo è un alambicco opaco, che non lascia cogliere l’opus.
“Potete passarmi quel frammento di Drago Rosso?”
Florian individua la scheggia di cinabro e la porge al
richiedente senza esitazione.
Piton lo ringrazia con evidente apprezzamento. “Ammetto che è
un piacevole lusso avervi qui. Se avessi formulato la richiesta all’indirizzo
d’uno qualunque dei miei studenti, eccetto forse qualche eccezione, avrei
ottenuto uno sguardo perplesso.”
La pietra brilla nelle dita di Severus e proietta diorami
sanguigni sulla parete.
“Sapete anche qual è il ruolo del Drago Rosso nell’Alchimia?”
“So che è la pietra simbolo della ‘via umida’ e la fonte
dell’Azoth.”
“Corretto. La vostra preparazione continua a sorprendermi…
Peccato che la ‘via umida’ non sia di vostro interesse. O sbaglio?”
Florian sussulta. Gli occhi di Severus non lo abbandonano.
“Delle vie che conducono alla conoscenza, avete già scelto
quella che vi somiglia.”
Piton si concede qualche istante: una pausa più dolorosa di
ogni accusa.
“La ‘via secca’. Voi siete un privilegiato: siete di quelli
che riusciranno comunque, quale sia il tempo che dedicheranno all’Opera. Voi non
avete la pazienza che occorre ad abbracciare la strada più nobile, poiché non vi
serve l’esperienza. L’avete già.”
“Io… Io studio molto,” balbetta Von Kessel.
“Ὁ μὲν
βίος βραχύς, ἡ δὲ
τέχνη μακρά. Conoscete questa sentenza?”
“No. Non comprendo il greco.”
“È un aforisma d’Ippocrate. Vuol dire che la vita è breve,
mentre il tempo che occorre ad apprendere è lungo.”
“Non capisco.”
“Oh, al contrario: avete compreso tanto bene il senso di
questa legge, da fare il possibile per abbreviare il vostro apprendistato. Alla
vita e all’alchimia.”
Florian si morde le labbra, muto.
“Conosco qualcuno che si è macchiato della vostra stessa
arroganza, signor Von Kessel. Qualcuno che potrebbe dirvi come e perché sia
umida la via che conduce alla sapienza, all’autentica eccellenza.”
“Voi, signore?”
Il pozionista sorride, ma è una smorfia senza calore.
“È umida la via che solve con il fuoco segreto; e voi sapete
cosa definiamo tale, vero?”
“Una materia liquida e salina e…”
“Sangue, signor Von Kessel. Ecco cosa ci hanno
insegnato i Grandi del passato: che l’ingrediente segreto dell’Opera è la Vita
stessa. Solo chi si è misurato con il costo della conoscenza, impara a temerla.
La ‘via secca’ è una via comoda, perché asciutta.”
Florian deglutisce con difficoltà.
“Ma la grandezza vuole sangue: il nostro e quello di chi
amiamo. Siete sicuro che, prima o poi, non sarete costretto a bagnarvi?”