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Autore: LacrymosaIr    20/11/2011    4 recensioni
Dodici anni, un evento infausto stravolgerà la vita di un innocente bambino destinandolo ad una tremenda condanna che lo perguiterà fino alla fine dei suoi giorni.
Nemmeno l'amore quasi paterno dello zio riuscirà a rimettere a posto i pezzi del suo cuore.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La verità fa male
Capitolo 1
La verità fa male.
Come una volpe inseguita dai cani correvo, il cuore che batteva all’impazzata rimbombava nelle mie orecchie, caddi sulla neve che si macchiò di rosso.
“Sono ferito?”  mi chiesi in silenzio.
Mi rialzai e ricominciai a correre a perdifiato, udivo il ringhio di quell’animale alle mie spalle, le sue zampe artigliate spezzavano i rami e affondavano nella bianca neve.
Era buio e ad illuminare il bosco vi era solo la luna che quasi sorrideva vedendo quella macabra scena, un fanciullo di appena dodici anni rincorso da un mostro che mai avrebbe immaginato di incontrare, dotato di zanne, unghie e ricoperto di peli.
Caddi nuovamente e dietro di me scorsi delle piccole luci fluttuanti, la testa prese a girarmi.
Il grido di dolore della creatura spezzò la quiete notturna e io mi rannicchiai a terra in posizione fetale stringendomi convulsamente la spalla dolorante, il sangue scorreva lentamente e l’adrenalina della corsa iniziava a svanire, sentivo freddo, molto freddo…
Improvvisamente qualcosa di caldo mi venne avvolto attorno al corpo, aprii gli occhi quando qualcuno mi  tirò su di peso e vidi i capelli rossi dello zio, sospirai capendo che ero al sicuro e poggiai il capo contro il suo petto chiudendo gli occhi.
Mi risvegliai una manciata di minuti più tardi, avevamo appena superato i confini del bosco ed eravamo giunti a quella che avevo sempre chiamato casa.
La porta giaceva a terra con i cardini ancora attaccati al legno, lo zio notò che ero sveglio e mi mise giù, corsi dentro e caddi in ginocchio vicino al corpo dilaniato di mia madre, calde lacrime rigarono le mie guance ma non emisi nemmeno un lamento.
Mi accucciai sul suo corpo e la strinsi in quello che sarebbe stato l’ultimo abbraccio, annusai i suoi lunghi capelli castani che odoravano sempre di vaniglia e le bagnai il dolce viso.
Lo zio entrò qualche minuto dopo di me, non sapevo di aver perso tutto, non mi ero domandato il perché dell’assenza di mio padre e quando sentii le parole dello zio all’inizio non capii, poi venni infuocato dalla rabbia ancora con il viso bagnato di lacrime.
“Il lupo era tuo padre…” disse queste semplici parole e io alzai lo sguardo verso di lui.
“Che vuol dire?” chiesi con gli occhi spalancati e liquidi.

“Era ubriaco e non è riuscito a….” non finì la frase che lo interruppi con un tono di voce più alto del normale “Ha ucciso la mamma per questo?!” strinsi i pugni incapace di capire e lui mi appoggiò una mano sulla spalla, mi scostai bruscamente e mi rialzai dando un ultimo sguardo al viso della donna che era morta per proteggermi, la scena mi riapparve bruscamente davanti.
La mamma aveva aperto la porta e mi aveva sorriso, poi un grosso lupo nero si era avventato verso di lei buttandola a terra, mi aveva urlato di scappare e io lo avevo fatto senza riuscire a pensarci, mi ero fermato nel mezzo della strada e l’avevo vista rialzarsi, mi aveva sorriso un’ultima volta con i capelli scomposti e il viso macchiato di sangue e poi aveva chiuso la porta.
Ero corso nella foresta con ancora nelle orecchie le sue grida d’agonia e poi avevo sentito il lupo sfondare la porta, mi aveva rincorso fino a che lo zio e gli altri cacciatori l’avevano ucciso.
Lo zio mi toccò di nuovo la spalla e non mi sottrassi alla sua stretta stavolta, mi voltai a guardarlo e lui mi accarezzò i capelli rossi simili ai suoi e a quelli di mio padre...
“Andiamo…” disse con voce stanca voltandosi e incamminandosi verso l’uscio, lo seguii in silenzio con lo sguardo basso senza sapere dove stavamo andando.
La gente si era radunata attorno a casa mia e lo zio mi trasse sotto la sua ala protettiva ignorando i curiosi a cui non importava del dolore che mi dilaniava il petto.
Camminammo per un po’ e poi arrivammo alla sua dimora, una giovane donna corse ad abbracciarmi mormorando al mio orecchio delle inutili parole “Red mi dispiace tanto…”.
Rientrammo nella casa e lei mi indicò un giaciglio dove coricarmi, mi stesi sul piccolo letto freddo e  mi ricoprì con una coperta baciandomi la tempia, rimasi in silenzio chiudendo gli occhi e sentii i suoi passi allontanarsi.

Kirya, era questo il nome della zia, pronunciò il suo nome traendolo dolcemente a se “Kurg’an…”, il grande uomo dai capelli rossi la trasse a se ringraziando il fatto che fosse ancora li e poi andarono a coricarsi in un’altra stanza.
   
 
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