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Autore: OttoNoveTre    22/11/2011    7 recensioni
- Infante…-
Corin alzò gli occhi dal libro per trovarsi davanti una giacca di velluto a costine. Seguì la linea di bottoni neri fino alla faccia, affondata tra la sciarpa e il cilindro. Distinse una ciocca di capelli biondo pallido e una voce adulta ma stridula.
- Infante, quelli sono miei.-
[personaggi principali: Alistair, Corin]
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alistair, Corin, Santiago, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga, Breaking Dawn
- Questa storia fa parte della serie 'Vento focoso e passionale sotto le magnolie'
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IL VECCHIO E LA BAMBINA




Chiuse l’ultimo baule con uno strattone alla cinghia di cuoio e lo consegnò al facchino, che lo portò assieme agli altri sul grosso carro parcheggiato fuori dalla porta.
Detestava traslocare, ma i vicini nella vecchia casa avevano cominciato a manifestare troppa curiosità per il giovane professore di storia inglese. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso risaliva a una settimana prima, quando la moglie del suo dirimpettaio aveva congegnato uno studiatissimo incontro casuale sulla tromba delle scale.
- Sa professore, la mia Georgette avrebbe tanto bisogno di un buon istitutore…-
Il tempo di contattare un’agenzia immobiliare, impacchettare le sue cose e il “professor” Alistair Elsey stava bussando alla porta della sua nuova affittuaria.
Gli aprì la porta una signora di mezza età con un paio di occhialetti arcigni e un vestito da vedova. Alistair si levò il cilindro e fece un inchino.
- Professor Elsey?-
- Proprio io, signora Lambrick.-
- Signorina, prego. La facevo più… Mi perdoni, sa.-
Alistair calò il naso più a fondo nella sciarpa e cominciò a giochicchiare col cilindro, facendo scorrere le mani attorno alla tesa.
- Più cosa?-
- Più anziano, professore. Sa, non che io mi impicci degli affari dei miei affittuari, almeno finché i pagamenti arrivano puntuali. Ma mi sono permessa, sa, non volevo si rovinassero… le suppellettili di casa sua sono di un gusto molto antico, per non parlare della sua richiesta dell’appartamento più ombroso e silenzioso. Così quando mi è spuntato davanti lei, un così bel giovanotto! Insomma, all’inizio credevo si trattasse di un nipote.-
Se l’anticipo delle prime mensilità non fosse già stato al sicuro nelle tasche di quella impicciona, Alistair avrebbe cercato altrove. Vedeva le manine ossute dell’affittuaria, avvolte da guanti di pizzo scadente, tastare, scostare, ripiegare malamente le sue cose. Annotò nella sua mente di chiamare una lavandaia e di passare tutti i libri col piumino. Si ripulì gli occhiali sfregando il fazzoletto contro le lenti con gesti nervosi.
- Sono un professore di storia, vivo immerso nella polvere del passato. Mi è comodo fare ricerche in casa mia, sa, con libri di un certo pregio…-
Ma la curiosità della signor…ina Lambrick era sfumata già alla fine delle oziose osservazioni che avevano scambiato sul pianerottolo, perché poi stette piacevolmente zitta. Salirono assieme una rampa di scale, fino alla porta del suo nuovo appartamento, rivolto a nord come da sua precisa richiesta. Sul pianerottolo due ragazzotti stavano buttando via gli ultimi imballaggi. Dalla porta si intravedevano le sue cose già predisposte secondo le istruzioni allegate ad ogni valigia.
- Come da sua esigenza, è un complesso di appartamenti prestigiosi. Il suo dirimpettaio è un colonnello in pensione, al piano di sopra c’è una vedova. Niente animali, niente viavai, niente ricevimenti, niente bambini.-
Esserini petulanti che strappano le pagine dei libri e pretendono le tue attenzioni.
La signorina Lambrick gli porse il mazzo di chiavi.
- Se ha bisogno di me…-
- Non credo. Grazie e buona giornata.-
Chiuse la porta alle sue spalle e si abbandonò a un sospiro. Poggiò il cilindro sulla cappelliera, si sfilò i guanti e li mise sul tavolo uno sopra l’altro, con le dita allineate. Spazzolò la giacca e la appese sull’attaccapanni, prese la vestaglia da camera e si accomodò sulla poltrona col plaid. Sulla scrivania esattamente alla sua destra trovò la familiare pila di libri sull’araldica, argomento del giovedì. Accarezzò il dorso brunito del primo, quello dorato del secondo…
C’era qualcosa che turbava l’armonia dell’insieme: il terzo libro aveva il colore verde cupo e le dimensioni che ricordava, eppure…
Nobiltà e Stemmi nel Galles
Infatti. Arricciò le labbra e andò verso gli scaffali alle sue spalle. Avevano evidentemente confuso Stemmi e Gagliardetti Gallesi con l’altro titolo. Le sue labbra si fecero due fili sottilissimi quando, scorsa con un dito la lettera S, trovò una lacuna tra Statue Funerarie Celtiche e Stili Pittorici nei Primi Monasteri Inglesi.
 I due ragazzi mandati dalla ditta erano già in strada, pronti a frustare i cavalli del carro traslochi. Si videro precipitare addosso una furia bionda in veste da camera.
- La valigia diciassette!-
- Professore?-
Gli occhiali di madreperla penzolavano dalla catenina, aggrappata per un soffio all’orecchio. Alistair deglutì e se li risistemò sul naso.
- Mancano dei libri, più precisamente i libri che erano nella valigia diciassette.-
Stringeva in mano un pezzo di carta stropicciata, che spiegò sotto gli occhi dei due.
- Libri in consultazione secondo gruppo del giovedì (araldica), antichi trattati di Erboristeria (due più opuscolo), Ciclo Bretone: dov’è il contenuto della valigia diciassette?-
- Tutto quello che avevamo è arrivato qui nell’appartamento. Se mancano cose, è colpa di chi ha sgomberato la sua vecchia casa. Questo è l’indirizzo del deposito, se vuole andare a controllare.-

Al magazzino gli avevano detto di controllare dal conducente del carro, il quale a sua volta gli aveva detto che, si sa, le strade di Londra sono così irregolari che a volte è inevitabile che qualcosa cada dopo un sobbalzo troppo violento. Alistair si segnò sul taccuino l’indirizzo del proprietario della ditta di traslochi, ripromettendosi di passare per “un goccio” a casa sua, come gentilmente gli era stato offerto oltre al risarcimento per i suoi libri.
Si concentrò sulla copertina bruna del primo libro, riscrivendo lettera per lettera nella sua mente i caratteri incisi in oro sulla copertina. Lo percepì su una bancarella di libri usati, allargò nella sua testa la prospettiva e riconobbe Kensington Garden. Trattenne un gridolino di gioia quando vide accanto al libro più grosso anche la sua collezione del ciclo bretone, con le copertine del loro rassicurante e familiare color ocra.
Una mano coprì l’immagine del giovane Artù che estraeva la spada dalla roccia. Una manina impiastricciata di caramello e di succo di mela.

- Infante…-
Corin alzò gli occhi dal libro per trovarsi davanti una giacca di velluto a costine. Seguì la linea di bottoni neri fino alla faccia, affondata tra la sciarpa e il cilindro. Distinse una ciocca di capelli biondo pallido e risentì la voce, adulta ma stridula.
- Infante, quelli sono miei.-
La linea del naso aguzzo puntava verso la tracolla, aperta sul suo ultimo acquisto: tutte le avventure di re Artù e dei suoi cavalieri.
- Cosa, questi?-
Allungò la mano verso il libro in cima alla pila
- NON TOCC…-
Corin fermò la mano a mezza via. L’uomo biondo si risistemò gli occhiali e le diede due specie di buffetti amichevoli in testa, anche se la sensazione era più di un automa rigido che, caricato a molla, alzasse e abbassasse il braccio ritmicamente. Tirò fuori dal taschino un fazzoletto e glielo porse.
- Infant…bambina. Potresti per piacere non toccare le copertine con le mani lerce?-
Corin si rese conto di avere i polpastrelli appiccicaticci dopo la merenda; il libro che stringeva in mano aveva delle impronte unte sulla copertina.
- Oh, non mi ero accorta.-
L’uomo biondo guardò che si pulisse le mani fino all’ultima falange. Iniziava a inquietarla, assomigliava al dottor Malefikus, quello di “Il misterioso laboratorio del dottor Malefikus”. Aveva lo stesso naso appuntito e gli occhi cattivi. Sembrava giovane dal viso, eppure gli sembrava più vecchio di suo padre. Qualcosa nel modo di fare e nello sguardo…
 L’uomo si riprese il fazzoletto con due dita, lo soppesò con sguardo schifato e lo gettò in un cestino.
- Bambina, i libri che hai in borsa mi appartengono.-
- Non credo, li ho comprati poco fa.-
L’uomo assottigliò le labbra e inspirò.
- Senti, piccola…cara bambina. Sulla seconda di copertina c’è il mio ex libris. Troverai il mio nome, Alistair Elsey. I libri sono finiti sulla bancarella per un disguido.-
Corin aprì di nuovo la prima pagina e trovò un quadrato di carta incollato. Aveva in cima una figuretta miniata di un falco incappucciato, sotto una scritta in corsivo:
professor Alistair Elsey
Bene vixit qui bene latuit
- Oh…-
L’uomo si sistemò gli occhiali e allungò la mano destra verso il libro.
- Avanti, ridammeli.-
- Ma…-
- Cosa c’è, vuoi indietro i soldi? Veditela con il tizio della bancarella che vende roba non sua. Grazie e a mai più rivederci.-
Le prese di mano il libro, guardando con una smorfia di disgusto le impronte sulla copertina. Lei si strinse al petto la borsa con il resto della serie.
- Bambina, non rendere le cose difficili.-
- Per favore, non è che voglio i soldi, ma almeno…-
Esitò per un attimo, mentre quel professore aveva tirato fuori un altro fazzoletto e ci stava pulendo la copertina del libro. Fece la fine del primo, appallottolato nel cestino.
-…almeno me li presti! Li tratterò bene, mi laverò sempre le mani per leggerli, mi metto anche i guanti se preferisce.-
- Assolutamente no. Dammi quella borsa.-
Corin ricacciò indietro un’altra protesta, perché gli occhi dell’uomo le parvero per un attimo diventare di un rosso acceso. Prese il pacco di volumetti dalla borsa e glieli porse.
- Bene, non era difficile. Addio bambina.-
L’uomo si incamminò con passo rapido verso il cancello di uscita. Corin tirò un sospiro di sollievo e fece un sorrisetto. Poco dopo sentì sulla spalla una mano gentile, e riconobbe il profumo di Charlotte.
- Corin! Ti avevo persa, stavo per tornarmene a casa senza di te. Perché ti sei fermata così tanto alla bancarella? Ah, hai preso un solo libro oggi, allora i soldi ti saranno bastati di sicuro.-
Corin nascose di nuovo tra le pieghe della mantellina un libro colo ocra.

Alistair spolverò i libri uno ad uno e li ripose sullo scaffale con amore, di modo che fossero allineati a un pollice dal bordo. Si allontanò di un passo per rimirare l’effetto complessivo.
E allora la vide.
Un’orrida, atroce inclinazione del dorso dei libri che poteva significare solo che…
Ricontò il numero dei volumi del ciclo Bretone: uno, due, tre quattro…sei.
- Quella mocciosa!-
Frugò per le strade di Londra alla ricerca della scia del libro mancante. Lo riconobbe appoggiato su un comodino. Nel letto accanto, sul cuscino, riconobbe una manina familiare. Come aveva fatto la bambina a portarselo via sotto il suo naso? Dettagli, l’importante era che non si fosse perso.
Poteva andare in camera della mocciosa, prendersi il libro, fare uno spuntino e tornare a casa a correggere quella stortura. Mise tra il quarto e il sesto volume un plico di fogli dello stesso spessore del libro mancante, per evitare la disarmonia. Cambiò idea sullo spuntino, era vestita bene la bambina: niente guai con famiglie importanti. L’indomani mattina sarebbe bastato bussare alla porta della casa e riprendersi il suo libro. Così avrebbe imparato, una bella sgridata e l’epiteto di ladruncola, sì, se lo meritava…
Con questo e altri pensieri, il mattino successivo, si diresse verso la casa della bambina. Per strada si accorse che la scia del libro era diventata più difficile da intercettare. Aveva come la sensazione che venisse verso di lui, invece che starsene buona sul comodino. Accelerò il passo, senza curarsi di aver urtato qualcosa di piccolo sul marciapiede. Solo dopo aver attraversato un viale si accorse che la scia del libro, invece che davanti a lui, gli dava le spalle. Vide dall’altra parte della strada una bambina che si rialzava da terra e spolverava un involucro che teneva in mano.
- Il mio libro!-
Corse verso di lei, rischiando di buttarla a terra di nuovo, strappò l'involucro di mano alla mocciosa e se lo strinse al petto. Controllò che fosse tutto in ordine: era stato imbustato assieme a un foglio di carta ripiegato. Scorse attraverso la carta una calligrafia infantile e le parole “mi dispiace”.
La mocciosa nel frattempo si era ripresa.
- Mi dispiace aver rubato il suo libro, professore. Non lo farò mai più, non ho dormito la notte per il rimorso. E’ solo che avevo iniziato il primo capitolo e dovevo sapere come andava a finire la storia di Parsifal… La prego non dica nulla a mia madre!- aggiunse prendendo il lembo della sua giacca. Le tolse di mano la stoffa con uno strattone e la spolverò con il guanto.
- E invece penso proprio che dovrò farlo. Capisco se avessi avuto ancora il dubbio di averli acquistati legalmente, ma ti avevo espressamente spiegato che erano di mia proprietà. Nonostante tutto, tu nei hai nascosto uno. Portami a casa che ho qualcosa da dire ai tuoi genitori.-
La bambina aveva lo sguardo basso e si torturava le mani.
- Io… mia madre non è a casa in questo momento. E nemmeno mio padre.-
- Mi accontento del maggiordomo o della tata.-
- E’ il giorno di permesso dei domestici.-
Alistair cominciò a innervosirsi.
- Vuoi dirmi che ti hanno lasciata a casa da sola? Prova a inventare qualcosa di più plausibile, ladruncola.-
La bambina si lasciò sfuggire un sospiro di rassegnazione, come se avesse già ricevuto quel tipo di obiezioni e fosse abituata a rispondere.
- Doveva venire mia zia Marian a badarmi, però si è dimenticata. Stamattina mi sono alzata da sola e ho deciso di approfittarne per venire a ridarle il libro senza che nessuno lo sapesse. Ecco – si frugò in una delle tasche del cappotto e ne tirò fuori una grossa chiave d’ottone – questa la uso dopo per rientrare. L’avevano lasciata nel vaso di peonie accanto al portone perché la zia aprisse. Se vuole venire a casa mia le offro un tè, devono esserci ancora dei panini al burro da ieri.-
- Vuoi dire che si sono dimenticati di te?-
- Hanno sempre tanto da fare…-
 La voce della bambina era poco convinta: stava ripetendo una giustificazione sentita da altri. Alistair ebbe un’intuizione: forse c’era un motivo ben preciso per cui il giorno prima non aveva colto la scia del libro rubato.
- Capita spesso? Che si dimentichino di te, voglio dire.-
- Questa settimana mi hanno lasciata al parco due volte. Poi, non mi hanno chiamato per la cena tre e… sì, martedì mi hanno lasciato tre ore in più dalla maestra di pianoforte.-
Si tormentava i capelli con le mani, tirandoli davanti alla faccia come una tenda. Iniziò poi ad armeggiare con la tracolla, la stessa del giorno prima. Ne tirò fuori un libraccio popolare, qualcosa a proposito di un vento focoso e di magnolie.
- Per questo mi porto sempre in giro dei libri. Se devo aspettare ci sono loro.-
- Dammelo.-
La bambina esitò ma gli porse il libro. Appena passò nelle sue mani sentì che la scia lasciata dal volume divenne forte, a differenza di quando era nella tracolla, la stessa differenza di potenza che intercorreva tra parlare normalmente e sott’acqua.
- Ma questo è straordinario!-
Alistair le mise le mani sulle spalle e sorrise. La bambina si irrigidì e lo guardò attraverso i capelli con aria spaventata.
- P-professor Elsey?-
- Andiamo.-
- Andiamo dove, professore?-
Mocciosa lenta di comprendonio. Ma poteva imparare a tollerarlo, se la sua intuizione si rivelava giusta. Le fece un cenno impaziente quando vide che non gli stava dietro con il ritmo dei passi.
- Ti riaccompagno a casa. Domani ci sarà tua madre?-
- Sì, ha il circolo con le amiche. Saranno da noi per il tè.-
- Domani passerò, così da raccontare della tua piccola impresa.-
La bambina alzò di scatto la testa, di nuovo con sguardo allarmato. Aveva sperato di risparmiarsi la punizione.
- La prego, è proprio necessario?-
- Non ti preoccupare. Se tutto va come deve, sarà un vantaggio per entrambi. Andiamo ora.-

- Mi scusi, non aveva detto che cercava mia figlia?-
Corin guardava la scena in salotto attraverso le sbarre della balconata. Sua madre stava squadrando il professore biondo, cercando di capire se doveva collocarlo fra gli ospiti desiderati o non, mentre sua sorella Lucy si rialzava da una riverenza. Le signore convenute attorno al tavolino avevano poggiato le tazzine e i biscotti e si godevano la scena.
- Non è questa la bambina, io cerco quella con i capelli e gli occhi neri.-
Vide il familiare lampo di comprensione negli occhi della madre e quel suo modo di massaggiarsi l’attaccatura del naso di quando aveva mal di testa.
- Ah, Corin. Come mai cerca quella bambina?-
Ecco, era arrivato il momento della sgridata. Strinse le due colonnine di legno e premette il viso nell’apertura tra di esse per non perdersi nemmeno una sillaba.
- L’ho conosciuta alla bancarella di libri usati di Kensington Garden e mi ha parlato del suo amore per la letteratura.-
Cosa?
- Ho appena traslocato e devo rimettere in ordine la mia libreria. L’ho accennato a sua figlia, che sarebbe entusiasta di aiutarmi. Sono venuto qui per chiedere il suo benestare: se il pomeriggio mandassi qualcuno a prenderla avrebbe qualcosa in contrario?-
- Come crede.-
Vide che il professore era rimasto basito dalla facilità con cui aveva ottenuto il permesso. Le venne da ridere: lui non era abituato alle risposte di sua madre, quando si trattava di lei. Poteva anche presentarsi Jack lo Squartatore, la risposta sarebbe sempre stata “come crede”. Ora che ci pensava, chi le assicurava che quel tipo non fosse davvero un delinquente? Sarebbe stata rapita e venduta ad un mercante di schiavi come in “Avventure sulla via della seta”? Così poi sarebbe arrivato a salvarla il misterioso Tsuneo, mercante di seta giapponese. Decise che valeva la pena rischiare. Del resto, quel tipo non aveva detto nulla a sua madre del furto. Nel frattempo, al piano di sotto, sua madre aveva detto qualcosa a Suzie, che si diresse verso le scale. Corse in camera per non farsi trovare ad origliare. Riuscì a saltare sul letto e aprire a caso il libro sul comodino.
- Corin, ti aiuto a vestirti che un professore importante ha chiesto di te.-

- Mi chiedevo…cosa vuol dire la frase che fa stampare su tutti i suoi libri?-
Corin era accoccolata nella poltrona che aveva messo apposta per lei accanto alla sua. La sua poltrona era nella posizione migliore, ovviamente, lontana dagli spifferi ma non troppo vicino al caminetto. Far entrare quella strana bambina nella sua casa era stata una delle migliori idee della sua lunga vita: nessuna lettera inopportuna, nessun vicino impiccione. Solo lui, i suoi libri e la quiete. Lei stessa era silenziosa. Ogni volta che arrivava da lui, le faceva togliere le scarpe e calzare delle scarpe da casa che aveva comprato apposta per lei, la spediva a lavarsi le mani, le metteva un paio di guanti e le preparava una pila di libri che potesse leggere senza creare danni. Sentire la sua voce era un evento raro, quindi sussultò alla domanda calata nel silenzio del salotto. Alzò la testa dai libri del lunedì (bestie mitologiche) e guardò la bambina che indicava col dito l’ex libris e il motto in latino.
- Questo, cosa vuol dire?-
- Visse bene chi bene si nascose.-
Corin valutò la risposta, guardando il falco incappucciato sopra le parole latine.
- Che motto stupido!-
Alistair era tornato al suo libro, ma fu riscosso nuovamente dall’osservazione. Diede un colpetto di tosse piccato.
- I guai vengono fin troppo spesso a cercarti da soli. L’unica soluzione è farsi notare il meno possibile.-
Corin continuò a fissare il rettangolo di carta. Alistair si concentrò di nuovo sulle raffigurazioni pittoriche delle sirene nelle cattedrali inglesi.
- E se il guaio fosse proprio rimanere nascosti?-
Alistair smise di nuovo di leggere e la guardò. Corin aveva la sua cortina di capelli neri davanti alla faccia: aveva fatto l’ultima domanda con una vocina piccola piccola.
- A me piacciono i libri, professore, mi piace avere tempo per leggerli e non mi lamento, mi comprano tutti quelli che voglio. Però mi piacerebbe avere qualcuno con cui parlarne…-
Alistair si pulì gli occhialetti a pinza e tornò sul suo libro. Quando la pendola battè le sei, l’ora in cui Corin doveva tornare verso casa, era ancora fermo allo stesso punto. La bambina si infilò il cappotto e si diresse verso l’uscita. Si chiuse la porta alle spalle con cautela, in modo che non sbattesse, come lui le aveva insegnato.
Alistair tentò di andare avanti di qualche riga, ma ogni volta che arrivava al “a capo” non ricordava nemmeno una parola. Chiuse il libro con un tonfo secco, si mise il cappotto sopra la giacca da camera, scalciò le ciabatte a casaccio sul tappeto e infilò gli stivali. Aprì la porta di colpo e inciampò in qualcosa che si trovava seduto sul pianerottolo.
Corin era accucciata fuori dalla porta: si strofinò in fretta gli occhi e lo guardò, tentando di non scuotere troppo le spalle per i singhiozzi.
- Si… si sono dimenticati di venirmi a prendere. Capita, adesso chiamo una carrozza e vado, come faccio di solito.-
Alistair le porse la mano. Poi si ricordò che non aveva messo i guanti e che la bambina aveva le mani umide di lacrime e moccio. Si frugò in tasca e le porse prima un fazzoletto. La bambina lo prese e cominciò ad asciugarsi le guance con gesti meccanici.
Oh beh…
Corin si irrigidì col fazzoletto su una guancia, quando se la prese in braccio e cominciò a scendere le scale.
- Ci sono io, ti accompagno io.-
La posò sul marciapiede, le mise i guanti e strinse la mano nella sua.
- Dai, perché non mi racconti del libro che stavi leggendo prima? Quello con il galeone…-
Un vecchio e una bambina si presero per mano.

- Dove mi sta portando?-
- In un posto che ti piacerà un sacco…-
Corin e Alistair erano in una carrozza e si stavano allontanando dalla città, poteva capirlo dai rumori di fuori e dal profumo dell’aria. Viaggiavano da qualche ora, Alistair aveva insistito per tenere le tende dei finestrini tirate perché voleva farle una sorpresa.
Quando la carrozza si fermò, il professore spalancò la porta e Corin vide un sentiero lastricato con grosse pietre che serpeggiava in mezzo a un prato bellissimo, per finire…
- Un castello!-
- Benvenuta al Nido del Falco. Il castello è monumento storico riconosciuto dalla Corona Inglese, le aiuole vengono curate da un giardiniere ogni giorno ed è severamente vietato correrci!-
Corin si stoppò con il piede a mezz’aria e tornò sul sentiero, con la faccia innocente.
- Oh cielo, è bellissimo. Professore, lei ha studiato il castello? Ne conosce il proprietario?-
- Certo che lo conosco.-
Ad Alistair cadde un velo di malinconia sugli occhi.
- Sono io.-
Non parlò più finché non arrivarono nella stanza principale: Corin non sapeva dove guardare, tra gli arazzi alle pareti, gli affreschi del soffitto, le armi e le armature su una rastrelliera e l’enorme camino alla sua destra. Alistair tirò le tende di velluto e fece entrare un po’ di luce lattiginosa dalla brughiera. Corin riuscì a scorgere meglio le figure sugli arazzi, una famiglia numerosa sotto lo stesso stemma che aveva visto tante volte sugli ex-libris nello studio del professore, il falco incappucciato.
Alistair si era seduto ad un grosso tavolo nel centro del salone. Lo raggiunse e si arrampicò sulla sedia vicino alla sua.
Alistair faceva vagare gli occhi sull’arazzo.
- Quella famiglia è stata coinvolta in una congiura. Il padre voleva vendicare la morte del figlio maggiore, coinvolto in una congiura per assassinare Edoardo II. Fece un patto con un uomo di nome George, che si spacciava per uno stregone. Gli sacrificò la moglie e le figlie per rendere immortale il maschio che gli era rimasto. George si prese anche il padre, solo per rendere il figlio un mostro. Lui, il figlio, voleva solamente allevare i suoi falchi, invece lo hanno trascinato in mezzo a tutta questa follia, non hanno permesso che vivesse in pace, nemmeno che riposasse in pace. Così ho passato i secoli successivi a tentare di fare meno confusione possibile.-
- “Hai” passato?-
Alistair si riscosse e si mise a sfregare le lenti degli occhialetti.
- Ha tentato. Ha tentato, ovvio, sono passati ormai 500 anni. Ma credo che la sua voglia di tranquillità sia rimasta nel sangue della famiglia.-
Corin si rimise a guardare l’arazzo, un po’ più triste al pensiero che tutte quelle persone fossero morte.
- Il cattivo, lo stregone George, è morto?-
- Ci ha pensato il ragazzo in persona.-
Corin annuì soddisfatta.
- Mi piacciono i libri dove il malvagio viene punito.-
Il professore continuava a guardare l’arazzo. Lei, dopo aver dedicato un pensierino alla famiglia morta, cominciò a essere attirata dalla rastrelliera di armi. Scese con cautela dalla sedia e trotterellò verso le armi.
- Questa come si chiama?-
Non fece in tempo ad allungare la mano verso la lama che Alistair era schizzato a tirarla indietro.
- Non si tocca! Perché i bambini hanno la mania di toccare tutto?-
Il professore prese fuori il solito fazzoletto e strofinò la lama fino a quando ci si specchiò. Corin sorrise e incrociò le mani dietro la schiena.
- Allora, come si chiama?-
- E’ una spada bastarda.-
- A casa mia a volte usano questa parola. Non sapevo che mio padre tenesse spade in ufficio.-
- Vuoi proprio vedere le armi? Nel giardino c’è uno dei roseti più belli di tutta l’Inghilterra, anche più belli di quello che Terence pianta per Dorothy, nella sua casa in India.-
Corin non se lo fece ripetere due volte.

Signorina Corin,
purtroppo sono costretto a trasferirmi fuori Londra e non sono in grado di darle il mio indirizzo. Non ho potuto rifiutare, è un ordine preciso di un mio superiore. Spero che ti ricorderai del nostro giro nel castello. Troverai qualcun altro a cui raccontare le tue letture.
Distinti saluti
Alistair Elsey

Corin lesse il bigliettino più volte di fronte all’appartamento vuoto e sbarrato. Era infilato in un cordino che teneva assieme un pacco. Dentro ritrovò i familiari volumetti del ciclo bretone, dal retro della copertina erano stati strappati tutti gli ex-libris.

Quando mai ho avuto la brillante idea di ascoltare Carlisle, dico io. Adesso me ne torno a casa e facciamo finta che questo spiacevole evento non si sia mai verificato. La fa facile, Carlisle, lui non la ha giusto oltremanica la famiglia reale…
Sentì un fruscio da un albero vicino ed ebbe la strana sensazione che le ombre si allungassero per un attimo. Nel suo cervello si insinuò il ricordo di una traccia familiare, come se nei paraggi ci fosse uno dei suoi libri. O almeno, era una traccia legata a dei libri ma non proprio un libro.
- Professore?-
Alistair sobbalzò e gli caddero gli occhialetti dal naso.
- Professore!-
Le ombre dell’albero si allungarono e presero consistenza in una forma umana, una ragazza con lunghi capelli neri e un accento simile al suo. Era diventato più sensibile alle parlate, dopo quei giorni in mezzo agli yankee.
- Corin? Non ti avevo vista!-
- Diciamo che è rimasta la mia specialità. Non farmi vedere ma pattugliare la zona, ordine preciso del mio superiore.-
- Al castello, quel giorno, mi ero lasciato sfuggire un po’ troppe cose. Mi è arrivato dall’Italia un cordiale avvertimento a lasciarti perdere.-
- Lo so, Aro mi ha spiegato perché lo ha fatto. E le manda anche a dire che non ha nulla da temere per il fatto di aver risposto all’appello di Carlisle Cullen. Sa che il suo unico desiderio è essere lasciato in pace, e non potrebbe chiedere niente di meglio. Ah, ha aggiunto anche “se Alistair avesse passato un po’ di buon senso al caro Carlisle…”-
- Bene vixit qui bene latuit, non te lo dimenticare. Siete qua per ucciderli?-
Corin rise.
- Le pare che saremmo venuti così con la fanfara? – la ragazza sospirò – Credo sia una delle tante concezioni di divertimento del mio signore. Ha anche detto qualcosa a proposito di Rio…-
Rimasero un attimo in silenzio, mentre Alistair si puliva gli occhiali. Sì sentì un fruscio di rami e da un albero saltò accanto a Corin un tipo massiccio.
- Tutto bene, bimba?-
- Sì, stavo solo salutando un amico.-
- Un amico?-
Il tipo massiccio lo scrutò. Ad Alistair non era sfuggita la sfumatura poco amichevole con cui aveva pronunciato l’ultima parola. Il tipo gli scoccò un’ultima occhiata, decise che non era pericoloso e scomparve di nuovo tra gli alberi.
Alistair sorrise e rinforcò gli occhiali.
- Adesso che il nostro superiore non ha più nulla da temere per la segretezza della specie, tu e il tuo uomo potreste venire al castello, qualche volta. Anche se temo che lui non sia discreto come te.-
- No, guardi che Santiago non è…-
Alistair riconobbe la tenda sugli occhi e le mani che si contorcevano.
- Sarò anche un misantropo, ma non sono cieco. Ora, se mi scusi, il viaggio fino a Londra è lunghetto. A presto, infante.-
- A presto, professore.-








La tana di Otto
Ora che ci sono tutti i Volturi nella tendina personaggi, io ovviamente dovevo andare a pescarne un altro che non comparisse nell'elenco XD. In realtà avevo in mente da tempo una trama in cui Corin e Alistair, entrambi londinesi, si incontrassero. Tutto nasce dal mio amore per le storie mentore-allievo, soprattutto se il mentore è un uomo e l'allieva una bambina. Il resto l'ha fatto la canzone di Guccini "il vecchio e il bambino", da cui ho preso il titolo e la frase in mezzo alla storia. L'atmosfera invece è più allegra di quelle descritta nella canzone. Mi piaceva l'immagine di questo vampiro rassegnato e solitario, vecchio nel senso di incastrato nelle sue abitudini e nell'epoca in cui è nato. E la bambina che, un pochino, lo risveglia.
Sovrapponendosi alla canzone, un personaggio che mi è stato d'ispirazione per la creazione di Alistair è Sheldon Cooper, di "The big bang thory". Espliciti riferimenti a Sheldon sono i libri divisi per argomento a seconda dei giorni della settimana e la poltrona nel punto ideale della stanza.
La storia di Alistair e la sua misantropia sono raccontate dalla Meyer nella guida: era un nobile, il padre lo voleva sul trono, così vende la sua famiglia e se stesso a un vampiro, George, che si spaccia per un demone. Alistair viene trasformato ma rigetta la sua nuova natura per l'orrore di aver sterminato un intero villaggio e i suoi animali preferiti (un cavallo e dei falchi da caccia) e passa i secoli successivi a nascondersi. L'idea che sia diventato un perfettino maniaco dell'ordine l'ho aggiunta io. Alistair scappa da Volterra prima che arrivino i Volturi, ed è lì che Corin lo trova.
Corin, come sempre nelle mie storie, ha un potere diverso da quella della guida: manipola le ombre. La madre che la tratta freddamente e la battuta sulla spada sono due riferimenti alla sua storia, raccontata in Ebano.
Questo episodio avviene prima di Le parole giuste,  per questo Santiago è geloso e Corin si vergogna quando Alistair insinua che stiano assieme.
Bene, non vi annoio oltre. Grazie a chi passerà di qui.










   
 
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