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Autore: LeftEye    22/11/2011    3 recensioni
Cercò di riportare alla mente cosa avesse visto nel sonno di tanto sconvolgente da farlo svegliare di soprassalto, ma tutto ciò che vedeva ancora del sogno erano degli occhi rossi.
Tanti occhi rossi.
E anche… ora ricordava! Una giovane donna.
***
Fanfic corretta e modificata! Il pianeta Vegeta è alle prese con un virus che trasforma tutti in zombie, come andrà a finire?
Genere: Avventura, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Nuovo personaggio, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Livello due: contagio




Che aveva fatto di male per meritare questo?
Si era ricongiunta alla sorellina solo quella mattina, si era accertata che stesse bene, l’aveva consolata per un po’ mentre piangeva, per poi rimproverarla di essere una stupida frignona.
Nell’educazione dei giovani Saiyan era importante inculcare nella loro testa l’obbligo di non auto commiserarsi mai, di non arrendersi, di non mostrare le proprie debolezze al nemico.
Da quando i loro genitori erano morti in combattimento, Ginger ne aveva fatto le veci prendendosi cura della sorella minore. Concluso l’allenamento di preparazione all’accademia che sua madre aveva cominciato quando la bambina aveva appena due anni e mezzo, le stava dando un’infarinatura di cosa si poteva e non si poteva fare con i maschi, almeno fino ad una certa età e, a suo modo, le aveva dato un po’ di quell’affetto che i Saiyan sapevano esternare veramente di rado con la propria progenie.
Aveva anche praticamente smesso di frequentare gli uomini, da quando una sera Kauli era stata svegliata dai forti dolori muscolari provocati dal duro allenamento di quella giornata e, raggiunta la camera della sorella più grande, l’aveva sorpresa in una posa scomposta, nuda e gemente sotto un ammasso di carne e muscoli sudati. Ginger si era alzata spingendo da parte l’uomo, infastidito per l’interruzione, e le aveva dato uno schiaffo così forte che le era rimasto un segno bluastro sulla guancia per quattro giorni.
Ma la piccola non aveva pianto, né si era lamentata: aveva continuato a fissare Ginger in silenzio, con un’espressione indecifrabile, e solo allora la ragazza si era resa conto di quanto si assomigliassero, e che quella piccola sosia davanti a lei era tutto ciò che le rimaneva.
Da quel momento, il rapporto tra di loro si era rasserenato, e i compagni di squadra di Ginger a volte la prendevano in giro per le sdolcinate attenzioni che riservava alla bambina, come pulirle la bocca dopo aver mangiato qualche schifezza, sistemarle un ciuffo di capelli in disordine, o farle delle raccomandazioni quando, alla mattina, si recava all’accademia.
Se solo tardava di qualche minuto, Ginger iniziava ad agitarsi e, quando Kauli arrivava, riceveva una bella sgridata.
Nessun Saiyan si comportava in modo così affettuoso con i propri cuccioli, e tutti erano sicuri che la mocciosa non sarebbe diventata una valida guerriera, non quanto la sorella maggiore.
Non lo avrebbe mai confessato apertamente nemmeno sotto tortura, ma se avesse perso Kauli sarebbe morta di dolore.
Quella tremenda sensazione che aveva provato poco prima, lasciando la stanza di Lord Freezer, stava riaffiorando in lei e l’avvolgeva come un’ombra scura, senza risparmiare la sua sorellina.
Si era ritrovata davanti alla soglia di casa due guardie, le quali erano venute a comunicarle che Freezer voleva incontrala nuovamente.
Non aveva forse detto che era libera, che non gli servivano più i suoi sporchi servigi?
Qualcosa stava per accadere, ma avrebbe impedito con tutte le sue forze che Kauli venisse coinvolta nuovamente: lei doveva diventare una guerriera, l’orgoglio della famiglia, e doveva essere protetta perché era ciò che i genitori le avevano raccomandato.
Il sangue della sua famiglia non doveva essere sparso se non in combattimento, altrimenti sarebbe stato uno spreco.
«Vado ad avvertire mia sorella, aspettate un attimo.»
Camminando lentamente e strascicando pesantemente i piedi, si diresse nella stanza di Kauli, dove la piccola stava riposando, finalmente dopo tante settimane, in un letto caldo e sicuro.
«Ehi, mocciosa» la scosse delicatamente per svegliarla, e lei aprì gli occhietti assonnati.
Teneva un pollice in bocca, cosa che fece arrabbiare Ginger.
«Togli quel dito dalla bocca, non sei una poppante! Apri bene le orecchie: sto andando via, mi hanno chiamato dal palazzo reale. Se non sono di ritorno tra due ore, e se non ti arrivano messaggi da parte mia, prendi tutti i soldi che ci sono sotto l’asse del pavimento, in bagno, e vai via di qua.»
«Ma Ginger…» cercò di protestare la bambina, senza esito.
«Niente “ma”. Ricordi quello che ti ho detto? Devi diventare una brava guerriera, come lo erano tuo padre e tua madre, con o senza il mio aiuto. Hai capito? Due ore. Per sicurezza preparati già una sacca e, quando esci, non farti vedere da nessuno, sono stata chiara? Vai il più lontano possibile, e non dire a nessuno chi sei. Prometti?»
«Sì, però voglio che torni» annuì Kauli.
«Non è una cosa che dipende da me; non so cosa voglia Freezer, ma se vuole farmi del male, poi lo farà anche a te e questo non deve succedere. Quindi, se non torno, fai quello che ti ho detto.»
Per salutarla, la strinse a sé per la prima volta da quando era nata, all’inizio freddamente, ma poi sempre più forte, dimostrandole tutto il suo amore.
Se ne andò col cuore pesante, lasciando sola la bambina.
Quando si trovò al cospetto di Freezer, per la seconda volta quel giorno, non era convinta che lui le volesse affidare una missione.
«So che ti ho detto che non mi servi più, Ginger» iniziò a parlare il viscido despota non appena la vide. «Ma mi serve un altro piccolo favore da te. Non preoccuparti, non consiste in nulla di pericoloso, anzi, sarai la prima a ricevere un nuovo vaccino contro un tipo di malattia molto pericoloso per voi Saiyan. Segui il dottor B., ti condurrà al laboratorio. Vedrai, sarai a casa nel giro di dieci minuti, in tempo per la cena.»
Non credette affatto alle sue parole, ma non aveva altra possibilità se non quella di obbedire.
Venne condotta in una zona del palazzo che nemmeno sapeva esistesse: non che conoscesse bene quel posto, ma si rese conto di essere stata una sciocca a non pensare che Freezer avesse dei sotterranei dove realizzare i suoi loschi piani.
Di sicuro non c’era bisogno di rendere così invalicabile, con password, guardie e riconoscimento vocale, un semplice ambulatorio: evidentemente lì si nascondeva qualcosa.
«Non aver paura» tentò di rassicurarla il vecchio alieno accanto a lei. «Non sentirai nulla.»
«Non ho paura» sbottò, infastidita che i suoi veri sentimenti fossero così cristallini agli occhi di un alieno. Odiava il dottor B., così simile a loro nell'aspetto, ma dal carattere così fragile e fastidiosamente estroverso ed amichevole. «E’ solo un vaccino, no?»
«S-sì sì, solo un vaccino!»
La fece stendere su di un lettino dove, stranamente, le misero anche dei legacci alle mani. Si allarmò.
«Che stai facendo?» strillò, tentando di divincolarsi.
«Niente, è che potrai provare prurito all’inizio, ma non dovrai grattarti. E’ solo una precauzione.»
Quell'uomo non era bravo a mentire.
Ginger alzò gli occhi verso l’alto, con uno sguardo impaurito, e solo in quel momento si accorse di trovarsi all’interno di una specie di gabbia trasparente, forse di un materiale plastico rinforzato e a prova di Saiyan, come i legacci con cui era stata immobilizzata.
Il vecchio uscì dalla gabbia, dopo averle lanciato un'occhiata dispiaciuta, ed entrò un infermiere basso ma forzuto, con una siringa tenuta verso l’alto dalla mano protetta da un guanto bianco.
La ragazza non fece in tempo a proferire parola che l’aveva infilzata con quel maledettissimo ago. Velocemente, l’uomo lasciò la stanzetta e chiuse la porta a tenuta stagna.
Dall’interno non si udivano i rumori esterni, ma arrivò una guardia a chiamare il dottor B., il quale abbandonò il laboratorio.
Nel frattempo, la ragazza aveva iniziato a sentirsi strana, stordita; stava male.
Tutto iniziò a girare e poco a poco il suo respiro accelerò, come la frequenza cardiaca; le faceva male lo stomaco, come se fosse stato trafitto da mille aghi; all’improvviso un forte conato le mozzò il respiro e, non potendo trattenerlo, vomitò un fiotto sangue.
La vista le si annebbiò e non riuscì più a pensare lucidamente, non capiva niente, vedeva tutto sfuocato e voleva solo liberarsi, afferrare qualcosa, stringerlo forte tra le mani e urlare e graffiare e mordere e mangiare.


Dall’esterno della gabbia, quattro medici e l’infermiere osservavano i primi sintomi affiorare nella cavia.
Dopo il rigurgito di sangue, pareva che la giovane donna avesse perso la ragione, era rabbiosa: sbavava e si agitava, con gli occhi ribaltati all'insù, i pugni stretti e le dita dei piedi contratte.
Un’immagine spaventosa: si agitava sul lettino e dopo vari tentativi i legacci si staccarono, liberandola. Ma i medici non si allarmarono, sapevano che il materiale trasparente li avrebbe protetti, lo avevano rinforzato dopo l’esperimento con i topi e sapevano che era impossibile romperlo, anche per un Saiyan.
Si sbagliavano.
Come invasata la donna, che aveva perso ogni caratteristica comportamentale umana ed era come regredita allo stato bestiale, prese a sbattere contro la parete trasparente, guardando affamata i medici, mordendo, graffiando con le unghie, sbattendo la testa e i pugni, ringhiando e urlando.
L’équipe non si mosse; prendevano appunti, discutevano tranquillamente, fino a quando, all’ennesimo colpo, il vetro iniziò a scheggiarsi e si formarono una serie di scanalature e crepe, allargandosi lentamente a ragnatela.
La donna, accorgendosi del risultato dei suoi colpi, prese la rincorsa e sbatté addosso al vetro con tutta la forza che aveva, spinta dalla fame che la dilaniava.
I medici non ebbero il tempo di preoccuparsi, che la difesa tra loro e l’infetta era stata distrutta, e l’inferno iniziò.
Ginger si avventò sul primo uomo che le venne a tiro, lo buttò per terra gettandosi su di lui, ruggendo, e con le zanne appena spuntate gli squarciò la gola dal mento al petto, succhiando e mordendo senza nemmeno fare caso alle urla e agli spasmi della sua vittima ancora in vita.
Qualcuno le sbatté sulla schiena un oggetto contundente, senza provocarle il minimo fastidio, anzi, ella rispose alzando le braccia e graffiando qualunque cosa si trovasse sulla sua traiettoria, ululando per poi ritornare al suo pasto.
Il medico che aveva tentato di colpirla osservò il taglio che lei gli aveva provocato, e si sentì girare la testa: rigurgitò sangue, cadde per terra e iniziò a ringhiare a sua volta affamato, con gli occhi iniettati di sangue e le pupille nere, gettandosi sui suoi colleghi che cercavano di scappare.
Quando nel laboratorio non ci fu più niente da mangiare se non le ossa dei tre cadaveri, solo la metà di coloro che erano entrati uscì dai sotterranei, invasati, affamati, con la mente vuota e sorda alle suppliche delle loro vittime.
Ben presto il palazzo si riempì di urla disumane; i soldati che tentavano di fermare gli infetti venivano uccisi brutalmente o trasformati a loro volta in belve feroci.
Dall’ala del palazzo in si trovava, Freezer poteva sentire tutto. Se ne stava rinchiuso nel suo ufficio, insieme ad alcune guardie personali e al dottor B., e attendeva.
Aveva ordinato a tutti i suoi uomini di bloccare i tre infetti ma, quando un soldato tornò, ansimante e spaventato, riferì che non erano più tre, ma almeno una trentina e si moltiplicavano ogniqualvolta qualcuno veniva ferito.
Pochi istanti dopo fece irruzione un infetto, che tutti riconobbero essere Dodoria, ma non ci fu verso di farlo ragionare, era come impazzito e sembrava diventato più forte del solito; da quell’ufficio uscirono, dopo aver frantumato la finestra, solo poche persone, compreso Freezer.
Si era reso conto di aver perso il controllo della situazione, prima ancora di mettere in atto il suo piano e non poteva certo risolverla stando lì, in mezzo a tutto quel trambusto.
Si avviarono tutti verso una delle astronavi e, una volta in volo, lanciarono un missile contro gli unici tre hangar del pianeta, distruggendo ogni possibilità di fuga per coloro che avrebbero dovuto affrontare un branco di mostri assetati di sangue e impedendo così a chiunque di portare il virus all’esterno.
Erano tutti intrappolati nel bel mezzo dell’inferno.


***


Note:

ho dimenticato di specificare che, per i dettagli di questa fan fiction, ho preso spunto da diversi film sull’argomento, quali “Io sono Leggenda” (ad esempio la scena di Ginger che sbatte addosso al vetro della gabbia per romperla), “28 giorni dopo”, “28 settimane dopo” (più avanti, chi li ha visti, noterà i dettagli). Forse nei prossimi capitoli mi ispirerò anche a “Resident Evil” o a qualche altro film, comunque ve lo comunicherò.



   
 
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