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Autore: irene862    23/11/2011    1 recensioni
2015 --> REVISIONATA E CORRETTA!
Dal IX capitolo..
“Hai perfettamente ragione, sei stato uno stronzo. Un emerito, grandissimo stronzo! Non ti permettere mai più di rifare o ridire quello che hai detto e fatto. Perché te ne pentiresti! “ Non so dove presi il coraggio di minacciarlo. Ma fui contenta di avercelo ficcato da qualche parte.
“Non so con chi hai a che fare quotidianamente, nel tuo mondo patinato di super divi miliardari, ma qui è diverso. Siamo nel mondo reale bello! La gente merita rispetto!” Eravamo talmente vicini che i nostri abiti si sfioravano. Gli puntai un dito sul petto e lo pungolai. ” E non mi importa un fico secco se sei un attore Hollywodiano o che altro. Non credo ad una sola parola delle tue scuse di poco fa quindi non starmi tra i piedi ed andremo d’accordo! Non sono venuta fin qui da casa mia per farmi insultare da un maledetto idiota borioso, come te!”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dolce e delicata come il miele'
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Cap. 36

XXXVI Capitolo

 

 

 

 

Remember those walls I built
Well, baby they’re tumbling down
And they didn’t even make up a sound
… I got my angel now
Every rule I had you breakin’

Everywhere I’m looking now
I’m surrounded by your embrace
Baby I can see your halo
You know you’re my saving grace

You’re everything I need and more
It’s written all over your face
Baby I can feel your halo
Pray it won’t fade away

I can feel your halo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondi….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Minuti…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giorni…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Settimane…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Un Mese…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Due mesi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre mesi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quattro mesi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cinque mesi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Affrontavo ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni maledettissima settimana in un inferno … nella continua e folle speranza di poterla riavere ancora nella mia vita. Nonostante i tentativi che avevo fatto per riavvicinarmi a lei, tutto era stato inutile. Ogni volta che chiamavo il cellulare risultava spento, mentre a casa parlavo alternativamente con John o con Lisa senza riuscire mai a sentire la sua voce. Avevo provato non so quante volte ad andare a trovarla a casa ma si era fatta negare.

La mia disperazione e la mia colpa salivano raggiungendo picchi impensabili … e giorno dopo giorno annegavo in un mare di dolore. Un dolore di cui ero il solo artefice e che avevo inflitto non solo a me stesso ma anche a lei.

Avevo spiegato brevemente l’intera faccenda prima a John e poi a Lisa ma non era cambiato nulla. John era arrabbiatissimo, a ragione, mentre un po’ di compassione mi veniva offerta da Lisa che, seppur distrutta dall’infelicità della figlia, usava sempre parole gentili.

Non c’era da stupirsi che reagissero così, visto che il carico da cento lo avevano lanciato stampa e media pubblicando su ogni dannatissimo blog, tabloid o programma televisivo l’intera faccenda. Sul mio sito decine, anzi centinaia di fan avevano lasciato messaggi negativi di tutti i tipi. La maggior parte delusi dal mio comportamento.

Ero disgustato da me stesso.

Ma cosa cazzo mi era saltato in mente? Dio, che bastardo!

E dopo tutto quello che avevo combinato mi aspettavo pure che lei tornasse da me e mi perdonasse? No, lo sapevo bene.

Ma era quello che sognavo e che desideravo in ogni singolo momento della giornata!

Mi passai una mano sul viso stanco. Sentivo la barba pizzicarmi e solleticarmi le dita. Non mi radevo da non so quanti giorni. Mi ero preso una pausa dal lavoro.

Anche perché lavorare in queste condizioni non è proprio possibile!

Erano passati quasi sei mesi da quel maledetto giorno. Dal giorno in cui lei mi aveva cacciato da casa sua, da quando mi aveva allontanato da tutto ciò che la riguardava.

Il dolore quasi m’impediva di respirare, straziava il mio cuore e annullava tutto il resto. Non riuscivo a fare altro se non sopravvivere giorno dopo giorno. Vivevo in un limbo senza fine.

Il trillo acuto ed improvviso del cellulare mi riportò alla realtà. Mi fiondai sul comodino con un’unica speranza nel cuore. Speravo fosse lei perché avevo un assoluto bisogno di sentire la sua voce.

Mi illudevo.

Era Susy che, ogni giorno, chiamava per sapere come stavo.

“Susy” la voce solo un flebile sussurro

“Gerard”

Iniziavamo sempre così, solo i nostri nomi e poi qualche minuto in silenzio.

Questa volta, però, la voce di Susy era diversa. Strana, quasi esitante.

“L’ho sentita … sono riuscita a parlare con lei”.

Socchiusi gli occhi per concentrarmi meglio, mi misi a sedere di scatto sul letto. Ora aveva tutta la mia attenzione.

“Davvero? Come sta? Cosa ti ha detto?”

“Non sta bene, Gerard. E’ giù di brutto. Dorme e mangia poco. Sua madre mi ha detto che hanno dovuto portarla in ospedale per la seconda volta in sei giorni”

 

 

 

 

 

 

 

Pov Susy

Mi ero affezionata molto a Sophie, eravamo diventate amiche. E questa situazione tra lei e il mio migliore amico mi logorava.

Erano così uniti e felici quando erano assieme. Innamoratissimi. Entrambi.

Ma poi lui aveva fatto la stronzata!

Da parte mia, l’avevo offeso in tutti i modi possibili, fregandomene del fatto che fosse il mio capo. Era stato un insensibile bastardo! Solo dopo essermi sfogata avevo capito che si era già distrutto da solo. Era scoppiato a piangere e mi aveva abbracciata stretta.

Chissà che cosa gli era passato per la mente … quella sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“C-cosa? In ospedale? Che cazzo dici, Susy? Quando? In quale? Perchè?”

La notizia mi aveva sconvolto.

In ospedale? Perché in ospedale? E quanto era grave? Oh mio Dio!

“Si, è in ospedale. L’hanno ricoverata perché rischia il collasso. Non si alimenta abbastanza e le funzioni vitali ne risentono. E’ dimagrita e sua madre è sicurissima sia depressa. Non esce più da casa, non parla quasi più. Non si lava autonomamente e non si alza dal letto se non quando obbligata a farlo e comunque sempre sostenuta da qualcuno. Non provvede a se stessa … si è lasciata andare, Gerard! Lisa mi ha detto che qualche volta, di notte, farfuglia il tuo nome”

“Oh mio Dio, oh mio Dio … è tutta colpa mia!” copiose lacrime scendevano senza sosta dai miei occhi stanchi

La paura e lo sgomento mi attanagliavano lo stomaco.

Non ci posso credere … non è possibile … 

Avevo preso una stanza in un albergo, non lontano da casa sua. Volevo restare in Italia, vicino a Sophie, nel caso in cui lei avesse cambiato idea. E per di più non volevo tornare a casa. Naturalmente Susy si era occupata di tutto. L’hotel era di piccole dimensioni, il personale gentile e il posto silenzioso. Per ora la stampa non aveva idea di dove mi fossi rifugiato.

Devo vederla!

“In che ospedale è? Come ci arrivo?” ero in fibrillazione. Avrei fatto una doccia veloce, indossato qualcosa e sarei andato da lei.

“Gerard, non credo sia il caso…”

“Susy, in che ospedale è?“ la mia voce si alzò e il tono divenne più teso

“Davvero, non penso…”

“Cazzo, Susy! Devi ascoltarmi. Devo andare da lei. Lei … è la mia Sophie! E niente di tutto quello che dirai mi farà cambiare idea. Aiutami, per favore … io devo vederla!”

Ma perché nessuno riesce a capire? Io devo andare. Si tratta di lei... Non posso rimanere!

“Allora verrò con te!”

“Niente da fare, Susy”

“Io so dov’è. Non ci arriverai mai senza di me!” era decisa ad accompagnarmi

Imprecai mentalmente ma poi mi rassegnai

“E va bene. Ma sbrigati. Dove ci vediamo?”

“Passo a prenderti io. Fatti trovare nella hall tra venti minuti” e riattaccò.

Venti minuti. Il tempo per una doccia e per cambiarmi. Sarei stato puntuale.

 

 

 

 

 

 

 

Susy, mi attendeva nella hall. Indossava t-short, jeans e scarpe sportive. Ero vestito alla stessa maniera anche se, in più, avevo un cappellino con visiera. Uscimmo di gran carriera dall’albergo e ci infilammo subito in auto. Sfrecciava tra quelle strette stradine come una pazza, ma questo non era proprio il momento di farglielo notare.

“Hai un aspetto orribile!” con questa frase voleva solo rompere il ghiaccio

La guardai pensosamente prima di rispondere “Grazie tante!”

Ero dimagrito e lo sapevo. Sempre triste e stanco; dormivo poco e male.

Avevo capito le sue intenzioni, era in pensiero per me. Ma lo era ancora di più per Soph. Mi sentivo perso, devastato. Mi sentivo così colpevole!

E’ colpa mia. Solo colpa mia!

La macchina inchiodò all’improvviso e per poco non rimasi incastrato con la testa nel cruscotto.

“Merda, Susy! Stai più attenta. Dove hai imparato a guidare?”

“Siamo arrivati” fece tesa

Il mio sguardo si affilò e mi concentrai sull’edificio che ci stava di fronte. Ero nervoso ma anche determinato. Nessuno mi avrebbe tenuto lontano. Volevo vederla e per Dio ci sarei riuscito!

 

 

 

La struttura era piccola, l’odore di disinfettante forte soffocava tutti gli altri odori, impregnandone l’aria.

Susy si avvicinò al bancone per chiedere informazioni. Al centralino sedeva una vecchina dal viso gentile. Controllò sul computer “Camera 53” annunciò con voce gracchiante.

Seguendo i numeri delle stanze, guardavamo a destra e a sinistra sulle targhette di ogni singola stanza. Finché la voce della mia assistente non mi bloccò

“Eccola” sussurrò

  
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