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Autore: _hurricane    23/11/2011    12 recensioni
Kurt Hummel è un ragazzo molto particolare, di quelli che forse incontri una sola volta nella vita. E’ fiero di sé stesso ma mai spavaldo, pungente ma mai arrogante, e tremendamente impacciato nelle questioni di cuore.
Kurt Hummel è un ragazzo speciale, così speciale che difficilmente potresti trovare un altro come lui… ma quando Blaine, solista dei Warblers della Dalton Academy, incrocia il suo sguardo in un negozio di dischi, non sa che dentro quegli occhi azzurri si nasconde una bugia.
"E intanto Kurt sentiva il suo profumo, e il cuore di Blaine che batteva proprio sotto il suo orecchio, che sembrava chiamarlo e ipnotizzarlo.
Come se battesse per lui.
Cercò di ignorarlo, perché un cuore, un organo fatto di tessuti, carne, vene e sangue, non batte per nessuno se non per il corpo a cui appartiene. Non batte per nessun motivo, se non per assicurare la vita a colui che lo possiede.
Eppure quel battito regolare, più accelerato a tratti – che strano, sembrava più veloce proprio quando Blaine inspirava tra i suoi capelli – alle sue orecchie non appariva meccanico e ripetitivo. A lui sembrava musica."
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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27 Redemption

 

“Io non… non credo che sia una buona idea” disse Dave massaggiandosi le tempie, seduto in macchina insieme ai quattro ragazzi della Welby che lo avevano costretto ad indicare loro la strada per il McKinley e a dirgli l’orario di uscita di Kurt.

Ovviamente aveva omesso di dire che gli Hummel erano due, per paura che i suoi compagni di scuola chiamassero i rinforzi. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, sapeva solo di essere in trappola.

Se li avesse appoggiati, qualunque fosse il loro piano, non sarebbe più riuscito a guardarsi allo specchio, cosa che gli risultava già difficile. Se li avesse ostacolati, avrebbe fatto meglio a non mettere più piede in quella scuola, e chiedere ai suoi di essere trasferito era fuori questione dopo quello che aveva fatto al McKinley.

La loro macchina era in un angolo, nascosta alla vista immediata da parte degli alunni che di lì a poco sarebbero usciti dalla scuola. Paul tamburellava con le dita sul volante, impaziente.

La campanella suonò, facendo sobbalzare Dave che stava ormai sudando freddo. Sperò che Kurt fosse assente, che avesse la febbre. In fondo era metà novembre, poteva succedere col freddo di quel periodo. Ma ovviamente non fu così.

I gemelli Hummel spiccavano tra la folla di studenti quasi imbufaliti che si dirigevano alle loro macchine, camminando a passo lento e flemmatico come se avessero tutto il tempo del mondo. Colin con la sua solita aria svogliata e dimessa di chi vorrebbe essere da tutt’altra parte, e Kurt con la sua andatura elegante, i fianchi ondeggianti e le spalle dritte.

Anche per chi non lo aveva mai visto, ci volle poco a capire che era lui, grazie alla descrizione poco gentile che aveva fatto Paul. Senza contare che il terrore sul volto di Dave quando i due ragazzi rimasero gli unici nel parcheggio era abbastanza palese.

“Sono l’unico a vedere doppio?” chiese Nathan dal sedile posteriore, tendendo il collo in avanti per guardare meglio.

“No, ho l’impressione che qualcuno qui abbia voluto farci una sorpresa” rispose Paul con aria stizzita, ma subito continuò: “Non fa niente Dave, in fondo due checche sono meglio di una!”

“Non… non sono tutti e due gay” rispose Dave, consapevole del fatto che la precisazione fosse stupida nonché del tutto irrilevante. I ragazzi infatti risero divertiti.

“Allora, ricapitolando,” – riprese Paul come se niente fosse – “vai da lui e lo convinci a seguirti fino a qui, tanto con questo fuoristrada qui accanto non può vederci. Oppure fa venire entrambi, insomma inventati qualcosa.”

Dave deglutì prima di chiedere. “E… poi?”

“Io metto in moto la macchina e ci facciamo un bel giretto, lontano da occhi indiscreti” rispose il ragazzo seduto accanto a lui con lo sguardo assente, perso in chissà quale previsione sull’immediato futuro. Gli fece gelare il sangue.

“Ma non rischiamo… la galera?” chiese.

“Figurati, basta terrorizzarlo a morte e non dirà niente. E poi non dobbiamo mica ucciderlo” rispose il bullo con noncuranza. Aveva l’aria di uno esperto in materia.

Vedendo Dave indugiare, Paul si spazientì.

“Senti amico, se non lo fai tu con le buone lo faccio io con le cattive. Pensavo avessi le palle per essere uno che conta a scuola, visto che sei stato espulso da questa. Cos’è, hai rubato il pennarello dalla lavagna?”

Le risate di scherno fecero tornare il sangue di Dave ad una temperatura normale, anzi fin troppo elevata. Chiuse gli occhi, serrò la mascella e li riaprì, per poi aprire lo sportello e richiuderlo con forza.

Avanzò a grandi passi verso Kurt e Colin, che erano arrivati davanti alla loro auto, dall’altra parte del parcheggio, e stavano discutendo su chi dei due dovesse guidare.

Colin stava trafficando con la sua copia delle chiavi, rimasta incastrata in una tasca interna del suo borsone sportivo, e per questo lo aveva appoggiato sul cofano e ci stava rovistando dentro, dando le spalle a suo fratello.

Kurt era in piedi a braccia conserte, picchiettando con il piede sull’asfalto come per fargli fretta, la testa inclinata verso di lui. Sentendo i passi di Dave, alzò lo sguardo e si bloccò.

Colin si accorse dell’improvviso cessare di quel suono irritante e si voltò.

“Cosa ci fai qui?” disse ancora prima che il ragazzo potesse raggiungerli.

Era come se il tempo non fosse mai passato: erano di nuovo lì, in quel parcheggio, Dave identico a com’era tranne per il fatto che la sua giacca da football era bianca e verde e riportava una grossa “W” all’altezza del cuore.

“Ho bisogno di parlare con Kurt in privato” disse Dave tutto d’un fiato.

“Non penso che lui abbia qualcosa da dirti” rispose Colin a denti stretti, muovendosi per fare un passo in avanti.

“Colin, aspetta” disse Kurt, la voce più sicura di quanto avrebbe creduto possibile. “Di che cosa vuoi parlarmi?” aggiunse, rivolgendosi a Dave.

“Beh, ecco… chiederti scusa, credo” rispose lui. In un certo senso era la verità. Anche se avrebbe dovuto scusarsi per molte più cose di quelle che Kurt poteva immaginare.

“Oh. Non me l’aspettavo” rispose Kurt, sinceramente colpito.

Leggeva negli occhi del suo ex-persecutore un qualcosa di simile al rimorso e al senso di colpa; sembravano occhi sinceri, e non era mai successo che Karofsky sembrasse dispiaciuto per qualcosa che lo riguardasse.

E Kurt era così spensierato, che l’unica cosa che riuscì a pensare in quel momento fu che chiarire con lui sarebbe stato solo un altro modo di rendere più felice la sua vita.

“Colin, aspettaci qui” disse, dopo aver riflettuto un po’.

“Kurt, stai scherzando vero?”

“Potrai comunque vederci, sta tranquillo. E poi, perché David dovrebbe tornare qui dopo più di un mese per farmi del male? Non avrebbe senso!” disse Kurt, dandogli una pacca rassicurante sulla spalla.

Colin gli rivolse uno sguardo preoccupato e lo seguì con gli occhi mentre Kurt si allontanava, proprio verso il lato opposto del parcheggio. Maledisse tra sé e sé quanto suo fratello potesse essere buono e incline a perdonare, e continuò a guardare, pronto a qualsiasi evenienza.

Kurt e Karofsky arrivarono a pochi metri dalla macchina dei bulli appositamente nascosta, e si fermarono. Erano più vicini alla loro che a quella di Kurt e Colin, ragionò Dave poco prima che Kurt gli dicesse: “Dimmi pure, ti ascolto.”

C’era un’ingenuità, una totale fiducia nei suoi occhi, che fece desiderare a Dave di scomparire. Letteralmente. Sparire in una voragine sotto i suoi piedi, che poi si sarebbe richiusa su di lui.

Fu indescrivibile la vergogna che provò in quell’istante al pensiero di quello che stava per fare, e lo travolse così violentemente da farlo bloccare per un consistente lasso di tempo, in preda ai pensieri.

“David?” disse Kurt, ancora in attesa.

In quel momento sentì degli sportelli aprirsi e alzò lo sguardo al di là del ragazzo davanti a lui.

“Va via” gli sussurrò Dave, che dava le spalle ai ragazzi in avvicinamento.

Kurt li guardò sconvolto, cercando di capire quale collegamento ci potesse essere tra Dave e quegli animali della vecchia scuola di Blaine. Poi notò che avevano la sua stessa giacca bianca e verde, e capì. Sempre più bianco in volto, indietreggiò di un passo.

Intanto, Colin si era letteralmente fiondato verso di loro, giusto in tempo per afferrare un Kurt praticamente congelato dal terrore per un braccio e trascinarlo verso la loro macchina. Non sapeva chi fossero quei ragazzi, ma il modo in cui erano scesi tutti nello stesso momento dall’auto non gli era piaciuto per niente, e tanto bastava.

Paul, imbestialito dal fatto che Dave era rimasto immobile senza fare niente, lo scansò di malo modo con una spallata e corse nella loro direzione, così veloce da riuscire quasi ad afferrare Kurt per la giacca. Ma poco prima di poterlo fare, sentì qualcuno fare lo stesso con lui e si voltò. Era Dave.

Kurt e Colin raggiunsero la macchina; Colin afferrò il borsone, infilò una mano nella tasca e tirò via le chiavi con il rischio di strapparla e portarsi via anche la stoffa interna. Kurt fece di corsa il giro della vettura e quando il fratello aprì la macchina si fiondò al suo interno, per poi chiudere lo sportello e mettere la sicura.

Mentre Colin metteva in moto e partiva – senza preoccuparsi della cintura, ma Kurt ci sarebbe tranquillamente passato sopra – lui lanciò uno sguardo al di là della sua testa.

“Oh mio Dio! Colin, dobbiamo aiutarlo!” sbraitò non appena vide Karofsky che cercava invano di opporsi a Paul, che gli aveva appena dato un pugno urlandogli contro qualcosa, e gli altri tre che lo tenevano fermo per essere d’aiuto al loro capobranco.

“Tu prendi il telefono e chiama la polizia, io continuo a guidare e ti porto via da qui” rispose suo fratello, premendo il piede sull’acceleratore con tutta la forza che aveva.

“Ma-“

“Kurt, li hai visti? Saprò anche fare a botte ma quelli sono dei gorilla, e tu pesi 50 chili con i vestiti addosso. Chiama la polizia!”

Kurt si affrettò a tirar fuori il suo iPhone dalla tasca dei pantaloni e digitò in fretta 911.

“Pronto? Chiamo dal parcheggio della McKinley High School di Lima, per favore venite subito! Stanno picchiando un ragazzo!” disse concitato, quasi gridando.

Riagganciò dopo aver risposto a qualche domanda pratica su quanti erano, se erano armati o meno e se lui era ancora presente sulla scena. Poi scoppiò in lacrime.

 


   
 
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