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Autore: WolfEyes    23/11/2011    1 recensioni
Questa Fan Fiction ha partecipato al contest indetto da ellacowgirl in Madame_Butterfly sul forum di EFP, "Le Dodici Stanze-Chi la dura la vince" (breve descrizione del contest all'interno del primo capitolo)
La raccolta si basa su una serie di One-Shot che vedranno Naruto alle prese con situazioni e personaggi sempre diversi, ma ciò non dipenderà solo dalla mia fantasia! Leggete numerosi e fatemi sapere cosa ne pensate!;)
Capitolo 1- "« Non so se l’hai notato, ma siamo su una dannata isola deserta, sotto il sole cocente per dieci ore al giorno… Che altro dovrei bere? »"
Capitolo 2- "Forse Sasuke ci avrebbe messo ancora un po’ ad abituarsi a non avere paura dei temporali, ma certo era che quel giorno non sarebbe piovuto."
Capitolo 3- "« Sto cercando di slacciare il reggiseno »"
Capitolo 4- "La prossima volta che Rock Lee propone film come Knowing e Il quarto tipo mi devo ricordare di mandarlo a quel paese, pensai."
Capitolo 5- "« Mai lasciare un compagno in difficoltà, me l’hai insegnato tu, Naruto »"
Capitolo 6- "Ognuno di noi si chiedeva se non fosse giunto alle porte dell'Inferno"
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Contest _ Turno 2

Contest _ Turno 2

Team Estate

Autrice: Wolf’sEyes

Stanza: 2-Asilo delle suorine

Personaggio Base: Naruto

Personaggio Aggiunto: Sasuke

Prompt Pacchetto: finestra

Luogo: dormitorio

 

Fan Fiction

Genere:Triste, Malinconico

Rating:Verde

Avvertimenti:Alternative Universe, forse leggermente OOC in quanto i protagonisti sono bambini e il loro carattere non è ancora pienamente formato

 

Naruto sfida le Dodici Stanze:

Quando piove e guardi il cielo

 

Era una giornata grigia, come lo erano quasi tutte quelle che si trascorrevano lì dentro. Il cielo plumbeo preannunciava pioggia, forse un bel temporale, ma era ormai certo di essersi abituato ai tuoni e non chiamava più Suor Shizune per rassicurarlo, da quando gli aveva raccontato quella storia.

Suor Shizune era una donna molto giovane che si occupava dei bambini che avevano un’età che andava fino ai cinque anni. Il suo viso dolce e i suoi modi sempre gentili e comprensivi erano un fattore fondamentale nel suo lavoro di istruzione dei bambini, infatti si occupava di orientarli già da quella tenera età ad un primo approccio a nostro Signore, alle prime preghiere e all’amore verso il prossimo. Insegnava ad essere buoni e gentili, così dicevano i bambini.

Naruto, in particolare, aveva preso in simpatia la giovane donna, anche se non lo si poteva definire un bambino modello: era una piccola peste che appena poteva faceva le sue marachelle, come rubare una fetta di torta in più dal vassoio delle merende pomeridiane, nascondere i pochi giocattoli che i compagni di dormitorio potevano tenere, sporcare la divisa un po’ troppo spesso e altre piccole e innocenti birichinate, punite con qualche preghiera in più.

Ma quel giorno no, non aveva tempo di fermarsi a fare il monello, doveva correre. Finito l’orario di catechismo, che per lo più consisteva in una piccola lettura e nella consegna di un disegno, era scappato di nascosto e tornato al dormitorio per vedere il nuovo arrivato.

Quella mattina, Kiba, un altro bambino che in quanto a bricconate faceva concorrenza al piccolo Naruto, gli aveva detto che c’era un nuovo arrivato ma che nessuno aveva ancora parlato con lui e aveva sentito che i suoi genitori erano andati via da poco, come avevano fatto i genitori di tutti i bambini che si trovavano lì.

Ma Naruto era fin troppo curioso per aspettare ancora per conoscerlo. Corse a perdifiato lungo il corridoio grigio e cupo dell’edificio, raggiungendo l’ala adibita a dormitorio maschile dei bambini dell’asilo, al secondo piano, e vi entrò di fretta.

Diede una rapida occhiata alla stanza, dalle mura grigie e cupe quanto il corridoio ma vivacizzata dal colore di qualche copriletto. Due file di sei lettini occupavano la stanza rettangolare e lunga ed erano disposti perpendicolarmente alle pareti più lunghe, di cui una era adiacente a quella del corridoio, mentre l’altra dava direttamente sul giardino dell’orfanotrofio. Tre ampie finestre facevano sì che entrasse luce a sufficienza per illuminare la stanza, anche se quel giorno le nuvole sembravano non voler far vedere il sole, coprendolo insistentemente già da quella stessa mattina.

Non fu difficile notarlo, quel bambino che aveva la sua stessa età era perfettamente in sintonia con quella camera: era cupo e dallo sguardo spento e triste. Stava seduto sul bordo del letto, con le mani sulle ginocchia, le gambe penzoloni e il viso abbassato, perso in chissà quali tristi pensieri.

Il piccolo Naruto si fece coraggio e fece qualche passo verso di lui, notando con gioia che gli avevano assegnato il letto proprio vicino al suo, sotto la stessa finestra.

« Ciao », sussurrò il biondo, avvicinandosi di più e notando che, nonostante il nuovo arrivato lo avesse visto e squadrato per un breve attimo, non sembrava interessargli affatto la sua presenza. « Io sono Naruto Uzumaki, ho… », continuò, osservandosi per un breve istante la mano per ricordare. « cinque anni. E tu come ti chiami? », gli domandò, sperando che questa volta lo notasse e gli prestasse più attenzione.

Dal canto suo, il moretto non voleva affatto interloquire con quel buffo bambino che gli era piombato di fronte, né tanto meno gli interessava ricordarsi come si chiamava, ma quando Naruto gli si fece più vicino, squadrandolo in viso per capire cosa non andava, l’imbarazzo fu più forte di lui e lo spinse a scostare lo sguardo per non incontrare i suoi occhi azzurri.

« Ehi, mi hai sentito? Ti hanno mangiato la lingua? »,  si lamentò allora il piccolo Uzumaki, dondolando sui piedi e nascondendo le mani dietro la schiena.

« Mi chiamo Sasuke Uchiha, ho cinque anni e non ho voglia di parlare con te! », disse il moretto tutto d’un fiato, seccato.

« Calmati, non ti devi arrabbiare… », esclamò Naruto, preso in contropiede da una reazione tanto esagerata, alzando le mani come per difendersi. Successivamente si sedette sul proprio letto, accanto a quello di Sasuke, proprio nello stesso identico modo del moro, in modo da averlo di fronte.

« Ti hanno dato il letto di Rock Lee », disse poi, dopo qualche istante di silenzio. Non si voleva arrendere, si era promesso che sarebbe diventato amico di quel bambino e lo avrebbe fatto, ma il ricordo del suo amico che ormai non vedeva più da qualche settimana lo spinse ad abbassare lo sguardo.

Notò tuttavia un accenno di curiosità nello sguardo di Sasuke, forse era riuscito a catturare la sua attenzione, e questo lo spronò a continuare.

« Era il bambino che era qui prima di te. Lo hanno adottato. Dicono così quando arrivano una nuova mamma e un nuovo papà e ti portano via. Io però una famiglia non l’ho mai vista. Tu sai com’è? », chiese, quasi speranzoso, alzando lo sguardo verso l’Uchiha e rimembrando che ogni suo più remoto ricordo, tutto ciò che aveva in mente fino ad allora, era ambientato tra quelle mura.

« Io… Io una famiglia ce l’avevo », cominciò. « Poi una notte è bruciato tutto e mi hanno mandato qui, neanche la nonna mi può tenere. Ma io non ci voglio stare qui! Voglio la mia mamma e il mio papà », si lamentò il piccolo Sasuke, trattenendo a stento le lacrime, perché sentiva dentro di lui di non avere più voglia di piangere, per quel giorno.

« Te li ricordi? La tua mamma e il tuo papà, te li ricordi? »

« Sì », sospirò. « Mi ricordo la mamma quando mi raccontava la favola prima di dormire e il mio papà che mi tirava su le coperte e mi diceva che poi quando tornava da lavoro giocavamo. Il profumo della mamma quando mi abbracciava e mio fratello più grande che si arrabbiava perché gli rubavo i giocattoli… », ricordò il piccolo, che non riusciva a nascondere la tristezza nonostante si sforzasse di non stringersi sempre di più nelle spalle.

Naruto ascoltò attentamente, invidiandolo un po’.

« Tu perché sei qua? », gli domandò poi il moretto, mentre vide Naruto scendere dal letto dopo averlo ascoltato e dirigersi verso la finestra tra i loro letti, aprendo i vetri e facendo entrare una folata d’aria fredda, che, pungente, colpì le guance dei due.

« Io una famiglia non ce l’ho. Non me la ricordo. E non so perché non ce l’ho, ma una volta ho sentito che dicevano che uno ubriaco li ha investiti. Io non so che cosa vuol dire ubriaco, e quando l’ho chiesto a Suor Shizune mi ha solo detto che è una cosa brutta. Io non so come mai si diventa così, ma da grande non voglio esserlo. Mai ».

Anche Sasuke lo ascoltò con attenzione. Nemmeno lui aveva idea di cosa fosse un ubriaco, e non sapeva che cos’altro dire se non chiedergli cosa stesse facendo, mentre lo guardava affacciarsi alla finestra, guardando più in alto che poteva.

« Tu lo guardi, il cielo? », gli chiese allora Naruto.

« Cosa? Perché devo guardarlo? », domandò il moro di rimando, sorpreso da quella domanda.

Il biondo lo guardò di rimando, come se attendesse una risposta concreta, che fosse o positiva o negativa.

« No, non lo guardo il cielo… », ammise il moro.

« Invece devi », obiettò Naruto. « Perché la nostra mamma e il nostro papà non sono andati via per sempre, sono lassù in cielo. Qua ci dicono così. Io li guardo sempre prima di dormire, proprio da questa finestra, e prima lo faceva anche Rock Lee. Non so che faccia avevano, però io racconto a loro la mia giornata, racconto tutto. Loro sono là e vogliono farci stare bene e farci sentire amati, quindi noi non dobbiamo piangere per loro ed essere tristi. Suor Shizune dice così, che tutti i nostri cari finiscono là, in alto in alto ».

Ascoltate le parole del piccolo Naruto, Sasuke scese dal letto e si affacciò alla finestra proprio come aveva fatto il suo nuovo compagno, anche se a fatica, poiché era un po’ troppo alta per entrambi. Era una grande finestra sulla quale erano state montate zanzariera e inferriate per evitare che qualche bambino potesse fare qualche gioco pericoloso, ma nonostante il fitto reticolato e le sbarre spesse e un po’ larghe, il cielo era ben visibile. Grigio, cupo, triste. Il piccolo Sasuke si chiese allora come mai, se i suoi genitori e suo fratello erano finiti lassù, e lo amavano, il cielo era così triste. Poi, all’improvviso, un lampo illuminò il cielo di un innaturale colore e lo fece trasalire e rabbrividire di freddo, un brivido che gli era salito lungo tutta la schiena e lo aveva fatto gemere, quasi squittire.

« Hai paura dei temporali? », gli chiese Naruto, comprensivo, una volta vista la sua reazione.

« Mi dà fastidio il rumore dei tuoni…», ammise ancora il piccolo Sasuke. Quel biondino stava riuscendo a fargli dire cose che probabilmente non avrebbe mai confidato a nessuno, lì dentro. Forse Naruto aveva qualcosa di speciale, e questa sua insistenza nel cercare un dialogo con lui avrebbe facilmente portato i suoi frutti prima o poi.

« Una volta avevo paura dei tuoni e dei temporali e Suor Shizune mi ha detto che invece non dovevo », cominciò a raccontare, con lo sguardo perso nel cielo più infinito, come se riuscisse ad arrivare al di là delle nuvole, come se potesse attraversarle, e vedere il sereno che quelle celavano. « Perché quando guardiamo il cielo guardiamo i nostri genitori, e loro guardano sempre noi, e sono felici se noi siamo bravi e buoni. E quando il cielo piange è perché un bambino ha smesso di guardare i suoi genitori, e loro sono tristi e soffrono, e allora piove e ci sono i tuoni. Però, se guardi il cielo, poi non piove più, o almeno sai che non è colpa tua se piove ».

Sasuke rimase come ipnotizzato da quelle parole. Quindi i suoi genitori e suo fratello erano tristi perché lui… Non stava guardando il cielo? Perché era triste per loro? Allora lo fissò, si chiese come fosse possibile, ma poi si convinse che fosse così. Fissò il cielo intensamente, voleva che il suo sguardo raggiungesse i suoi cari e che potesse trasmettere loro le sue scuse e il suo amore per loro. Si voltò poi verso Naruto e con un leggero movimento delle labbra, accennò ad un sorriso, che il biondo a sua volta ricambiò sfoderando un largo sorriso, tipico della sua indole. Aveva fatto del bene ad una persona, anche se forse non se ne rendeva pienamente conto.

Si diedero la mano e insieme uscirono dal dormitorio, lasciando la finestra aperta, mentre uno spiffero d’aria più calda della precedente li raggiunse entrambi.

Forse Sasuke ci avrebbe messo ancora un po’ ad abituarsi a non avere paura dei temporali, ma certo era che quel giorno non sarebbe piovuto. *

 

 

 

* Ci tengo a precisare che, trattandosi di bambini di circa cinque anni, ho utilizzato volontariamente un linguaggio semplice e povero, infantile, per i loro dialoghi. Mi sembrava che rendesse la vicenda più veritiera, tempi verbali non proprio corretti e ripetizioni sono tipiche dei bambini. Volevo solo che si sapesse che è una cosa voluta, e che in quanto a sintassi e grammatica spero di essermi rifatta con il resto della fic.

 

Note dell’autrice

Ringrazio tutti coloro che hanno letto, sperando che vi sia piaciuta e che vi abbia trasmesso qualcosa. Se leggerla vi ha commosso anche solo un pochino, lasciate un commentino, che così mi commuovo io? =P

Ringrazio anche chi ha letto il precedente capitolo, specialmente synoa, che, gentilissima, l’ha commentato. Mi piacerebbe poter ringraziare anche altri allo stesso modo, ma a quanto pare la fic scarseggia di recensori e fans, e dubito che con questo capitolo le cose cambieranno molto.

Un applauso va a ellacowgirl, che svolge il suo lavoro di giudice in maniera ottimale e che con quel suo “complimenti, dolcissima!” mi ha quasi fatta piangere.

Ecco la griglia di valutazione, come da regolamento:

 

SCHEMA VALUTAZIONE

Grammatica e sintassi: 9/10
Stile: 5/5
Prompt pacchetto: 5/5
Personaggio Base: 5/5
Personaggio Aggiuntivo: 5/5
Luogo: 2/2
Attinenza alla stanza: 5/5
Originalità: 3/3
Gradimento Personale: 5/5
Tot: 44/45

 

(ora è presente anche il punteggio della voce “personaggio base”)

 

… e auguro a tutte le partecipanti un grandissimo in bocca al lupo! =)

Alla prossima!

WolfEyes

  
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