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Autore: xwonderdemi    24/11/2011    7 recensioni
"Ci arrampicavamo sul tetto a parlare del nostro futuro come se ne sapessimo qualcosa,
non era nei piani che un giorno ti avrei perso.
In un’altra vita, sarei stata la tua ragazza,
avremmo mantenuto le nostre promesse, noi due contro il mondo.
In un’altra vita avrei fatto in modo che restassi,
così non devo dire che sei stato tu quello che se n’è andato.
Quello che se n’è andato."
Dal prologo: «Ma il destino aveva deciso. Il destino non ci voleva insieme, altrimenti non me lo avrebbe portato via».
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nicolas | Coppie: Antonella/Bruno
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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7
The one that got away.

Capitolo VII.

Sì, credevo a quei tempi, che l'amore -soprattutto pensando a me e Bruno- fosse invincibile e riuscisse a tener testa a qualsiasi cosa. Se non ci riusciva, be', semplice...non era amore.
Ma le cose non erano sempre così facili. Si poteva amare alla follia e ritrovarsi a litigare per futili motivi.
Quello m'era capitato. E...l'avevo perso.
I giorni passavano.
Durante le prime due settimane, Bruno ed io trascorremmo molto tempo insieme e accantonò l'incarico, dicendo che s'era notevolmente portato avanti ed ora la sua unica priorità ero io.
Eravamo andati ad alcune feste, in spiaggia, a falò, nella nostra radura...
Ed eravamo nel nostro posto felice.
Ma chissà come mai ne uscimmo. Uscimmo dal posto felice, varcando il confine con la realtà...e con il dolore, le responsabilità.
E l'equilibrio si spezzò.
Come ogni mattina, m'alzai pronta ad affrontare un'altra giornata in compagnia del mio fidanzato, ma quando accesi il cellulare, trovai un messaggio.
Amore mio, mi dispiace, ma oggi non possiamo stare insieme. Devo lavorare al quadro.
Ti amo, Bruno.
«Oh.», mormorai solamente, lasciando cadere il cellulare sul comodino.
Poco male, tanto sarebbe stato un giorno, vero?
Con quella speranza nel cuore, affrontai quella giornata che mi sembrò terribilmente lungo senza di lui.
La cosa però si ripeté anche il giorno dopo, e l'altro ancora, e l'altro ancora...
Finché dopo ben cinque giorni, si fece vivo, dicendo che potevo andare a casa sua. Magari avremmo dipinto un po' insieme, era da tanto che non lo facevamo.
Ero particolarmente euforica e impaziente: mi mancava, mi mancava da morire. Ero stata in astinenza dall'amore ed ora volevo tornare alla normalità, cioè ritornare con lui. Almeno sarei stata felice, lo ero sempre quand'ero con Bruno.
Quando scesi era sotto casa, perfettamente in orario; ciò mi ricordò quella spiacevole volta in cui immaginai di tutto e di più per via di quel ritardo...e alla fine non era niente.
Sorrisi, scuotendo il capo e corsi ad abbracciarlo.
Alzai il viso e lo baciai, il bacio crebbe subito di intensità e dopo qualche secondo mi staccai in cerca di ossigeno. «Wow. Ciao anche a te.», disse Bruno, sorridendo come un ebete.
Gli diedi un buffetto sulla guancia. «Mi sei mancato, tantissimo!», esclamai, buttandogli le braccia al collo.
Mi baciò lui questa volta. «Andiamo, prima che finiamo col dare spettacolo sotto casa tua. Credo che poi non piacerei più ai tuoi genitori.», borbottò.
Risi, facendo il giro della macchina e aprendo lo sportello. «Andiamo!», decretai, chiudendolo dopo il mio passaggio.
Quando arrivammo a casa, si diresse nel suo studio. «Ti va di dipingere?», chiese.
Lo sapevo!
«Certo!», risposi entusiasta.
Amavo dipingere; Bruno era stato un ottimo insegnante e m'aveva fatto scoprire molti trucchi splendidi per migliorare le mie scarse capacità di pittrice. Inoltre, con lui mi divertivo sempre tantissimo. Mentre dipingevamo, parlottavamo tra noi e le risate, quelle, non mancavano mai.
In mezzo allo studio, notai una tela enorme, lavorata per metà e già quella piccola parte era splendida...era il volto di Marilyn Monroe, forse era quello il quadro che doveva...
«Sì, è questo.», rispose, avvicinandosi alla tela e guardandola quasi con devozione.
«Oh, Dio, è...un qualcosa di magnifico!», esclamai.
Mi sorrise, allestì un'altra tela per me accanto alla sua e iniziò a lavorare, come se ad un tratto fossi sparita.
Mi sentii un po' messa da parte, ma ignorai il magone e presi il pennello in mano, cercando ispirazione che puntualmente non arrivava. Con la coda nell'occhio osservai Bruno che era assorto completamente da quel maledetto ritratto.
Era una cosa...insopportabile!
Perché voleva stare con me se poi nemmeno teneva conto della mia presenza?
Mi sentii invidiosa, gelosa...di un quadro, sì, al quale attribuiva un'importanza stratosferica.
Strinsi il pennello tra le mani e decisi di calmarmi, tracciando con il colore blu una linea che rappresentava il punto in cui mare e cielo si incontravano. Iniziai il disegno, fissando sempre Bruno.
«Certo che sei proprio innamorato di quel ritratto, eh?», domandai acida ad un certo punto.
No, non potevo farlo... Mi stavo comportando come una sciocca.
Bruno lasciò il pennello per un attimo e puntò i suoi occhi nei miei. «Sai che è...».
«Importante. Lo so.», terminai per lui, guardandolo con aria di sfida.
«Vuoi litigare per un quadro?», chiese, alzando gli occhi al cielo.
«Non stiamo litigando.», dissi tranquilla, fissando il pastrocchio che stavo combinando.
Bruno venne e prese il mio braccio per aiutarmi, ma mi mossi e rovinai tutto. 
Lo tirai via. «Cosa vuoi da me e quel che disegno?! Guarda che hai fatto! Pensa al tuo ritratto importante e non a quel che faccio io!», urlai, scaraventando via la tavolozza.
Mi fissò sbalordito, poi divenne furioso. «Ti stai comportando come una bambina e non venirmi a rispondere che lo sei, perché mi arrabbio sul serio! Smettila di scappare dalle tue responsabilità e calmati! Dio, che nervi.», gridò.
Si chinò a raccogliere i colori che avevo buttato, mentre io lo fissavo immobile, senza proferire parola.
«Scappo dalle mie responsabilità? Come pretendi, dopo avermi detto questo, che non mi lamenti del fatto che sono una bambina, eh?!», ribattei.
«Io alla tua età non ero così!», sbuffò.
«TU NON SEI ME!», esclamai nervosa.
«Non sto dicendo questo...Cristo, smettila di rivoltare mille volte la frittata e finiamola con questa storia, okay?», tentò di avvicinarsi.
«Non mi toccare!», sibilai, indietreggiando. «Mi stai facendo sentire in colpa, io...», biascicai.
«Ah, sarei io che ti faccio sentire in colpa? Ma ti senti, Antonella? Che diavolo vai ciarlando?», domandò, stringendo i pugni.
Io e Bruno non avevamo mai, mai litigato così in sei mesi e più che stavamo insieme.
«Pensa al tuo incarico e non alla stupida che dice cose senza senso.», mormorai, abbassando lo sguardo.
«Antonella...», sospirò.
«Forse per te non sono proprio stata importante, se per una stupidaggine come questa litighiamo. Perché noi abbiamo litigato ed ancora ora la tensione è palpabile Bruno. Come pretendi di stare con me? Guarda...io...me ne vado.», dissi.
Mi fermò. «Sì, hai detto una cavolata bella grossa ora!», si infervorò. «Vedi che lo stai facendo di nuovo? Hai paura di affrontarmi e scappi.», mi rimbeccò.
Lasciai cadere le mani sui fianchi. «Paura? Di te? Ti sei chiesto che forse lo sto facendo per non continuare ad urlarci contro e scannarci come belve? Oh, giusto, la tua mente è altrove.», indicai il quadro, ironica.
«Basta, ora! Mi sono davvero rotto le palle di questa storia, eh!», gridò, girandosi e afferrando la tavolozza, continuando come se niente fosse la sua opera d'arte. «Se vuoi, vattene pure, quando cresci fammi uno squillo. Quella è la porta.», disse.
«Bene, sai che c'è?», presi un contenitore dove vi era della tinta rossa. «Me ne vado, ma non prima di aver fatto questo!», la versai sul suo quadro.
Avevo rovinato tutto il suo bel quadretto. La tinta colava, come del sangue che sgorgava quando una ferita veniva squarciata, sull'opera, un tempo bella, che m'era diventata rivale.
Bruno si girò e mi guardò non arrabbiato, di più. «Che cazzo hai fatto?! Ti rendi conto di quanto ci avevo lavorato?», esclamò.
«E tu ti rendi conto di quanto mi stia trascurando per colpa di quello?! Bruno, avevo sognato un'estate indimenticabile con te, era tutto programmato, poi, puff, appare questo quadro e va tutto a puttane! Io...sono stata felice per te, ma malissimo per noi. A me non ci pensi? Pensi solo a quel coso? Bene, sei bravo, rifallo, tanto con me non hai impegni. Me ne vado e cresco, proprio come vuoi tu.», sussurrai, mentre le lacrime rigavano il mio viso.
«Non fare la vittima! Se l'avessi finito, sarei stato prima e di più con te. Ma naturalmente questo non l'hai pensato, vero?», disse inquieto, mentre buttava tutte le sue cose in uno zaino.
Lo vidi andare verso l'ingresso e realizzai quel che stava per succedere.
«Per favore, Bruno, no!», urlai.
«Lasciami!», mi strattonò via e caddi per terra, mentre lo vidi andar via, con la porta che si riaprì per la forza con cui era stata sbattuta.
Sentii la sua auto mettere in moto e partire, poi niente.
Solo i miei singulti che squarciavano la notte.
Che stupida ero stata.
Che inutile quella lite.
E poi, ne avevo anche pagato le conseguenze.









Note dell'autrice.
Capitolo un po' forte, specialmente per la violenta litigata.
Bruno se n'è andato ed ora...
Siamo quasi al tragico epilogo, preparate i fazzoletti, anche se penso che vi serviranno anche alla fine di questo capitolo...
Un bacione,
Claudia.
  
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