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Autore: Invader_from_Hell    25/03/2004    2 recensioni
Insieme a "la città", "claustrophobia" e altri 2 racconti che verranno, questo racconto fa parte del lavoro che presenterò ad un concorso nel mio liceo, avente per tema "il mondo giovanile". Innanzitutto, posterò qui i racconti singoli, pe rpoi ripostarli nuovamente in formato unitario con tanto di spiegazioni. Beh, che dire? Questo racconto parla dell'amore, dell'innamorarsi e della difficoltà che si può incontrare nell'accettarlo, in particolare se.... NOTA: questo racconto presenta alcune parti di un altro mio racconto in formato rielaborato, per questo non stupitevi se ne riconoscerete delle parti.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’amore è solo un sentimento

Ossessione

 

 

Arrivato nel momento cruciale della consolidazione di quell’anima non più ragazzina, era stato investito della carica temporanea e tutto sommato duratura di “ossessione”. La seduta che aveva deciso questa nomina irrevocabile, in cui l’ossessionato era presidente e giuria, si era riunita in consiglio un paio di mesi prima dell’arrivo del sole più caldo e del verde chiaro nei prati. La decisione era stata molto sofferta, soprattutto perché  tale ossessionato si trovava nella condizione assai difficile di gestire la presidenza e la giuria, ruoli quasi sempre discordi e validi solo se scelti accuratamente. Da solo, aveva solo l’imbarazzo della scelta: era in effetti piuttosto difficile scegliere quale parte del cervello attribuire al ruolo di presidente e quale a quello di giuria. Sorprendentemente non ci mise molto a risolversi, e dopo aver destinato il suo lato gocciolante di tramonto alla giuria, fu naturale assegnare il posto a capotavola a quella parte che invece preferiva indossare quel nero che trasudava rigore e razionalità.

L’assemblea si era dunque tenuta in quel di Firenze, in un giorno particolarmente freddo di Gennaio. Di questo sia la giuria che il presidente si erano lamentati molto, non amando quelle discussioni che finivano inevitabilmente in depressione avrebbero nettamente preferito che ad accogliere il nascituro stato di sconforto e agitazione fosse stato un morbido tappeto di petali e foglie, rigorosamente lucidate e profumate di reticenze. Tuttavia, l’ormai quasi del tutto ossessionato era riuscito a digerire anche quella disputa tra le due tribune della sua anima, e aveva ricacciato entrambe ai loro posti in malo modo, lasciando però intatte le speranze che al termine di tutto avrebbe offerto loro una cena e una vacanza. Sulla cena era lui stesso sicuro, anche perché la sua parte rigorosa tendeva ad abusare dei fumi del vino, e in preda alle sbronze più indecorose si lasciava facilmente andare in filippiche e discorsi privi di un apparente senso compiuto. Tale senso compiuto era però subito individuato dall’altra parte, la quale tra un bicchiere di tramonto e l’altro si alzava in piedi inorridita e puntava il dito –paonazza- contro il presidente – anch’egli paonazzo, ma per ben altri motivi, come abbiamo avuto modo di vedere poco fa -.

Il nostro ossessionando non si sarebbe perso per niente al mondo questa commedia dell’arte a misura di anima, questo varietà aulico che sempre più spesso andava in onda dalle parti della sua immaginazione.

Quando il presidente si alzò, e dopo essersi asciugato la fronte imperlata sbatté violentemente il martelletto ligneo sul tavolo, erano passate appena due ore, un vero record per essere una delle loro assemblee. Il nostro ossessionando era stato finalmente dichiarato ossessionato, che nel linguaggio giuridico dei tre altro non era che l’eufemismo per “innamorato”. Tuttavia quella era una parola decisamente da evitare nel suo caso, si sentiva un po’ donna vittoriana in quel contesto. Esperto d’ogni tipo di reticenza e vestito del romanticismo memore di Mishima, aveva tuttavia un problema nel pronunciare quel termine. Sarebbe sciocco pensare che fosse uno di quelli che rifiutano quell’ebbrezza fino all’ultimo secondo della loro vita, secondo al quale segue l’attimo di meravigliosa tensione che precede il matrimonio. Lui, semplicemente, riteneva decisamente più saggio non prendere alla leggera quella questione e –memore del proprio passato- era fermamente convinto della necessità di approfondire ogni cosa prima di esprimere un giudizio a riguardo. Niente di oggettivamente biasimabile, un’organizzazione così risoluta poteva solo essere ammirata.

Era stato nondimeno stabilito chi  avrebbe rivestito ufficialmente la carica di ossessione dell’ossessionato. Di questa investitura, l’ossessione non era al corrente, e non doveva neanche esserlo secondo l’umile parere dell’ossessionato. Difatti perché fosse ossessione era sufficiente che l’ossessionato si sentisse veramente tale. Di conseguenza da quest’ultimo prendeva le mosse il cavaliere innominato del desiderio, il quale sfidando e abbattendo ogni ostacolo senza lamentarsi e senza perdere terreno, raggiungeva quel meraviglioso esemplare di essere umano – probabilmente dotato di ali- e lo rendeva oggetto dell’ossessione più dolce che esista, quella dell’amore.

Riportare adesso in questa sede tutti i fatti che si succedettero dopo questa duplice investitura risulterebbe assai difficile; è sufficiente dire che il cavaliere non tornò mai indietro e nessuno se ne preoccupò. Anzi, l’ossessionato (che chiameremo Adam), ne fu soddisfatto. Se da un lato poteva sembrare felice di essersi liberato di quello scomodo servitore, chi lo osservava da vicino poteva chiaramente accorgersi che la sua gioia era dovuta alla speranza di aver finalmente trovato dimora permanente per il suo desiderio. Era probabile che Adam in quel momento non si sentisse l’unico a bruciare. Non potendone però essere sicuro, si limitava a sperare che il cavaliere fosse riuscito ad appiccare anche solo un misero fuocherello all’oggetto della sua ossessione.

In ogni caso, da ciò che ne seguì, per una serie di eventi favorevoli e non, quel pomeriggio Adam proprio non ne poteva più di aspettare.

Per il resto era un pomeriggio come ne aveva visti tanti, e dopo poco dimenticati. Dapprima neppure il cielo presentava segni che potevano attrarlo o fornirgli spunto di riflessione. L’input di un’estasi puramente estetica e narcisistica – chi osserva il cielo, lo fa infatti per convincersi della propria appartenenza al mondo vermiglio dei tramonti- non era neanche agonizzante dietro le colline. Era probabilmente molto lontana, quei giorni non sembravano recare ad Adam la benché minima soddisfazione percettiva. Benché fosse passato molto tempo dalla presa di coscienza, quella sfera incandescente continuava a farlo a pezzi giorno dopo giorno, facendo sempre la massima attenzione a rimetterlo in sesto per poterlo poi usare di nuovo il giorno dopo. La cosa che in tutto questo lo stupiva, è che per la prima volta quel sentimento sembrava avere vita propria ed essere completamente indipendente da lui. Sembrava essere piuttosto qualcosa che la sua ossessione ordiva e progettava abilmente senza neppure saperlo. Adam non poteva fare a meno di osservare quanto le mosse di chi è amato risultano sempre perfette e motivate, sempre utili e esempio pressoché perfetto di azione.

“ Beh, è normale quando capita questo!” rispose una ragazza alla domanda imbarazzata di Adam. “ E scommetto che non ti era mai successo!” aggiunge poi sorridendo. Se non fosse riuscita a spengere il cavo orale, probabilmente avrebbe detto qualcosa come “ Sei talmente inesperto che..”. Adam si sentiva quantomeno irritato.

“ Sì che mi è successo… per questo mi preoccupo” rispose gelido, cercando in realtà una risposta convincente da parte di quell’interlocutrice di fortuna.

“ Ah.. allora…” rispose, riconsiderando tutto. “ Beh, comunque l’amore è solo un sentimento, niente di serio, tranquillo!” eruppe poi ridendo, trasudava nervosismo da ogni poro, e la sua voce arrivava come può arrivare un suono di media intensità agli orecchi di chi si è appena svegliato.

Adam la fissò esterrefatto.

Le circostanze l’avevano tuttavia attanagliato, e degno del più incredulo Renzo Tramaglino si era lasciato trasportare dal vortice ed era finito ad aspettare la sua ossessione davanti a quel negozio, quel sabato pomeriggio. Sul suo volto si dipingevano progressivamente nuove smorfie, tutte quante contraddistinte dalla meravigliosa ombra della felicità, quella sfumatura che emerge da ogni espressione di noia o fastidio nei confronti della persona amata che sta impiegando decisamente troppo tempo per fare degli acquisti. Quella lunghissima serie di sfumature azzurre, che se da sole sono belle, quando si presentano macchiate qua e là di insofferenza o noia, risultano pervase dalla più indicibile tenerezza.

Ad essere sinceri, però, l’oggetto dei suoi desideri stava indugiando davvero un po’ troppo. D’altronde non tutti hanno il dono della velocità nelle scelte, esiste anche chi necessita di molto tempo per discernere tra ciò che vuole e ciò che dovrebbe volere. Appunto per questo Adam aveva deciso di restare fuori, non era proprio in vena di lunghi ed estenuanti dibattiti.

Mentre passava in rassegna i tetti degli edifici del centro, fu colpito da un bagliore del tutto insolito ed inaspettato. Indirizzando lo sguardo nei confronti di quel fenomeno inaspettato, fu colpito da una sensazione conosciuta anche se mai definita. Era quella perdita di posizione, di cognizione spaziale, quell’interminabile balzo che  qualche volta capita nel sonno. Una sensazione terribilmente sgradevole poiché caratterizzata da un’immaginaria caduta senza possibilità di fuga. Per un attimo la vista lo abbandonò, e quando tornò fornì ad Adam l’immagine precisa di ciò che aveva precedentemente attirato la sua attenzione. Un gruppo di ragazzi sedeva sugli scalini di un edificio antico a pochi passi da lui. Adam non era sicuro di averne visti prima di quel tipo. Erano leggermente più grandi di lui, lo si capiva dalla faccia e dal portamento. Vestivano tutti e quattro in modo piuttosto elegante e fissavano il cielo. Non era una cosa inconsueta fissare la volta azzurra, era decisamente inconsueto il modo di guardare che avevano, l’espressione della loro faccia. Sembravano immersi nella beatitudine, e nello stesso tempo atterriti dalla bellezza di qualcosa che trascendeva ampiamente la loro conoscenza. Probabilmente il fatto stesso che avessero alzato lo sguardo verso il cielo era stato del tutto casuale, ma evidentemente erano rimasti catturati dalle nuvole che spaccandosi lasciavano intravedere l’azzurro più netto e pulito che si fosse mai visto.

Tutti quanti indossavano occhiali da sole, ed era appunto il riflesso delle lenti che aveva richiamato l’attenzione di Adam. Non poteva fare a meno di pensare che quel gruppo fosse decisamente strano, o comunque nel bel mezzo di un’esperienza fuori della loro routine. Erano l’immagine di una borghesia superficiale e fatalmente attratta dall’apparenza della propria persona, da loro Adam non si sarebbe aspettata quell’espressione di pura adorazione nei confronti dello spettacolo naturale che si stavano presentando ai loro occhi. Sembrava che il tempo si fosse fermato nel momento in cui quel riflesso aveva incuriosito Adam. I quattro ragazzi non avevamo mutato la loro posizione e i passanti che si susseguivano non rappresentavano il segno tangibile del tempo che stava in realtà passando. Adam decise che quello doveva essere un giorno particolare, e che probabilmente anche quella gente era capace di apprezzare quelle cose.

La riflessione l’aveva momentaneamente distolto dalla sua attesa, e quello fu per lui un fatto  degno di nota.

Era sempre stato molto geloso delle sue percezioni, e in un caso come quello si sarebbe irritato non poco osservando come altri esseri umani riuscissero a mostrare una sensibilità simile alla sua, anche se solo per un attimo. Questo perché su di lui gravava il peso insostenibile che si portano dietro gli “eletti”, coloro che una volta coscienti della loro unicità e della loro ricchissima dimensione interiore la proteggono ad ogni costo. Quel peso che si trova a metà tra narcisismo e solitudine.

Alla vista di quei ragazzi, non si era sentito minacciato nella sua unicità, aveva anzi provato qualcosa di simile alla soddisfazione. Probabilmente, in quel momento non era “Adam che osserva il cielo”, bensì “ Adam che aspetta la sua ossessione davanti a un negozio”, il che lo rendeva una persona totalmente diversa, con uno scopo legato ad un altro essere umano, e per questo totalmente indipendente dalle cose che in una situazione normale l’avrebbero potuto toccare. Era indeciso se a questa conclusione fosse seguita una profonda commozione o una rabbia incontenibile.

“ Pare che ci stia mettendo un bel po’..” disse Christine. Adam la guardò intensamente socchiudendo gli occhi e fingendo di soffiare fuoco. Christine sorrise e si avvicinò a lui,

“ Beh, può essere che si stia vendicando di quanto ci hai messo tu…” aggiunse poi con un tono che oscillava pericolosamente tra il misterioso e il divertito. Si riferiva senza dubbio alla durata della riunione che aveva stabilito il suo stato di ossessionato, anche se sapeva perfettamente che di quella riunione l’ossessione non era al corrente. Ad Adam sfuggiva il perché di quella frase… se era solo una battuta, o se invece doveva fargli capire che l’ingenuità dell’ossessione l’aveva solo immaginata. Christine lo squadrò perplessa, intuì di aver spedito lo sventurato in una dimensione dalla quale da solo non sarebbe riuscito ad uscire.

“ Scherzavo…” disse poi. Adam si sentì sollevato da una mano invisibile e ricondotto sulla Terra.

“ Ma ciò non toglie che devi fare qualcosa” aggiunse, col tono che Adam odiava di più, quello che usava quando sentiva la necessità di rimproverarlo.

“ Dici che si vede troppo?” le chiese allora Adam. Pensandoci bene, non sapeva se volesse una risposta negativa o una affermativa.

“ Ah… non molto se devo dirti la verità.” rispose alzando lo sguardo al cielo per non essere influenzata dall’aura onnipotente e nostalgica che emanava.  “ Ma ti avrei creduto più attento a queste cose. E poi mi fidavo quando dicevi di aver imparato la lezione… non so..” rimase qui interdetta. Sorrise debolmente. Il vento penetrava i vestiti di Adam, lo rendeva instabile, incapace di pensare ad un qualsiasi movimento, pensava alle parole di Christine. Nelle sue frasi chiara traspariva l’intenzione sincera di esprimere affetto e preoccupazione nei confronti del ragazzo. Temeva di far trasparire delusione e risentimento nei suoi confronti. Ma poteva stare tranquilla, la sua voce non mentiva mai. Il cielo invece mente spesso. Non si capiscono mai le sue intenzioni.

“ Non mi basta mai “ rispose Adam riassettandosi gli occhiali scuri. La sentì farsi vicina. Che fosse rincuorata dal vento sempre più forte? Che sentisse la sua anima guidata adesso da una forza superiore anche al dio in cui credeva? Che vedesse davanti a sé una strada diritta ma sconnessa? Che adesso avvertisse la necessità di percorrerla a suo rischio e pericolo? Di buche e affossamenti, la vita, ne è piena.

“ eh, lo so che non ti basta mai” rispose lei. “ Per questo sono preoccupata!” aggiunse poi guardandolo e imitando sua madre. Scoppiarono entrambi a ridere, e nella risata Adam avvertì finalmente chiari i contorni dell’amore. Li vide disegnarsi netti sui volti dei passanti e li sentì cantati in ogni suono che arrivava alle sue orecchie. Scottavano, erano i colori più grezzi che avesse mai visto; come suoni erano taglienti e mettevano a dura prova i suoi timpani. Intanto, era felice di aver dato un nome a tutto quel dolore.

La cosa che quel giorno lasciò Adam esterrefatto fu come certe volte si prendano decisioni molto importanti sulla base di un sentimento momentaneo. Quella risata sonora e vitale aveva sortito in lui l’effetto di un detergente su un vetro sporco, aveva reso nitidi gli orizzonti, tanto che un viaggio si prospettava prossimo.

“ In partenza, Adam?” gli chiese Christine. L’amore non si riesce mai ad apprezzare senza qualcuno che capisca le nostre intenzioni e si diverta a scherzare con la nostra goffaggine.

“ Ebbene sì!” rispose lui raggiante.

“ Cerca solo di non tornare solo, e possibilmente, di tornare…” disse Christine mentre il sole che tramontava le disegnò sulla fronte mondi lontani e fiumi di desiderio. Adam adorava l’idea di avere sempre qualcuno che l’avrebbe aspettato al ritorno della sua battaglia con l’amore. Se da una parte era ormai una foresta in cenere in cui l’amore si divertiva a troncare i germogli che pian piano tentavano di emergere dal sottobosco incenerito, era anche una scogliera che si affacciava sull’oceano più vasto del mondo, dalla quale tuffarsi è pericoloso ma necessario per imparare a volare. E la sua ossessione le ali le aveva già, giusto?

Avrebbe voluto ringraziarla per tutto quello che faceva e diceva, per la sua presenza stessa, ma lo sguardo che ogni giorno lei gli regalava lasciava intendere un “ lo so, non c’è bisogno che tu me lo dica”. Tuttavia, non avrebbe potuto in ogni caso, dal momento che le porte del negozio si aprirono finalmente, donando al mondo quel ragazzo né alto né basso, sorridente e sicuro dei suoi passi.

Adam e Christine si scambiarono un’occhiata fugace, alla quale seguì una solenne alzata di spalle di Adam. La sua sorridente ossessione lo aspettava. Mentre per raggiungerlo passò accanto a Christine, sussurrò: - tu vuoi che lo ami?-

 

 

 

 

 

 

  
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