La neve scese su Auschiwz incessante per tutta la notte. Il freddo mattutino
era ancora più pungente. Sabrina non appena fu fuori dalla sua baracca,scorse
in lontananza un albero, i cui verdi germogli avevano resistito al gelo, quello
era un segno, la primavera era vicina. Un tepore le scese nel cuore, da tanto
non aveva più la percezione del tempo e per la prima volta dopo tanto sentiva
che la primavera era vicina; pianse nel vedere quell’albero, pensò che lei
avrebbe resistito a tutto, per poter vedere un giorno il suo germoglio:
Alessandro.
Un soldato le si parò di fronte:
“Paso”
Da quanto tempo non veniva
chiamata col suo cognome? Le pareva un dolce suono quel nome, piccolo e corto.
Trasalì. Questi la strattonò con veemenza, fu in quel momento, mentre camminava
che avvertì nel suo cuore nascere la paura. Dove la stavano portando?
Stancamente camminava ricurva sulle sue spalle. Passò un piccolo corridoio,
stretto e buio, quattro porte, tutte chiuse. Poi una si aprì di colpo. Il
soldato la spinse all’interno e richiuse la porta.
Si guardò attorno. Non era simili all’ufficio
dove lavorava lei, era molto più piccolo, appeso al muro solo foto di Hitler.
Una scrivania e una lampada beige, una pila di scartoffie e un telefono grande.
Un uomo dai capelli brizzolati e un forte accento tedesco, le disse:
“Paso … lei non mi conosce,
conosco molto bene suo marito, ha aiutato me e mia moglie a rimettere in piedi
la mia azienda, devo molto a Gabriele. Ieri sera l’ha rivisto Ada, e ci ha
chiesto un favore”
Sabrina lo interruppe
“Gabriele è vivo?”
“Si … sta bene, se così si può
dire, vede, noi gli abbiamo chiesto cosa potevamo fare per lui, e ci ha detto
che la sua unica gioia sarebbe sapere che lei è libera!”
Sabrina si sentì mancare e
dovette ricorrere alle sue ultime forze per non lasciarsi cadere sul pavimento
“Ho fatto alcune ricerche, per
sapere come voi, siete finiti qui, eppure c’è stata una segnalazione precisa,
per questo credo che Gabriele abbia mentito, voi siete ebrei, questo è fuori di
dubbio, perché la comunicazione è stata fatta da un segretario del governo
italiano!”
La donna strizzò gli occhi.
Intuì il nome.
Fabio Paris!
Solo lui la conosceva. Ma
perché aveva detto che lei era ebrea? Non lo era. Perché farla finire in
quell’inferno? Ed ora che voleva liberarsi nessuno le credeva.
L’uomo che le stava di fronte
continuava a parlare e aggiunse:
“Vede, l’unica cosa che posso
fare per lei, è farla lavorare qua dentro, dove in inverno potrà avere un po’
di tepore … niente di più, mi spiace, ma è davvero un brutto periodo”
Sabrina non rispose. Non le
importava nulla. Mentre tornava all’esterno la sua mente pensava, che se forse
avesse giurato e spergiurato avrebbe avuta salva la vita, e con lei suo marito.
Ma in fondo che differenza faceva? Lei dormiva con persone di altre
nazionalità, italiani, olandesi, francesi, l’unica differenza fra loro era la
lingua, erano tutte persone. Tutte innocenti! Non avevano commesso alcun male,
eppure erano li, succubi, maltrattati, schiavizzati ed uccisi. In nome di cosa?
Di nulla … tutto questo avveniva per mente perversa e demoniaca di una sola
persona, e mentre un raggio di sole le accarezzò il volto pensò:
“Forse la vera ingiustizia
sarebbe quella di salvarmi solo perché sono una religione differente …”.
Fabio Paris aveva annunciato
di dover partire per un viaggio di lavoro;gli ultimi avvenimenti lo avevano
stravolto. Lui che era sempre stato fedele alla causa della Germania! Anche ora
che l’Italia si era unita all’alleanza americana, non aveva mai tradito! Come
potevano trattarlo in quel modo? Doveva difendere la sua dignità, la sua
autorità! In fondo se avevano ripulito Roma dagli ebrei lo dovevano anche lui!
Doveva pur contare qualcosa! Preparò una misera valigia. Tutto era pronto,
Giulietta, ignara era sulla porta a salutarlo:
“Resterò qui ad aspettarti …
cerca di portarmi buone notizie di mia cugina! Ho un solo desiderio rivederla
al più presto …”
Proprio in quel momento una
macchina nera e lucida si fermò di fronte a loro, dalla macchina scese Inès e
subito dopo Federico Sepúlveda. Inès quando vide Paris si fermò all’istante,
sbiancò nel vederlo con la valigia, e chiese di scatto:
“Dove andate? State partendo?”
“Ho un impegno di lavoro”
rispose lui vago poi per educazione “Però un caffè con voi lo bevo volentieri
…” e tutti insieme si avviarono nella sala dove solitamente veniva servito loro
il tè. In quel momento Inès riprese un leggero rossore sulle sue guance e
affrettò il suo passo con lui. Giulietta e Federico rimasero indietro,
silenziosi, erano stupiti dalla reazione della donna. Perché si comportava in
quel modo se era innamorata del suo fidanzato? Federico approfittando della
loro semi-solitudine la prese per un braccio:
“Aspetta … ho notizie di
Sabrina”
Lo sguardo della donna che le
stava di fronte si illuminò e ritornò per un istante all’antico scintillio;le
parve di rivederla felice come nell’unica foto scattata insieme, e proseguì:
“Ho sfruttato alcune amicizie,
è in un campo in Polonia, smagrita e sofferente … però è viva! Questo è
importante!”
“Posso vederla?”
“Credo di si! Sto aspettando
una risposta …”
“E quando? Quando arriverà?”
“Non lo so! Ogni momento
potrebbe essere buono, non sapevo come fare per dirtelo, poi Inès ha insistito
tanto per venire … io non sarei venuto?”
“Perché?” la voce di Giulietta
tremava un poco
“Perché mi fa male vederti e
non poterti stringere, perché soffro nel vederti nel braccio di un altro!
Perché ogni giorno muoio dentro se penso che non sarai mai mia!”
“oh Federico! Anche io soffro
dentro, ma non possiamo farci nulla” questa volta una lacrima scappò via dai
suoi occhi, una lacrima che l’uomo le asciugò prontamente col palmo della sua
mano, dove lei tuffò il suo ovale, facendolo stare declinato per qualche
istante; lui si scusò:
“Perdonami se non posso fare
di più per te … sono arrivato tardi, ed ora posso solo aiutarti a trovare
Sabrina …”
“Tu fai per me molto di più di
quello che pensi … anche se non potremo mai vivere come vorremmo sapere che non
mi hai mai preso in giro ha fatto si che il mio cuore smettesse di soffrire in
quel modo così lancinante, adesso è un altro tipo di dolore, che ahimè mi tocca
condividere con te … ma porterò con me sempre questa camelia, sarà per me il
giuramento del nostro amore che non è mai morto, che vivrà in eterno …”
Federico si chinò per
sfiorarle le labbra, un ultimo bacio, un bacio d’addio. Che non avvenne. A cosa
sarebbe servito? A soffrire ulteriormente, niente di più.