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Autore: rospina    27/11/2011    1 recensioni
La seconda guerra mondiale incombe sull'Europa e sull'Italia, tutto appare uguale e diverso da sempre, perchè il vento impone la sua danza e i suoi tempi e non resta altro che muoversi ai suoi ritmi per non essere spazzati via...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La neve scese su Auschiwz incessante per tutta la notte. Il freddo mattutino era ancora più pungente. Sabrina non appena fu fuori dalla sua baracca,scorse in lontananza un albero, i cui verdi germogli avevano resistito al gelo, quello era un segno, la primavera era vicina. Un tepore le scese nel cuore, da tanto non aveva più la percezione del tempo e per la prima volta dopo tanto sentiva che la primavera era vicina; pianse nel vedere quell’albero, pensò che lei avrebbe resistito a tutto, per poter vedere un giorno il suo germoglio:

Alessandro.

 Un soldato le si parò di fronte:

“Paso”

Da quanto tempo non veniva chiamata col suo cognome? Le pareva un dolce suono quel nome, piccolo e corto. Trasalì. Questi la strattonò con veemenza, fu in quel momento, mentre camminava che avvertì nel suo cuore nascere la paura. Dove la stavano portando? Stancamente camminava ricurva sulle sue spalle. Passò un piccolo corridoio, stretto e buio, quattro porte, tutte chiuse. Poi una si aprì di colpo. Il soldato la spinse all’interno e richiuse la porta.

Si  guardò attorno. Non era simili all’ufficio dove lavorava lei, era molto più piccolo, appeso al muro solo foto di Hitler. Una scrivania e una lampada beige, una pila di scartoffie e un telefono grande. Un uomo dai capelli brizzolati e un forte accento tedesco, le disse:

“Paso … lei non mi conosce, conosco molto bene suo marito, ha aiutato me e mia moglie a rimettere in piedi la mia azienda, devo molto a Gabriele. Ieri sera l’ha rivisto Ada, e ci ha chiesto un favore”

Sabrina lo interruppe

“Gabriele è vivo?”

“Si … sta bene, se così si può dire, vede, noi gli abbiamo chiesto cosa potevamo fare per lui, e ci ha detto che la sua unica gioia sarebbe sapere che lei è libera!”

Sabrina si sentì mancare e dovette ricorrere alle sue ultime forze per non lasciarsi cadere sul pavimento

“Ho fatto alcune ricerche, per sapere come voi, siete finiti qui, eppure c’è stata una segnalazione precisa, per questo credo che Gabriele abbia mentito, voi siete ebrei, questo è fuori di dubbio, perché la comunicazione è stata fatta da un segretario del governo italiano!”

La donna strizzò gli occhi.

Intuì il nome.

Fabio Paris!

Solo lui la conosceva. Ma perché aveva detto che lei era ebrea? Non lo era. Perché farla finire in quell’inferno? Ed ora che voleva liberarsi nessuno le credeva.

L’uomo che le stava di fronte continuava a parlare e aggiunse:

“Vede, l’unica cosa che posso fare per lei, è farla lavorare qua dentro, dove in inverno potrà avere un po’ di tepore … niente di più, mi spiace, ma è davvero un brutto periodo”

Sabrina non rispose. Non le importava nulla. Mentre tornava all’esterno la sua mente pensava, che se forse avesse giurato e spergiurato avrebbe avuta salva la vita, e con lei suo marito. Ma in fondo che differenza faceva? Lei dormiva con persone di altre nazionalità, italiani, olandesi, francesi, l’unica differenza fra loro era la lingua, erano tutte persone. Tutte innocenti! Non avevano commesso alcun male, eppure erano li, succubi, maltrattati, schiavizzati ed uccisi. In nome di cosa? Di nulla … tutto questo avveniva per mente perversa e demoniaca di una sola persona, e mentre un raggio di sole le accarezzò il volto pensò:

“Forse la vera ingiustizia sarebbe quella di salvarmi solo perché sono una religione differente …”.

Fabio Paris aveva annunciato di dover partire per un viaggio di lavoro;gli ultimi avvenimenti lo avevano stravolto. Lui che era sempre stato fedele alla causa della Germania! Anche ora che l’Italia si era unita all’alleanza americana, non aveva mai tradito! Come potevano trattarlo in quel modo? Doveva difendere la sua dignità, la sua autorità! In fondo se avevano ripulito Roma dagli ebrei lo dovevano anche lui! Doveva pur contare qualcosa! Preparò una misera valigia. Tutto era pronto, Giulietta, ignara era sulla porta a salutarlo:

“Resterò qui ad aspettarti … cerca di portarmi buone notizie di mia cugina! Ho un solo desiderio rivederla al più presto …”

Proprio in quel momento una macchina nera e lucida si fermò di fronte a loro, dalla macchina scese Inès e subito dopo Federico Sepúlveda. Inès quando vide Paris si fermò all’istante, sbiancò nel vederlo con la valigia, e chiese di scatto:

“Dove andate? State partendo?”

“Ho un impegno di lavoro” rispose lui vago poi per educazione “Però un caffè con voi lo bevo volentieri …” e tutti insieme si avviarono nella sala dove solitamente veniva servito loro il tè. In quel momento Inès riprese un leggero rossore sulle sue guance e affrettò il suo passo con lui. Giulietta e Federico rimasero indietro, silenziosi, erano stupiti dalla reazione della donna. Perché si comportava in quel modo se era innamorata del suo fidanzato? Federico approfittando della loro semi-solitudine la prese per un braccio:

“Aspetta … ho notizie di Sabrina”

Lo sguardo della donna che le stava di fronte si illuminò e ritornò per un istante all’antico scintillio;le parve di rivederla felice come nell’unica foto scattata insieme, e proseguì:

“Ho sfruttato alcune amicizie, è in un campo in Polonia, smagrita e sofferente … però è viva! Questo è importante!”

“Posso vederla?”

“Credo di si! Sto aspettando una risposta …”

“E quando? Quando arriverà?”

“Non lo so! Ogni momento potrebbe essere buono, non sapevo come fare per dirtelo, poi Inès ha insistito tanto per venire … io non sarei venuto?”

“Perché?” la voce di Giulietta tremava un poco

“Perché mi fa male vederti e non poterti stringere, perché soffro nel vederti nel braccio di un altro! Perché ogni giorno muoio dentro se penso che non sarai mai mia!”

“oh Federico! Anche io soffro dentro, ma non possiamo farci nulla” questa volta una lacrima scappò via dai suoi occhi, una lacrima che l’uomo le asciugò prontamente col palmo della sua mano, dove lei tuffò il suo ovale, facendolo stare declinato per qualche istante; lui si scusò:

“Perdonami se non posso fare di più per te … sono arrivato tardi, ed ora posso solo aiutarti a trovare Sabrina …”

“Tu fai per me molto di più di quello che pensi … anche se non potremo mai vivere come vorremmo sapere che non mi hai mai preso in giro ha fatto si che il mio cuore smettesse di soffrire in quel modo così lancinante, adesso è un altro tipo di dolore, che ahimè mi tocca condividere con te … ma porterò con me sempre questa camelia, sarà per me il giuramento del nostro amore che non è mai morto, che vivrà in eterno …”

Federico si chinò per sfiorarle le labbra, un ultimo bacio, un bacio d’addio. Che non avvenne. A cosa sarebbe servito? A soffrire ulteriormente, niente di più.

 

   
 
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