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Autore: EdenGuns    27/11/2011    4 recensioni
Don't ever leave me
Say you'll always be there
All I ever wanted
Was for you
To know that I care
P.s. Il titolo di ogni capitolo è il nome del personaggio che parla in prima persona. Niente da aggiungere, solo buona lettura e lasciate un commento! ;)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Guns N' Fuckin' Roses'
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2. Michelle

 

« Cars are crashin' every night
I drink'n'drive
Everything's in sight
I make the fire
But I miss the firefight
I hit the bull's eye every night»
It's so easy, GN'R

 

« Non avresti dovuto farlo.»

Gli occhi azzurri di Eden mi scrutavano l'anima, mentre cercavo una scusa per giustificare le mie azioni.

Porco mondo.

Un espressione che spesso sbucava nella mia mente, stando a specificare come ritenevo io il pianeta: un insieme di inutili esseri umani che si attaccavano tra loro, provocando disturbi nell'equilibrio della vita.

Continuavano ad annunciare l'estinzione della nostra specie, senza serie conseguenze. Ma che succedesse sul serio! La natura ringrazierebbe.

« Non hai nulla da dire?»

Fui riscossa dalle mie riflessioni e tornai a guardare la mia migliore amica seduta sul divano sfasciato di casa nostra.

« Mi spiace, davvero.»

Avevo perso una scommessa con quello stupidissimo cantante e poi si era aggiunto quell'altro col nome strano, Rizzy o Izzy: portare un'amica e della roba dopo un loro concerto.

Quando mai, cazzo! E non volevano un'amichetta qualunque, volevano proprio Eden.

C'era quella pertica ossigenata che se n'era innamorato, o roba del genere.

Non potevo tirarmi indietro. Speravo solo che lei non se ne ricordasse dopo la dose che le avevo preparato.

Avrei dovuto calcolare il fatto che ormai una dose sola non è abbastanza per lei.

« Ma li conoscevi?»

Mi morsi il labbro: « Non proprio. Li ho incontrati qualche sera fa, sono riusciti a rimorchiarmi. Ci giravano in giro da un po', solo che tu non eri uscita quella volta e si sono accontentati di me.»

Lei mi guardò in disappunto. Come non capirla? Anch'io mi sarei incazzata.

« E non me ne potevi parlare?»

Scossi la testa, chinando il capo a guardarmi la punta delle scarpe.

« Non avresti accettato, e io non avevo scelta.»

Un lieve odore di bruciato si insinuò nelle mie narici e nello stesso momento Eden imprecò.

« L'arrosto!»

Corse in cucina, con i capelli scuri e lunghi che svolazzavano nell'aria.

La seguii camminando, ancora rimuginando sulle mie azioni.

La stanza era piccola, con un tavolo di legno scheggiato al centro e allineati alle pareti banconi e mobiletti vari. Tutto era verdino e beige, in un azzardato abbinamento di colori sbiaditi.

Quella casa me l'avevano lasciati i miei quando erano morti; era semidistrutta ma per me era un importante ricordo, che avevo voluto condividere con l'ultima persona cara che mi era rimasta al mondo, Eden.

Anche per questo mi sentivo doppiamente in colpa. Lei si fidava ciecamente di me, e “venderla” in quel modo era stata una mossa davvero squallida.

Pregavo solo che mi perdonasse.

« Cazzo» sussurrò, abbassandosi per aprire il forno.

Dall'elettrodomestico fuoriuscì una densa massa di fumo nero e caldo, che annebbiò in poco tempo la cucina.

Aprii l'unica finestrella per arieggiare la stanza, facendo entrare anche più liberamente i raggi del sole di Los Angeles. Era una bella giornata, che avrei voluto passare in spiaggia. Ma ormai la mia vita si attivava solo di notte, a ritmo di sesso, droga e rock n' roll.

« L'arrosto è andato.»

Svuotò la teglia nel cestino sotto il lavandino con una smorfia.

« Pazienza, dai. Preparo un'insalatina veloce io.»

Lei mi guardò.

Mi conosceva troppo bene, sapeva che non mi offrivo mai per cucinare e che dovevo assolutamente farmi perdonare. Così mi lasciò fare, andandosi a sedere su di un bancone.

Giocherellava con due cucchiai in legno, senza smettere di fissarmi. Io intanto facevo finta di impegnarmi nella preparazione dell'insalata.

« Michelle?»

Mi voltai: « Dimmi.»

« E quel Duff?» chiese, arrossendo visibilmente.

Le sorrisi, avvicinandomi a lei.

« McKagan, mi pare. Se chiedi in giro ti diranno anche dove abita.»

I suoi occhi brillavano, ma ostentava indifferenza.

« Non mi freghi, Eden. E non fare quella faccia!»

Ridemmo.

« Ti odio» mi disse, sorridendo.

La abbracciai, affondando il viso tra i suoi morbidi capelli.

« Scusami, ancora.»

Mi strinse.

« Passato, Michelle. L'importante è che hai capito.»

Annuii.

Questa volta sì.

 

Eden era sotto la doccia, io stavo leggendo sdraiata sul divano un libro che lei mi aveva comprato al compleanno. Gli occhi iniziavano ad appannarsi e le palpebre a farsi pesanti, ma avevo quasi finito il capitolo e dovevo resistere. Inutilmente. Poggiai il volume per terra e mi abbandonai completamente al caldo abbraccio delle coperte.

Il suono del campanello però mi fece sobbalzare.

« Vai tu ad aprire!» urlò lei, da sotto la doccia.

Grugnii infastidita, rotolando giù dal letto con tutte le coperte. Tentai di districarmi da quegli enormi pezzi di stoffa che sembravano improvvisamente boa constrictor e raggiunsi la porta, aprendola.

« Ciao.»

Amy, la sorella di Eden, entrò in casa. Sembrava nervosa, non riusciva a rimanere ferma e si torceva le mani.

« Te la vado a chiamare» dissi preoccupata, eclissandomi nel corridoio.

Raggiunsi il bagno e vi entrai.

« C'è tua sorella.»

Lei sbucò da dietro la tenda della doccia, con i capelli pieni di shampoo.

« Cosa?»

« Sbrigati.»

Tornai nel salottino, trovando Amelìe ancora in piedi.

« Siediti pure. Vuoi qualcosa da bere?»

Lei scosse la testa, per entrambe le proposte.

Ma che cazzo è successo?

« Amy, come mai qui?»

Lei corse ad abbracciarla, scoppiando a piangere. Guardai quella scena mordendomi un labbro, impacciata e terrorizzata. Eden cercava di consolarla, non capendo lei stessa il motivo.

« Devi tornare a casa.»

La mia migliore amica strabuzzò gli occhi, scostandola da sé.

« Ma che dici?»

Amy si asciugò col braccio una lacrima e con l'altra mano si riavviò i capelli biondo scuro.

« Lo so che non vuoi, ma mamma e papà non sanno più dove sbattere la testa. La sento piangere tutte le notti, Eden.»

Presi per il braccio sua sorella e la portai alla porta, delicatamente.

« Non mi sembra il caso» dissi, e la salutai.

Così le fa solo del male.

Mi voltai, trovando Eden seduta sul pavimento con gli occhi lucidi.

Corsi da lei e la abbracciai forte.

« Non piangere, tesoro.»

Lei si aggrappò alla mia schiena, respirando a singhiozzi.

Era stata una dura scelta per lei andarsene di casa, ma non voleva far vedere ai suoi quanto stesse buttando via la sua giovane vita in piaceri estremi.

Ricordavo ancora le prime notti, costellate dai suoi pianti disperati, finché la grande quantità di alcol che trangugiava non la faceva addormentare del tutto.

« Ma non pensa che sarebbe peggio se io fossi lì in queste condizioni?» disse, contro l'incavo del mio collo.

« Ssh, non ci pensare.»

Rimasi a cullarla così per lungo tempo, finché non si calmò.

Perché l'hai fatto, Amy?

 

Passarono alcuni giorni, in cui non uscimmo di casa.

Eden era ancora scossa per la visita della sorella, e mangiava poco.

Mi faceva stare male vederla così depressa, così escogitai un modo per tirarla su di morale.

« Vado a fare la spesa» annunciai, uscendo dalla porta principale.

Lei non rispose, presa com'era dal disco che andava dei Pink Floyd.

La casa non era tanto lontano, qualche isolato fatto di buona lena e ci sarei arrivata velocemente. Le strade era quasi deserte, se non si contavano barboni e venditori ambulanti di hot dog che vi bazzicavano.

Arrivai davanti alla casetta, facendo non poca fatica per riconoscerla. Erano tutte uguali, solo che quella era più disastrata.

Andai a bussare la porta e un ragazzo altissimo e biondo venne ad aprirmi.

« Ciao, Duff.»

   
 
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