CODA:
I
might have not
been clear to say
I
never looked
away, I never looked away...
I'm
not dead, just floating.
I'm
not scared, just changing.
You're
my crack of sunlight, yeah.
~
“Esci immediatamente da casa mia, stronzo.”
Adam
era andato via neanche dieci minuti prima, e nell’istante in
cui
Tommy aveva superato il momento di stordimento e aveva pienamente
realizzato cosa fosse successo, aveva spinto immediatamente Sebastian
dentro casa, aveva chiuso la porta e gli aveva scaricato addosso
tutti gli insulti che conosceva, e ne conosceva tanti.
Solo
dopo gli aveva chiesto spiegazioni. E lui, con l’aria
mortificata,
aveva risposto che guardandoli aveva capito la situazione e che
pensava di fargli un favore,
il che aveva causato una nuova scarica di insulti.
“Senza considerare che mi ci hai fatto entrare tu, in casa tua, ma prima di cacciarmi mi spieghi che ho fatto di male?” Sebastian scosse la testa, gesticolando mentre parlava. Era come al solito più calmo di quanto ci si aspettasse da lui – insomma, Tommy era furioso, lui invece sembrava solo vagamente irritato. Era tanto freddo da far venire i brividi. Tommy si chiese come aveva fatto a non farci caso prima.
“Io ho semplicemente fatto quello che tu non hai avuto il coraggio di fare fino ad ora: mandarlo via. Non è difficile, hai visto? È bastato dargli dello sfigato ed è scappato quasi in lacrime!” Continuò Sebastian in risposta al suo silenzio. “È solo un patetico perdente. Cosa avrebbe fatto se l’avessi chiamato perdente? Si sarebbe messo a piangere e sarebbe corso a dirlo a mammina?”
Tommy
non era stato mai così furioso in vita sua.
Non
seppe in che modo si trattenne dal prenderlo a schiaffi, a calci, a
pugni, dal pestarlo e dal lasciarlo lì per terra mezzo
morto.
Continuò a ripetersi stupidaggini come il fatto che la
violenza non
era roba per lui e che se fossero finiti alle mani ne sarebbe uscito
a pezzi. In realtà gli avrebbe volentieri rotto i denti a
furia di
pugni in faccia: poi sarebbe stato lui a ridere. E di gusto, anche.
Non
poté trattenersi, fu un’istante, gli si
avventò addosso e lo
spinse contro il muro, tenendolo per la collottola, con una forza che
neanche si aspettava di avere.
“Ma sei scem-” Sebastian strillò, ma si interruppe subito quando Tommy lo spinse ancora più forte contro la parete. Finalmente il moro sembrava provare emozioni simili a quelle di un essere umano.
Tommy
non gli lasciò la possibilità di dire altro.
Adesso toccava a lui.
“Primo,
schifoso figlio di puttana, sfigato
e patetico
perdente ci
sarai tu. Non permetterti mai più di insultare il mio uomo
in mia
presenza, perché tu non vali neanche quanto la carta con cui
lui si
asciuga il culo. Ci siamo intesi, razza di sottospecie di armadillo
sottosviluppato?” fece una breve pausa, e tremava tanto
intensi
erano l’odio e la rabbia che gli pulsavano nelle vene in
quell’istante. Il ragazzo lo guardò senza battere
ciglio.
“Secondo, brutto essere con le capacità cognitive di una lumaca morta, tu non sei proprio nessuno per intrometterti nella mia fottuta vita, o per fingere di essere il mio ragazzo, né men che meno per arrogarti il diritto di cercare di risolvere i miei fottuti problemi! Nessuno ha chiesto il tuo intervento, decido io cosa fare della mia vita, e anche come farlo e quando. Tu non sei nessuno per me, sei stato a stento una scopata e neanche nulla di tanto straordinario. Per fartela breve: non me ne frega un cazzo di te.”
Stavolta riuscì ad intravedere un’espressione davvero ferita passare sul viso di Sebastian; lui la nascose efficacemente pochi istanti dopo, ma Tommy fu certo di averla vista, qualcosa era cambiato nei suoi occhi, da qualche parte, forse nelle pupille più dilatate, o nel suo sguardo più assente, e qualcosa era cambiato anche in tutto il resto del suo corpo, nei muscoli più tesi e nei tentativi più decisi di liberarsi dalla sua stretta, nel respiro accelerato e nel colorito, improvvisamente più pallido.
Tommy
lo lasciò andare, fece qualche passo indietro e, mentre lo
guardava
barcollare e scoccargli sguardi d’odio, dovette ammettere che
si
sentì in colpa. Ma non rimpiangeva nulla.
“Spero
di essere stato sufficientemente chiaro, Sebastian. Ora fuori dalla
mia vita, all’istante.” disse, il tono calmo e
distaccato, mentre
si voltava verso la porta e faceva per aprirla.
“Oh,
sì che lo sei stato. Sufficientemente chiaro e stronzo.”
Pausa
ad effetto. Tommy si voltò a guardarlo. Cosa cercava, delle
scuse?
“Pensavo di piacerti, sai? Che illuso. Credevo che volessi dimenticarlo, che ti avesse ferito. Me l’hai detto tu che era così, mi hai detto tu che non ti meritava!” Se nella sua voce si potevano cogliere sfumature isteriche e si poteva intuire la presenza di qualcosa di irrimediabilmente infranto lì, da qualche parte dentro di lui, i suoi occhi erano tutta un’altra cosa. Sebastian ne aveva un controllo straordinario. Lo guardava con l’aria di uno che sapeva di avere ragione, ne era certo, e non se ne starebbe mai stato in silenzio, lo avrebbe zittito. Tommy ne fu quasi spaventato.
“Non capisco perché ci tieni così a lui. Ti ha trattato male, ti ha mollato senza riguardi, ti ha fatto stare da schifo e tu lo difendi così, a spada tratta?! Non gliene frega un cazzo di te, Tommy! È tornato perché sei l’unico idiota che lo sopporta e tu lo sai bene o, se non lo sai, forse sei anche più illuso di quanto io lo sia mai stato in tutta la mia vita.” Tommy dovette ammetterlo, quelle frasi rischiavano di trasformare in dubbi anche i suoi punti saldi. Sapeva dove andare a colpire, il ragazzo. In quel momento desiderava solo che se ne andasse e la smettesse di confonderlo.
“Sai,
continua
a comportarti così, Tommy. Perderai tutti quelli che, come
me, ci
tenevano. Ma dato che lui è così magnifico da
meritare tutto ciò,
be’, tienitelo, quello sfigatello grassoccio da quattro
soldi. Io
posso trovare di certo qualcuno che sia meglio di te.”
Non
diede neppure a Tommy il tempo di rispondergli ed uscì dalla
porta,
chiudendosela dietro con un tonfo e lasciandolo lì, tremante
di
rabbia, ad affogare nelle proprie insicurezze e nei propri sensi di
colpa.
“Scusami.”
Silenzio dall’altro capo del telefono. Il ragazzo non pareva voler rispondere. Non se lo aspettava o non voleva scusarlo?
“Tommy...
perdona la domanda, ma... perché ti stai
scusando?” Isaac pareva
seriamente perplesso.
A
Tommy, sinceramente, venne da ridere. Tutto si aspettava, tranne che
una risposta del genere! Scosse la testa.
“Perché ti ho
annoiato con tutti i miei problemi in queste settimane, sono stato
appiccicoso ed insopportabile e mi sono comportato da egoista. Mi
dispiace...”
Dall’altro capo del telefono, il batterista rise
di gusto, sembrava non volesse più smettere. Tommy
arrossì, si
sentiva un po’ ridicolo, vero, però aveva sentito
il dovere di
farlo finché era ancora lucido. Non sapeva cosa aspettarsi
da Adam,
da quel momento in poi...
“Ma sei scemo?! Gli amici servono a questo, Tommy Joe! Ora, qual’è il problema? Spiegami cos’è successo!”
Il
bassista avrebbe tanto voluto abbracciarlo e non lasciarlo
più
andare. Amava infinitamente Isaac, amava il modo in cui si
preoccupava per lui, il modo in cui lo aiutava e gli stava sempre
accanto, la sua dolcezza e la sua sua disponibilità persino
eccessiva. Se Tommy l’avesse chiamato alle tre di notte, lui
non
avrebbe esitato un attimo a rispondere, pronto a consolarlo e ad
aiutarlo, sempre.
“Ti
voglio bene, Isaac. Davvero.”
E
lo sentiva davvero, con ogni fibra del suo corpo, gli voleva bene
come non ne voleva a nessun altro. Fece una breve pausa, sorridendo,
rasserenato da tutto quell’affetto.
Poi,
cominciò a raccontare.
Quando
parcheggiò l’auto al solito posto, quando percorse
il vialetto,
quando si trovò davanti a quella porta, pensò a
tutte quelle volte
che si era ripetuto che non ci sarebbe tornato mai più: che
non si
sarebbe mai più fermato in quella strada, che non avrebbe
mai più
posteggiato l’auto nelle vicinanze, che mai più
avrebbe percorso
quel vialetto e che mai, per nulla al mondo, avrebbe suonato ancora
quel campanello.
Eppure
lo fece, fece ogni singola cosa che aveva giurato di non fare mai
più, e non un briciolo di esitazione lo percorse.
Che
stupido che era stato. Con Adam il “mai” non
esisteva, avrebbe
dovuto impararlo tanto tempo prima: tra loro esisteva solo il
“sempre”.
Adam
era tornato perché avrebbe sempre
avuto
bisogno di Tommy e Tommy avrebbe sempre
avuto bisogno di lui; era tornato perché, era inevitabile,
per
quanto cercassero di allontanarsi, di stare con qualcun altro
– e
ci provavano, davvero!
– alla fine tornavano sempre a cercarsi. Era tornato
perché da
quando si conoscevano non era passato un istante senza che Tommy si
sentisse speciale e fottutamente fortunato ad averlo conosciuto e
chissà, forse anche Adam si sentiva così.
Perciò,
quando suonò quel campanello, Tommy aveva le idee chiare:
non aveva
alcuna intenzione di fare a meno di lui.
Peccato
che ci fosse voluto tutto quel tempo e le parole di un idiota codardo
e menefreghista a far sì che Tommy ne fosse certo.
Fu Sauli ad aprire la porta, e fu un po’ una sorpresa per entrambi.
Il finlandese lo guardò confuso, era impossibile capire cosa pensasse. Era sempre stato così per tutti, non riuscivano a decifrare alcune sue espressioni, alcuni suoi gesti, alcune sue reazioni. Lo attribuivano alla differenza culturale, senza sapere che era così che Sauli era fatto, semplicemente. Non era affatto un libro aperto.
Tommy, dal canto suo, si sentì tremendamente a disagio, ed in colpa. Il modo in cui aveva parlato di lui ad Adam... Sauli non lo meritava. Non era lui il nemico, non era sua la colpa. La colpa era loro, sua e di Adam, delle loro ipocrisie, delle loro intolleranze, delle loro bugie e delle loro verità. La colpa era di Tommy che lo lasciava libero – perché Adam era proprio quello, uno spirito libero, non si poteva fare altrimenti – e poi si lamentava quando si comportava da tale. La colpa era di Adam, che lo riempiva di troppe bugie e gli dava in pasto troppe verità azzardate, e pretendeva che lui non facesse una piega. La colpa era loro, che tanto insistevano a dire di non sopportare i difetti dell’altro da convincersene, e poi sentirne la mancanza una volta lontani.
“Adam è di sopra. Non vuole parlarti.” Sauli fu telegrafico, un po’ freddo, ma cortese, a modo suo: almeno non l’aveva mandato a fanculo.
“Come
lo sai?”
Non
avrebbe certo creduto a quella spudorata bugia. Adam che non voleva
parlare con lui? No, non era possibile. Non poteva essere. Ma poi,
che fosse vero o no, che il cantante volesse o meno, Tommy gli
avrebbe parlato lo stesso. Era lì per quello e non se ne
sarebbe
andato fin quando non avesse raggiunto il suo scopo.
Sauli
lo guardò per qualche secondo, severamente, e quegli occhi
di
ghiaccio misero i brividi a Tommy.
“Non
vuole parlare neanche con me, perché dovrebbe parlare con
te?”
Okay. C’era da chiarire come stavano le cose. Perché avrebbe dovuto parlare con Tommy? Perché la questione in sospeso era tra loro, forse? Chi si credeva di essere quel tizio? Tommy conosceva e amava Adam da quasi due anni, e cercavano di far andare bene le cose da tutto quel tempo, non poteva permettere ad un biondiccio sciapito qualunque di rubargli il posto nel cuore di Adam!
“Allora
posso parlare con te, Sauli?”
Una
smorfia strana e poi il suo interlocutore annuì, lasciandolo
entrare
in casa e chiudendosi la porta dietro.
Era il momento di fare chiarezza.
“Mi pare ovvio che ti abbia preso per culo.”
Sauli sembrava sicuro di sé. Tommy scoppiò a ridere senza allegria. Scherzava, vero?
Gli aveva raccontato tutto, dal modo in cui Adam si riferiva a lui – sempre come ‘il ragazzo di copertura’ –, a come si lamentava di lui e del suo carattere, e gli aveva anche riferito di quando giurava che lo avrebbe lasciato volentieri, ma non poteva, era lavoro; Sauli non aveva fatto una piega. Anzi, aveva sostenuto che era Tommy l’illuso, lì, perché lui era solo il giocattolino di Adam, poteva metterci la mano sul fuoco.
Sì, quello a Tommy fece male. Si fidava di Adam, esattamente come faceva Sauli, ma i dubbi si insinuavano nella sua mente senza che neanche se ne accorgesse, e minacciavano di distruggere tutto. Come faceva Sauli, invece, ad essere così sicuro di non essere stato preso in giro? Come poteva essere così certo che le cose che diceva Tommy fossero cazzate? Non lo erano!
Si
fidava così tanto di Adam? Beh, si sbagliava.
Lui non lo conosceva.
Adam non avrebbe mai mentito a Tommy. Adam non lo avrebbe mai usato.
Perché avrebbe dovuto? No, no, no. Non poteva ricominciare a
dubitarne.
“Mi pare ovvio che abbia preso per il culo te, Sauli.”
Fu a quelle parole, pronunciate con finta sicurezza, che sul guscio di impenetrabilità del finlandese comparve la prima crepa: dovette spostare lo sguardo dagli occhi del suo interlocutore, eppure Tommy riuscì a notare gli occhi lucidi, e poté quasi vederlo combattere con tutte le forze con quell’idea terribile, l’idea di essere stato preso in giro, usato, trattato al pari di un accessorio, senza alcun riguardo per i suoi sentimenti; l’idea con cui Tommy stava già facendo i conti ormai da molto tempo e più i giorni passavano più sembrava realistica, più faceva male, eppure non cambiava minimamente i suoi sentimenti per Adam.
Tommy avrebbe tanto voluto semplicemente smettere di stare male, ma l’unico modo per farlo era cancellare quei sentimenti, e quei ricordi, dimenticarli, andare avanti, e avrebbe dato qualunque cosa pur di non perdere nulla di tutto ciò: memorie, emozioni, desideri, tutto ciò che c’era e c’era stato tra lui ed Adam, erano la migliore cosa che potesse avere.
Fu quando vide la crepa nell’impenetrabilità di Sauli allargarsi ancora di più, e qualche lacrima sfuggire a quel ragazzo così chiuso e strano, che capì che, però, non era quello che voleva. Non voleva ferire nessuno per il proprio egoismo.
Adam non era suo.
Adam faceva quello che gli pareva, e se quello che gli pareva era prenderlo per culo, che lo facesse! Se ciò che voleva era stare con Sauli, anche tutta una vita, be’, che lo facesse! Perché anche se magari non era felice, era quello ciò che voleva, ciò che aveva scelto, e chi era Tommy per decretare che le sue decisioni erano sbagliate? Se Adam si sentiva bene con sé stesso a trattare così le persone, buon per lui, ma Tommy non riusciva a ferire Sauli in quel modo, vederlo cadere a pezzi di fronte a sé e restare impassibile.
Poteva tenere tutto per sé, mentirgli, risparmiargli quella sofferenza ed avere la coscienza pulita. Era un comportamento egoista? Sicuramente, ma almeno non avrebbe scaricato la sofferenza addosso ad un’altra persona.
Fece
subito marcia indietro.
“No,
no, ascolta, scusa. Hai ragione tu. Mi ha... Sono... È
che...
Insomma, non è facile accettare che la persona che ami ti
abbia
preso in giro, credo che tu mi capisca. Vorrei solo... Voglio
parlargli. Non voglio perderlo, Sauli. Per favore.”
Quegli
occhi azzurro ghiaccio lo guardarono con sospetto, mentre dal canto
suo, Tommy pregava per un sì, semplicemente.
Un sì che non arrivò.
Sauli
se ne stette lì a guardarlo e non rispose per alcuni lunghi
minuti.
“Pensi che io sia stupido?” sbottò all’improvviso. “Pensi che io non sappia cosa c’è tra di voi? Pensi che non riconosca il tuo odore dappertutto addosso a lui quando torna a casa? Pensi che non lo sappia che per quanto possa tenerci a me non sarà mai comparabile a quello che prova per te? Pensi che ti permetterò di portarmelo via?”
Tommy scosse la testa, cercò di interromperlo, avrebbe voluto negare, negare con tutto sé stesso, anche se sapeva quanto fosse vero, e solo in quell’istante realizzava quanto male gli avesse già fatto. Si sentiva una merda.
“Lotterò con le unghie e con i denti per tenermi il mio ragazzo, Tommy. Non provare neanche a pensare di impedirmelo.” Concluse Sauli, l’espressione decisa, forte, gli occhi puntati in quelli dell’altro.
No, no, no. Non era la guerra aperta quello che Tommy voleva! Gli pesava già abbastanza quando era un conflitto silente, che serpeggiava tra loro perennemente, dal primo istante in cui l’uno era venuto a conoscenza dell’altro. Non voleva che quella guerra scoppiasse.
“Io non voglio portartelo via, Sauli, e anche se volessi, non potrei. Adam non è mio e non lo sarà mai.” si concesse una breve pausa,deglutì le lacrime. Quei concetti avrebbero dovuto essere acqua passata ormai, avrebbero dovuto essere stati assorbiti, eppure ancora gli facevano così male. Forse era il dirlo ad altra voce, che li rendeva più reali, e gli faceva così male. “Sai, mi piacerebbe se le cose fossero realmente come tu le immagini, ma non è così. Io non so più cosa provi Adam per me. So solo che ci sono giorni in cui mi fa sentire come se fossi l’unica persona di cui gli importi, e giorni in cui sembra che venga da me solo per svuotarsi le palle. Eppure... eppure qualunque cosa faccia mi fa sentire speciale. Io non posso cancellare ciò che provo per lui, Sauli, vorrei fosse possibile, ma non posso. Ti chiedo solo la possibilità di parlargli, di chiarire con lui, solo questo. Non voglio portartelo via. Voglio solo poter essere suo amico. Guardami, Sauli. Ti sto supplicando.”
Tommy pensava che mentire fosse più difficile, ma poi, quando si era trattato di difendere quella sottospecie di relazione che aveva con Adam, si era reso conto che era facile. Aveva infilato qualche bugia in mezzo ad alcune verità, ed era riuscito anche a guardarlo negli occhi senza imbarazzo mentre parlava.
Sauli
sospirò. Una volta, due, tre. Alzò lo sguardo, ed
il suo ‘guscio’
era di nuovo lì, e lui era di nuovo indecifrabile.
Poi,
finalmente, Tommy lo vide annuire.
“D’accordo. Ma pretendo massima sincerità da te. Ti sto dando la mia fiducia, e non credo affatto che tu te la sia meritata.”
Non riuscì a trattenersi, e neppure desiderò farlo, abbracciò Sauli, con entusiasmo, con gioia, cercando di infondergli tutto il suo senso di gratitudine. Gratitudine perché avrebbe potuto dirgli di no, mandarlo a fanculo, non credere alle sue bugie, dare il via ad una guerra che magari li avrebbe portati entrambi a perdere, eppure Sauli gli aveva detto di sì.
Percepì
il suo imbarazzo quando sciolse l’abbraccio, ma non vi
badò. Frugò
nelle tasche e porse al finlandese le chiavi della propria
auto.
“Prendila, vai a fare un giro, fai shopping, vai a
mangiare qualcosa, quello che preferisci... ti chiedo
un’oretta,
solo questo. Ti riferirò tutto, se è questo che
vuoi. Promesso. E
grazie. Grazie, grazie, grazie. Davvero.”
L’altro lo guardò un po’ stranito, osservando quelle chiavi come se fossero un attrezzo sconosciuto; per tornare lucido gli ci vollero alcuni lunghi secondi – durante i quali Tommy fu certo che ci avesse ripensato, e tirò un sospiro di sollievo quando lo vide dirigersi verso la porta e sorridergli.
“In bocca al lupo, Tommy.”
Silenzio.
Fissava la porta di casa di Adam, chiusa.
Sauli era appena uscito, lasciandoli soli.
Poteva sentire la TV accesa al piano di sopra, e immaginare Adam rannicchiato sotto le coperte a guardarla. Respirava talmente silenziosamente che neanche lui stesso si sentiva, e il panico gli attanagliava le viscere.
Cosa doveva fare?
Più
ci pensava e più si sentiva un pezzo di merda.
Non
meritava un briciolo della fiducia che Sauli gli aveva concesso. Non
gli avrebbe mai riferito nulla di qualunque cosa fosse successa tra
lui e Adam mentre era via, non sarebbe stato mai sincero con lui, non
gli avrebbe lasciato avere Adam tutto per sé,
perché non sarebbe
mai stato solo
un suo amico.
Si sentiva un’orribile ipocrita, uno stronzo ad essersi comportato così, anzi, certamente era un’ipocrita, uno stronzo e una persona orribile. Ma lo sarebbe stato ancora di più se davvero fosse salito in camera di Adam e avessero chiarito, e tutto fosse tornato come prima. Lo sarebbe stato ancora di più perché avrebbe ferito consapevolmente un ragazzo che non solo non gli aveva fatto nulla, ma gli aveva anche concesso la propria fiducia, e perché non sarebbe mai davvero tornato tutto come prima, non avrebbe mai dimenticato tutti quei dubbi, quelle insicurezze, quelle bugie e soprattutto sarebbe sempre stato consapevole che stava regalando la propria fiducia ad una persona, Adam, che non la meritava e non le dava alcun valore.
Si chiese sinceramente se ne valesse la pena.
Salì al piano di sopra perché sì, ne valeva la pena eccome.
Adam
se ne stava seduto sul bordo del letto, a guardare qualcosa in TV,
probabilmente qualche telefilm. Tommy aprì la porta
in silenzio, e si fermò sulla soglia.
Quando
alzò lo sguardo, Adam si bloccò, mordendosi un
labbro. Lo guardò
per alcuni secondi, e quando vide che non parlava cercò di
dissimulare l’imbarazzo. “Ehm, ciao... Uhm...
Sauli?”
Tommy scosse la testa e sorrise. Si poteva essere più belli? Gli era mancata quella sua espressione teneramente imbarazzata, e a stento badò alle sue parole; preferì osservare come si muovevano le sue labbra mentre parlava, e quegli occhi color del cielo, e le lentiggini un po’ dappertutto. Ci mise più di un minuto a realizzare che doveva dire qualcosa.
“Sauli
è... È uscito. Abbiamo un po’ di tempo
per noi...”
Se
ne stava lì, appoggiato allo stipite della porta, le braccia
incrociate sul petto e lo guardava. Aspettava una reazione, una
qualsiasi reazione che significasse qualcosa, che gli desse un
indizio su ciò che passava per la testa dell’altro.
Adam
fece una smorfia, spegnendo la TV e poi sospirando.
“Ascolta,
forse sarebbe meglio se non... se evitassimo di parlarci... e
vederci.”
Tommy tirò ad indovinare: pensava ancora a quello stronzo di Sebastian? Credeva davvero che quel tizio contasse qualcosa? Probabilmente. Sbuffò, si sedette al suo fianco e cercò di rassicurarlo.
“Quel ragazzo, l’altra volta, era un pallone gonfiato qualsiasi con cui dovevo andare al cinema quella sera. Non stavamo insieme se è questo che ti preoccu-” Adam lo interruppe con un cenno, guardandolo con aria stanca, scuotendo la testa.
“Non
è importante. Non è questo il
problema...”
Il
biondo lo guardò, senza capire. “Ah, no?”
E
allora perché diamine non avrebbero dovuto parlarsi e
vedersi?!
“Bene, allora qual’è il problema?”
Il moro sospirò: “Ti prego, comprendimi, Tommy, non posso... non...” Si prese la testa tra le mani, massaggiandosi la testa. Tommy non nascose quanto la cosa lo irritasse. Si erano sempre detti tutto, cos’erano quei segreti? Tanto peggio non poteva andare, o no?
“Cosa devo capire, Adam, me lo spiegheresti? Perché mi piacerebbe saperlo. Perché tutto questo? Perché volevi chiudere con me? Perché mi hai lasciato e poi sei tornato? Perché te ne sei andato quando ti avevo chiesto di restare? Perché non fai altro che andare e tornare? Cosa vuoi da me, Adam?”
Le lacrime non poté trattenerle, gli sfuggirono, poche e silenziose, ed un abbraccio e qualche parola gentile erano tutto ciò che voleva per calmarle. Un abbraccio e qualche parola gentile che non arrivarono.
Adam lo guardò negli occhi, finalmente.
“Perché tu meriti di meglio, Tommy, ecco perché. Perché io sono un bugiardo, un ipocrita, un bambino viziato, un indeciso cronico, uno stronzo, e perché sono solo capace di ferirti. Perché non vuoi di meglio, Tommy? Perché non mi lasci e cerchi qualcuno che sappia dimostrarti il suo amore?”
Tommy
era estremamente confuso.
Il
cuore gli batteva a mille, e gli sembrava che nessuna di quelle
parole avesse senso. Lasciare Adam? E perché mai?
Perché aveva dei
difetti? Da quando in qua essere imperfetti era un crimine? A lui
stava bene così, davvero. Preferiva convivere con i suoi
difetti
piuttosto che con quelli di chiunque altro sulla Terra.
Una
domanda gli premeva forte però, più di ogni
altra, più di tutti
quei perché, ma aveva paura a farla, aveva paura che la
risposta
fosse un no.
Guardò
Adam e si disse per l’ennesima volta che non poteva dubitare
di
lui, non dopo tutto quello che avevano passato, non dopo tutto quel
tempo e quelle dimostrazioni d’affetto.
Eppure
la realtà era che ne dubitava eccome.
Fu
con un brivido ed un orribile sensazione di nausea che pose la
domanda.
“Mi
ami, Adam?”
Il
moro sembrò colto di sorpresa, e dopo alcuni secondi
scostò lo
sguardo, trovando improvvisamente il pavimento di parquet della
camera molto affascinante. Quando alzò lo sguardo aveva gli
occhi
umidi.
“Sì.”
La risposta fu decisa, senza ulteriori esitazioni, eppure le lacrime scivolarono giù da quegli occhi azzurri e, sebbene Adam non avesse fatto lo stesso per lui pochi minuti prima, Tommy gli strinse le braccia attorno ai fianchi e lo abbracciò teneramente.
“Wow,
faccio talmente schifo che l’idea di provare qualcosa per me
ti fa
venire da piangere?” ironizzò il biondo, poco
dopo, una volta
sciolto l’abbraccio.
Scoppiarono
a ridere assieme, e Adam lo spinse delicatamente.
“Idiota”,
borbottò.
Si guardarono negli occhi per un po’, i loro sorrisi che lentamente sfumavano in sospiri afflitti, al pensiero che la loro relazione, in passato, era stata felice come quegli istanti, mentre ora sembrava un bicchiere rotto di cui cercavano inutilmente, quasi disperatamente, di rimettere insieme i cocci.
“Ma quindi dov’è il problema?” Tommy insistette. Se doveva arrendersi, voleva sapere perché.
“Che t’importa? Voglio dire... saresti davvero felice di stare con me? Nonostante i miei scatti di rabbia, le mie paranoie, i miei capricci, le mie bugie, la mia indecisione e la mia ipocrisia? Nonostante io abbia questa... relazione con Sauli?”
Tommy lo guardò negli occhi mentre rifletteva sulle sue parole. Non che avesse bisogno di decidere se fosse felice di stare con lui, ma aveva bisogno di dire ciò che sentiva o sarebbe esploso.
“Sì,
lo sarei. Ma è lui
il vero problema, non è così? Ami anche Sauli,
te lo leggo negli occhi.” fece una breve pausa, sperando in
una sua
replica, sperando di sbagliarsi. No, non glielo leggeva davvero negli
occhi, non sapeva se fosse vero o meno, aveva solo paura che fosse
così.
Ma,
a quanto dedusse dal silenzio di Adam, la sua era una paura
più che
fondata.
Fu
difficile combattere l’ondata di sentimenti confusi che lo
travolse, ma si sforzò di farlo, mantenne
l’autocontrollo. Quindi
era così che finiva? Per un altro?
Come
poteva accettare una cosa del genere?
“Voglio
che tu sia felice, Adam, e che tu sappia che io ci sarò, ad
aspettarti, sempre. Se è lui che vuoi, mi faccio da parte.
Bastava
dirlo.” Sì, stava indossando la sua maschera
migliore, ma ‘amore’
non significa certo possedere una persona, e questo non poteva
cambiarlo.
Si voltò, doveva uscire di lì o sarebbe scoppiato
a
piangere, e non poteva piangere, non davanti ad Adam, non in quel
momento.
“No, Tommy! Aspetta!”
Si bloccò e deglutì, cercando di calmarsi con un lungo e profondo respiro. Non doveva piangere. Si voltò a guardare Adam, chiedendosi in silenzio se ci tenesse a vederlo piangere o doveva davvero dirgli qualcosa di importante e ignorando la risposta alla sua tacita domanda che lesse chiaramente – e stavolta per davvero – in quegli occhi blu, o almeno tentando di ignorarla finché non fu Adam stesso a dargliela.
“Voglio bene a Sauli, è vero... ma è te che voglio, Tommy, credevo l’avessi capito! È questo il motivo per cui mi sono comportato in quel modo. Mi dispiace per tutto quello che ho fatto, mi dispiace sul serio... Ma io ti amo, e ciò che più desidero è che tu sia felice; e con me non lo sei. Lo eri, lo eravamo, ma poi è cambiato tutto. Poi il tour è finito e abbiamo dovuto affrontare la realtà ed io non volevo farlo. Non sapevo cosa fare, non sapevo come comportarmi, cosa dire ai miei amici, ai miei parenti, ai fans... Sapevo solo che non sarei stato capace di mantenere tutte le promesse che ti avevo fatto, nonostante lo desiderassi davvero. E poi ho iniziato a mettere in fila errori su errori, uno dopo l’altro, e ho mandato tutto a puttane, e tu non ti arrendevi, stavi male ma non mollavi...”
Adam
fece una lunga pausa, e tirò su col naso un paio di volte.
Aveva il
viso inondato dalle lacrime, proprio come Tommy, che si tratteneva
quanto poteva ma le emozioni erano troppe, troppe tutte insieme. Come
poteva finire, come poteva, se si amavano così?
Il
moro sospirò prima di tornare a parlare, con la sua voce
tremante e
le guance arrossate.
“Volevo solo farti capire che meriti di meglio, volevo che mi mandassi a fanculo, volevo che non soffrissi mai più per me, che ti sentissi libero di lasciarmi. Volevo che ti arrendessi, invece ho solo peggiorato le cose, e ho sfogato su di te tutto il mio stress, il mio risentimento, la mia tristezza e la mia rabbia... Non lo meritavi. Tu meriti solo il meglio, Tommy. Ciò che volevo dirti ieri era che sono un coglione e che non avrei mai dovuto neanche pensare di lasciarti. E ti ringrazio di non esserti arreso, di non aver mollato, di non avermi lasciato. Ti ringrazio per aver sempre creduto in me, perché sapevi che sarei sempre e comunque tornato; perché tu mi guardi con quegli occhi nocciola e mi leggi dentro, ed io mi sento nudo fin nell’anima. Ed è la sensazione migliore del mondo, ma è anche così spaventosa, perché mi fa sentire in trappola... La tua presenza mi fa sentire completo, a casa... Conosci la sensazione? Sento di appartenerti in un modo tanto profondo che cancellare o anche solo provare ad indebolire questo nostro legame sarebbe impossibile. E io non volevo appartenerti, volevo essere libero... Diamine, Tommy, sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e io volevo mandarti via, capisci?”
Incredibile come due occhi, così piccoli, limitati, finiti, potessero contenere così tanto; non solo sentimenti, non solo lucide lacrime di gioia o di dolore, non solo brillanti, piccole briciole di una sensazione: l’intera sfera delle emozioni umane avrebbe potuto essere espressa anche solo con gli occhi.
Tommy amava osservare quegli occhi blu, tanto da rivederli anche nei propri sogni; aveva speso ore e ore della propria vita a rispecchiarcisi dentro, a studiarli quasi, a memorizzare minuziosamente ogni millimetro di quelle iridi chiare, e conosceva a menadito ognuna delle loro espressioni. Ad esempio, conosceva perfettamente la maniera in cui Adam corrucciava leggermente le sopracciglia e quel bagliore nei suoi occhi quando non capiva qualcosa o era incuriosito, oppure come non riusciva a tenerli fermi quando era nervoso, e la frequenza con cui batteva le palpebre quando mentiva.
Li conosceva così bene quegli occhi, ed in quell’istante poteva dire con certezza che non una di quelle parole era una bugia. Poteva giurare di non essere mai stato così felice nella propria esistenza, anche se probabilmente lo era stato eccome; però la felicità ha un valore diverso a seconda del momento in cui arriva, e lui si sentì come se stesse guardando di nuovo il cielo dopo aver passato anni chiuso in uno scantinato.
Gettò le braccia al collo di Adam e lo abbracciò, stringendolo con tutta la forza che aveva nelle braccia e mormorando che lo amava fino a restare senza fiato, godendosi il calore di quei sentimenti e di quelle grandi braccia, quelle di un amico, di un fratello, di un padre e di un amante, e inebriandosi del suo odore perfetto, che gli dava la sensazione di essere al posto giusto nel momento giusto.
Poi fu la volta del suo sapore, quando le loro labbra si incontrarono, e la dolcezza della sua bocca fu tutto ciò che aveva mai desiderato assaggiare, il suo corpo tutto ciò che aveva mai desiderato toccare, e se esisteva un Paradiso non era in cielo, ma sulla Terra, esattamente lì, in quell’istante, da qualche parte dentro di loro – non dentro Adam, o Tommy, ma dentro entrambi, dentro quel noi che non era mai stato così reale e che esisteva davvero solo per quelli che, come loro, neanche il Destino avrebbe mai potuto separare.
Il sapore divenne quello della pelle di Adam, del suo viso salato di lacrime, e poi del suo corpo, quando gettarono in terra i vestiti come inutili stracci, per lasciare posto l’uno alle labbra dell’altro, unico indumento da cui entrambi avrebbero voluto vedere coperte le proprie membra. Si bearono quanto più a lungo riuscirono ognuno delle imperfezioni dell’altro; ogni più piccolo difetto, anche se sfuggito al più attento degli osservatori, era in quel momento nei loro occhi, tra le loro labbra, tra le loro dita e nei sussurri di piacere sibilati a mezza voce, bellissimo nella propria inesattezza, esattamente come ogni essere umano.
Fronte contro fronte, poi labbra contro labbra e poi quell’abbraccio si fece più stretto, in una sorta di nobile violenza, un incontro di anime divenuto scontro di corpi, il cui unico scopo pareva essere lo sprofondare l’uno nell’altro, fermare il mondo per rendere quella stretta infinita e perdere i confini dei propri corpi e delle proprie identità, anzi, abbandonarli volontariamente, gettarli via, a favore di un abbraccio di anime che sarebbe durato per sempre, oltre lo spazio ed il tempo: una promessa come un abbraccio, che non può essere infranta se non lo vogliono entrambi, ed un abbraccio come una promessa, astratto ma infinitamente reale, che sarebbe continuato anche da lontano, che sarebbe perdurato in ogni istante quotidiano, provenendo da dentro, senza allentarsi mai, una stretta dal sapore agrodolce di eternità.
Quando, dopo minuti tanto lunghi da sembrare ore, si rivestirono, il campanello suonò, e Tommy dovette andarsene, ad un occhio esterno poteva sembrare che nulla fosse cambiato.
Ed
era così, materialmente nulla lo era.
Le loro vite restavano le
stesse di sempre, stesse compagnie, stessi rapporti, stesse
abitudini; ma erano binari vuoti, perché le loro anime erano
deragliate, sfuggite ad ogni barriera imposta dalla ragione, libere
da ogni limite, due treni che avevano scelto di collidere nonostante
i binari li conducessero da un’altra parte. Ed era quella la
loro
promessa: errore, disastro, distruzione, un’avventata
rinuncia alla
razionalità che in quanto tale non aveva parole per essere
espressa,
eppure loro la leggevano l’uno negli occhi
dell’altro.
Avevano capito, senza parole, che stare insieme era un errore, ed avevano scelto di sbagliare; erano pronti in ogni istante a vedere il proprio mondo cadere loro addosso, e ad accoglierlo con gioia, a braccia aperte, perché unica conseguenza possibile all’irrazionalità e all’imperfezione così sproporzionate da assomigliare alla perfezione tanto quanto se ne allontanavano.
Avevano capito, senza parole ma col corpo, che il miglior errore che potessero fare era accettare quel loro morboso appartenersi senza tempo, e lo avevano fatto, avevano accolto dentro di sé quella consapevolezza più grande di loro, e lo avevano fatto insieme. E tutto, da quell’istante, era stato chiaro: si appartenevano, non nel corpo, ma nell’anima, ed in quell’appartenersi erano più liberi di quanto lo fossero mai stati.
Time has
come for us to pause You say I'm
harder than a wall, And as we
walked into the day, And though
I'm feeling you inside, The time we
borrowed from ourselves And when we came out into view |
È
arrivato il momento, per noi, di fare una pausa, Dici che sono duro
come la pietra, E proprio mentre
iniziavamo la giornata, E anche se sento che
sei dentro di me, Il tempo che abbiamo
rubato a noi stessi E quando siamo
usciti allo scoperto |
Note Finali:
Ebbene sì, questa è la fine.
Inizierò ringraziando prima di tutto voi adorati lettori. Grazie per essere arrivati fin qui e scusate per l'attesa per quest'ultimo capitolo – spero che almeno ne sia valsa la pena! Poi è d'obbligo un grande grazie ad Adam, Tommy, Sauli, Isaac e il mio OMC per avermi ispirato e soprattutto essersi sottoposti ad una tale tortura. Poi P!nk, I MCR, Adam, Eminem e Rihanna per le canzoni dei precedenti capitoli; un grazie particolare, per la canzone di questo capitolo va ad Eber Lambert, il caro papà Lambert, che l'ha twittata: al primo ascolto ho capito che era perfetta! Si chiama Genesis di Jorma Kaukonen.
Il grazie più grande va ovviamente alla mia Romea, che è stata la prima lettrice e la più importante critica, e che merita un grazie dal profondo del cuore.
Sul capitolo voglio solo dire che sono molto critica nei suoi confronti, e se da un lato sono soddisfatta, dall'altro vorrei buttarlo via e riscriverlo da capo. Vi chiedo di dirmi la vostra, anche un brevissimo commento, solo per dirmi con quale dei miei due "lati" vi schierate.
La canzone alla fine è sempre Genesis (credo si sia capito xD) e la traduzione l'ho fatta io, quindi ringraziate e non rubate! ♥
Un grandissimo abbraccio a chiunque ha recensito/recensirà, sappiate che mi rendete la scrittrice in erba più felice del pianeta.
Alla prossima!
Vostra,
Anthea.