Capitolo 7: Alone.
“Io non permetterò che tu rimanga da sola.
Nonostante i tuoi difetti e le tue paure io ci
sarò”
- Lui che vuole a tutti i costi farmi
innamorare
e che,
forse, ci sta riuscendo-
I Gufo ormai appartenevano al passato e i Malandrini
potevano godersi le ultime giornate ad Hogwarts prima delle vacanze estive.
I progetti per i futuri mesi lontani dalle mura del castello occupavano non
solo gli animi dei quattro Grifondoro, ma quelli di tutti gli studenti.
C’era chi non vedeva l’ora di rivedere genitori, fratelli,
amici babbani e chi pregava, implorava, supplicava il preside di poter rimanere
a scuola. In quei tempi bui, in cui le sparizioni erano all’ordine del giorno,
in molti vedevano quel posto come la loro vera casa. Perdere anche gli affetti
che si avevano tra i banchi e limitarsi a scambi epistolari sembrava per i più
l’ennesima ferita da far guarire. Quello che un tempo era un lieto evento,
atteso soprattutto quando la mole di studio diventava insostenibile, ora aveva
perso questa sua connotazione gioiosa. Fuori c’era il pericolo, c’era la paura,
c’era l’inizio della guerra. Ad Hogwarts c’era Silente, c’era la sicurezza,
c’era quell’incosciente voglia di credere che tutto sarebbe andato bene.
Per i Malandrini, così ormai li chiamavano tutti visto che
era impossibile stabilire se fossero più le punizioni che ottenevano o gli
scherzi che attuavano ai danni delle Serpi, era ancora più facile sperare.
Avevano James e, al suo fianco, era impossibile soffermarsi a pensare alla
morte, al dolore, alla tragedia che li riguardava così da vicino.
Lasciando tra i corridoi deserti l’eco di promesse dell’ultimo minuto, il
ricordo del coraggio trovato per dare quel bacio tanto atteso, il bisbiglio di
un arrivederci sussurrato più dai cuori che dalle bocche.
Ora però Lily Evans era sola e negava anche a se stessa di
rimpiangere tutti i momenti condivisi con il suo Sev: i tentativi di migliorare
le pozioni, le ore in biblioteca, le passeggiate ad Hogsmeade, il conto alla
rovescia ogni anno prima di tornare ad Hogwarts.
Tuttavia si auto convinceva che quella solitudine non fosse
poi male, non le dispiaceva avere del tempo per riflettere. Soprattutto era
entusiasta per l’assenza di Pot_
- EEEEEVANS!
Hai sentito qualcosa, Lily? No? Nemmeno io. Ci sono solo il
vento, l’acqua, la tranquillità, la pace, la solitudine...
- EVANS!
Un rumore molesto lontano.
Molto lontano.
Molto lontanissimo.
Molto, molto lontanissimo.
- Evans, sei diventata sorda?
Non ti ha poggiato nessun pesantissimo manuale per la
manutenzione dei manici di scopa in testa. Non ti si è seduto davanti nessun
James Potter e puoi tranquillamente continuare a divertirti con le tue
nuvolette di fumo colorate come se avessi otto anni e non sapessi fare niente
di meglio.
- No, Potter, non sono diventata sorda anche se mi auguro
una simile sorte ogni volta che sento la tua odiosissima voce – e, soprattutto,
non hai ceduto.
Ti ha chiamata solo tre volte e hai già ceduto? Cattivo
segno. Potevi fare di meglio. Hai fatto molto meglio in passato. Potevi
sfruttare l’occasione per battere il tuo record d’indifferenza nei suoi
confronti pari a 24 ore e dodici minuti. Invece hai ceduto dopo quanto? Cinque?
Massimo sei minuti. Sei una delusione, Evans.
- Sempre troppo gentile, potresti perfino invogliare
qualcuno a venirti a fare compagnia.
- Cosa intendi, Potter?
- Ciò che ho detto.
Vederlo andare via senza aggiungere niente oltre al solito
“Ci si vede in giro, Evans” mi destabilizza. Mi destabilizza a tal punto da
impedirmi di continuare ad intavolare questa discussione tra me e me stessa come
una psicopatica e da farmi rendere conto che sto quasi per dare ragione a James
Potter. Quasi, eh.
Non riesco a non pensare a Alice, Emmeline e Mary. Mi
accorgo di quante volte abbiano tentato di farmi uscire da questo mio ostinato
risentimento.
Sembra che io ce l’abbia con il mondo intero.
Sembra che io mi sente superiore e che loro non siano degne della mia
compagnia.
Sembra che io creda Piton l’unico all’altezza della mia intelligenze.
Sembra che io voglia essere sola.
Non posso pretendere che capiscano, che aspettino in eterno,
che mi leggano dentro come nemmeno io so fare, che sopportino pazientemente il
mio sguardo cupo e i mie sorrisi mancati.
Sono diventata uno spettro e spero solo di non essermi
accorta troppo tardi che vorrei anch’io delle amiche.
- Tentavo di aiutare la Evans.
- Come mai non hai un occhio nero, i capelli viola o dei
tentacoli al posto delle braccia?
- Sei un vero amico, Pad, un vero amico.
- Non te la sarai mica presa?
- Sirius, stai parlando dello studente più permaloso che
Hogwarts abbia avuto negli ultimi cento anni.
- Remus, non infierire.
- Che ti avevo detto?
- Prongs, ci spieghi in cosa la Evans dovrebbe aver bisogno
del tuo aiuto.
- Nello svegliarsi. Mi sembra ovvio.
- Hai deciso di Trasfigurarti in una sveglia?
- Intendevo nell’aprire gli occhi.
- Su quanto tu sia meravigliosamente perfetto, insuperabile,
imparagonabile a qualsiasi essere vivente e non... Lo sappiamo, lo sappiamo.
- No, non sapete proprio un bel niente. Pad, non te ne rendi
conto?
- Di cosa?
- Lei è rimasta sola.
- Ha le sue compagne di stanza, no?
- No. Loro sono diventate amiche mentre lei passava le sue
giornate con Mocc__, con Piton.
- E per quale assurda ragione non sarebbe giusto?
- Nessuno merita di rimanere solo.
- Non ti sentirai mica in colpa?
- Anche, ma non è questo il punto.
- E allora?
- Io non voglio che sia triste.
Si preoccupa della Evans.
Si preoccupa di quella pel di carota che fino a poco tempo fa era pappa e
ciccia con il più detestabile tra le serpi.
E per “si preoccupa” non intendo dire che le chiede di
andare ad Hogsmeade con lui ogni volta che la incontra o che le ricorda un
giorno sì e l’altro pure cosa si sta perdendo e come ogni ragazza vorrebbe
essere al suo posto.
No, pensa a come renderla felice sebbene lei lo detesti dal profondo del suo
cuore. Non so come faccia. Io non ci riuscirei. James è così altruista che ogni
tanto mi spaventa. Il più delle volte, però, mi rassicura perché ho la certezza
che ci sarà.
Anche per me.
Tuttavia non posso non temere l’arrivo delle nostre
partenze. Significa tornare a Grimauld Place, rivedere la mia “famiglia”,
quella che non sento tale.
Perché James è la mia famiglia, i Malandrini sono la mia famiglia.
Eppure mi ritroverò a spedirgli lettere con un tono
falsamente ironico, ma che in realtà saranno cariche unicamente della verità.
Lui risponderà alle mie battute con altre battute, ma io
saprò che ha capito.
Come sempre.
È il mio migliore amico. È mio fratello.
Sirius. Mio fratello, il mio migliore amico.
I suoi occhi. Vuoti, spaventati, soli.
Dimentico anche il loro colore e mi sembrano identici a
quelli di Lily.
Mi chiedo come sia possibile, come possano le stesse paure
affliggere anche lui che ha me, che ha i Malandrini. Un secondo dopo vorrei
essere caduto dalla scopa nell’ultima partita di Quidditch solo per punirmi
della mia stupidità. Pad si sente solo: sta per tornare a Grimauld Place.
Vorrei suggerirgli che io ci sarò, con le mie lettere, con i miei inviti a
raggiungermi prima dell’inizio della scuola. Vorrei capisse che non sarà mai
solo perché io non lo permetterò. Però Sirius Black non ha mai mostrato i suoi
timori e non lo farà nemmeno questa volta. Però mi sorride. Ed io so che ha
capito perché tra noi due le parole non sono mai servite.
Il treno lasciava la stazione e, mentre al viaggio del primo
Settembre si poteva attribuire la definizione di “andata”, quello non poteva
certamente essere classificato come un “ritorno”. Il cuore e il sorriso di
tutti sembravano essere rimasti tra le mura del castello. Solo James Potter
riusciva a mostrare un certo entusiasmo e ad elencare il cospicuo numero di
attività che lui e i suoi amici avrebbero potuto svolgere durante l’estate.
- Prongs, non contare su di me. Devo... Ho delle cose da
fare.
- Moony, quali cose?
- Cose.
- Cosa ci nascondi?
- Lo ammetto oltre ad essere un Licantropo sono anche un
Vampiro della Transilvania. Passerò l’estate tra i miei parenti SucchiaSangue.
- Non ti perdoneremo mai di averci tenuta nascosta una
simile verità. Soprattutto Peter ce l’avrà a morte con te per aver divorato il
suo cioccolato pur preferendo trangugiare di nascosto litri di sangue – le
parole di James ridestano Peter che si era incupito qualche minuto prima,
durante l’elenco delle “cose da fare”.
- Ah, nemmeno io potrò farmi vedere molto. Mia madre vuole
portarmi un po’ in giro. Egitto, credo. O Grecia. Non ne sono sicuro. Dice che
è stufa di restare con... di restare in casa – le bugie di Peter non venivano
mai riconosciute dagli altri. Erano mal strutturate e così credibili da essere
un paradosso indescrivibile.
- Conta su di me. Metterò in pratica il mio piano di
evasione appena mi sarà possibile – Sirius strizzava l’occhio e James non
avrebbe desiderato altro che le sue parole non fossero solo uno scherzo.
- Avrai sempre un posto in cui nasconderti invece di darti
alla macchia.
Ha dubitato di me. Ha tentennato sulla soglia. L’ho visto
comparire all’inizio del viale e fermarsi con la mano alzata pronta a bussare.
Dieci secondi. Immobile.
Uno.
Il nostro primo incontro sul vagone dell’Espresso. Un
bambino timoroso di diventare Serpe e un altro certo del destino da Grifone.
Due.
Lo smistamento. Vederlo dirigersi al mio stesso tavolo,
decorato rosso e oro, e sapere che saremmo diventati amici.
Tre.
La nostra camera.
Quattro.
Il primo ritardo a Trasfigurazione.
Cinque.
La prima punizione con la McGranitt.
Sei.
Correre con lui mentre siamo un cervo e un cane nero.
Sette.
Entrare di nascosto nelle cucine e ingozzarsi con le
prelibatezze preparate dagli Elfi.
Otto.
Ridere di lui mentre la Evans gli rifila l’ennesima risposta
tagliente.
Nove.
Assecondarlo nel tormentare Piton.
Dieci.
Il nostro unico litigio.
Busso perché se continuo a pensare rischio di fuggire via e
non saprei dove andare, a chi rivolgermi, cosa fare.
Bussa e non gli lascio nemmeno il tempo di parlare.
In quei dieci secondi ho già capito.
Uno.
Ho sempre saputo che saremmo diventati amici.
Due.
Non avrei creduto che sarebbe stato il fratello che non ho
mai avuto.
Tre.
Ho sempre pensato che avrebbe raggiunto la perfezione se
solo avesse amato il Quidditch.
Quattro.
Ho bisogno di lui.
Cinque.
Lui ha bisogno di me ancora di più.
Sei.
Lui non vuole sentirsi respinto.
Sette.
Lui ha tagliato i ponti con la sua “famiglia”, quella con la
effe minuscola.
Otto.
Lui è corso dalla sua “Famiglia”, quella con la effe
maiuscola.
Nove.
Ha bisogno di un posto che sia per lui casa tanto quanto
Hogwarts.
Dieci.
Non esiterà un istante di più, perché non è da lui essere
riflessivo.
Ora mi guarda. Per la prima volta non sembra un Black.
Quasi avesse detto addio anche al portamento nobile, agli occhi grigi, allo
sguardo fiero e orgoglioso, all’aura di superiorità, al ghigno malandrino.
- Sono andato via.
- MAMMAAA! Sirius è arrivato!
- Jamie, il letto è già pronto.
- NON chiamarmi Jamie.
- Sapevi che sarei venuto?
Non gli ho mandato nessun Gufo, nessun messaggio. Non gli ho
accennato minimamente nelle mie ultime lettere che avrei lasciato la mia
adorata mammina.
- Me l’avevi detto, no? – mi sorprende e faccio il possibile
per ricordare quando, e soprattutto se, gli ho mai anticipato che la notte del
10 Agosto sarai piombato in casa sua dopo aver abbandonato la mia. Niente, non
mi viene in mente proprio niente. Viene in mio aiuto.
- Conta su di me. Metterò in pratica il mio piano
di evasione appena mi sarà possibile. Ti dice niente? – sorrido e quando mi
rendo conto che sto per commuovermi decido di abbracciarlo.
Crede di ingannarmi? Crede che non mi sia accorto che i suoi
occhi brillavano?
Decido di non infierire, ma questa me la segno. Quante altre volte avrò davanti
un Sirius Black sconfitto dai sentimenti? Sicuramente troppo poche per non
segnarmi questa e usarla in futuro come ripicca. Anche se negherà. Sempre e
comunque.
- Jamie, non farlo stare lì sulla porta. Prenderà freddo.
Oh, Sirius caro. Vieni dentro, dai – e sto per ricordare a mia madre di non
chiamarmi, sto per ricordarle che avrei fatto entrare il mio migliore amico di
lì a qualche secondo, ma non replico perché vedo il suo viso imbarazzato, vedo
la felicità disegnata sul suo viso. Non posso rovinare questo momento perciò
prendo il suo baule e inizio a trascinarlo di sopra.
- Eri proprio sicuro che saresti potuto restare – mi rivolgo
a lui ironicamente e sento le sue paure sfociare nella solita risata simile a
un latrato come se la tensione si allentasse, come se un incubo fosse finito.
- Avrai sempre un
posto in cui nasconderti invece di darti alla macchia, no?
- Vorrei avere una madre come la tua, Prongs.
- Ce l’hai.
Non avrei mai pensato di sentirmi a casa fuori dalle mura di
Hogwarts. Le altre volte che ho fatto visita ai Potter era il desiderio di
essere uno dei loro figli a prevalere, una leggera gelosia a fare da padrona. Oggi
è diverso. Oggi sono stato accolto. Oggi mi sento davvero fratello di James.
Angolo autrice:
Io credo che le mie scuse non
saranno sufficienti e che le mie giustificazioni, per quanto valide, non
saranno mai abbastanza.
Ho infranto una promessa e per me
non c’è nulla di peggio. Perché io non prometto mai e, se lo faccio, tengo fede
alla parola data. Sempre. Ma c’è una prima volta per tutto. E vorrei chiedervi
scusa. Scusa a tutti quelli che mi hanno seguita e che ho deluso. Scusa a chi
si è stufato di controllare i miei aggiornamenti. Scusa a chi ha smesso di
sperare. Scusa, soprattutto, a chi non l’ha fatto. A chi ora sta leggendo. A chi
mi riempirà di parole, ma mi perdonerà.
Colpa della scuola, degli attacchi
di panico, del mio migliore amico-quasi fidanzato, di litigi, di delusioni.
Colpa della consapevolezza di non
essere poi così brava nello scrivere.
Poco importa. Questa storia l’ho
iniziata e porta dentro una parte di me. Mi sono affezionata e, perciò, farò di
tutto per aggiornare con più frequenza e regolarità.
E ho paura di promettere perché ho
paura degli imprevisti.
Nemmeno questo capitolo è una scusa
valida anche se io lo amo. Perché amo James e Sirius. Perché amo James,
soprattutto. Sempre il quinto anno. La fine del quinto anno.
Gì.