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Autore: Ginsecure    27/11/2011    2 recensioni
Erano i Malandrini e non c'era anima viva o morta ad Hogwarts che non li conoscesse. Tutti li guardavano ammirati forse per la bellezza di Sirius, forse per l'abilità di James nel Quidditch, l'intelligenza di Remus, la bontà di Peter. Forse perché erano semplicemente inseparabili. La loro amicizia era un qualcosa di indescrivibile, di unico. E poi il gruppo crebbe, pronto a fronteggiare la realtà che era ben diversa dalla felicità che i primi sei anni di vita nel castello aveva regalato.
Ecco come andarano le cose, come nacquero i Malandrini, come si rafforzarono e come, alla fine, divennero passato.
Ecco come James Potter scoprì di essere innamorato di Lily Evans e lei decise di andare oltre le apparenze. Il resto? Il resto è storia.
Dall'ultimo capitolo:
- MAMMAAA! Sirius è arrivato!
- Jamie, il letto è già pronto.
- NON chiamarmi Jamie.
- Sapevi che sarei venuto?
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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6. Alone.

Capitolo 7: Alone.

“Io non permetterò che tu rimanga da sola.
Nonostante i tuoi difetti e le tue paure io ci sarò”
- Lui che vuole a tutti i costi farmi innamorare
e che, forse, ci sta riuscendo-

 

I Gufo ormai appartenevano al passato e i Malandrini potevano godersi le ultime giornate ad Hogwarts prima delle vacanze estive.
I progetti per i futuri mesi lontani dalle mura del castello occupavano non solo gli animi dei quattro Grifondoro, ma quelli di tutti gli studenti.
C’era chi non vedeva l’ora di rivedere genitori, fratelli, amici babbani e chi pregava, implorava, supplicava il preside di poter rimanere a scuola. In quei tempi bui, in cui le sparizioni erano all’ordine del giorno, in molti vedevano quel posto come la loro vera casa. Perdere anche gli affetti che si avevano tra i banchi e limitarsi a scambi epistolari sembrava per i più l’ennesima ferita da far guarire. Quello che un tempo era un lieto evento, atteso soprattutto quando la mole di studio diventava insostenibile, ora aveva perso questa sua connotazione gioiosa. Fuori c’era il pericolo, c’era la paura, c’era l’inizio della guerra. Ad Hogwarts c’era Silente, c’era la sicurezza, c’era quell’incosciente voglia di credere che tutto sarebbe andato bene.
Per i Malandrini, così ormai li chiamavano tutti visto che era impossibile stabilire se fossero più le punizioni che ottenevano o gli scherzi che attuavano ai danni delle Serpi, era ancora più facile sperare. Avevano James e, al suo fianco, era impossibile soffermarsi a pensare alla morte, al dolore, alla tragedia che li riguardava così da vicino.

 Alla fine sarebbero partiti tutti.
Lasciando tra i corridoi deserti l’eco di promesse dell’ultimo minuto, il ricordo del coraggio trovato per dare quel bacio tanto atteso, il bisbiglio di un arrivederci sussurrato più dai cuori che dalle bocche.

 Lily Evans era seduta in riva al Lago e si divertiva a far uscire sbuffi di fumo dalla bacchetta. Si annoiava e non sapeva cosa fare. Senza le materie da ripassare e gli incantesimi in cui esercitarsi in vista degli esami si sentiva vuota. Ormai in tutto il castello si sapeva che la sua amicizia con Severus Piton si era conclusa. Nessuno, però, reputava il fatto degno di nota. La notizia era stata metabolizzata nell’immediato. I Serpeverde avevano tirato un sospiro di sollievo e avevano accolto gioiosi tra le loro schiere quel pentito che finalmente si era arreso a non andare contro corrente. I Grifondoro avevano inondato la Sala Comune con striscioni incantati che alternavano inneggiamenti al rinsavimento della Evans a insulti verso quello che era stato il suo migliore amico. A Corvonero e Tassorosso non importava poi molto. Aveva suscitato più pettegolezzi vederli sempre insieme al loro primo anno. Era, invece, normale, ovvio, naturale che, alla fine, ognuno avesse preso la sua strada com’era giusto che fosse.
Ora però Lily Evans era sola e negava anche a se stessa di rimpiangere tutti i momenti condivisi con il suo Sev: i tentativi di migliorare le pozioni, le ore in biblioteca, le passeggiate ad Hogsmeade, il conto alla rovescia ogni anno prima di tornare ad Hogwarts.
Tuttavia si auto convinceva che quella solitudine non fosse poi male, non le dispiaceva avere del tempo per riflettere. Soprattutto era entusiasta per l’assenza di Pot_
- EEEEEVANS!

 - EEEEEVANS!
Hai sentito qualcosa, Lily? No? Nemmeno io. Ci sono solo il vento, l’acqua, la tranquillità, la pace, la solitudine...
- EVANS!
Un rumore molesto lontano.
Molto lontano.
Molto lontanissimo.
Molto, molto lontanissimo.
- Evans, sei diventata sorda?
Non ti ha poggiato nessun pesantissimo manuale per la manutenzione dei manici di scopa in testa. Non ti si è seduto davanti nessun James Potter e puoi tranquillamente continuare a divertirti con le tue nuvolette di fumo colorate come se avessi otto anni e non sapessi fare niente di meglio.
- No, Potter, non sono diventata sorda anche se mi auguro una simile sorte ogni volta che sento la tua odiosissima voce – e, soprattutto, non hai ceduto.
Ti ha chiamata solo tre volte e hai già ceduto? Cattivo segno. Potevi fare di meglio. Hai fatto molto meglio in passato. Potevi sfruttare l’occasione per battere il tuo record d’indifferenza nei suoi confronti pari a 24 ore e dodici minuti. Invece hai ceduto dopo quanto? Cinque? Massimo sei minuti. Sei una delusione, Evans.
- Sempre troppo gentile, potresti perfino invogliare qualcuno a venirti a fare compagnia.
- Cosa intendi, Potter?
- Ciò che ho detto.
Vederlo andare via senza aggiungere niente oltre al solito “Ci si vede in giro, Evans” mi destabilizza. Mi destabilizza a tal punto da impedirmi di continuare ad intavolare questa discussione tra me e me stessa come una psicopatica e da farmi rendere conto che sto quasi per dare ragione a James Potter. Quasi, eh.
Non riesco a non pensare a Alice, Emmeline e Mary. Mi accorgo di quante volte abbiano tentato di farmi uscire da questo mio ostinato risentimento.
Sembra che io ce l’abbia con il mondo intero.
Sembra che io mi sente superiore e che loro non siano degne della mia compagnia.
Sembra che io creda Piton l’unico all’altezza della mia intelligenze.
Sembra che io voglia essere sola.
Non posso pretendere che capiscano, che aspettino in eterno, che mi leggano dentro come nemmeno io so fare, che sopportino pazientemente il mio sguardo cupo e i mie sorrisi mancati.
Sono diventata uno spettro e spero solo di non essermi accorta troppo tardi che vorrei anch’io delle amiche.

- Prongs, dove sei stato?
- Tentavo di aiutare la Evans.
- Come mai non hai un occhio nero, i capelli viola o dei tentacoli al posto delle braccia?
- Sei un vero amico, Pad, un vero amico.
- Non te la sarai mica presa?
- Sirius, stai parlando dello studente più permaloso che Hogwarts abbia avuto negli ultimi cento anni.
- Remus, non infierire.
- Che ti avevo detto?
- Prongs, ci spieghi in cosa la Evans dovrebbe aver bisogno del tuo aiuto.
- Nello svegliarsi. Mi sembra ovvio.
- Hai deciso di Trasfigurarti in una sveglia?
- Intendevo nell’aprire gli occhi.
- Su quanto tu sia meravigliosamente perfetto, insuperabile, imparagonabile a qualsiasi essere vivente e non... Lo sappiamo, lo sappiamo.
- No, non sapete proprio un bel niente. Pad, non te ne rendi conto?
- Di cosa?
- Lei è rimasta sola.
- Ha le sue compagne di stanza, no?
- No. Loro sono diventate amiche mentre lei passava le sue giornate con Mocc__, con Piton.
- E per quale assurda ragione non sarebbe giusto?
- Nessuno merita di rimanere solo.
- Non ti sentirai mica in colpa?
- Anche, ma non è questo il punto.
- E allora?
- Io non voglio che sia triste.

 Il mio migliore amico ha ufficialmente perso il senno.
Si preoccupa della Evans.
Si preoccupa di quella pel di carota che fino a poco tempo fa era pappa e ciccia con il più detestabile tra le serpi.
E per “si preoccupa” non intendo dire che le chiede di andare ad Hogsmeade con lui ogni volta che la incontra o che le ricorda un giorno sì e l’altro pure cosa si sta perdendo e come ogni ragazza vorrebbe essere al suo posto.
No, pensa a come renderla felice sebbene lei lo detesti dal profondo del suo cuore. Non so come faccia. Io non ci riuscirei. James è così altruista che ogni tanto mi spaventa. Il più delle volte, però, mi rassicura perché ho la certezza che ci sarà.
Anche per me.
Tuttavia non posso non temere l’arrivo delle nostre partenze. Significa tornare a Grimauld Place, rivedere la mia “famiglia”, quella che non sento tale.
Perché James è la mia famiglia, i Malandrini sono la mia famiglia.
Eppure mi ritroverò a spedirgli lettere con un tono falsamente ironico, ma che in realtà saranno cariche unicamente della verità.
Lui risponderà alle mie battute con altre battute, ma io saprò che ha capito.
Come sempre.
È il mio migliore amico. È mio fratello.

 Per un attimo dimentico la Evans, l’abisso di tristezza in cui mi ha gettato vederla sola in riva al Lago. Tuttavia il pensiero che sostituisce quest’immagine non è dei migliori e, anzi, peggiora unicamente la situazione.
Sirius. Mio fratello, il mio migliore amico.
I suoi occhi. Vuoti, spaventati, soli.
Dimentico anche il loro colore e mi sembrano identici a quelli di Lily.
Mi chiedo come sia possibile, come possano le stesse paure affliggere anche lui che ha me, che ha i Malandrini. Un secondo dopo vorrei essere caduto dalla scopa nell’ultima partita di Quidditch solo per punirmi della mia stupidità. Pad si sente solo: sta per tornare a Grimauld Place. Vorrei suggerirgli che io ci sarò, con le mie lettere, con i miei inviti a raggiungermi prima dell’inizio della scuola. Vorrei capisse che non sarà mai solo perché io non lo permetterò. Però Sirius Black non ha mai mostrato i suoi timori e non lo farà nemmeno questa volta. Però mi sorride. Ed io so che ha capito perché tra noi due le parole non sono mai servite.

 

Il treno lasciava la stazione e, mentre al viaggio del primo Settembre si poteva attribuire la definizione di “andata”, quello non poteva certamente essere classificato come un “ritorno”. Il cuore e il sorriso di tutti sembravano essere rimasti tra le mura del castello. Solo James Potter riusciva a mostrare un certo entusiasmo e ad elencare il cospicuo numero di attività che lui e i suoi amici avrebbero potuto svolgere durante l’estate.
- Prongs, non contare su di me. Devo... Ho delle cose da fare.
- Moony, quali cose?
- Cose.
- Cosa ci nascondi?
- Lo ammetto oltre ad essere un Licantropo sono anche un Vampiro della Transilvania. Passerò l’estate tra i miei parenti SucchiaSangue.
- Non ti perdoneremo mai di averci tenuta nascosta una simile verità. Soprattutto Peter ce l’avrà a morte con te per aver divorato il suo cioccolato pur preferendo trangugiare di nascosto litri di sangue – le parole di James ridestano Peter che si era incupito qualche minuto prima, durante l’elenco delle “cose da fare”.
- Ah, nemmeno io potrò farmi vedere molto. Mia madre vuole portarmi un po’ in giro. Egitto, credo. O Grecia. Non ne sono sicuro. Dice che è stufa di restare con... di restare in casa – le bugie di Peter non venivano mai riconosciute dagli altri. Erano mal strutturate e così credibili da essere un paradosso indescrivibile.
- Conta su di me. Metterò in pratica il mio piano di evasione appena mi sarà possibile – Sirius strizzava l’occhio e James non avrebbe desiderato altro che le sue parole non fossero solo uno scherzo.
- Avrai sempre un posto in cui nasconderti invece di darti alla macchia.

 È il mio migliore amico. È mio fratello.
Ha dubitato di me. Ha tentennato sulla soglia. L’ho visto comparire all’inizio del viale e fermarsi con la mano alzata pronta a bussare.
Dieci secondi. Immobile.
Uno.
Il nostro primo incontro sul vagone dell’Espresso. Un bambino timoroso di diventare Serpe e un altro certo del destino da Grifone.
Due.
Lo smistamento. Vederlo dirigersi al mio stesso tavolo, decorato rosso e oro, e sapere che saremmo diventati amici.
Tre.
La nostra camera.
Quattro.
Il primo ritardo a Trasfigurazione.
Cinque.
La prima punizione con la McGranitt.
Sei.
Correre con lui mentre siamo un cervo e un cane nero.
Sette.
Entrare di nascosto nelle cucine e ingozzarsi con le prelibatezze preparate dagli Elfi.
Otto.
Ridere di lui mentre la Evans gli rifila l’ennesima risposta tagliente.
Nove.
Assecondarlo nel tormentare Piton.
Dieci.
Il nostro unico litigio.
Busso perché se continuo a pensare rischio di fuggire via e non saprei dove andare, a chi rivolgermi, cosa fare.

 
 Bussa e non gli lascio nemmeno il tempo di parlare.
In quei dieci secondi ho già capito.
Uno.
Ho sempre saputo che saremmo diventati amici.
Due.
Non avrei creduto che sarebbe stato il fratello che non ho mai avuto.
Tre.
Ho sempre pensato che avrebbe raggiunto la perfezione se solo avesse amato il Quidditch.
Quattro.
Ho bisogno di lui.
Cinque.
Lui ha bisogno di me ancora di più.
Sei.
Lui non vuole sentirsi respinto.
Sette.
Lui ha tagliato i ponti con la sua “famiglia”, quella con la effe minuscola.
Otto.
Lui è corso dalla sua “Famiglia”, quella con la effe maiuscola.
Nove.
Ha bisogno di un posto che sia per lui casa tanto quanto Hogwarts.
Dieci.
Non esiterà un istante di più, perché non è da lui essere riflessivo.
Ora mi guarda. Per la prima volta non sembra un Black.
Quasi avesse detto addio anche al portamento nobile, agli occhi grigi, allo sguardo fiero e orgoglioso, all’aura di superiorità, al ghigno malandrino.
- Sono andato via.
- MAMMAAA! Sirius è arrivato!
- Jamie, il letto è già pronto.
- NON chiamarmi Jamie.
- Sapevi che sarei venuto?

 Decido di intervenire e frenare lo scambio di battute tra James e la signora Potter.
Non gli ho mandato nessun Gufo, nessun messaggio. Non gli ho accennato minimamente nelle mie ultime lettere che avrei lasciato la mia adorata mammina.
- Me l’avevi detto, no? – mi sorprende e faccio il possibile per ricordare quando, e soprattutto se, gli ho mai anticipato che la notte del 10 Agosto sarai piombato in casa sua dopo aver abbandonato la mia. Niente, non mi viene in mente proprio niente. Viene in mio aiuto.
-  Conta su di me. Metterò in pratica il mio piano di evasione appena mi sarà possibile.
Ti dice niente? – sorrido e quando mi rendo conto che sto per commuovermi decido di abbracciarlo.

 Crede di ingannarmi? Crede che non mi sia accorto che i suoi occhi brillavano?
Decido di non infierire, ma questa me la segno. Quante altre volte avrò davanti un Sirius Black sconfitto dai sentimenti? Sicuramente troppo poche per non segnarmi questa e usarla in futuro come ripicca. Anche se negherà. Sempre e comunque.
- Jamie, non farlo stare lì sulla porta. Prenderà freddo. Oh, Sirius caro. Vieni dentro, dai – e sto per ricordare a mia madre di non chiamarmi, sto per ricordarle che avrei fatto entrare il mio migliore amico di lì a qualche secondo, ma non replico perché vedo il suo viso imbarazzato, vedo la felicità disegnata sul suo viso. Non posso rovinare questo momento perciò prendo il suo baule e inizio a trascinarlo di sopra.
- Eri proprio sicuro che saresti potuto restare – mi rivolgo a lui ironicamente e sento le sue paure sfociare nella solita risata simile a un latrato come se la tensione si allentasse, come se un incubo fosse finito.
- Avrai sempre un posto in cui nasconderti invece di darti alla macchia, no?

 James ha portato un sacco a pelo nella mia stanza e si è addormentato da poco. La signora Dorea ha provato a convincerlo che avremmo avuto un mese intero per stare insieme e che io avevo bisogno di riposare. Non ha nemmeno insistito.
- Vorrei avere una madre come la tua, Prongs.
-  Ce l’hai.
Non avrei mai pensato di sentirmi a casa fuori dalle mura di Hogwarts. Le altre volte che ho fatto visita ai Potter era il desiderio di essere uno dei loro figli a prevalere, una leggera gelosia a fare da padrona. Oggi è diverso. Oggi sono stato accolto. Oggi mi sento davvero fratello di James.

 

Angolo autrice:
Io credo che le mie scuse non saranno sufficienti e che le mie giustificazioni, per quanto valide, non saranno mai abbastanza.
Ho infranto una promessa e per me non c’è nulla di peggio. Perché io non prometto mai e, se lo faccio, tengo fede alla parola data. Sempre. Ma c’è una prima volta per tutto. E vorrei chiedervi scusa. Scusa a tutti quelli che mi hanno seguita e che ho deluso. Scusa a chi si è stufato di controllare i miei aggiornamenti. Scusa a chi ha smesso di sperare. Scusa, soprattutto, a chi non l’ha fatto. A chi ora sta leggendo. A chi mi riempirà di parole, ma mi perdonerà.
Colpa della scuola, degli attacchi di panico, del mio migliore amico-quasi fidanzato, di litigi, di delusioni.
Colpa della consapevolezza di non essere poi così brava nello scrivere.
Poco importa. Questa storia l’ho iniziata e porta dentro una parte di me. Mi sono affezionata e, perciò, farò di tutto per aggiornare con più frequenza e regolarità.
E ho paura di promettere perché ho paura degli imprevisti.
Nemmeno questo capitolo è una scusa valida anche se io lo amo. Perché amo James e Sirius. Perché amo James, soprattutto. Sempre il quinto anno. La fine del quinto anno.
Gì.

  
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