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Autore: Euterpe95    28/11/2011    0 recensioni
Dev'essere una prerogativa di coloro che hanno radici quella di tornare a casa, quella di avere un posto dove tornare.
Ariele torna al paese d'origine della sua famiglia
Ariele però, è come lo spirito dell'aria di cui porta il nome: non ha radici ed è senza tempo. Riuscirà a riconquistare l'amore di Luca, che nel frattempo sembra essersi dimenticato di lei? Riuscirà a  tenere testa al cupo ed affascinante Edward con il quale non fa altro che litigare?
Ma soprattutto, troverà ciò che sta cercando?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il nemico
 

Quando odiamo qualcuno,

odiamo in lui qualcosa che è dentro di noi.

 

- Jim Morrison-
 

 Gettai la testa all’indietro e mi lasciai scivolare saltando giù dal muretto.
- E invece c’è chi dovrebbe - risposi fissandolo.
I suoi occhi non erano cambiati, erano sempre di quella particolare sfumatura di grigio tendente all’azzurro e i suoi capelli erano sempre biondo cenere, forse lievemente più scuri di quello che ricordavo.
Il ragazzo alto e flessuoso che avevo di fronte era lui, Edward Hamilton.
Alzò un sopracciglio con un’espressione tipicamente inglese fissando il mio abbigliamento da barbona, ma da vero gentiluomo non fece commenti e mi passò un tovagliolo dalla pila che aveva in mano.
Mentre mi pulivo la bocca riprese a fissarmi.
Sbuffai.
- Che hai da guardare?!
Lui ghignò.
- Un curioso esemplare di ominide imbrattato di fango e miele dalla testa ai piedi.
Non raccolsi la sua beffarda provocazione e lo ignorai.
Lui odiava essere ignorato.
- Perché non dici nulla? - sbuffò adirato.
Lo guardai ghignando sadica.
- E perché dovrei avere qualcosa da dirti?
- Non rispondere ad una domanda con un’altra domanda! - sputò astioso.
- Perché, la tua era una domanda?
Assottigliò gli occhi con aria minacciosa rendendo il colore delle iridi da azzurro cielo a grigio mare in tempesta.
- Sai, mi preoccupo così tanto delle domande che potresti farmi che la notte mi preparo le risposte - ammisi strafottente.
- Non prendermi in giro - minacciò facendo un passo avanti e sfiorandomi la pelle con l’alito caldo profumato di tabacco.
Schioccai la lingua con tutta l’aria di superiorità a cui poteva appellarsi una ragazza coperta di miele, fango e polvere da capo a piedi.
- Ho visto il tuo fidanzatino Martinelli - rise con scherno - ma non state più insieme, vero? Ha preferito una come la Pasquali ad una come te, la cosa non mi meraviglia affatto, basta guardarti per capire che saresti stata capace nemmeno di tenertene uno come lui...
Non ressi oltre e gli mollai uno schiaffo in pieno viso.
Rimase un secondo immobile, come fulminato e il lampo di un sorriso gli attraversò gli occhi facendoli brillare, un luccichio durato meno di un attimo.
Mi agguantò violentemente i polsi sbattendomi contro il muro e bloccandomeli sopra la testa con forza.
- Non ci provare mai più - scandì lentamente sulle mie labbra.
Senza pensarci mi liberai con un calcio negli stinchi e lo fronteggiai a braccia incrociate assaporando il gusto della vittoria ormai vicina: si stava innervosendo e presto avrebbe perso le staffe, lo vedevo rosso e spettinato che mi fissava furioso, la camicia azzurra sbottonata e gli occhi da folle e decisi di sferrare il colpo di grazia.
- Se no mi mandi a fare compagnia ai tuoi genitori?! - lo provocai con malignità tuttora sconosciuta.
Lui vacillò per un attimo e vidi passare nei suoi occhi un’ombra di infinita tristezza, che provvide a dissimulare afferrandomi per la vita con una morsa d’acciaio.
- Lasciami subito - ordinai a disagio, con il viso premuto contro al suo collo, ciò tuttavia non mi impedì di inspirarne il profumo muschiato, un odore da uomo, diversissimo da quello di bucato e lavanda che aveva sempre quando eravamo bambini.
Approfittando della mia distrazione avvicinò i nostri volti fino a posare le labbra sulle mie in un bacio violento, in cui le nostre labbra si rincorrevano fameliche e rabbiose al tempo stesso, in cui i miei denti morsero senza pietà la sua bocca facendogli sanguinare il labbro superiore, in cui prima che riuscissimo a rendercene conto ci ritrovammo contro il muro del cortile, la mia schiena che aderiva alla pietra fresca e i nostri respiri affannosi che venivano soffocati da quel contatto ostile e innaturale. Era guerra, una guerra ancora più pericolosa di quella fisica, quella psicologica e sentimentale. Lottavamo entrambi contro i nostri istinti omicidi e ce lo stavamo dicendo in quel modo davvero poco ortodosso.
- Sei uno stronzo bastardo - sibilai riprendendo fiato per un attimo.
Lui ghignò ma ricatturò immediatamente le mie labbra, impedendomi di continuare ad insultarlo.
Malgrado tutto, una cosa principalmente mi colpì: avevo risposto. Avevo ricambiato il suo bacio, che per quanto sbagliato e dettato dall’odio fosse, era pur sempre un bacio. E lui lo sapeva benissimo, il lord dei miei stivali.
- Levati - ordinai imperiosamente facendo però sì che le sue labbra si spostassero sul mio collo. Errore madornale, il collo è la parte più sensibile del mio corpo, e lui lo sapeva bene. Non c’era nulla che lui non sapesse di me, a parte i miei pensieri. No, non era possibile che uno come lui potesse comprendermi, non c’era mai riuscito nessuno. Ovviamente sbagliavo, ma me ne sarei accorta troppo tardi.
 
- Riflessi tardi, vero Orlandi? - rise posando la sua fronte sulla mia con aria strafottente.
Sbuffai guardando la piccola ferita sul suo labbro superiore che sanguinava e passando la lingua sulle mie notai che anche quelle erano sporche di sangue, come la sua camicia, del resto.
Dio, eravamo arrivati a tanto? Pensai distogliendo gli occhi dai suoi.
- Perché? - domandai sentendomi sporca e vuota.
Lui non rispose, ma strinse più forte la presa sui miei fianchi, come se avesse avuto paura che me ne andassi.
- Perché? - insistetti.
- Perché siamo noi - sbottò iroso.
- Che cazzo vuol dire?! - ribattei ancora più arrabbiata.
- Ciò che ho detto, Orlandi, oltre che scema sei diventata pure sorda?!
- Idiota! - esclamai dandogli un pugno sul petto marmoreo. Mi feci anche male, ma non lo dissi.
- Ti sei fatta male, Orlandi? - domandò lui vagamente preoccupato.
Gli pestai un piede e lui mi bloccò i polsi con le mani, mentre prendevo a scalciare come un’indemoniata.
- Lasciami, lasciami, razza di bastardo schifoso! - urlai cercando di liberarmi.
Hamilton mi spinse  di nuovo contro al muro e sentii ogni parte del suo corpo imprimersi nel mio.
- Dì ancora qualcosa di spregevole sui miei genitori o su mia nonna, e quello che ti ho fatto ora non sarà che un ricordo felice.
Tentai di replicare ma mi tappò la bocca con un occhiata di fuoco, anzi di ghiaccio.
- Puoi odiarmi e prendertela con me se vuoi, ma lascia in pace loro, chiaro? - sibilò, ma più che minaccioso appariva stanco, molto stanco.
Annuii sperando che mi lasciasse andare.
- Ora perdonami per i miei modi di poco fa, scusami per quello che ti ho fatto ma non per le intenzioni, di quelle non mi pento, sei sempre stata una stronza, Orlandi, fin da quando eravamo bambini. Ho sempre avuto una famiglia di merda, ma per fortuna tua nonna mi vuole bene, non sono fatti tuoi il perché sono qui e non te lo dirò mai. Stammi alla larga il più possibile e non ci saranno problemi. Non sai nemmeno la tua fortuna, Ariele, per avere una famiglia come questa. Sputare in faccia alla fortuna è una cosa che in pochi si possono permettere. Davvero i miei complimenti Ariele, non credo che arriverò mai ad odiare qualcuno come odio te in questo momento, sei una stupida.
Mi lasciò di colpo e rimanemmo paralizzati entrambi dalla pesantezza di quelle parole. I suoi occhi color coltello da bistecca erano fissi nei miei color ambra che divenivano a poco a poco più liquidi, fino ad inumidirsi del tutto.
- Io... - cercò di dire, ma era senza fiato.
Io tremavo dalla rabbia.
- Fottiti - scandii con calma innaturale dandogli un malrovescio di traverso e girandogli il viso dall’altra parte.
Fece un passo verso di me, ma io corsi via. Forse avevo sbagliato a tornare, quello non era il mio posto, non era casa mia, per quanti sforzi facessi per convincere me stessa e gli altri che fosse così, non sarei mai stata parte di tutto quello, chi non aveva radici era libero di volare verso il cielo senza nulla che lo tirasse verso terra, era libero di andare via per sempre, come uno sbuffo di vapore, o come Ariele, uno spirito dell’aria ribelle e fragile al tempo stesso, un po’ come una come me, un po’ come ero davvero.
In quell’istante avrei dato qualsiasi cosa pur di avere in cambio l’amore, unica zavorra che potesse tenermi ancorata lì. Non ero più sicura di volermene andare, non ero più sicura di nulla. 
 

  
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