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Autore: Lily White Matricide    28/11/2011    9 recensioni
Ancora una volta, Lily Luna Potter provò a scrivere una pergamena, indirizzata proprio a lui, l’autore di quel fascicolo di pergamene, di diari fitti di annotazioni, perlopiù dedicate alle Pozioni, che lei conservava gelosamente in una scatola sotto il letto: Severus Piton.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Across The Universe

“Words are flowing out like
endless rain into a paper cup
They slither while they pass
They slip away across the universe
Pools of sorrow waves of joy
are drifting through my open mind
Possessing and caressing me”

“Nothing's gonna change my world”

“Images of broken light which
dance before me like a million eyes
They call me on and on across the universe
Thoughts meander like a
restless wind inside a letter box
they tumble blindly as
they make their way across the universe”

The Beatles - Across The Universe

“Norwegian Wood” *. Così recitava l’insegna scavata nel legno, con dei neon bianchi abbaglianti a dare forma al nome del caffè.
Quel posto era pieno di ragazzini ciarlieri e allegri, che assaporavano le loro bevande calde ed i loro dolci con studiata lentezza, intanto che fuori il freddo spingeva i temerari pedoni a camminare con passo veloce e sbrigativo, carichi di sacchetti ricolmi di doni natalizi.
Tutti tranne Severus Piton, intabarrato nel suo lungo cappotto nero di lana. Aveva deciso di essere un minimo presentabile agli occhi dei Potter. Non si era ancora presentato alla famiglia, né tantomeno a Lily Luna, che era riuscito ad intravedere quattro giorni prima. Cercava di passare per un comune Babbano per quelle strade ordinarie e caotiche. Era passato un po’ di tempo da quando aveva cercato di ostentare il suo orgoglio di essere mago. Era ancora orgoglioso, ma non più in maniera così viscerale. Aveva avuto l’occasione di poter ricominciare da capo, in maniera sobria e decorosa, non voleva lasciarsi sfuggire quell’occasione per vivere nella maniera a lui più congeniale.

Lui ed il mare. E basta.

Alcuni passanti lo guardavano con sguardo interrogativo, chiedendosi che cosa avesse da stare impalato di fronte alla vetrina di quel bar frequentato per lo più da adolescenti e giovani. Ma lui sapeva il perché di quel gesto; a momenti stava appoggiando, naturalmente senza volerlo, alla vetrina. Era talmente vicino che poteva vedere la condensa ammassarsi su quel vetro, all’altezza della sua bocca e delle narici.

Era certo di averla vista, Lilù, seduta ad un tavolo facilmente visibile dal vetro, che era in parte coperto di spray decorativo bianco, per le festività. Il suo cappotto, lo stesso che indossava la sera del primo incontro, era appoggiato su un altro mucchio di indumenti in lana e non: cappotti, giacconi imbottiti, sciarpe variopinte, guanti che nel marasma sarebbero rimasti spaiati. Era altre tre persone al tavolo, con i lunghi capelli rossi e mossi parzialmente coperti da quel cappello tipico che forse - non n’era sicuro - si chiamava basco. Le stava bene, pensò, la rendeva unica e diversa da tutti gli altri.

Severus osservava la maniera particolare con cui la ragazza beveva il suo tè. Continuava a far ruotare la tazza, cambiando la mano d’impugnatura. Ora destra, giù la tazza, qualche risata e qualche parola scambiata con uno dei ragazzi, di cui uno sembrava essere suo fratello, giacché aveva quegli occhi verdi indimenticabili e dei tratti tipici dei Potter, e poi Lilù faceva ruotare nuovamente la tazza, afferrandola con la mano sinistra, e portandosela alle labbra. Continuava a soffiare sulla superficie della sua bevanda calda, malgrado mamma Ginny le ripetesse che non c’era bisogno di soffiare per raffreddare il tè, ad un certo punto. E soprattutto, non era molto elegante continuare a soffiarci sopra.

In un attimo, Severus decise, così d’impulso, di entrare dentro il locale. Non era certo che sarebbe riuscito a presentarsi a lei: non avrebbe voluto spaventarla con tutti gli amici ed il fratello presente. L’avrebbe osservata, da lontano, dall’altra parte del locale, ordinando un caffè irlandese e leggendosi tranquillo il quotidiano disponibile al Norwegian Wood. Entrò nel locale con passo frettoloso, lasciandosi avvolgere dal calore degli arredi di legno chiaro e legno scuro, che si combinavano in maniera deliziosa, disegnando interminabili linee geometriche sul pavimento. Al muro, vi erano dei poster perlopiù dei The Beatles. Con nostalgia, pensò quanto Lily, la sua Lily, amasse i Fab4, propinandoglieli in tutte le salse, quando erano ancora amici ed era il benvenuto a casa Evans. Non gli dispiacevano, ma con gli anni aveva sviluppato un’enorme passione per il jazz, in tutte le salse, meglio se con calde voci vellutate ad accompagnare le evoluzioni dei musicisti. Amava molto le interpretazioni di brani classici, di autori come Bach o Satie, in chiave jazz da parte di Jacques Loussier ed il suo bassista e percussionista. Certamente, i The Beatles erano mille volte meglio della musica indegna che ascoltavano i giovani, fatta di donne discinte, di parole volgari, di assoluta banalità. Da quel punto di vista era categorico ed irremovibile. Venne accolto da una ragazza giovane, bionda con le ciocche blu, ed indossava la divisa del locale, con un paio di jeans sdruciti e le scarpe, basse e piatte, di due colori diversi.

Buonasera! Vuole accomodarsi o vuole ordinare qualcosa al banco?” gli chiese educatamente e gentilmente. Allora, non tutti i giovani erano da buttare per la loro irriverenza e maleducazione.

Severus, come sorpreso da quell’apparizione improvvisa, sobbalzò, guardando la giovane un po’ spaventato.
“Al banc...” si fermò subito, riflettendo che al banco sarebbe stato facilmente visto da Lily Luna e dal fratello, che sicuramente conosceva pure lui l’ex-insegnante. “Meglio al tavolo”. Aguzzò la vista, esaminando il locale con occhi poco amichevoli, come se potesse far alzare la gente dal tavolo con una sola occhiataccia. Una volta, quando insegnava, n’era perfettamente in grado: nessuno degli alunni avrebbe vinto quello sguardo granitico ed irremovibile, neanche Potter. Avrebbe potuto riprovarci in quell’istante, ma vedeva che tutti erano chini sui loro telefoni cellulari, aveva imparato il nome di quei piccoli affari luminosi che suonavano senza sosta. Oppure, avevano dei grossi affari con uno schermo luminoso e colorato, dotati di tastiera, laminati di nero o di bianco, con un logo strano, un frutto addentato. Quelli erano dei computer. Il ticchettio delle tastiere era piuttosto silenzioso e si mescolava alla musica ed al chiacchiericcio. Il Norwegian Wood era abbastanza pieno, quel pomeriggio.
Severus trovò un posto a sedere esattamente dall’altra parte del caffè. Si accomodò, tirando fuori dalla tasca interna del cappotto il libro che stava leggendo. “Le Silence de la Mer”* di Vercors. Un libro che stava tentando di leggere goffamente in francese, lingua che stava imparando da autodidatta. Non che sentisse il bisogno di comunicare con gli abitanti di Les Poulains, lo stava apprendendo per mera necessità, nel caso in cui si fosse trovato in seria difficoltà, in una tempesta, o avesse avuto bisogno di cure per improvvisi malesseri che non era in grado di curarsi da solo tramite le sue pozioni. Quel libro lo trovava sublime: parlava dell’ostinato silenzio di un vecchio francese e della giovane nipote, del quale l’ufficiale tedesco s’invaghisce. Tramite dei monologhi fallimentari, il tedesco cercava di inculcare nelle teste di chi l’ospitava l’unità e la fratellanza dei popoli, con un amore sconfinato per la cultura e la letteratura francese. Il silenzio era l’unica forma di risposta e di ostilità nei confronti del tedesco da parte degli ospitanti; la resistenza attiva veniva descritta tramite la pacatezza del mare, che, silenziosamente gorgogliava, illuminato dal sole, ma erodeva le pietre che tentavano di aggrapparsi al fondale del mare, evitando di essere erose. 

Quel silenzio parlava di lui, della sua resistenza al mondo, agli altri. Ma il suo cuore era in tempesta, da quando era arrivato a Norwich, nel Norfolk. E non voleva tutta quella resistenza nei confronti dei Potter. Era duro da ammettere a se stessi, ma Piton non voleva essere totalmente ostile ad Harry ed a sua moglie, figli compresi. D’altronde, era figlio della donna che amava di più. L’unica per la quale avesse fatto qualsiasi cosa, e così era stato. Severus ordinò borbottando il suo Irish Coffee, chiedendo con voce ferma di non metterci troppo whisky e troppa panna. Parlava nella stessa maniera in cui ad Hogwarts chiedeva di creare la pozione perfetta ed equilibrata in tutte le sue componenti. Il caffè elaborato era un piacere da gustare e da assaporare nella maniera più alta e raffinata. Aveva sviluppato un certo amore per il caffè ed il vino rosso, non facendosi mai mancare caffè italiano e vino rosso italiano e francese a Les Poulains. Sì, si stava togliendo dei lussi che prima non poteva concedersi: adesso poteva brindare alla sua libertà senza rimpianti e poteva gustarsi l’eccellente miscela italiana. I galeoni non gli mancavano affatto per concedersi quale vizio innocente.

Finse di alzare il libro all’altezza del naso, di leggerlo con attenzione come se avesse problemi di vista. Essendo un mago, a sessantadue anni gli si era imbiancato solo qualche sparuto capello, ma il suo organismo invecchiava molto lentamente. Era una tattica, mimetizzarsi in quel caffè Babbano, comportandosi come un Babbano in tutto e per tutto. Quindi, a sessantadue anni doveva avere difficoltà a leggere da lontano le parole di Vercors, come ogni uomo normale che si rispetti. Il locale semi-buio non aiutava, d’altro canto. Rimase sullo stesso paragrafo per minuti interminabili. Guardava Lily Luna ridere, sporcarsi di schiuma le labbra, stringere affettuosamente la mano del fratello, che a quanto pare le stava dicendo qualcosa di importante, dato che gli buttò le braccia al collo e lo strinse, con un sorriso enorme in volto. Che fossette che le si formavano sulle guance lisce e lievemente arrossate per il freddo. Le sue piccole rughe d’espressione erano piene di ingenuità e di innocenza. Era una ragazza molto carina, senza ombra di dubbio, ma a volte i suoi occhi castani si facevano incredibilmente seri e vagavano per il locale, cercando, afferrando avidamente qualcosa che gli altri non potevano evidentemente cogliere. Severus notò che aveva un’agenda nera appoggiata sul tavolo. Di tanto in tanto, la giovane l’afferrava e con una penna Babbana, giacché gli amici del Norfolk erano per lo più Babbani, si metteva a scrivere molto velocemente, con una grafia forse nervosa ed ancora più illeggibile rispetto alle poche pergamene che la piccola Lily Luna gli aveva mandato. E poi, stranamente era solita scrivere con la mano sinistra. Severus aveva dato un’occhiata attenta alla sua grafia ed avrebbe giurato che Lilù fosse destrorsa. Ebbe molto in fretta la risposta: la ragazza fermò il momento di sacra ispirazione e cambiò la mano di scrittura ed uno dei ragazzi presenti rimase molto colpito. Era ambidestra. Anche l’ex-professore la guardò strabiliato. Chissà in base a cosa decide di utilizzare una mano, piuttosto che un’altra, pensò incuriosito. Gliel’avrebbe voluto chiedere ben volentieri, se mai avesse avuto il coraggio di farsi avanti. 

La gentile cameriera bionda gli servì con un movimento leggero ed aggraziato il suo caffè irlandese, la cui schiuma presentava un buono spessore. La tazza in vetro non tremò, come capitava ai ragazzi alle prime armi, e la schiuma non colò giù nel piattino. E la ragazza non appoggiò la tazza facendo un macello incredibile, ma riuscì a farle fare un semplice tintinnio. La bevanda calda era accompagnata da alcuni biscottini con il ripieno di marmellata all’albicocca, o da biscottini dalla forma grezza ed irregolare, ricoperti di granella di zucchero. Severus pagò la ragazza, mentre assaggiava con curiosità il proprio caffè, mentre la cameriera aspettava un responso da parte sua. 
“Davvero ottimo, mi complimento. Di rado mi capita di assaggiare un Irish Coffee fatto con tanta cura” disse Severus, allungando una piccola mancia alla ragazza, che arrossì lievemente ed accettò il suo piccolo premio. 
“Grazie, signore, l’ho fatto io, così come i biscottini” rispose con un gran sorriso la bionda, che sulla placchetta di legno tutta decorata, che portava sulla camicia blu elettrico, Severus vi lesse il nome di Amanda. Se si fosse mai recato nuovamente in quel locale, avrebbe cercato lei e lei sola, per i suoi soliti Irish Coffee. E per i biscottini, per quanto Severus Piton non amasse troppo i dolci. Sev sorseggiò il suo caffè con gusto, apprezzandone ogni singolo sorso caldo, guardando Lily Luna, di tanto in tanto. Ad un certo punto, la ragazza dai fluenti capelli rossi si alzò dal tavolo, dirigendosi su un piccolo palco dietro il tavolo dove si erano accomodati. Lilù armeggiò con una grossa e scura consolle, agganciandovi un microfono. Gli amici applaudirono, urlando il nome di “Lilù, Lilù, Lilù”. Severus la guardò perplesso, mentre se ne stava in piedi su quel piccolo palco, con le casse dell’impianto fischianti e rumoreggianti. 
Amanda passò accanto a lui in quell’esatto istante, e lui la chiamò con voce pacata e ferma. “Signorina Amanda, posso chiederle una cosa?”
La ragazza servì dei Frappuccini al tavolo accanto all’ex-professore e poi gli rispose con un cenno affermativo. Stava usando molto la sua voce, rispetto ai suoi ultimi standard. Ammirevole. Sapeva ancora modularla bene.
Mi dica, quella ragazza cosa sta per fare?”
"Oh, Lilù Potter sta per cantare. Ha una gran voce e molto spesso viene qua a cantare. E’ veramente brava, quando può prende lezioni da una cantante di musica leggera popolare nel Norfolk”.
Severus con un cenno congedò la cameriera, borbottando un ringraziamento.
"Grazie mille” esordì Lilù, reggendo con mano sicura il microfono. Severus si chinò verso il tavolo, appoggiando il petto al bordo del tavolino. Si era messo in ascolto. Aveva una voce gentile e delicata, timida, quando parlava.
I suoi amici schiamazzavano e applaudivano, pestando sonoramente i piedi a terra. Che comportamento maleducato nei confronti della cantante, pensò Severus, con disprezzo. 
“Norwegian Wood, dei The Beatles... Vediamo che viene fuori” disse con un sorriso caldo, e premette un pulsante sulla consolle, facendo partire la base. Il sitar si fondeva alla perfezione con la chitarra, dando un ritmo dolce e non troppo veloce. 

I once had a girl, 
or should I say,
she once had me”

La voce era ferma, limpida, senza incertezze. Quella canzone lo riportò indietro di decenni, quando Lily Evans la canticchiava sommessamente mentre rimanevano nel silenzio più assoluto. Il suo timbro caldo non era educato, al contrario di quello della nipote, ma entrambi avevano un fascino incredibile. Sentiva qualcosa pizzicargli gli occhi ed inumidirglieli.

Non poteva mettersi a piangere come un moccioso. Non in quel momento. Tutta la mancanza di un vero contatto con le persone ed il desiderio di avvicinarsi a quella piccola ragazza, fragile, graziosa, lo stavano facendo crollare. Gli mancava Lily, la sua Lily, che oramai era troppo tempo che se n’era andata, sepolta sotto qualche metro di terra da lunghissimi anni.

La ragazza continuò a cantare imperterrita sul suo palco, fino alla fine. Severus in quel momento pensò di alzarsi, fare un rumore d’inferno con la sedia, strusciandola a terra senza contegno. Afferrò il cappotto, rimettendoselo addosso, lasciandolo sbottonato, e tenne in mano il libro, che non si accorse nemmeno che, mentre usciva, gli scivolò dalle mani e cadde a terra. Nel trambusto, non se ne accorse.

Fece qualche passo, godendosi nuovamente l’aria fredda e pungente della sera dicembrina. Finalmente il suo respirò tornò regolare. Si portò una mano sul petto, ripetendosi che non poteva più comportarsi come un adolescente. E non aveva chissà quali intenzioni verso Lily Luna. Rimase fuori dal locale per qualche attimo, guardando la strada spopolarsi di gente, pronta a tornare a casa per cena. Anche il “Norwegian Wood” si stava lentamente svuotando. La gente usciva ridendo e sazia della lauta merenda. Lo scampanellare del ciondolo appeso alla porta si faceva sempre più insistente. Quel rumore allegro lo stava irritando pesantemente, fino a quando quella voce lo riportò sulla terra. L’aveva colpito alle spalle, sorprendendolo in pieno.

Mi scusi! Credo che lei abbia perso questo libro là dentro...” fece Lilù, mentre Severus si voltò verso di lei, guardandola con un’espressione indecifrabile.

Ora o mai più, si disse mentalmente. Non poteva più scappare da ciò che era ineluttabile. 

Tese una mano alla giovane, squadrandola nella maniera più fredda possibile, e le afferrò il libro piuttosto in fretta. Lei lo squadrava a sua volta, con gli occhi che si domandavano se avesse già visto da qualche parte quel signore vestito di nero, dallo sguardo piuttosto cupo. Spalancò la bocca dalla sorpresa. Le aveva dato retta. Aveva acconsentito a farsi vedere a Norwich. Lilù era giubilante.
Signor Piton! E’ lei?! Allora mi è venuto a trovare!” esclamò radiosa Lily, avvicinandosi, tenendogli la mano educatamente. Severus non era solito a stringere le mani alle persone, ma per Lilù fece un’eccezione, ripromettendosi che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe mai fatto un’eccezione per lei.

Sono io, signorina Potter” disse con un’inflessione alquanto neutra e piatta. In realtà, si sentiva in un totale stato di confusione.


* * * 

Buonasera a tutte ed a tutti! 

Meraviglia delle meraviglie, sono malata e neppure poco. Maledizione.

Spero vi piaccia davvero questo capitolo, desideravo ARDENTEMENTE scriverlo e pubblicarlo stasera. 

In breve, le canzoni: 

Across The Universe

Norwegian Wood

Toccata e Fuga di Bach, reinterpretata da Loussier. 

La mia pagina Facebook :D

Un abbraccio, 

Alessandra

   
 
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