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Autore: _hurricane    29/11/2011    5 recensioni
Kurt Hummel è un ragazzo molto particolare, di quelli che forse incontri una sola volta nella vita. E’ fiero di sé stesso ma mai spavaldo, pungente ma mai arrogante, e tremendamente impacciato nelle questioni di cuore.
Kurt Hummel è un ragazzo speciale, così speciale che difficilmente potresti trovare un altro come lui… ma quando Blaine, solista dei Warblers della Dalton Academy, incrocia il suo sguardo in un negozio di dischi, non sa che dentro quegli occhi azzurri si nasconde una bugia.
"E intanto Kurt sentiva il suo profumo, e il cuore di Blaine che batteva proprio sotto il suo orecchio, che sembrava chiamarlo e ipnotizzarlo.
Come se battesse per lui.
Cercò di ignorarlo, perché un cuore, un organo fatto di tessuti, carne, vene e sangue, non batte per nessuno se non per il corpo a cui appartiene. Non batte per nessun motivo, se non per assicurare la vita a colui che lo possiede.
Eppure quel battito regolare, più accelerato a tratti – che strano, sembrava più veloce proprio quando Blaine inspirava tra i suoi capelli – alle sue orecchie non appariva meccanico e ripetitivo. A lui sembrava musica."
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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28 Forgiving

 

“Vieni all’ospedale, è successa una cosa.”

Blaine lesse il messaggio di Kurt sul suo cellulare e assunse all’improvviso un pallore cadaverico che probabilmente non si sarebbe mai più manifestato sulla sua pelle olivastra.

“Stai bene vero?” riuscì a rispondere, le mani che già iniziavano a tremare e il sudore freddo lungo la tempia.

Kurt era all’ospedale. Ma gli aveva scritto un sms, non poteva essere così grave se era in grado di farlo. Blaine non ricevette risposta al messaggio, così prese le chiavi dal comodino dell’ingresso, salutò sua madre senza degnarsi di voltarsi a guardarla mentre lo faceva e raggiunse la macchina.

 

* * *

 

“KURT!”

Blaine fece irruzione nella sala d’attesa dell’ospedale quasi gridando, e se fosse stato abbastanza in sé da preoccuparsene, l’avrebbe trovata una cosa terribilmente maleducata da fare.

Le altre persone sedute lungo il corridoio e quelle in piedi, intente probabilmente a fare avanti e indietro in attesa di buone notizie sui loro cari, alzarono lo sguardo verso di lui con un’aria tra l’accusatorio e il comprensivo.

E poi lo vide: Kurt era seduto accanto a Colin con la testa tra le mani, suo fratello con in mano un bicchierone di caffè che sembrava volergli porgere a tutti i costi, sapendo quanto la caffeina, paradossalmente, rilassasse i suoi nervi. Kurt stava scuotendo il capo e sembrava non essersi accorto dell’ingresso di Blaine, né del suo grido.

Fu Colin a notarlo: alzò lo sguardo, strinse le palpebre come se lo stesse aspettando per lanciargli quel bicchiere addosso e poi sussurrò qualcosa a suo fratello. Blaine lo vide alzarsi e dirigersi a passo svelto verso di lui, che era ancora all’inizio del corridoio.

Colin non aspettò neanche di aver raggiunto Blaine per dirgli: “Kurt è riuscito a dirmi soltanto che erano bulli della tua scuola. Che diavolo hai fatto per metterteli contro? Non pensi a Kurt?! Al rischio che ha corso?”

Disse quelle parole quasi in un sussurro, probabilmente proprio per non essere sentito da Kurt. Ma Blaine le sentì forte e chiaro, come se Colin gliele avesse urlate nell’orecchio.

“Colin, rallenta, non ti seguo. Che è successo? Ti prego, dimmi che Kurt sta bene” disse con la voce dell’angoscia.

Il fatto che c’entrassero quei ragazzi non premetteva nulla di buono, e Blaine sentì l’estremo bisogno di scostare Colin con un braccio e correre ad abbracciare Kurt. Ma decise che sarebbe stato meglio farsi raccontare da Colin ciò che era successo, per non costringere Kurt a doverlo fare.

“Sì, sta bene” disse Colin, la voce addolcita dalla vista di Blaine in preda all’ansia. “Sicuramente a me manca la parte precedente, che forse tu saprai. Comunque, sono spuntati dal nulla e sembravano avere tutta l’intenzione di prendere Kurt e…”

Colin si interruppe e si massaggiò le tempie, inspirando. Perché stava per succedere proprio quello che aveva sempre cercato di evitare in tutti quegli anni, ed era stata la fortuna ad impedirlo. Se Karofsky non ci fosse stato, o non fosse stato incline a fermare quei ragazzi… non voleva neanche immaginare come sarebbe andata.

Faceva male fisicamente pensarci, e Colin era più che sicuro che fosse per un buon motivo: che avrebbe fatto male davvero, nel più profondo delle sue viscere.

E apparentemente, la colpa sembrava essere del ragazzo che aveva di fronte in quel momento. Ma sfogare la sua rabbia repressa su di lui non avrebbe migliorato le cose. Avrebbe soltanto fatto soffrire Kurt di più.

Blaine spalancò gli occhi per l’orrore. “Oh, Dio” sussurrò prima di coprirsi il viso con i palmi.

Colin distolse lo sguardo, perché non poteva farsi intenerire. Aveva delle domande e pretendeva delle risposte.

“Blaine, per favore calmati. Kurt sta bene, Karofsky è riuscito a trattenerli il tempo necessario per farci arrivare alla macchina. E’ per lui che siamo qui.”

Blaine alzò lo sguardo, tirando indietro le lacrime che inevitabilmente si stavano accumulando agli angoli dei suoi occhi. Perché Kurt aveva corso un pericolo, di nuovo, e lui non era stato lì per proteggerlo. E faceva male, fisicamente quasi.

“Karofsky?” chiese, sorpreso. Karofsky conosceva quei ragazzi? Pensò che il detto “Dio li fa e poi li accoppia” fosse terribilmente azzeccato.

“Sì, si è trasferito alla tua vecchia scuola a quanto pare. E credo che fosse d’accordo con loro, è venuto nel parcheggio e ha preso Kurt da parte per scusarsi e poi sono spuntati questi ragazzi. Ma poi, è stato come se… come se avesse cambiato idea all’improvviso, e ha cercato di fermarli. Io ho portato via Kurt con la macchina e ho chiamato la polizia, erano troppi e non potevo correre il rischio” disse Colin.

Blaine non disse nulla, impegnato ad assimilare tutte quelle nuove informazioni e soprattutto ad accettare il fatto di essere stato imprudente e stupido nel credere che, dopo l’episodio davanti al bar, non sarebbe successo nulla.

Segretamente aveva pensato che sarebbero venuti a cercarlo. Non lo avevano mai fatto prima di allora, forse perché non lo avevano mai visto con un ragazzo al suo fianco, ancora una volta fiero di se stesso nonostante quello che loro avevano fatto per fargli capire che non aveva motivo di esserlo, che non valeva niente.

Ma avevano fatto di peggio: avevano preso di mira Kurt per far soffrire lui, o forse semplicemente per sentirsi appagati. Ricordava bene quanto picchiarlo li avesse resi soddisfatti, come se quello fosse lo scopo della loro vita, e ricordava anche la pietà che aveva provato per loro nel rendersi conto che forse era davvero così.

Ma adesso la pietà sembrava svanita, perché si stava parlando di Kurt. Blaine sentì il bisogno improvviso di prendere a pugni qualcosa.

Colin assistette silenzioso al mutare delle sue espressioni, l’ultima delle quali fu quella della rabbia. Blaine stava inspirando in modo sempre più rapido e teneva le braccia strette lungo il corpo come per evitare di prendere la prima cosa che gli capitava a tiro e lanciarla contro il muro.

Non potè fare a meno di provare compassione, perché si sentiva allo stesso identico modo, ma continuò a parlare: “Blaine, ho bisogno di sapere perché lo hanno fatto. Sapere che c’è un perché, anche se non potrò mai capirlo.”

Blaine cercò di rilassare la mascella, ormai serrata. “L’altro giorno ci hanno visti insieme e hanno cercato di… intimidirci, ecco. Era come se gli desse fastidio vedere che andavo in giro col mio ragazzo senza vergogna, dopo che… mi hanno picchiato al ballo della scuola.”

Colin indietreggiò leggermente. “Oh, scusami, io-“

“Lascia perdere Colin. Non è questo il punto. Il punto è che sono stato uno stupido, e Kurt ha rischiato di subire lo stesso trattamento per colpa mia e io gli avevo promesso che non gli sarebbe successo niente finchè fossi stato al suo fianco” rispose Blaine velocemente, prima di guardare Kurt in lontananza con la coda dell’occhio.

Proprio in quel momento lui alzò lo sguardo e lo vide. Si alzò e gli corse letteralmente incontro, saltandogli al collo per abbracciarlo.

“Blaine, sei qui” sussurrò tirando indietro un singhiozzo, la voce attutita dai suoi ricci nei quali aveva affondato il viso.

“Sì” disse semplicemente Blaine, avvolgendogli le braccia intorno e stringendolo forte.

In quel momento entrò Burt, la tuta da lavoro ancora sporca di grasso d’automobile e gocce di sudore che gli imperlavano la fronte.

“Che è successo?” gridò mentre li raggiungeva, facendoli staccare l’uno dall’altro.

Colin li guardò complice, si avvicinò a suo padre e lo prese sottobraccio.

“Vieni papà, ti spiego tutto io.”

 

* * *

 

Kurt e Blaine attesero in silenzio, abbracciati, di poter vedere Karofsky. Blaine non riuscì a concentrarsi particolarmente sulle sue condizioni di salute, troppo impegnato a immaginare ciò che sarebbe potuto succedere. Immaginare Kurt al suo posto, sull’asfalto, che si copriva il volto con le braccia e gridava.

Sapeva che il merito era di Karofsky, e che in quanto ragazzo di Kurt lui avrebbe dovuto ringraziarlo, stringergli la mano e dirgli una tipica frase ad effetto come “Grazie per averlo salvato quando io non l’ho fatto”, ma continuava a soffermarsi sulla parte iniziale. Karofsky che era d’accordo con loro, che aveva attirato Kurt in una subdola trappola approfittando della sua buona fede.

Riusciva a immaginare in modo così vivido il suo volto ingenuo, la sua espressione accondiscendente nel volergli concedere il perdono che nessun altro avrebbe concesso.

Un infermiere li raggiunse e chiese: “Siete qui per David Karofsky?”

Kurt annuì e l’uomo fece loro cenno di seguirlo. Li condusse in una stanza poco più avanti e aprì la porta per farli entrare.

Dave era messo abbastanza male: aveva un braccio fasciato al petto, un occhio nero, il labbro spaccato e sicuramente altri lividi sparsi sul corpo, che loro non potevano vedere.

Quando li vide trasalì, evidentemente sorpreso.

“Cosa ci fai qui?” disse mentre si sistemava sul letto, mettendosi in posizione seduta.

Kurt guardò Blaine, che capì e lasciò andare la sua mano per permettergli di avvicinarsi al bordo del letto. Lui rimase in piedi, più distante. Non aveva niente da spartire con quel ragazzo.

“Volevo ringraziarti” disse Kurt semplicemente.

“Ringraziarmi?” chiese Dave, quasi sconcertato. “Ma se per poco non-“

“Ma non è successo, ed è stato grazie a te. Mi ha molto colpito quello che hai fatto” rispose Kurt.

Dave lo fissò, poi spostò lo sguardo su Blaine. “Tu sei Blaine Anderson, vero?”

Blaine sembrò leggermente sorpreso, ma rispose pacato: “Come fai a saperlo?”

“Loro mi hanno… parlato di te” rispose Dave, abbassando lo sguardo. Calò il silenzio.

“Credo che dovresti darci il numero dei tuoi genitori, per chiamarli” esordì Blaine dopo un po’, in tono distaccato.

Karofsky annuì pensieroso. “Mi si è rotto il cellulare, ma se me ne prestate uno lo posso fare io. Ma prima che andiate…”

Si fermò prima di continuare. “Kurt, ho bisogno di sapere che mi hai perdonato. Mi sento uno schifo, e non è per come sono ridotto. Oggi mi sono reso conto che ho toccato il fondo, e per risalire ho bisogno di sapere che non ti ho rovinato la vita in modo irreparabile. Anche se so di non meritare niente da te.”

Dave guardò Kurt con occhi tristi, come se non ci sperasse nemmeno. Si illuminò quando Kurt rispose tranquillamente: “Credo che tu sia già risalito, in questo preciso istante. Non hai bisogno del mio perdono per farlo, ma non mi costa niente dirti che lo hai. Non mi sento più minacciato da te.”

Detto questo, si riavvicinò a Blaine e lo prese per mano, abbozzando un sorriso.

“Forse è il caso che tu torni al McKinley. Credo che tu non sia più al sicuro alla Welby dopo quello che è successo… se ti servirà una mia dichiarazione al preside per tornare, la farò. Rimettiti presto, Dave” disse, prima di voltarsi e avviarsi verso l’uscita con il suo ragazzo al suo fianco.

 


   
 
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