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Autore: Witch_Hazel    01/12/2011    2 recensioni
"Antiquus amor cancer est"
A volte si dice che dimenticare è la cura, che andare avanti senza guardarsi indietro aiuta a superare i drammi della propria esistenza, ma altre non ci si riesce. Certe persone non riescono a dimenticare o non lo vogliono. Questa è la storia di Iris, che cammina con la testa all'indietro, guardando al passato piuttosto che al futuro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cicatrici_1
“What a beautiful face
I have found in this place
That is circling all round' the sun
And when we meet on a cloud
I'll be laughing out loud
I'll be laughing with everyone I see
Can't believe how strange it is to be anything at all”


“Non sai mai quando ritroverai le persone che sono passate nella tua vita. Non puoi sapere nemmeno se le ritroverai, in effetti, ma talvolta accade. Tienilo a mente.”
Sua madre non si poteva certo definire una persona colta, ma aveva quella saggezza intuitiva che la maggior parte delle persone potrebbe invidiare. Questa sua perla di saggezza l’aveva riposta in un cassetto insieme alle altre che le aveva detto nel corso della sua vita, nei momenti in cui ne aveva più bisogno, con quel suo modo un po’ teatrale ed enigmatico, che faceva tanto film americano. In quel momento, però, balzò alla sua mente nella sua verità sconvolgente, turbandola tanto profondamente quanto il volto che sbirciava fuori dal finestrino nel posto che doveva essere accanto a quello di lei sul volo per Londra in quel maggio soleggiato. Chissà come si era divertito il destino a farsi beffe di lei in modo così palese e sadico, facendo sì che il suo posto fosse proprio adiacente a quella persona che sembrava, fortunatamente, non essersi ancora accorta della sua presenza, una donna imbambolata davanti al suo posto a sedere come se avesse visto un fantasma. Era un dato di fatto: il suo tempo di reazione non era mai stato molto pronto, in quel momento meno che mai, tant’è che un’assistente di volo, spazientita dalla sua immobilità, le aveva chiesto se ci fosse qualche problema.
« No, no. Nessuno problema. » si affrettò a rispondere.
Lo scambio di battute però, risvegliò l’attenzione dell’uomo seduto accanto al finestrino. D’altronde, non era lecito sperare che restasse assorto per tutto il tempo senza notarla minimamente. Non seppe mai quale fu la sua reazione nel riconoscerla: aveva infatti evitato accuratamente il suo sguardo, fingendo un’indifferenza che avrebbe sicuramente smascherato al minimo contatto visivo. Sfilò invece il soprabito e lisciò il vestito con una lentezza esasperante fino a che non fu costretta ad alzare finalmente il viso per incontrare uno sguardo verdazzurro dolente e sorpreso. Fu come un salto nel passato, come se fossero tornati in quel bar di periferia in cui lo aveva ferito mortalmente. E lei si sentì morire di nuovo.

Era letteralmente paralizzata. In quella situazione il panico prendeva il sopravvento e il suo cervello andava in black out, lasciandola da sola a fare i conti con un istinto tutt’altro che amichevole. Doveva salutarlo? Doveva ignorarlo? Certo, qualsiasi cosa sarebbe stata migliore da quella poco dignitosa espressione da triglia che si ritrovava sul viso e gridava da qualsiasi angolazione quanto quel paio di occhi, solo con quello sguardo, che a qualsiasi estraneo sarebbe parsa un’occhiata di tra due sconosciuti, riuscisse a metterla a disagio anche a distanza di anni, anche ora che era adulta e vaccinata e convinta di aver seppellito in un angolo remoto della sua anima quegli occhi color mare.
« Ciao. »disse lui con voce priva di qualsiasi colore, distogliendo poi lo sguardo.
« Ciao... » ripose lei, profondamente convinta che la sua riapparizione casuale nella sua vita sarebbe terminata esattamente al termine di quel volo aereo.
Tuttavia, anche se quel pensiero in parte riusciva un poco a sollevarla, c’era un angolino della sua mente (forse esattamente quello in cui aveva seppellito la loro storia) che le diceva che forse era il momento di scaricarsi la coscienza e tentare di appianare una volta per tutte la situazione tra di loro in modo da poter eliminare definitivamente il file riguardante lui dal disco rigido del suo cervello. Attese il decollo, che si trovassero ad un numero considerevole di piedi da terra prima di tentare di ripescare qualche parola per imbastire un discorso. Lui, però, la prese di nuovo in contropiede:
« Allora...come va? »
Lei ci mise un po’ a rispondere.
« Abbastanza bene. »
Dopo il suo grugnito di assenso, che, forse, intendeva mettere fine alla loro interazione, lei aggiunse:
« A te? »
« Benissimo. »
Sebbene quel “benissimo” fosse uscito con un’irruenza e una tonalità che lasciava intendere tutt’altro. Ad esempio: “benissimo, prima che tu ti sedessi proprio di fianco a me”.
« Vai...Ehm. Vai a Londra per lavoro? »
Si fece coraggio lei.
« Sì. Tu? »
« No, io ci abito. »
L’occhiata leggermente stupita fu la cosa più emozionante di quella stupida conversazione .
« Complimenti. »
Complimenti molto amari.
Restò zitto mentre lei, tesa come un violino, non riusciva più a capire se fosse il caso di tacere e fare finta che fossero due conoscenti non particolarmente affezionati o avere le palle una volta per tutte di ammettere che gli aveva rovinato una parte dell’esistenza e chiedergli scusa. La consapevolezza che per fare quello avrebbe comunque dovuto calpestare il suo orgoglio e passare sopra ad una serie di circostanze che le risultavano come attenuanti ai suoi occhi la spingevano a tentennare per un tempo decisamente più lungo del normale. Quando comunque arrivò l’hostess col carrellino delle bevande e lui prese un caffè lei non ce la fece più.
« Mi dispiace. »
Lui la guardò attraverso un ciuffo biondo che gli era caduto sull’occhio destro. Aveva uno sguardo quasi beffardo nell’insieme, che la fece vacillare non poco.
« Di cosa, esattamente? »
Quella sfumatura beffarda, del cacciatore che ha messo la preda con le spalle al muro non riuscì a scalfirla troppo nel profondo, così continuò:
« Beh, di essermi comportata da stronza con te, di averti prima illuso e poi deluso in nome di un buon senso che non so nemmeno da dove venisse. Per essere sparita nell’illusione che saremmo stati meglio entrambi. »
Lui guardava nella tazzina di caffè come se dentro potesse intravedervi tutte le risposte irrisolte che gli giravano per la testa. Gli donava, pensò lei, quel completo elegante blu scuro. Era sempre stato bello, in effetti.
« Non ti sembra un po’ tardi per pentirti? »
Il suo sguardo verde mare era tremendamente colmo di emozioni contrastanti e tutte avrebbero dovuto minare l’autocontrollo di lei. Sapeva esattamente che scusarsi per essersi comportati male con qualcuno dopo anni non aveva alcun senso, soprattutto visto che non si erano più rivisti. Però sentiva di doverlo fare, anche se poteva sembrare un egoistico bisogno di scaricarsi la coscienza, voleva che lui sapesse che le dispiaceva.
« Mi sono pentita molto tempo fa. »
Lui la guardò basito e lei non rispose. Furono le ultime parole che Iris e James si scambiarono per il resto del viaggio.

Al nastro trasportatore, nel momento di recuperare i bagagli, non ci furono nemmeno i formali convenevoli che ci si scambia tra conoscenti non troppo intimi. Iris sbirciava James con la coda dell’occhio, sperando che lui non la notasse: provava imprimersi nella memoria il suo volto, prima di dimenticarlo definitivamente.



Nugae:
Ho deciso di provare a pubblicare questa storia. Ci terrei molto ad un riscontro dei lettori poichè c’è molto di me qui dentro. Le storie sono possibilità, secondo me. Questa è la storia della possibilità che dubito mi sarà concessa.
La citazione è presa dalla canzone dei Neutral Milk Hotel citata nel titolo. Hope you liked it. :)
   
 
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