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Autore: mortuaary    02/12/2011    1 recensioni
- Come si può soffrire e gioire dello stesso istante ?
La realtà in cui vive Katelynn si frantuma davanti ai suoi occhi senza che lei possa reagire. A sua insaputa, ciò che più desidera, l’attende dietro l’angolo.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Stupefacente come l’intelligenza dell’uomo abbia creato un mezzo di trasporto in grado di potersi spostare da un capo all’altro del mondo con estrema facilità – perché questo è volare – e soprattutto rapidamente, impiegando il minor tempo possibile.
 
Il viaggio trascorre sereno, silenzioso; dormo per tutto il tempo staccando definitivamente la spina da ciò che era accaduto poco prima e continuo il mio sonno senza, stranamente, sognare affatto.
 
Quando apro gli occhi, siamo in aeroporto. Probabilmente, devono avermi scortata in braccio giù dall’aereo, perché non ricordo di aver fatto questo tragitto con i miei piedi.
Sono in sala d’attesa e sono stanchissima.
Non ho la lucidità per chiedere informazioni, perciò attendo assonnata di poter raggiungere l’hotel, il prima possibile. A stenti penso di essere tornata in patria.
 
Prendo un ultimo respiro lungo, finché finalmente ci comunicano che la nostra auto è arrivata a prenderci. Non ho il tempo di raggiungerla che immancabilmente crollo tra le braccia di Nathan.
 
L’auto sfreccia veloce, non curante degli occhi dei passanti incuriositi, e raggiunge prontamente l’hotel. Le portiere si aprono e l’unica cosa che i miei sensi avvertono è il profumo di pioggia fresca che c’è nell’aria. Asfalto bagnato, che i miei piedi non toccano.
Nate mi accompagna sino in camera tenendomi stretta tra le sue braccia, posandomi sul maestoso letto della nostra suite, e addormentandosi poco dopo al mio fianco.
 

 
Quando ci svegliamo, mancano esattamente due ore al party.
Con la bocca ancora impastata di sonno, compongo freneticamente il numero di Irina e la chiamo, cercando di mettermi a sedere sul letto. Sono del tutto priva di forze.
 
Le comunico solamente che siamo arrivati a destinazione e che ci saremmo visti di lì a poco, alla sua festa. Nathan mi guarda, perplesso, quasi vedesse qualcosa che i miei occhi erano incapaci di vedere, o udisse qualcosa che le mie orecchie erano inabili a sentire.
 
-         Hai un’aria distrutta, sembri appena uscita da una rissa. – Ecco il motivo delle sue perplessità. In realtà, mi sento anche peggio, ma fingo di non capire cosa intende.
-         Perché dici così? – Rispondo, appoggiando il cellulare al comodino.
-         Guardati allo specchio. Senza offesa, ma uno zombie è più in forma di te.
 
Gli tiro un cuscino in faccia, dopodiché mi dirigo in bagno con una nausea improvvisa.
Mi gira tutto, manco fossi in preda agli allucinogeni. Non vedo più nulla.
 
Per mia fortuna, riprendo i sensi in tempo da non far capire niente di ciò che è appena successo a Nathan. Irrazionalmente, il mio inconscio realizza l’accaduto prima che gli occhi possano verificarne le conseguenze. Mi rimetto in piedi, davanti allo specchio, fissandomi attentamente negli occhi e scrutando ogni minimo dettaglio del mio volto.
 
Quelle occhiaie, così pesanti, sorte dal nulla. Il volto scavato, pallido, quasi fossi ammalata.
Gli occhi spenti. L’unico accenno di colore è sulle gote, che sembrano appena rosee.
Le labbra sono violacee, come se avessi appena ricevuto un pugno a tutta forza.
 
Chiudo la porta scattando con una forza improvvisa.
L’unico modo che ho per cancellare ciò che ho appena visto è il trucco, e un finto sorriso.
Mi lavo più volte viso e collo, alternando getti di acqua fredda a quelli di acqua calda.
Riprendo un po’ di colorito, sufficiente a farmi sembrare più in forma di prima.
 
Riapro la porta e noto con stupore che Nathan è già pronto, lui si volta appena mentre allaccia al polso il suo Rolex.
 
-         Stai un po’ meglio? – Mi chiede, tenendo gli occhi puntati sull’orologio.
-         Sì. E’ lo stress degli ultimi giorni. – Rispondo, fredda, mentre scelgo i capi da indossare. Abito a palloncino blu notte, con autoreggenti a pois nere e copri spalle di finta pelliccia nera da allacciare al seno. Ai piedi altissime decolleté dello stesso colore del vestito, realizzate in pizzo.
 
Torno in bagno e mi vesto velocemente. Dopodiché passo a stendere un bello strato di correttore coprendo le occhiaie e stendo uniformemente il fondotinta nascondendo tutti i segni del mio malessere; procedo tingendo pesantemente gli occhi con un ombretto brillantinato dello stesso colore del vestito, applicandovi eye-liner e ciglia finte. Finisco con un tratto di matita color carne alle labbra e un gloss dello stesso colore a illuminarle.
 
Una volta pronta, esco dal bagno notando che manca appena mezzora. Frettolosamente, getto tutto il necessario nella pochette di pelo nero e – mentre Nate approfitta del bagno libero – nascondo una delle mie boccette tascabili contente vodka liscia.
 
       - Andiamo. – Ordino, evidentemente agitata.
 Non risponde e abbandoniamo direttamente la camera.
 
Arriviamo a metà della terza rampa di scale quando mi accorgo di aver dimenticato il regalo di Irina in stanza. Mi fermo, scalpitando e imprecando contro me stessa.
-         Cazzo! Il regalo! L’ho lasciato nella valigia. – Sbuffo, quasi urlando.
-         In quale valigia? Vado io a prenderlo. – Mi sorride, anche se è evidentemente scocciato.
-         Quella più grande che c’è di fronte al guardaroba. La scatola è argento, con un fiocco blu. Non puoi non riconoscerla. – Rispondo, freneticamente.
-         Okay, torno subito. Aspettami qui. –
 
In men che non si dica raggiunge la stanza e, una volta trovata la valigia, la apre rovistando rapidamente tra il vasto contenuto. Non tarda a trovare il regalo ma insieme, vi trova anche una scatola bianca, rettangolare, con una scritta netta color blu al centro.
 
Il pacchetto gli cade dalle mani, scivolando a terra con un rumore sordo. I suoi occhi si concentrano e deconcentrano dall’etichetta: Clearblue Digital® – Test di gravidanza.
 

 
Esce furiosamente dalla stanza, lo sento sbattere violentemente la porta e scendere frettolosamente le scale, raggiungendomi in un battito di ciglia. Mi porge il pacchetto, guardando la moquette sotto i nostri piedi.
 
Raggiungiamo l’auto che ci scorta rapidamente al Club Rocket, quello dove Irina ed io avevamo festeggiato il nostro diciottesimo compleanno.
 
Per tutto il viaggio Nathan non spiccica una parola e se ne sta sulle sue, mentre io fingo di non accorgermene e mi preparo psicologicamente a rivedere la mia migliore amica.
Mi aprono la portiera – stranamente non Nate, ma l’autista – ed esco, sorridente, dalla limousine. Cerco lo sguardo di Irina, che inevitabilmente trova il mio, ed è pura euforia.
 
Dopo uno scambio infinito di abbracci, entriamo mano nella mano nel pub, ma non vedo né sento la presenza di Nate al mio fianco. Non l’ho nemmeno visto scendere dall’auto.
Do il regalo a Irina che, strabiliata, mi abbraccia con ancora più furore; dopodiché mi abbandona – promettendomi di tornare subito – per accogliere dei nuovi arrivati, francesi.
 
Ne approfitto per concedermi una pausa sigaretta, controllando se Nathan è nei paraggi.
Non lo vedo. Sbuffo appena, ed entro nella sala fumatori, dove ad accogliermi ci sono gli sguardi ardenti di tutti gli individui maschili presenti.
 
Accendo la sigaretta e prendo tutto il fumo che i miei polmoni riescono a contenere.
Mi si avvicinano due ragazzi, con fare molto disinibito.
 
 
-         Com’è bella. Ma non è quella che c’era sulla copertina di Elle, la scorsa uscita? – Sussurra uno, castano e con i capelli più lisci dei miei, dagli occhi verdi come due smeraldi.
-         Non me ne intendo, quella è roba da Bill. Però mi è molto familiare, e me la farei ben volentieri. Smamma bello, ho la precedenza! – Risponde questi, tirando un pugno che non mi sembra molto amichevole sulla spalla del compare.
 
Mi si avvicina, guardandomi con tanta intensità negli occhi da farmi girare la testa.
Il suo viso mi è così familiare, ma con tutto questo fumo e le luci così basse non riesco proprio a identificare di chi si tratti.
 
-         Ciao, io sono Tom. E tu, ragazza più bella del locale, hai un nome? –
 
Tom. Oh, mio, dio. Certo! Ecco chi mi ricordava. E’ proprio lui, ed è qui davanti ai miei occhi, in carne e ossa. Mi sta parlando. Mi sta guardando.
Strabuzzo gli occhi, mentre lui perplesso attende una mia reazione.
 
-         Ehm. – Prendo un lungo, lunghissimo respiro – Mi chiamo Katelynn. – Rispondo, farfugliando qualcosa che sembra insensato.
-         Hai un nome stupendo, del resto non poteva che appartenerti. – Replica, i suoi occhi scorrono su ogni centimetro della mia pelle e percepisco via via le sue intenzioni. – Ti va di andare in un luogo un po’ più appartato? – Chiede, infine.
-         Sì, perché no. – Rispondo secca, fingendomi disinteressata ma soprattutto tentando in ogni modo di frenare quella voglia immensa di urlare a squarciagola il mio stupore misto a felicità.
 
Uscire dall’aula fumatori è un toccasana per i polmoni, ma ancor di più lo è il posto che ci attende. Mi scorta in un piccolo corridoio, dove non ero mai stata, e mi accompagna fin sopra alla scala a chiocciola. Quando arriviamo, trovo Mosca in tutte le sue sfaccettature.
Una galassia di stelle in quel cielo così buio e minaccioso.
Rimango a bocca aperta, mentre Tom si avvicina prendendomi la mano senza distogliermi gli occhi di dosso. Il suo fiato sul mio collo è ciò che mi basta per tornare alla realtà.
Scatto improvvisamente all’indietro, allontanandomi da lui.
 
Spaventato da questa mia reazione, mi fissa, in attesa di qualche mia parola.
-         Io so chi sei. – Rispondo, decisa, cercando di non far trapelare alcuna emozione.
-         Chi sono? – Replica, confuso ma al contempo eccitato dall’andare delle cose.
-         Sei… Sei il chitarrista della mia band preferita. – E a queste parole, un sorriso sghembo sfugge al mio controllo, facendo crollare tutta la freddezza di prima.
 
Mi siedo, mentre lui si affretta a fare lo stesso al mio fianco, estraendo dalla pochette la boccetta tascabile di vodka.
 
-         Ne vuoi un po’? – Do un sorso e gliela porgo e lui l’accetta volentieri.
-         Grazie. E quindi sai chi sono, huh. – Sorride, ma non colgo un accenno d’imbarazzo nel suo volto. Del resto lui è così, ed io lo sapevo bene, per quanto l’avessi visto sempre dai riflettori.
-         Ti stupisce? Non so se ne sei a conoscenza, ma tutto il mondo vi conosce. – Replico.
-         Beh, sì. – Da un altro sorso alla mia vodka per poi restituirmela.
 
I miei sorsi si fanno sempre più lunghi e la conversazione prende una piega notevolmente diversa da quella che mi aspettavo. Tom, infatti, si accorge del mio malumore e tenta in ogni modo di scoprire ciò che mi affligge, riuscendomi a far sputare tutti i rospi.
Senza nemmeno accorgercene, è trascorsa un’ora e mezza.  La notte s’è fatta più buia, il vento più forte e i lampi si avvicinano per il secondo round di temporale.
 
Rabbrividisco.
 
-         Forse è meglio che torniamo di sotto. – Propone.
Io, che non ho nemmeno la forza di reggermi in piedi dal tanto che sono ubriaca, mi affido a lui. Percorriamo lentamente la scala a chiocciola, tornando – con mio incredibile beneficio – all’aria calda del piano inferiore.
 
Ci dirigiamo alla sala del ricevimento, passando davanti a molti miei conoscenti che però non saluto. Tutti si girano, incuriositi dal ragazzo che mi sta scortando metro per metro.
Lui, testa bassa concentrata sui miei piedi – controlla che non inciampi – si muove per il locale come se conoscesse a memoria ogni suo millimetro quadrato.
 
Mi blocco, strattonandolo con suo stupore, facendolo quasi cadere a terra.
Rimango allibita, da ciò che vedo alzando gli occhi.
Le mie narici erano arrivate impulsive al mio cervello, avvertendo il profumo di Nathan nelle vicinanze – come confonderlo? – cosicché i miei occhi lo cercassero.
 
E infatti è qui, a pochi metri da me.
Con lui ci sono cinque ragazze – tutte modelle, casualmente – tra cui Anne.
Anne, con cui sta scambiando effusioni più che inibite proprio di fronte ai miei occhi.
 

 

Vuoto. Sento solo freddo, silenzio, vuoto. L’unico rumore è il sangue che pulsa, come un martello pneumatico, sulle mie tempie. Non respiro.
 
Cado sulle mie ginocchia, catturando l’attenzione di tutti i presenti. La musica si stoppa – ma io non la sento ugualmente – ed è clamore su tutti i volti degli invitanti.
 
Non riesco a distogliere lo sguardo da questa scena.
Non riesco a impedire al cuore di morire.
 
Nate, incuriosito dall’improvviso silenzio, si gira vedendomi a terra e realizzando in un attimo l’accaduto. Lo vedo impallidire, mentre le sue mani cominciano incredibilmente a tremare, in preda a chissà quale reazione nervosa. Fa un passo, nella mia direzione.
 
Non so come, ma riacquisto un briciolo di forza – quel che mi basta per alzarmi e prendere la mano di Tom – incamminandomi a tutta fretta nella direzione opposta. Non ho equilibrio. I tacchi, nella caduta, hanno ceduto. Li levo in corsa, sempre più velocemente, per fuggire da chi a sua volta sta correndo: Nathan, che però non si è accorto di Tom.
 
Lui, mi afferra per un braccio e mi spinge nell’infermeria del locale, alla nostra destra.
Chiude a due mandate, precedendo l’arrivo di Nate di pochissimi secondi.
Quest’ultimo, infuriato, arriva e comincia a imprecare tutti i santi, ordinando di aprire immediatamente la porta, maledicendomi in ogni lingua.
 
Il mio sguardo di terrore misto a indignazione, cerca sicurezza negli occhi del ragazzo che mi è di fronte e che sta tentando in tutti i modi di proteggermi. I suoi occhi caldi, in qualche modo, ristabiliscono un contatto con la realtà, che dura solo per una frazione di secondo.
 
Il tempo di un battito cardiaco.

   
 
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