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Autore: mortuaary    03/12/2011    1 recensioni
- Come si può soffrire e gioire dello stesso istante ?
La realtà in cui vive Katelynn si frantuma davanti ai suoi occhi senza che lei possa reagire. A sua insaputa, ciò che più desidera, l’attende dietro l’angolo.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Chiudo gli occhi stringendo con tutta la forza che ho la mano di Tom, mentre bollenti lacrime infiammano il mio viso. Un colpo, seguito da un altro più forte. Tutto si fa confuso.
 
-         Katelynn apri questa cazzo di porta! – Sbraita, prendendola a calci con sempre più violenza. Nella sua voce avverto una ferocia sovrannaturale, come se fosse posseduto da qualcosa che lo sta rendendo a mano a mano un mostro, più di quanto già lo sia.
 
-         Stronza, apri questa porta di merda o la sbatto giù a calci! – Urla, con ancora più tenacia. Fisso gli occhi di Tom un’ultima volta, prima di armarmi di coraggio e prendere una decisione.
 
-         Nasconditi, se ti vede con me impazzirà. – Sussurro, lasciandogli la mano. La mia voce è poco più di un tremore. Nel frattempo, sento imprecare Nathan contro Irina cercando una seconda copia della chiave per aprire la porta.
 
Tom si nasconde dietro un piccolo scrittoio impolverato senza fare troppe storie, ma avverto nei suoi occhi la stessa quantità di terrore presente nei miei, oltre alla rabbia sviscerata. Lo guardo un’ultima volta, prima di sospirare e rigirare le mandate.
 
Non ho il tempo di scostarmi dalla porta che la apre, con una forza demoniaca, facendomi cadere nuovamente a terra e tagliandomi dalla spalla al gomito. La porta, infatti, è antincendio – ben pesante e impossibile da abbattere – ed i suoi profili sono taglienti.
 
Lo zampillare del sangue, ma soprattutto il forte odore, mi nausea in maniera inverosimile.
Nel frattempo, Nathan è irrotto nella stanza e sta urlando qualcosa che mi è impossibile comprendere. Non ho la forza di alzare lo sguardo, perciò fisso le mie mani insanguinate.
 
-         Sei sempre la solita, no? Non potevi risparmiarti neanche questa volta. La solita bambina viziata che va alle feste per fare le sue moine e mettersi in mostra. – Riprendo a sentire con più vigore la conversazione, alternando momenti di lucidità ad altri di completa assenza.
 
Mi prende il viso tra le mani, premendo con forza snaturata le sue dita contro la mia pelle.
Sono immune al dolore – uno dei pochi benefici dell’essere ubriaca in questo momento – ma non tollero essere trattata così.
 
-         Lasciami, bastardo. – Sono le uniche cose che riesco a pronunciare, dal tanto forte è la sua stretta. Mi tira uno schiaffo sulla bocca, così prendono a sanguinare anche le labbra.
-         Il bastardo sarei io? Perché nascondermi un test di gravidanza non è da bastardi, vero? – E’ ubriaco almeno quanto me. Non capisco il senso delle sue accuse, ma ricompongo il puzzle che l’ha fatto infuriare da prima della festa.
-         Lasciami spiegare… - Tento, inutilmente, di iniziare qualcosa che non potrò concludere, poiché perdo – per alcuni minuti – conoscenza. Evidentemente sto perdendo troppo sangue, e l’alcool in circolo è troppo.
 
Tom vorrebbe intervenire per metter fine a questo film horror, ma pensando alle conseguenze decide di starsene al suo posto come gli avevo – esplicitamente – supplicato di fare. Temevo per la sua incolumità tanto quanto lui temeva per la mia.
 
Nathan intanto, non curante del mio stato fisico, comincia a prendermi a schiaffi finché non riapro gli occhi.
 
-         Svegliati, cogliona! Cos’è, hai fumato così tanto da provocarti un collasso? – Prende la mia pochette tirandomela violentemente contro e centra in pieno le mie gambe. Cammina avanti e indietro con fare minaccioso, quando la fialetta – ormai vuota – di vodka rotola dalla borsa ai suoi piedi.
 
E’ la fine, e lo so bene.
 
-         E questa cos’è? – La prende, girandola appena tra le mani, per poi gettarmela addosso. Si rompe in mille pezzi e parte di essi finisce sulle mie gambe. – Ti sei ubriacata alle mie spalle, vero? Non ti bastava il ricovero dello scorso mese, vero? Volevi finire in coma etilico anche questa sera? – Il suo tono di voce ormai ha ormai superato ogni limite.
 
Irina irruppe nell’infermeria, scortata dai bodyguard che immediatamente braccano Nathan senza troppe leziosità.
 
-         Sei un figlio di puttana, non ti rendi conto di come l’hai ridotta, mostro? – Urla, a un centimetro dalla sua faccia, mentre lui tenta di divincolarsi dalla stretta e attanagliarla. – Ti sei mai chiesto perché si facesse questo? Perché fosse finita in coma così tante volte, casualmente sempre quando scopriva che la tradivi? –
-         Non intrometterti, sono cose nostre. –
-         Hai anche la faccia tosta di dirmi queste cazzate? M’intrometto quando e quanto voglio, fallito che non sei altro. Ti conviene andartene, immediatamente, a lei ci penso io. – Mi raggiunge, ordinando ai bodyguard di scortarlo fuori.
 
Una volta uscito, Tom piomba al fianco di Irina spaventato.
-         Dimmi tutto ciò che hai bisogno. Devo chiamare un’ambulanza? – Sussurra, mangiando quasi le parole dall’agitazione. Io, intanto, sono di uno stadio di semi-incoscienza.
-          Prendi delle garze e del disinfettante, è piena di sangue ma la ferita non sembra profonda. Prenditene cura, io faccio riaccompagnare in hotel quell’obbrobrio.
E senza farselo dire due volte, disinfetta ogni ferita, bendandole di volta in volta.
Mi culla fra le sue braccia, chiamando il mio nome di tanto in tanto.
 

 
Riprendo conoscenza dopo una quindicina di minuti. Tutto ora, passata la sbornia, mi è chiaro e nitido. Anche il dolore si è manifestato in tutta la sua intollerabilità.
 
Vedo il suo sguardo illuminarsi, accorgendomi del mio risveglio.
-         Piccola, come ti senti? Vuoi un antidolorifico o preferisci andare in ospedale? – Chiede, premuroso, passandomi una mano sulla fronte. Scosta una ciocca dei miei capelli per liberarmi gli occhi e guardarmi meglio.
-         N. No. Devo tornare in hotel. – Rispondo, tentennante, cercando di minimizzare la gravità della situazione.
-         Non puoi. Non devi. Non puoi tornare da lui. – Risponde, con tono secco ed intimidatorio.
-         Non metterti anche tu a impartirmi ordini. – Sbotto, scocciata.
-         Guarda come ti ha ridotta. Volevo solo intromettermi e… -
-         No. Hai fatto bene così. Hai rispettato ciò che ti avevo chiesto. – Gli passo una mano tra i capelli, facendo scricchiolare tutte le articolazioni.
 
Irina, al suono della mia voce – per quanto lieve sia – entra nella stanza aiutando Tom a rimettermi in piedi.
 
-         Ti ho portato questi, così potrai cambiarti. Puoi dormire da me se vuoi e restarci quanto desideri. Casa mia è casa tua, lo sai benissimo. – Per quanto tenti di mantenere un tono fermo, nella sua voce c’è ancora un’evidente tremore dovuto alla paura di perdermi.
-         Ti ringrazio, Amore. – Appoggio il mio capo al suo dopodiché accetto la borsa che mi offre contenente vestiti puliti ed un paio di scarpe nuove.
-         Tom, prendi le sue cose ed aspettaci fuori. L’aiuto io a cambiarsi. – Gli sorride e lui, afferrata pochette e tacchi ormai distrutti, esce dall’infermeria.
 
In men che non si dica sono di nuovo attiva, per quanto i dolori siano forti e la stanchezza notevole.
 
-         Amore, non posso lasciare le cose così, capisci? Devo chiarire. – Replico, paziente. – Sii ragionevole e cerca di capire perché devo farlo. – La guardo negli occhi.
-         Promettimi solo che sarai prudente e che verrai da me prima di domani sera. –
-         Prometto. –
 

 
La saluto cingendola con un braccio – quello della spalla sana – e fiutando a pieni polmoni il profumo dei suoi capelli. Sarebbe stato l’unico modo per ricordarla vicina, nelle prossime ore.
 
Tom mi aiuta a salire in auto, accompagnandomi sino all’hotel.
 
-         Ti prego, non andare. – Il suo tono supplichevole mi fa tenerezza, per quanto sia dispiaciuta di averlo fatto assistere ad una situazione così spregevole.
-         Non mi accadrà niente. Più di così, cos’altro vuoi che mi faccia? – Gli faccio l’occhiolino, fingendo di non avere il minimo scrupolo.
-         Ti ho già salvato in rubrica il mio numero, per qualsiasi cosa, chiamami. –La sua voce non ammette scuse.
 
Poso le mie labbra sulle sue dandogli un bacio leggero, incamminandomi poi a piccoli passi all’entrata dell’hotel. Prendo l’ascensore – tanto, stordita come sono, alla claustrofobia non ci penso – e raggiungo immediatamente la mia stanza. Esito, per un attimo, a spingere quella maniglia fredda, sapendo cosa – o meglio, chi – mi aspettava all’interno.
 

 
Non accendo luci.
Quel miscuglio di profumi – i nostri profumi – invade le mie narici. Chiudo piano la porta alle mie spalle e m’incammino velocemente in bagno, chiudendomi a chiave.
Respiro.
A patto di dormire sul tappeto di questo bagno non uscirò da qui, penso tra me e me.
 
Mi guardo dritta allo specchio, verificando la gravità dei danni subiti.
Ripenso a ciò che vidi poche ore prima, alle occhiaie, e sorrido del paragone appena fatto.
 
Passi leggeri catturano la mia attenzione, provengono dalla stanza limitrofa.
Il panico mi assale, cerco disperatamente di mantenere un respiro regolare e di trovare una soluzione. Se Nate avesse dormito nella stanza affianco, avrei potuto dormire nella stanza matrimoniale – che ha una porta a sé, munita di chiave – e con questo pensiero riprendo il controllo di me stessa.
 
Un altro respiro, dopodiché apro la porta ed esco, silenziosa più che mai.
So che è sveglio. So che può sentirmi. So che mi sta sentendo.
 
Sento il suo respiro sempre più vicino mentre, cauta, passo affianco al divano dirigendomi alla porta della camera matrimoniale. Più facile di quanto pensassi.
Chiudo la porta alle mie spalle, con un rumore sordo. Sono salva.

   
 
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