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Autore: Mary P_Stark    05/12/2011    2 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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Per questo capitolo mi sono in parte ispirata alla battaglia di Austerlitz. Non sempre, avere una posizione elevata durante la battaglia, è sinonimo di vittoria. Buona lettura!
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15.

 

 

 

 

 

Le prime avvisaglie della tempesta in arrivo, si ebbero in una uggiosa mattina di primavera inoltrata.

L’esercito di Aken presidiava la spianata nei pressi di Royconea da più di un mese, preparandosi alla lotta e attendendo impaziente che il pericolo giungesse da Anarsis.

Sapevano per mezzo di pattuglie in avanscoperta, del lauto banchetto che stavano portando avanti nelle terre sguarnite di protezione che si estendevano oltreconfine.

Aken, però, aveva intenzione di interrompere alla prima portata quel luculliano pasto e, con i suoi uomini, avrebbe spezzato quelle fauci spalancate e pronte a divorarli.

Avrebbe ridotto il nemico in condizioni tali da ritornare sui propri passi, o morire tra quelle lande per loro straniere.

O, per lo meno, questi erano i suoi piani.

Scrutando pensieroso le nere colonne di fumo che si levarono poco oltre il confine, Aken aggrottò la fronte nell’indicarle al fratello e ai suoi ufficiali, chiosando torvo: “Eccoli che arrivano.”

“Avranno una bella sorpresa, quando passeranno il fiume” dichiarò uno dei comandanti, sogghignando al suo fianco. “Non si aspettano che ci sia un intero esercito, nascosto nei boschi. E, di sicuro, non uno di una simile portata. L’idea di nascondere il grosso degli uomini tra la boscaglia potrebbe rivelarsi decisiva, in caso di scontro diretto con il nemico.”

“Lo spero” sospirò Aken, prima di guardare  Kaihle, a pochi passi da lui, e chiederle: “Ci sono stati avvistamenti di lupi?”

“Sono stati prontamente uccisi, quindi sanno che qualcosa si nasconde qui, ma non ne conoscono le dimensioni” spiegò Kaihle tranquillamente, le braccia intrecciate sotto il seno.

“Molto bene” annuì il principe, tornando a guardare il fumo denso e scuro che si levava dalle colline oltreconfine.

“Noi ci sposteremo verso nord per attaccare la colonna dei cavalieri che si trova sul fianco sinistro dell’esercito di Vartas” dichiarò Kaihle, sempre in tono pacato. “I lupi hanno già fiutato i cavalli, e ci hanno riferito che la loro posizione non è mutata nelle ultime miglia, quindi non possiamo sbagliare.”

“Ottimo, procedete come stabilito. Mi fido del vostro buon senso. Noi penseremo alla fanteria di terra, mentre le figlie sacre baderanno agli arcieri”  acconsentì Aken, prima di volgersi verso il sergente Kerada per dargli rapide istruzioni.

Annuendo a più riprese nell’ascoltare gli ordini dettagliati del principe, il soldato si allontanò in fretta per riferire il piano di azione agli altri ufficiali presenti sul campo.

Rimasto solo con Kaihle e il fratello, il principe chiese cautamente: “Posso chiederti una cosa, mia Signora Kaihle?”

“Dimmi, principe” replicò serafica lei.

“Una volta finita la guerra, vorrei venire al villaggio per salutare Eikhe. In fondo, è per merito suo se io posso combattere per difendere il mio popolo, e volevo ringraziarla” le spiegò Aken, cercando di non mostrarsi troppo interessato.

“Lei non ti vuole più vedere” rispose seccamente Kaihle, volgendo lo sguardo per fulminarlo con gli occhi.

Cercando di non sobbalzare dalla sorpresa di fronte a parole così dure, Aken la fissò confuso, esalando: “Come mai, se è lecito chiedere?”

Fissandolo con astio, Kaihle asserì rigida: “Mi chiedi perché?! Dovresti saperlo! L’hai portata su una via sbagliata e ora si vuole redimere e, per farlo, non ti deve più vedere. Quindi ti avverto, non mettere piede nei miei territori o, principe o meno, ti farò attaccare dai miei lupi.”

Cercando di non risponderle a tono, Aken dichiarò torvo: “Preferirei sentirlo dalla sua bocca.”

“Allora, preparati a morire. Non ti permetterò di rovinare ulteriormente mia figlia. Lei vuole dimenticarti, e io la aiuterò a farlo, perciò stai alla larga da noi, quando tutta questa follia sarà conclusa” sibilò Kaihle, calando sul viso la sua maschera di terracotta prima di abbandonare un attonito Aken.

Osservandola allontanarsi con passo deciso, il principe avvertì una morsa stringergli il petto e, cercando di riprendere fiato, imprecò sottilmente prima di sentire sulla spalla la mano comprensiva del fratello.

“Credo sia solo furiosa con te, ma non penso proprio che Eikhe abbia detto una cosa simile” sussurrò Ruak, sorridendo timidamente.

“Eikhe non vuole rivedermi” ripeté ad alta voce Aken, posando una mano sul pomo della spada.

“Non lo credo possibile. La ragazza che ho visto a Marhna non può aver detto una cosa del genere” ripeté Ruak con veemenza.

 “Allora come te la spieghi, questa uscita?!” ringhiò il fratello, fissandolo con astio malcelato.

“L’hai detto tu che le loro leggi non prevedono che si possano innamorare di un uomo, perciò sua madre ha semplicemente cercato di tenerti alla larga da lei, ma questo non vuol dire che Eikhe la pensi alla stessa maniera” replicò con logica ferrea Ruak, accigliandosi a sua volta.

“A ogni modo, la sostanza non cambia. Non posso andare da lei” sospirò Aken, scrollando il capo, incredulo.

Possibile che fosse tutto davvero finito? Che, in tutta la sua vita, non avrebbe mai più incrociato lo sguardo con le sue calde profondità ambrate?

“Cosa vorresti fare? Mollare tutto? Solo perché lei ti ha detto di non andare?!” replicò scettico Ruak.

“Che altro posso fare? Rompere il trattato e scatenare una guerra? Potranno anche essere inferiori numericamente, rispetto a noi, ma combatterebbero su terreno a loro favorevole, e sarebbe un bagno di sangue. No, non voglio scatenare una seconda guerra, e solo per il mio amore per Eikhe. Se Kaihle dice così, sono costretto a cedere e rimanere in silenzio” gli spiegò suo malgrado Aken, un groppo in gola a rendere mozza la sua voce.

“Ma… e la tua felicità? Non vorresti stare con lei?” tentennò Ruak.

“Certo che lo vorrei!” esclamò Aken. “Cosa credi?!”

Sospirando, il fratello scosse il capo e asserì: “Sì, lo so, scusami. Rischieresti davvero di far scatenare una guerra intestina, e non è il caso. Vartas ne approfitterebbe subito.”

“Appunto” commentò aspro Aken, aggrottando la fronte.

“Pensiamo alla battaglia, Aken. Se anche non puoi vederla, puoi sempre scriverle, no?” abbozzò un sorriso Ruak, sfiorandogli un braccio con la mano inguantata.

“Già” sospirò a quel punto il fratello maggiore, annuendo e cercando di concentrarsi sulla battaglia imminente.

Entro il giorno successivo, avrebbero sicuramente cozzato contro la fanteria nemica.

Se le rilevazioni delle donne-lupo erano esatte, si sarebbero ritrovati le cavallerie reali di Vartas sul lato nord del loro schieramento.

Un’autentica spina nel fianco.

Non era piacevole ammettere che i cavalieri di Vartas rappresentavano la loro maggiore preoccupazione, perché voleva anche dire che il loro braccio armato a cavallo, al confronto, aveva ben poche speranze di prevalere.

Per annullare il divario di forze che esisteva tra di loro, si sarebbero affidati agli attacchi fulminei delle donne-lupo.

Forti dei loro animali e della loro capacità di muoversi tra i boschi, avrebbero creato scompiglio nelle formazioni a V dei possenti cavalieri vartassyan.

Questo avrebbe permesso agli uomini di Enerios di attaccare più efficacemente quell’imponente, quanto pericolosa, armata nemica.

La fanteria sarebbe stata più facile da controbattere, essendo l’esercito di Aken più preparato alla battaglia a viso aperto, nel corpo a corpo mortale.

Quello era pane per i loro denti, e di questo nessuno di loro aveva paura.

Enerios poteva contare su picchieri possenti e dalla resistenza quasi illimitata, che bene si sarebbero trovati su un campo di battaglia del genere.

Agli arcieri, infine, avrebbero pensato le figlie sacre.

Una sola volta, in quelle lunghe settimane di attesa, Aken aveva parlato con la loro comandante in capo, una donna di nome Kreathe.

Da quell’unico colloquio, però, il principe era tornato tra i suoi compagni rinfrancato e rassicurato.

Sapeva di avere le spalle ben coperte, nonostante non avesse mai conosciuto prima quella donna.

Aveva lo stesso spirito di Eikhe e, anche solo per questo, lui si sarebbe fidato a occhi bendati della sua mano in battaglia.

Paradossalmente, molto più di Kaihle, che conosceva da maggior tempo.

Sapeva benissimo che eliminare gli arcieri era il compito più pericoloso – notoriamente protetti dalla fanteria e dai picchieri – ma, data la forza e la velocità delle figlie sacre, avevano speranza di vittoria.

Non si sbagliava, confidando in loro. Avrebbero prevalso.

***

Appostati nelle loro posizioni, e nascosti agli occhi del nemico dal fitto bosco, i soldati di Aken non si meravigliarono più di tanto quando udirono, in lontananza, l’eco delle urla dei cavalieri di Vartas.

Furono quei suoni a dire loro che l’attacco delle donne-lupo, e dei loro compagni, era avvenuto.

Nel giro di pochi attimi, grida di lotta e clangore di spade si levarono tra gli alti pini da resina mentre il fronte principale dell’esercito di Vartas compariva dall’alto della collina.

Aken, annuendo al trombettiere, ascoltò la nota squillante che scaturì dall’ottonato strumento levarsi verso il cielo ed estendersi per tutta la piana.

Questo, avvertì l’esercito dell’arrivo della fanteria nemica che, nell’udire i suoni di lotta provenienti dal vicino bosco, si bloccò e serrò le fila in attesa di ordini.

Soddisfatto dell’attacco a sorpresa sferrato dalle donne-lupo, il giovane principe scorse con la coda dell’occhio i movimenti furtivi delle figlie sacre, già pronte a muoversi sui lati delle coorti di Aken.

Levando un braccio per dare il via all’attacco, il principe di Enerios lanciò un grido spaventoso, che riverberò sinistro tra le pareti naturali che circondavano la piana.

Come un sol uomo, la fanteria si mosse per fronteggiare quella di Vartas mentre i cavalieri, schierati ai due lati dei picchieri – che circondavano i fanti di battaglia – , presero la via dei boschi per dare man forte alle donne-lupo.

Ben presto vi furono solo il caos, le grida, il sangue, la morte.

Fendenti di spade si mescolavano a sibili di frecce e colpi di lance, mentre le urla degli uomini si confondevano con le grida delle donne e gli ululati dei lupi.

Spezzando il fronte nemico con l’attacco a sorpresa delle donne-lupo, Aken aveva reso quasi del tutto inutile la presenza della cavalleria di Vartas.

Vistasi accerchiata in più punti dai lupi e dai cavalieri di Enerios, aveva dovuto retrocedere per unirsi al grosso dell’esercito di fanteria.

Esercito che, in quel momento, stava tentando di forzare le linee anche grazie agli arcieri presenti sul colle da cui provenivano.

Serrando man mano le fila per avere così un esercito più compatto, e utilizzando gli ampi scudi per proteggersi dalle frecce, Aken riuscì finalmente a vedere all’opera la maestria nel combattimento delle donne-lupo.

Armate delle loro corte spade e aiutate dai loro lupi, cominciarono a colpire sul fianco nord la fanteria di Vartas.

Quando, però, entrarono in azione le figlie sacre per respingere l’azione degli arcieri, tutti trattennero per un attimo il fiato, nonostante la battaglia fosse serrata e il tempo per crogiolarsi fosse davvero esiguo.

La loro agilità nel muoversi, e la velocità disumana di cui disponevano per natura, permisero alle figlie sacre di scavalcare di peso la prima difesa formata dalla fanteria.

Questo, concesse al gruppo di donne di puntare direttamente alla fonte principale del problema.

E lì fu il massacro.

Le figlie sacre dello schieramento di Vartas - presenti in numero inferiore rispetto al previsto - si lanciarono contro quelle capitanate da Kreathe, scatenando un autentico putiferio in mezzo lo schieramento nemico.

Cozzando tra di loro come tori alla carica, le figlie sacre iniziarono a menar fendenti con la stessa velocità con cui i lupi azzannavano le prede per ucciderle.

Nel giro di pochissimi secondi, il sangue cominciò a scivolare a fiotti dai corpi di coloro che crollarono sotto i colpi delle nemiche.

Superiori per numero, le figlie sacre devote a Enerios, e non impegnate in combattimento, si occuparono degli arcieri prima dell’arrivo dei rinforzi da parte di Vartas.

Nel frattempo, le loro sorelle impegnate nella lotta diedero fondo a ogni più piccola stilla di energia, per avere il sopravvento sulle nemiche e permettere loro di avere campo libero.

Pur desiderando con tutto se stesso sincerarsi delle condizioni delle sue alleate, che combattevano nei pressi del colle, Aken non ebbe la possibilità di controllare come stessero svolgendosi i fatti.

Quando, però, le frecce smisero di piovere su di loro come fitta pioggia, seppe che il loro gruppo di figlie sacre aveva avuto il sopravvento sul nemico.

I pochi soldati che furono in grado di scorgere l’intera scena dell’assalto agli arcieri, rimasero basiti di fronte a quello spettacolo e non seppero se gioire della loro presenza, o esserne spaventati.

Quei dubbi, in ogni caso, dovettero essere ben presto lasciati in secondo piano quando l’esercito di Vartas, capitanato da un furioso quanto sconvolto Nargan, portò in campo le catapulte.

Facendo un cenno al fratello, non appena si avvide di quelle armi sul campo di battaglia, Aken lo vide scartare immediatamente con il cavallo per raggiungere la sinistra del loro compatto schieramento di forze.

Con brevi, rapide parole, inviò uno dei comandanti delle coorti a predisporre le armi per il contrattacco.

Con un ampio gesto del braccio, Aken fece disserrare le formazioni per creare svariati e più piccoli gruppi di uomini.

Questo avrebbe reso più difficile al nemico concentrare l’attacco su un’unica porzione di campo.

Nel frattempo, lanciando un fischio alla donna-lupo che, dall’inizio della battaglia, era rimasta al suo fianco come portavoce, esclamò a gran voce: “Tocca alle vostre arciere! Devono bruciare le catapulte!”

“Subito!” gridò la donna, dando un semplice colpo di tacco sul fianco del suo cavallo, prima di galoppare velocemente sulla destra del corpo dell’esercito.

Dinanzi a lui, mentre il contrattacco veniva predisposto il più velocemente possibile, i primi colpi di catapulta cominciarono a piovere con violenza.

Rinfoderando la spada, Aken fece scartare il cavallo sulla sinistra mentre teneva d’occhio la fanteria nemica, che si stava allineando sui fianchi della pianura, ben lontana dai colpi delle loro catapulte.

Nel giro di pochi minuti, anche le loro catapulte cominciarono a rispondere al fuoco, cercando con ogni mezzo di disperdere il nemico e rendere inefficaci i suoi affondi lungo il fronte collinare.

Neppure un lancio venne sprecato per distruggere l’arsenale nemico; non era questo lo scopo.

A quello, avrebbero pensato le figlie sacre.

Sguarniti di arcieri che potessero scagliarsi contro le catapulte di Enerios, la fanteria di Vartas dovette correre in ritirata, quando le frecce incendiarie delle figlie sacre cominciarono a bersagliare lo schieramento nemico.

Aiutate dalla loro forza spinta ai massimi regimi, le figlie sacre utilizzarono archi lunghi dall’ampiezza quasi sovrumana, capaci di coprire distanze che, in casi normali, nessun uomo sarebbe stato in grado di eguagliare.

Con micidiale precisione, le frecce raggiunsero una dopo l’altra le piattaforme mobili delle catapulte.

Nel giro di pochissimi minuti, queste presero fuoco, costringendo non pochi uomini a correre ai ripari per non venire a loro volta colpiti dai ferali dardi infuocati.

Di fronte a una simile disfatta, e non sapendo come altro ribattere a quell’attacco sferrato a sorpresa, re Nargan dovette chiamare la ritirata con un grande stridore di trombe.

Mentre le prime nubi si chiudevano sul cielo inaspettatamente tinto di rosso e amaranto, gli eserciti si mossero per terminare le ostilità di quel primo giorno di lotte.

Affannato e stanco, Aken si guardò intorno con aria vagamente confusa, incredulo che le forze in campo si fossero fronteggiate per quasi mezza giornata senza che lui se ne fosse reso conto.

Nel raggiungere Ruak al trotto leggero, si passò una mano sulla fronte madida prima di chiedere con voce roca: “Tutto bene?”

“Sì, sto benissimo. E tu?” annuì Ruak, stiracchiandosi le braccia prima di levare il capo verso l’alto e sospirare strabiliato.

Sogghignando all’indirizzo del fratello minore, Aken chiosò: “Tutto a posto. E neppure io mi sono accorto del passare del tempo.”

“Mi è parso che tutto stesse succedendo in un lampo” esalò eccitato Ruak, prima di aggiungere: “E’ stato qualcosa di strabiliante.”

Osservando il campo di battaglia, dove i chiari segni della lotta erano mescolati al sangue e ai corpi dei caduti, Aken sospirò e replicò mestamente: “Terrificante, direi.”

Seguendone lo sguardo, Ruak tornò immediatamente serio e mormorò: “Dico agli uomini di raccogliere i morti e i feriti.”

“Sì, vai pure. E manda un messaggero a Vartas. Permetto anche a loro di raccogliere i morti. Non voglio ritrovarmi un campo di battaglia assediato dal Bacio di Rostor” annuì torvo Aken, continuando a osservare la piana di Royconea, ormai irriconoscibile ai suoi occhi.

Rabbrividendo, Ruak annuì con fare deciso.

“Non sia mai! Preferirei combattere mille anni, che morire per colpa di quell’orrenda malattia.”

Aken accennò solo un sorriso, ripensando alle volte in cui aveva visto il pallore spettrale prendere possesso dei corpi di coloro che erano stati colpiti dal Bacio di Rostor.

Nessuna cura, nessuna salvezza. Solo una morte indicibile, dolorosa, e per nulla rapida.

I dottori non avevano mai trovato una cura per quel morbo, ma tutti sapevano che cresceva e prosperava sui campi di battaglia, ove i morti erano lasciati a imputridire.

Per nessun motivo avrebbe corso un simile rischio, e sapeva bene che neppure Nargan, per quanto suo nemico, si sarebbe permesso di commettere un simile errore.

La notte era per i morti, e a essi loro si sarebbero dedicati. Non era fatta per le lotte, ma per lo sfrigolare del fuoco e i sussurri delle preghiere.

Sospirando stancamente nel tornare a osservare la piana, Aken scrutò ciò che un tempo  non era stato che prato incolto e fiorito.

Ora, era solo terra divelta in zolle, ricoperta di sangue e morte e totalmente distrutta dal passaggio di cavalli e uomini in armi.

Ogni dove si poteva percepire l’odore metallico della mano della morte.

I suoi figli prediletti, volteggiando sulla spianata all’imbrunire, non attendevano altro che di poter fare fiero pasto di ciò che gli uomini, nel loro sciocco guerreggiare, avevano offerto loro in dono.

Scuotendo il capo, Aken ricondusse il suo stallone in direzione del loro campo, ben lontano dalla zona della battaglia e libero dal fetore mortale che aleggiava su quei terreni.

Quando finalmente raggiunse l’accampamento, nascosto tra il fitto bosco, le tende dei dottori dell’esercito brulicavano già di feriti più o meno gravi.

Così pure avveniva nell’accampamento di Kaihle dove, con sua somma sorpresa, le figlie sacre non erano presenti.

Esse si erano ritagliate un angolo di bosco ben lontane dalle loro sorelle, e stavano occupandosi di ferite più o meno importanti senza essere in alcun modo aiutate dalle compagne di Kaihle.

Fermo sulla propria cavalcatura in contemplazione di quella strana divisione, Aken si volse a mezzo non appena udì la voce del fratello richiamare la sua attenzione.

Atteso che lui gli fosse accanto, gli domandò: “Le hai viste combattere, oggi?”

Ruak annuì, gli occhi leggermente sgranati nell’osservare le figlie sacre.

Con reverenziale timore, asserì: “Non avrei mai immaginato che fossero così forti. Ero in buona posizione per osservarle, quando hanno puntato gli arcieri e, dèi, è stato come veder infrangersi un uragano contro la costa!”

“Capisci cosa intendeva dire Eikhe, mettendoci in guardia?”  chiese allora Aken, continuando a osservare il piccolo accampamento di figlie sacre poco lontano da loro.

“Hai mai visto combattere Eikhe a quel modo?” chiese per contro Ruak, curioso.

“Due volte” annuì Aken, senza scomporsi. “E sono felice che non sia qui, ora.”

“Lo immagino” annuì torvo Ruak, prima di scorgere Aken avviarsi con il suo cavallo in direzione dell’accampamento delle figlie sacre.

Seguendolo dopo un istante di titubanza, Ruak lanciò un breve sguardo in direzione del campo delle donne-lupo, che risposero alla sua occhiata con occhi feroci e sdegnosi.

Nell’accampamento delle figlie sacre, invece, ebbero tutt’altro genere di accoglienza.

Lì, il giovane principe scorse solo stanchezza, curiosità e gentili sorrisi di benvenuto, di certo non astio o disprezzo.

Un clima decisamente più benevolo, si disse Ruak fermando il cavallo accanto a quello del fratello.

Imitatolo, Ruak scese dalla cavalcatura e, assieme a lui, attese che una delle figlie sacre si avvicinasse per parlare, lasciando nel frattempo vagare lo sguardo tra le tante figure presenti nel campo.

Nessuna di loro sembrava essere particolarmente disturbata dalla loro presenza, alcune erano addirittura incuriosite.

Non potendo trattenersi, Ruak si dipinse un sorriso spontaneo sul viso, e ammiccò simpaticamente a coloro che incrociarono il suo sguardo.

A sorpresa, le donne che lo scrutarono di rimando ridacchiarono divertite prima di rimettersi, chi a curar ferite, chi a farsi curare.

Lanciata un’occhiata curiosa in direzione del fratello, Aken sussurrò: “Che stai combinando?”

“Faccio amicizia” chiosò piano lui, prima di zittirsi nel momento in cui vide avvicinarsi una donna dall’aria seria e posata.

Alta di statura e dalle spalle robuste, la figlia sacra che si presentò al loro cospetto li studiò con attenti occhi ambrati, prima di accennare un sorriso e domandare: “Cosa vi porta qui, cavalieri?”

Sorridendo spontaneamente e accennando un breve inchino di saluto, Aken esordì dicendo: “Sono il principe Aken, figlia sacra. Posso esservi di aiuto in qualche modo?”

La donna, dai capelli striati di grigio e la bocca a forma di cuore, lo fissò per un momento con aria sorpresa prima di ridacchiare, abbozzare un inchino e dire: “Non abbiamo bisogno di nulla, principe, ma grazie. Le ferite delle mie compagne non hanno necessità dell’intervento dei tuoi cerusici.”

“Ci sono state perdite?” volle sapere Aken, osservando con quanta calma una donna si stesse facendo sistemare un taglio di una ventina di centimetri su un braccio.

“Quattro, ma era prevedibile, visto con chi ci siamo battute” scrollò le spalle la donna, come se niente fosse. “Mi hanno detto che hai saputo della loro presenza nell’esercito grazie a una nostra compagna; è vero?”

Annuendo, Aken le disse a mo’ di spiegazione: “E’ stato grazie a lei se mi sono salvato, e ho potuto avvisare il mio popolo. Forse la conosci. Si chiama Eikhe, del villaggio di Nestar.”

“La tribù di Kaihle?” esalò la donna, sorpresa.

“Esatto, è la sua figlia minore” annuì Aken.

“Non l’ho mai vista. Ma dici che è come noi, eh?” disse curiosamente la donna.

Ridacchiando, Aken annuì e dichiarò: “Decisamente come voi.”

Scrutando Kaihle, che se ne stava a qualche centinaio di iarde da loro, la donna aggrottò la fronte e borbottò: “Non mi piace scoprire le cose a questo modo. Sei certo che Eikhe sia una figlia sacra?”

“Occhi e pelle dorati, capelli biondo-ramati, forza pari a quella di tre uomini, movenze simili a quelle dei lupi…” la descrisse Aken, annuendo più volte. “… direi che non posso sbagliarmi.”

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, la donna sorrise divertita.

“Hai fatto una descrizione piuttosto particolareggiata. Eikhe ti ha dunque parlato di noi?”

“Sì. Le ho chiesto come mai fosse così rassomigliante a Hyo e al vostro dio, e…”

Interrompendolo con un gesto della mano, la donna chiese con una certa enfasi: “Come sa, un uomo delle pianure, di Hyo e di Hevos? Voi adorate altri dèi.”

“Durante il nostro viaggio, ci siamo recati in un piccolo tempio del dio. Eikhe mi disse che doveva una visita a Hevos, così ho visto i dipinti e la statua” le spiegò Aken, scrollando le spalle con fare noncurante.

Annuendo pensierosa, la donna  sospirò un attimo dopo e mormorò contrita: “Perdonami la scortesia, principe, non mi sono presentata. Mi chiamo Esteria. Mi hai stupito, principe Aken, e in positivo. Il che non avviene molto spesso. Ti devo ringraziare per le informazioni che mi hai dato. Solitamente, vengo sempre informata della presenza di figlie sacre nelle tribù ma, evidentemente, Kaihle non ha ritenuto opportuno avvertirmi.”

Nel dirlo, assottigliò pericolosamente gli occhi ambrati.

“Mi chiedevo cosa avesse spinto il nostro dio a darti manforte, ma ora so il perché. Fin d’ora, ti do la mia parola che, se mai avrai bisogno del mio aiuto, io ti sosterrò.”

Un po’ sorpreso, Aken la ringraziò con un sorriso e disse: “Spero valga anche per mio fratello.”

Sorridendo all’alto giovane al fianco di Aken, Esteria asserì: “Si vede che avete lo stesso spirito. Sì, guarderò anche le sue spalle, se un giorno lo ritenesse necessario.”

“Grazie infinite” sorrise Ruak, permettendosi di prenderle una mano per baciarne il dorso con eleganza.

A quel punto, Esteria scoppiò a ridere e esclamò: “Cielo! Una simile smanceria per un vecchio orso come me!”

Ruak ammiccò e mormorò malizioso: “Non vedo orsi, in giro.”

Anche altre ragazze ridacchiarono e Ruak, con un esagerato inchino, dichiarò: “Sempre pronto a dir fesserie per far sorridere ragazze così belle e coraggiose.”

“Porta via tuo fratello, principe Aken, prima che istupidisca le mie sorelle più giovani!” rise Esteria, sorridendo benevola ad entrambi.

“Credo ti prenderò in parola. Andiamo, Ruak. E smettila di fare il cascamorto” esalò Aken, prendendolo sottobraccio.

“Non stavo facendo niente del genere…” precisò Ruak “… le ringraziavo solamente per il loro importante aiuto.”

“Non lo metto in dubbio, ma ora andiamo” rise Aken, allontanandosi dal campo dopo aver salutato Esteria.

Rimasta sola, Esteria si volse a mezzo non appena udì dei passi avvicinarsi a lei.

Scorgendo la figura leggermente ricurva di Kreathe, la salutò con un leggero cenno del capo prima di dire: “Non mi avevi parlato di questa Eikhe di Nestar.”

“Ammetto la mia colpa, sorella. Nella concitazione di questi tempi, ho dimenticato di fartene cenno” ammise candidamente Kreathe, sorridendole.

Sollevando un sopracciglio con ironia, Esteria celiò: “Kreathe, la tua testa ha più buchi di un formaggio di mucca stagionato. Dimmi, quanti anni ha la fanciulla? O hai dimenticato anche questo?”

Ridendo sommessamente, la donna dichiarò: “Diciassette, forse diciotto. Mi è parsa molto matura, per la sua età.”

L’attimo seguente, scrutò in lontananza la figura dei due principi a cavallo.

“Cosa volevano?”

“Sapere se avevamo bisogno di aiuto” sorrise divertita Esteria, prima di tornare seria e aggiungere: “I giovani principi mi piacciono molto, Kreathe. Sono nobili d’animo, e rispettosi di tutte noi.”

“Ne avevo avuto l’impressione, l’unica volta in cui ho parlato con il principe Aken” annuì soddisfatta Kreathe. “Mi fa piacere sapere che la pensi come me.”

“So riconoscere gli uomini di valore, quando li vedo” ammiccò la donna, prima di chiederle: “Sai come mai Eikhe non sia giunta qui con sua madre? Sarebbe stata un’ottima risorsa in più per la battaglia.”

Kreathe aggrottò la fronte, scuotendo il capo.

“Quando ho chiesto lumi a Kaihle, mi ha cacciata via a male parole.”

Sbuffando infastidita, Esteria commentò aspra: “Prima mi tiene nascosta la nascita di una figlia sacra, poi ti tratta a questo modo. Non la sopporto davvero.”

“Non sei l’unica” brontolò Kreathe. “Un po’ di sidro, amica mia?”

“Volentieri” annuì Esteria, lanciando un ultimo sguardo ai due principi, ormai giunti al loro campo.

***

Dissellati i cavalli e lavato via fango, terriccio e polvere, Ruak e il fratello si sedettero finalmente accanto a un bel fuoco scoppiettante.

Allungato un boccale ad Aken perché glielo riempisse di idromele, il giovane principe gli domandò: “Fratello, non ti è parso che avessero la stessa aura di potere di Eikhe?”

“L’hai notato, eh?” chiosò Aken, ammiccando al suo indirizzo.

Sono diverse, non c’è che dire, ma mi farei difendere mille volte da loro, piuttosto che una volta sola da Kaihle” dichiarò Ruak, rabbrividendo suo malgrado.

“Anch’io, anche perché credo che Kaihle, se potesse, mi pianterebbe un coltello nelle costole” brontolò Aken, sorseggiando pensieroso l’idromele.

“Beh, Esteria ti ha dato il suo appoggio, quindi sei a posto” sorrise Ruak, dandogli una pacca sulla spalla.

“Già” sorrise Aken, sollevato.

“A ogni modo, non pensavo che il corpo di una donna potesse sopportare simili stress fisici. Hai visto quanto erano grossi, gli archi lunghi che hanno usato oggi? Ci dovremmo mettere io e te assieme, per riuscire a incoccare una freccia!” sbuffò Ruak, prima di rabbrividire.

“C’è sangue divino, nelle loro vene” mormorò sommessamente Aken, masticando un pezzo di carne secca, mentre osservava distrattamente l’altalenante danza sinuosa delle fiamme.

Scettico, Ruak sollevò un sopracciglio al suo indirizzo e replicò: “Ma che dici? Non vorrai farmi credere che pensi una cosa simile!?”

Accennando un sorrisino, Aken allungò il piatto con la carne secca al fratello e, dopo averlo servito, tornò a posarlo sull’erba calpestata.

“L’ho visto, Ruak. Hevos, intendo.”

Strabuzzando gli occhi e sobbalzando sulla stuoia di cuoio su cui era seduto, Ruak impallidì leggermente di fronte all’uscita del fratello e, con voce vagamente strozzata, esalò: “Dici… sul serio?”

Annuendo nel grattarsi pensosamente una tempia, Aken mormorò: “Lo incontrammo una notte, nel bel mezzo di un bosco, poco lontano dal confine tra Anarsis ed Enerios. Era un enorme lupo bianco, e scintillava come un fuoco vivo. E parlava.”

“Non ti stai prendendo gioco di me, vero?” sussurrò esterrefatto Ruak, continuando a fissarlo con occhi spalancati e sconcertati.

“No, affatto” scosse il capo il fratello, sorridendogli mestamente. “Mi disse di amare e proteggere Eikhe, perché aveva riconosciuto in me un cuore impavido e puro, degno di rimanere al fianco di sua figlia. Ti pare possibile?”

“Beh, di doti ne hai, fratello ma… cavoli!” esclamò Ruak, decisamente impressionato. “Ribadisco, non mi stai pigliando per i fondelli, vero?”

“Pensi che mi inventerei una cosa del genere? Non credi che la cosa non faccia venire i brividi anche a me, tutte le volte che ci penso?” replicò Aken, adombrandosi. “Ruak, pensa solo a questo. Se esiste lui, significa con tutta probabilità che anche Haaron il dio-corvo, esiste. E se esistono i loro dèi, possono esistere anche i nostri? Può esistere la Vergine Iralva, Colei-Che-Tutto-Creò? O Rostor lo Sfregiato, il Padrone della Notte Eterna? O sono tutti le diverse manifestazioni di un’unica entità divina? Chi può dirlo?”

“Davvero non so risponderti, Aken” sussurrò Ruak, gettando un ciocco di legno nel fuoco.

Lamelle di fiamma sfrigolarono sopra le loro teste, mentre una miriade di scintille scarlatte galleggiavano nell’aria prima di svanire nella notte fosca.

Levando lo sguardo per osservare il viso del fratello maggiore, ripeté: “Non so risponderti. Davvero.”

  
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