Per questo capitolo mi sono in parte ispirata alla battaglia di Austerlitz. Non sempre, avere una posizione elevata durante la battaglia, è sinonimo di vittoria. Buona lettura!
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15.
Le prime avvisaglie della
tempesta in arrivo, si ebbero in una uggiosa mattina di primavera inoltrata.
L’esercito di Aken
presidiava la spianata nei pressi di Royconea da più di un mese, preparandosi alla
lotta e attendendo impaziente che il pericolo giungesse da Anarsis.
Sapevano per mezzo di
pattuglie in avanscoperta, del lauto banchetto che stavano portando avanti
nelle terre sguarnite di protezione che si estendevano oltreconfine.
Aken, però, aveva intenzione
di interrompere alla prima portata quel luculliano pasto e, con i suoi uomini,
avrebbe spezzato quelle fauci spalancate e pronte a divorarli.
Avrebbe ridotto il nemico in
condizioni tali da ritornare sui propri passi, o morire tra quelle lande per
loro straniere.
O, per lo meno, questi erano
i suoi piani.
Scrutando pensieroso le nere
colonne di fumo che si levarono poco oltre il confine, Aken aggrottò la fronte nell’indicarle
al fratello e ai suoi ufficiali, chiosando torvo: “Eccoli che arrivano.”
“Avranno una bella sorpresa,
quando passeranno il fiume” dichiarò uno dei comandanti, sogghignando al suo
fianco. “Non si aspettano che ci sia un intero esercito, nascosto nei boschi.
E, di sicuro, non uno di una simile portata. L’idea di nascondere il grosso
degli uomini tra la boscaglia potrebbe rivelarsi decisiva, in caso di scontro
diretto con il nemico.”
“Lo spero” sospirò Aken,
prima di guardare Kaihle, a pochi passi
da lui, e chiederle: “Ci sono stati avvistamenti di lupi?”
“Sono stati prontamente
uccisi, quindi sanno che qualcosa si nasconde qui, ma non ne conoscono le
dimensioni” spiegò Kaihle tranquillamente, le braccia intrecciate sotto il seno.
“Molto bene” annuì il
principe, tornando a guardare il fumo denso e scuro che si levava dalle colline
oltreconfine.
“Noi ci sposteremo verso
nord per attaccare la colonna dei cavalieri che si trova sul fianco sinistro
dell’esercito di Vartas” dichiarò Kaihle, sempre in tono pacato. “I lupi hanno
già fiutato i cavalli, e ci hanno riferito che la loro posizione non è mutata
nelle ultime miglia, quindi non possiamo sbagliare.”
“Ottimo, procedete come
stabilito. Mi fido del vostro buon senso. Noi penseremo alla fanteria di terra,
mentre le figlie sacre baderanno agli arcieri”
acconsentì Aken, prima di volgersi verso il sergente Kerada per dargli
rapide istruzioni.
Annuendo a più riprese
nell’ascoltare gli ordini dettagliati del principe, il soldato si allontanò in
fretta per riferire il piano di azione agli altri ufficiali presenti sul campo.
Rimasto solo con Kaihle e il
fratello, il principe chiese cautamente: “Posso chiederti una cosa, mia Signora
Kaihle?”
“Dimmi, principe” replicò serafica
lei.
“Una volta finita la guerra,
vorrei venire al villaggio per salutare Eikhe. In fondo, è per merito suo se io
posso combattere per difendere il mio popolo, e volevo ringraziarla” le spiegò
Aken, cercando di non mostrarsi troppo interessato.
“Lei non ti vuole più
vedere” rispose seccamente Kaihle, volgendo lo sguardo per fulminarlo con gli
occhi.
Cercando di non sobbalzare
dalla sorpresa di fronte a parole così dure, Aken la fissò confuso, esalando:
“Come mai, se è lecito chiedere?”
Fissandolo con astio, Kaihle
asserì rigida: “Mi chiedi perché?! Dovresti saperlo! L’hai portata su una via
sbagliata e ora si vuole redimere e, per farlo, non ti deve più vedere. Quindi
ti avverto, non mettere piede nei miei territori o, principe o meno, ti farò
attaccare dai miei lupi.”
Cercando di non risponderle
a tono, Aken dichiarò torvo: “Preferirei sentirlo dalla sua bocca.”
“Allora, preparati a morire.
Non ti permetterò di rovinare ulteriormente mia figlia. Lei vuole dimenticarti,
e io la aiuterò a farlo, perciò stai alla larga da noi, quando tutta questa
follia sarà conclusa” sibilò Kaihle, calando sul viso la sua maschera di
terracotta prima di abbandonare un attonito Aken.
Osservandola allontanarsi
con passo deciso, il principe avvertì una morsa stringergli il petto e,
cercando di riprendere fiato, imprecò sottilmente prima di sentire sulla spalla
la mano comprensiva del fratello.
“Credo sia solo furiosa con
te, ma non penso proprio che Eikhe abbia detto una cosa simile” sussurrò Ruak, sorridendo
timidamente.
“Eikhe non vuole rivedermi” ripeté
ad alta voce Aken, posando una mano sul pomo della spada.
“Non lo credo possibile. La
ragazza che ho visto a Marhna non può aver detto una cosa del genere” ripeté
Ruak con veemenza.
“Allora come te la spieghi, questa uscita?!”
ringhiò il fratello, fissandolo con astio malcelato.
“L’hai detto tu che le loro
leggi non prevedono che si possano innamorare di un uomo, perciò sua madre ha
semplicemente cercato di tenerti alla larga da lei, ma questo non vuol dire che
Eikhe la pensi alla stessa maniera” replicò con logica ferrea Ruak,
accigliandosi a sua volta.
“A ogni modo, la sostanza
non cambia. Non posso andare da lei” sospirò Aken, scrollando il capo,
incredulo.
Possibile che fosse tutto
davvero finito? Che, in tutta la sua vita, non avrebbe mai più incrociato lo
sguardo con le sue calde profondità ambrate?
“Cosa vorresti fare? Mollare
tutto? Solo perché lei ti ha detto di non andare?!” replicò scettico Ruak.
“Che altro posso fare?
Rompere il trattato e scatenare una guerra? Potranno anche essere inferiori
numericamente, rispetto a noi, ma combatterebbero su terreno a loro favorevole,
e sarebbe un bagno di sangue. No, non voglio scatenare una seconda guerra, e
solo per il mio amore per Eikhe. Se Kaihle dice così, sono costretto a cedere e
rimanere in silenzio” gli spiegò suo malgrado Aken, un groppo in gola a rendere
mozza la sua voce.
“Ma… e la tua felicità? Non
vorresti stare con lei?” tentennò Ruak.
“Certo che lo vorrei!”
esclamò Aken. “Cosa credi?!”
Sospirando, il fratello scosse
il capo e asserì: “Sì, lo so, scusami. Rischieresti davvero di far scatenare
una guerra intestina, e non è il caso. Vartas ne approfitterebbe subito.”
“Appunto” commentò aspro
Aken, aggrottando la fronte.
“Pensiamo alla battaglia,
Aken. Se anche non puoi vederla, puoi sempre scriverle, no?” abbozzò un sorriso
Ruak, sfiorandogli un braccio con la mano inguantata.
“Già” sospirò a quel punto
il fratello maggiore, annuendo e cercando di concentrarsi sulla battaglia
imminente.
Entro il giorno successivo,
avrebbero sicuramente cozzato contro la fanteria nemica.
Se le rilevazioni delle
donne-lupo erano esatte, si sarebbero ritrovati le cavallerie reali di Vartas
sul lato nord del loro schieramento.
Un’autentica spina nel
fianco.
Non era piacevole ammettere
che i cavalieri di Vartas rappresentavano la loro maggiore preoccupazione,
perché voleva anche dire che il loro braccio armato a cavallo, al confronto,
aveva ben poche speranze di prevalere.
Per annullare il divario di
forze che esisteva tra di loro, si sarebbero affidati agli attacchi fulminei
delle donne-lupo.
Forti dei loro animali e
della loro capacità di muoversi tra i boschi, avrebbero creato scompiglio nelle
formazioni a V dei possenti cavalieri vartassyan.
Questo avrebbe permesso agli
uomini di Enerios di attaccare più efficacemente quell’imponente, quanto
pericolosa, armata nemica.
La fanteria sarebbe stata
più facile da controbattere, essendo l’esercito di Aken più preparato alla
battaglia a viso aperto, nel corpo a corpo mortale.
Quello era pane per i loro
denti, e di questo nessuno di loro aveva paura.
Enerios poteva contare su
picchieri possenti e dalla resistenza quasi illimitata, che bene si sarebbero
trovati su un campo di battaglia del genere.
Agli arcieri, infine,
avrebbero pensato le figlie sacre.
Una sola volta, in quelle
lunghe settimane di attesa, Aken aveva parlato con la loro comandante in capo,
una donna di nome Kreathe.
Da quell’unico colloquio,
però, il principe era tornato tra i suoi compagni rinfrancato e rassicurato.
Sapeva di avere le spalle
ben coperte, nonostante non avesse mai conosciuto prima quella donna.
Aveva lo stesso spirito di
Eikhe e, anche solo per questo, lui si sarebbe fidato a occhi bendati della sua
mano in battaglia.
Paradossalmente, molto più
di Kaihle, che conosceva da maggior tempo.
Sapeva benissimo che
eliminare gli arcieri era il compito più pericoloso – notoriamente protetti
dalla fanteria e dai picchieri – ma, data la forza e la velocità delle figlie
sacre, avevano speranza di vittoria.
Non si sbagliava, confidando
in loro. Avrebbero prevalso.
***
Appostati nelle loro
posizioni, e nascosti agli occhi del nemico dal fitto bosco, i soldati di Aken
non si meravigliarono più di tanto quando udirono, in lontananza, l’eco delle
urla dei cavalieri di Vartas.
Furono quei suoni a dire
loro che l’attacco delle donne-lupo, e dei loro compagni, era avvenuto.
Nel giro di pochi attimi,
grida di lotta e clangore di spade si levarono tra gli alti pini da resina
mentre il fronte principale dell’esercito di Vartas compariva dall’alto della
collina.
Aken, annuendo al
trombettiere, ascoltò la nota squillante che scaturì dall’ottonato strumento
levarsi verso il cielo ed estendersi per tutta la piana.
Questo, avvertì l’esercito
dell’arrivo della fanteria nemica che, nell’udire i suoni di lotta provenienti
dal vicino bosco, si bloccò e serrò le fila in attesa di ordini.
Soddisfatto dell’attacco a
sorpresa sferrato dalle donne-lupo, il giovane principe scorse con la coda
dell’occhio i movimenti furtivi delle figlie sacre, già pronte a muoversi sui
lati delle coorti di Aken.
Levando un braccio per dare
il via all’attacco, il principe di Enerios lanciò un grido spaventoso, che
riverberò sinistro tra le pareti naturali che circondavano la piana.
Come un sol uomo, la
fanteria si mosse per fronteggiare quella di Vartas mentre i cavalieri,
schierati ai due lati dei picchieri – che circondavano i fanti di battaglia – ,
presero la via dei boschi per dare man forte alle donne-lupo.
Ben presto vi furono solo il
caos, le grida, il sangue, la morte.
Fendenti di spade si
mescolavano a sibili di frecce e colpi di lance, mentre le urla degli uomini si
confondevano con le grida delle donne e gli ululati dei lupi.
Spezzando il fronte nemico
con l’attacco a sorpresa delle donne-lupo, Aken aveva reso quasi del tutto
inutile la presenza della cavalleria di Vartas.
Vistasi accerchiata in più
punti dai lupi e dai cavalieri di Enerios, aveva dovuto retrocedere per unirsi
al grosso dell’esercito di fanteria.
Esercito che, in quel momento,
stava tentando di forzare le linee anche grazie agli arcieri presenti sul colle
da cui provenivano.
Serrando man mano le fila
per avere così un esercito più compatto, e utilizzando gli ampi scudi per
proteggersi dalle frecce, Aken riuscì finalmente a vedere all’opera la maestria
nel combattimento delle donne-lupo.
Armate delle loro corte spade
e aiutate dai loro lupi, cominciarono a colpire sul fianco nord la fanteria di
Vartas.
Quando, però, entrarono in
azione le figlie sacre per respingere l’azione degli arcieri, tutti trattennero
per un attimo il fiato, nonostante la battaglia fosse serrata e il tempo per
crogiolarsi fosse davvero esiguo.
La loro agilità nel muoversi,
e la velocità disumana di cui disponevano per natura, permisero alle figlie sacre
di scavalcare di peso la prima difesa formata dalla fanteria.
Questo, concesse al gruppo
di donne di puntare direttamente alla fonte principale del problema.
E lì fu il massacro.
Le figlie sacre dello
schieramento di Vartas - presenti in numero inferiore rispetto al previsto - si
lanciarono contro quelle capitanate da Kreathe, scatenando un autentico
putiferio in mezzo lo schieramento nemico.
Cozzando tra di loro come
tori alla carica, le figlie sacre iniziarono a menar fendenti con la stessa
velocità con cui i lupi azzannavano le prede per ucciderle.
Nel giro di pochissimi
secondi, il sangue cominciò a scivolare a fiotti dai corpi di coloro che
crollarono sotto i colpi delle nemiche.
Superiori per numero, le
figlie sacre devote a Enerios, e non impegnate in combattimento, si occuparono
degli arcieri prima dell’arrivo dei rinforzi da parte di Vartas.
Nel frattempo, le loro
sorelle impegnate nella lotta diedero fondo a ogni più piccola stilla di energia,
per avere il sopravvento sulle nemiche e permettere loro di avere campo libero.
Pur desiderando con tutto se
stesso sincerarsi delle condizioni delle sue alleate, che combattevano nei
pressi del colle, Aken non ebbe la possibilità di controllare come stessero
svolgendosi i fatti.
Quando, però, le frecce smisero
di piovere su di loro come fitta pioggia, seppe che il loro gruppo di figlie
sacre aveva avuto il sopravvento sul nemico.
I pochi soldati che furono
in grado di scorgere l’intera scena dell’assalto agli arcieri, rimasero basiti
di fronte a quello spettacolo e non seppero se gioire della loro presenza, o
esserne spaventati.
Quei dubbi, in ogni caso,
dovettero essere ben presto lasciati in secondo piano quando l’esercito di
Vartas, capitanato da un furioso quanto sconvolto Nargan, portò in campo le catapulte.
Facendo un cenno al fratello,
non appena si avvide di quelle armi sul campo di battaglia, Aken lo vide
scartare immediatamente con il cavallo per raggiungere la sinistra del loro
compatto schieramento di forze.
Con brevi, rapide parole,
inviò uno dei comandanti delle coorti a predisporre le armi per il
contrattacco.
Con un ampio gesto del
braccio, Aken fece disserrare le formazioni per creare svariati e più piccoli
gruppi di uomini.
Questo avrebbe reso più
difficile al nemico concentrare l’attacco su un’unica porzione di campo.
Nel frattempo, lanciando un
fischio alla donna-lupo che, dall’inizio della battaglia, era rimasta al suo
fianco come portavoce, esclamò a gran voce: “Tocca alle vostre arciere! Devono
bruciare le catapulte!”
“Subito!” gridò la donna,
dando un semplice colpo di tacco sul fianco del suo cavallo, prima di galoppare
velocemente sulla destra del corpo dell’esercito.
Dinanzi a lui, mentre il
contrattacco veniva predisposto il più velocemente possibile, i primi colpi di
catapulta cominciarono a piovere con violenza.
Rinfoderando la spada, Aken
fece scartare il cavallo sulla sinistra mentre teneva d’occhio la fanteria
nemica, che si stava allineando sui fianchi della pianura, ben lontana dai
colpi delle loro catapulte.
Nel giro di pochi minuti,
anche le loro catapulte cominciarono a rispondere al fuoco, cercando con ogni
mezzo di disperdere il nemico e rendere inefficaci i suoi affondi lungo il
fronte collinare.
Neppure un lancio venne
sprecato per distruggere l’arsenale nemico; non era questo lo scopo.
A quello, avrebbero pensato
le figlie sacre.
Sguarniti di arcieri che
potessero scagliarsi contro le catapulte di Enerios, la fanteria di Vartas
dovette correre in ritirata, quando le frecce incendiarie delle figlie sacre cominciarono
a bersagliare lo schieramento nemico.
Aiutate dalla loro forza
spinta ai massimi regimi, le figlie sacre utilizzarono archi lunghi
dall’ampiezza quasi sovrumana, capaci di coprire distanze che, in casi normali,
nessun uomo sarebbe stato in grado di eguagliare.
Con micidiale precisione, le
frecce raggiunsero una dopo l’altra le piattaforme mobili delle catapulte.
Nel giro di pochissimi
minuti, queste presero fuoco, costringendo non pochi uomini a correre ai ripari
per non venire a loro volta colpiti dai ferali dardi infuocati.
Di fronte a una simile
disfatta, e non sapendo come altro ribattere a quell’attacco sferrato a
sorpresa, re Nargan dovette chiamare la ritirata con un grande stridore di
trombe.
Mentre le prime nubi si
chiudevano sul cielo inaspettatamente tinto di rosso e amaranto, gli eserciti
si mossero per terminare le ostilità di quel primo giorno di lotte.
Affannato e stanco, Aken si
guardò intorno con aria vagamente confusa, incredulo che le forze in campo si
fossero fronteggiate per quasi mezza giornata senza che lui se ne fosse reso
conto.
Nel raggiungere Ruak al
trotto leggero, si passò una mano sulla fronte madida prima di chiedere con
voce roca: “Tutto bene?”
“Sì, sto benissimo. E tu?”
annuì Ruak, stiracchiandosi le braccia prima di levare il capo verso l’alto e
sospirare strabiliato.
Sogghignando all’indirizzo
del fratello minore, Aken chiosò: “Tutto a posto. E neppure io mi sono accorto
del passare del tempo.”
“Mi è parso che tutto stesse
succedendo in un lampo” esalò eccitato Ruak, prima di aggiungere: “E’ stato
qualcosa di strabiliante.”
Osservando il campo di
battaglia, dove i chiari segni della lotta erano mescolati al sangue e ai corpi
dei caduti, Aken sospirò e replicò mestamente: “Terrificante, direi.”
Seguendone lo sguardo, Ruak
tornò immediatamente serio e mormorò: “Dico agli uomini di raccogliere i morti
e i feriti.”
“Sì, vai pure. E manda un
messaggero a Vartas. Permetto anche a loro di raccogliere i morti. Non voglio
ritrovarmi un campo di battaglia assediato dal Bacio di Rostor” annuì torvo
Aken, continuando a osservare la piana di Royconea, ormai irriconoscibile ai
suoi occhi.
Rabbrividendo, Ruak annuì con
fare deciso.
“Non sia mai! Preferirei
combattere mille anni, che morire per colpa di quell’orrenda malattia.”
Aken accennò solo un
sorriso, ripensando alle volte in cui aveva visto il pallore spettrale prendere
possesso dei corpi di coloro che erano stati colpiti dal Bacio di Rostor.
Nessuna cura, nessuna salvezza.
Solo una morte indicibile, dolorosa, e per nulla rapida.
I dottori non avevano mai
trovato una cura per quel morbo, ma tutti sapevano che cresceva e prosperava
sui campi di battaglia, ove i morti erano lasciati a imputridire.
Per nessun motivo avrebbe
corso un simile rischio, e sapeva bene che neppure Nargan, per quanto suo
nemico, si sarebbe permesso di commettere un simile errore.
La notte era per i morti, e
a essi loro si sarebbero dedicati. Non era fatta per le lotte, ma per lo
sfrigolare del fuoco e i sussurri delle preghiere.
Sospirando stancamente nel
tornare a osservare la piana, Aken scrutò ciò che un tempo non era stato che prato incolto e fiorito.
Ora, era solo terra divelta
in zolle, ricoperta di sangue e morte e totalmente distrutta dal passaggio di
cavalli e uomini in armi.
Ogni dove si poteva
percepire l’odore metallico della mano della morte.
I suoi figli prediletti,
volteggiando sulla spianata all’imbrunire, non attendevano altro che di poter
fare fiero pasto di ciò che gli uomini, nel loro sciocco guerreggiare, avevano
offerto loro in dono.
Scuotendo il capo, Aken
ricondusse il suo stallone in direzione del loro campo, ben lontano dalla zona
della battaglia e libero dal fetore mortale che aleggiava su quei terreni.
Quando finalmente raggiunse
l’accampamento, nascosto tra il fitto bosco, le tende dei dottori dell’esercito
brulicavano già di feriti più o meno gravi.
Così pure avveniva nell’accampamento
di Kaihle dove, con sua somma sorpresa, le figlie sacre non erano presenti.
Esse si erano ritagliate un
angolo di bosco ben lontane dalle loro sorelle, e stavano occupandosi di ferite
più o meno importanti senza essere in alcun modo aiutate dalle compagne di
Kaihle.
Fermo sulla propria
cavalcatura in contemplazione di quella strana divisione, Aken si volse a mezzo
non appena udì la voce del fratello richiamare la sua attenzione.
Atteso che lui gli fosse
accanto, gli domandò: “Le hai viste combattere, oggi?”
Ruak annuì, gli occhi
leggermente sgranati nell’osservare le figlie sacre.
Con reverenziale timore,
asserì: “Non avrei mai immaginato che fossero così forti. Ero in buona
posizione per osservarle, quando hanno puntato gli arcieri e, dèi, è stato come
veder infrangersi un uragano contro la costa!”
“Capisci cosa intendeva dire
Eikhe, mettendoci in guardia?” chiese
allora Aken, continuando a osservare il piccolo accampamento di figlie sacre
poco lontano da loro.
“Hai mai visto combattere
Eikhe a quel modo?” chiese per contro Ruak, curioso.
“Due volte” annuì Aken,
senza scomporsi. “E sono felice che non sia qui, ora.”
“Lo immagino” annuì torvo
Ruak, prima di scorgere Aken avviarsi con il suo cavallo in direzione
dell’accampamento delle figlie sacre.
Seguendolo dopo un istante
di titubanza, Ruak lanciò un breve sguardo in direzione del campo delle
donne-lupo, che risposero alla sua occhiata con occhi feroci e sdegnosi.
Nell’accampamento delle
figlie sacre, invece, ebbero tutt’altro genere di accoglienza.
Lì, il giovane principe
scorse solo stanchezza, curiosità e gentili sorrisi di benvenuto, di certo non
astio o disprezzo.
Un clima decisamente più
benevolo, si disse Ruak fermando il cavallo accanto a quello del fratello.
Imitatolo, Ruak scese dalla
cavalcatura e, assieme a lui, attese che una delle figlie sacre si avvicinasse
per parlare, lasciando nel frattempo vagare lo sguardo tra le tante figure
presenti nel campo.
Nessuna di loro sembrava
essere particolarmente disturbata dalla loro presenza, alcune erano addirittura
incuriosite.
Non potendo trattenersi, Ruak
si dipinse un sorriso spontaneo sul viso, e ammiccò simpaticamente a coloro che
incrociarono il suo sguardo.
A sorpresa, le donne che lo
scrutarono di rimando ridacchiarono divertite prima di rimettersi, chi a curar
ferite, chi a farsi curare.
Lanciata un’occhiata curiosa
in direzione del fratello, Aken sussurrò: “Che stai combinando?”
“Faccio amicizia” chiosò
piano lui, prima di zittirsi nel momento in cui vide avvicinarsi una donna
dall’aria seria e posata.
Alta di statura e dalle
spalle robuste, la figlia sacra che si presentò al loro cospetto li studiò con
attenti occhi ambrati, prima di accennare un sorriso e domandare: “Cosa vi
porta qui, cavalieri?”
Sorridendo spontaneamente e
accennando un breve inchino di saluto, Aken esordì dicendo: “Sono il principe
Aken, figlia sacra. Posso esservi di aiuto in qualche modo?”
La donna, dai capelli striati
di grigio e la bocca a forma di cuore, lo fissò per un momento con aria
sorpresa prima di ridacchiare, abbozzare un inchino e dire: “Non abbiamo
bisogno di nulla, principe, ma grazie. Le ferite delle mie compagne non hanno necessità
dell’intervento dei tuoi cerusici.”
“Ci sono state perdite?”
volle sapere Aken, osservando con quanta calma una donna si stesse facendo
sistemare un taglio di una ventina di centimetri su un braccio.
“Quattro, ma era
prevedibile, visto con chi ci siamo battute” scrollò le spalle la donna, come
se niente fosse. “Mi hanno detto che hai saputo della loro presenza
nell’esercito grazie a una nostra compagna; è vero?”
Annuendo, Aken le disse a
mo’ di spiegazione: “E’ stato grazie a lei se mi sono salvato, e ho potuto
avvisare il mio popolo. Forse la conosci. Si chiama Eikhe, del villaggio di
Nestar.”
“La tribù di Kaihle?” esalò
la donna, sorpresa.
“Esatto, è la sua figlia
minore” annuì Aken.
“Non l’ho mai vista. Ma dici
che è come noi, eh?” disse curiosamente la donna.
Ridacchiando, Aken annuì e
dichiarò: “Decisamente come voi.”
Scrutando Kaihle, che se ne
stava a qualche centinaio di iarde da loro, la donna aggrottò la fronte e borbottò:
“Non mi piace scoprire le cose a questo modo. Sei certo che Eikhe sia una
figlia sacra?”
“Occhi e pelle dorati,
capelli biondo-ramati, forza pari a quella di tre uomini, movenze simili a
quelle dei lupi…” la descrisse Aken, annuendo più volte. “… direi che non posso
sbagliarmi.”
Sollevando un sopracciglio
con evidente sorpresa, la donna sorrise divertita.
“Hai fatto una descrizione
piuttosto particolareggiata. Eikhe ti ha dunque parlato di noi?”
“Sì. Le ho chiesto come mai
fosse così rassomigliante a Hyo e al vostro dio, e…”
Interrompendolo con un gesto
della mano, la donna chiese con una certa enfasi: “Come sa, un uomo delle
pianure, di Hyo e di Hevos? Voi adorate altri dèi.”
“Durante il nostro viaggio,
ci siamo recati in un piccolo tempio del dio. Eikhe mi disse che doveva una
visita a Hevos, così ho visto i dipinti e la statua” le spiegò Aken, scrollando
le spalle con fare noncurante.
Annuendo pensierosa, la
donna sospirò un attimo dopo e mormorò
contrita: “Perdonami la scortesia, principe, non mi sono presentata. Mi chiamo
Esteria. Mi hai stupito, principe Aken, e in positivo. Il che non avviene molto
spesso. Ti devo ringraziare per le informazioni che mi hai dato. Solitamente,
vengo sempre informata della presenza di figlie sacre nelle tribù ma,
evidentemente, Kaihle non ha ritenuto opportuno avvertirmi.”
Nel dirlo, assottigliò
pericolosamente gli occhi ambrati.
“Mi chiedevo cosa avesse
spinto il nostro dio a darti manforte, ma ora so il perché. Fin d’ora, ti do la
mia parola che, se mai avrai bisogno del mio aiuto, io ti sosterrò.”
Un po’ sorpreso, Aken la
ringraziò con un sorriso e disse: “Spero valga anche per mio fratello.”
Sorridendo all’alto giovane
al fianco di Aken, Esteria asserì: “Si vede che avete lo stesso spirito. Sì,
guarderò anche le sue spalle, se un giorno lo ritenesse necessario.”
“Grazie infinite” sorrise
Ruak, permettendosi di prenderle una mano per baciarne il dorso con eleganza.
A quel punto, Esteria
scoppiò a ridere e esclamò: “Cielo! Una simile smanceria per un vecchio orso
come me!”
Ruak ammiccò e mormorò
malizioso: “Non vedo orsi, in giro.”
Anche altre ragazze
ridacchiarono e Ruak, con un esagerato inchino, dichiarò: “Sempre pronto a dir
fesserie per far sorridere ragazze così belle e coraggiose.”
“Porta via tuo fratello, principe
Aken, prima che istupidisca le mie sorelle più giovani!” rise Esteria,
sorridendo benevola ad entrambi.
“Credo ti prenderò in parola.
Andiamo, Ruak. E smettila di fare il cascamorto” esalò Aken, prendendolo
sottobraccio.
“Non stavo facendo niente
del genere…” precisò Ruak “… le ringraziavo solamente per il loro importante
aiuto.”
“Non lo metto in dubbio, ma
ora andiamo” rise Aken, allontanandosi dal campo dopo aver salutato Esteria.
Rimasta sola, Esteria si
volse a mezzo non appena udì dei passi avvicinarsi a lei.
Scorgendo la figura
leggermente ricurva di Kreathe, la salutò con un leggero cenno del capo prima
di dire: “Non mi avevi parlato di questa Eikhe di Nestar.”
“Ammetto la mia colpa,
sorella. Nella concitazione di questi tempi, ho dimenticato di fartene cenno”
ammise candidamente Kreathe, sorridendole.
Sollevando un sopracciglio
con ironia, Esteria celiò: “Kreathe, la tua testa ha più buchi di un formaggio
di mucca stagionato. Dimmi, quanti anni ha la fanciulla? O hai dimenticato
anche questo?”
Ridendo sommessamente, la
donna dichiarò: “Diciassette, forse diciotto. Mi è parsa molto matura, per la
sua età.”
L’attimo seguente, scrutò in
lontananza la figura dei due principi a cavallo.
“Cosa volevano?”
“Sapere se avevamo bisogno
di aiuto” sorrise divertita Esteria, prima di tornare seria e aggiungere: “I
giovani principi mi piacciono molto, Kreathe. Sono nobili d’animo, e rispettosi
di tutte noi.”
“Ne avevo avuto
l’impressione, l’unica volta in cui ho parlato con il principe Aken” annuì
soddisfatta Kreathe. “Mi fa piacere sapere che la pensi come me.”
“So riconoscere gli uomini
di valore, quando li vedo” ammiccò la donna, prima di chiederle: “Sai come mai
Eikhe non sia giunta qui con sua madre? Sarebbe stata un’ottima risorsa in più
per la battaglia.”
Kreathe aggrottò la fronte, scuotendo
il capo.
“Quando ho chiesto lumi a
Kaihle, mi ha cacciata via a male parole.”
Sbuffando infastidita,
Esteria commentò aspra: “Prima mi tiene nascosta la nascita di una figlia
sacra, poi ti tratta a questo modo. Non la sopporto davvero.”
“Non sei l’unica” brontolò
Kreathe. “Un po’ di sidro, amica mia?”
“Volentieri” annuì Esteria,
lanciando un ultimo sguardo ai due principi, ormai giunti al loro campo.
***
Dissellati i cavalli e
lavato via fango, terriccio e polvere, Ruak e il fratello si sedettero
finalmente accanto a un bel fuoco scoppiettante.
Allungato un boccale ad Aken
perché glielo riempisse di idromele, il giovane principe gli domandò: “Fratello,
non ti è parso che avessero la stessa aura di potere di Eikhe?”
“L’hai notato, eh?” chiosò
Aken, ammiccando al suo indirizzo.
“Sono diverse, non c’è che dire, ma mi farei difendere mille volte
da loro, piuttosto che una volta sola da Kaihle” dichiarò Ruak, rabbrividendo
suo malgrado.
“Anch’io, anche perché credo
che Kaihle, se potesse, mi pianterebbe un coltello nelle costole” brontolò Aken,
sorseggiando pensieroso l’idromele.
“Beh, Esteria ti ha dato il
suo appoggio, quindi sei a posto” sorrise Ruak, dandogli una pacca sulla
spalla.
“Già” sorrise Aken,
sollevato.
“A ogni modo, non pensavo
che il corpo di una donna potesse sopportare simili stress fisici. Hai visto
quanto erano grossi, gli archi lunghi che hanno usato oggi? Ci dovremmo mettere
io e te assieme, per riuscire a incoccare una freccia!” sbuffò Ruak, prima di
rabbrividire.
“C’è sangue divino, nelle
loro vene” mormorò sommessamente Aken, masticando un pezzo di carne secca,
mentre osservava distrattamente l’altalenante danza sinuosa delle fiamme.
Scettico, Ruak sollevò un
sopracciglio al suo indirizzo e replicò: “Ma che dici? Non vorrai farmi credere
che pensi una cosa simile!?”
Accennando un sorrisino,
Aken allungò il piatto con la carne secca al fratello e, dopo averlo servito,
tornò a posarlo sull’erba calpestata.
“L’ho visto, Ruak. Hevos,
intendo.”
Strabuzzando gli occhi e
sobbalzando sulla stuoia di cuoio su cui era seduto, Ruak impallidì leggermente
di fronte all’uscita del fratello e, con voce vagamente strozzata, esalò:
“Dici… sul serio?”
Annuendo nel grattarsi
pensosamente una tempia, Aken mormorò: “Lo incontrammo una notte, nel bel mezzo
di un bosco, poco lontano dal confine tra Anarsis ed Enerios. Era un enorme
lupo bianco, e scintillava come un fuoco vivo. E parlava.”
“Non ti stai prendendo gioco
di me, vero?” sussurrò esterrefatto Ruak, continuando a fissarlo con occhi
spalancati e sconcertati.
“No, affatto” scosse il capo
il fratello, sorridendogli mestamente. “Mi disse di amare e proteggere Eikhe,
perché aveva riconosciuto in me un cuore impavido e puro, degno di rimanere al
fianco di sua figlia. Ti pare possibile?”
“Beh, di doti ne hai,
fratello ma… cavoli!” esclamò Ruak, decisamente impressionato. “Ribadisco, non
mi stai pigliando per i fondelli, vero?”
“Pensi che mi inventerei una
cosa del genere? Non credi che la cosa non faccia venire i brividi anche a me,
tutte le volte che ci penso?” replicò Aken, adombrandosi. “Ruak, pensa solo a
questo. Se esiste lui, significa con tutta probabilità che anche Haaron il
dio-corvo, esiste. E se esistono i loro dèi, possono esistere anche i nostri?
Può esistere la Vergine Iralva, Colei-Che-Tutto-Creò? O Rostor lo Sfregiato, il
Padrone della Notte Eterna? O sono tutti le diverse manifestazioni di un’unica
entità divina? Chi può dirlo?”
“Davvero non so risponderti,
Aken” sussurrò Ruak, gettando un ciocco di legno nel fuoco.
Lamelle di fiamma
sfrigolarono sopra le loro teste, mentre una miriade di scintille scarlatte
galleggiavano nell’aria prima di svanire nella notte fosca.
Levando lo sguardo per
osservare il viso del fratello maggiore, ripeté: “Non so risponderti. Davvero.”