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Autore: Sten__Merry    06/12/2011    5 recensioni
Una mattina qualunque, il sole, lo strepitio della gente e due occhi scuri.
*
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Antony Costa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci col nuovo capitolo.
Sono piuttosto fiera della scena iniziale, l'ho sentita tanto nello scriverla. Ci terrei davvero a sapere che ne pensate!
Bacino.


S.


_____

La sua mano si spostò lenta dal mio mento e con la punta dei polpastrelli dell'indice e del medio accarezzò lentamente le mie labbra socchiuse, le sue dita salirono seguendo la curva del mio naso e scesero di nuovo, sempre più lente.
I suoi occhi nei miei.
Rabbrividii.
Alzai la mia mano destra fino a toccare la sua e, senza mai staccare lo sguardo dal suo, ne accarezzai il palmo, quasi senza sfiorarlo, dolcemente.
I sorrisi erano spariti dalle nostre labbra e si eran rifugiati nello sguardo fattosi ormai languido in quella fredda serata londinese.
Improvvisamente chiuse la mano in una salda presa sulla mia e mi trascinò lontano dal centro della strada, io lo seguii come in trance, due passi dietro di lui, mi sentii strattonare in un gesto pieno di dolcezza e al contempo di forza. Mi ritrovai con la schiena appoggiata ad un muro di mattoni rossi.
Le persone attorno a noi non esistevano, provai a tornare in me, ma staccare gli occhi dai suoi sembrava impossibile, come se la magia in cui eravamo caduti fosse troppo forte perché noi potessimo in qualche modo romperla, eravamo totalmente in sua balia.
Ci cullava, ci controllava, ci gratificava.
Un artista di strada ad un centinaio di metri da noi iniziò a cantare e, solo la sua voce, attutita e velata, riuscì a far breccia nelle nostre barriere ed entrare in quell'universo in cui c'eravamo solo io, lui, e le nostre accennate carezze.
Non ebbe bisogno di parlare, dal suo sguardo capii ed annuii. Senza neppure accorgermene mi ritrovai stretta a lui, il viso appoggiato alla sua spalla sinistra con gli occhi vacui rivolti  alla vita che, ignara di noi, continuava a svolgersi attorno.
Le sue mani strette ai miei fianchi, le mie braccia attorno al suo collo.
Iniziammo a ballare timidi, sulle note di quel ragazzo che inconsciamente si era appena tramutato nella colonna sonora della nostra serata.
Ondeggiavamo piano, spostando il peso prima a destra, poi a sinistra, semplici.
Allontanai il viso dalla sua spalla e mi misi in maniera tale da guardarlo negli occhi. Non appena catturai il suo sguardo sentii una sensazione di sollievo di cui neppure mi ero accorta di aver bisogno, capii che quegli occhi sarebbero diventati la mia droga, solo pochi secondi senza guardarli e mi ero sentita come un bambino che, non vedendo la madre per pochi minuti, si sente orfano, ferito, punito.
Lasciò la presa ai miei fianchi e con il dito indice scostò una ciocca di capelli che mi era caduta molesta sul viso, non si allontanò dalla mia faccia però, decise di regalarmi una carezza morbida alla guancia sinistra, dall'alto verso il basso.
Di nuovo si fermò sul mento, sorrise, accennai un sorriso a fatica e ritornai seria, persa in quegli occhi esotici, lui mi imitò.
Smise di ballare e fece scivolare la mano dal mento alla nuca, iniziando a massaggiarla lieve.
Feci un impercettibile passo verso di lui. Il segno che attendeva.
Lo vidi chinarsi leggermente verso di me, chiusi gli occhi.
Le sue labbra erano morbide, appena screpolate dal freddo della serata, profumavano di lui.
Quel bacio profumava di lui.
La città parve tacere tutto un tratto attorno a noi.
Sentivo solo il suo respiro, calmo e profondo, in contrasto coi nostri cuori che battevano forti e veloci, li riuscivo a percepire entrambi, il suo amplificato nel mio corpo, ed il mio nel suo, tanto eravamo vicini.
Socchiusi leggermente le labbra, il contatto tra noi si fece più intenso, il braccio che mi cingeva la vita da dietro strinse la presa e mi spinse ancora più verso di lui, le miei mani dapprima aperte si chiusero sul suo petto, quasi ad aggrapparmi ad Andrew per non permettere a quel momento di giungere al termine.
Pausa, senza staccarci, solo per respirare.
Gli mordicchia dolcemente il labbro inferiore, lo sentii sospirare. Tornò a baciarmi a metà tra la frenesia e il timore.
Portai una mano tremante alla sua guancia, il palmo aperto vi si appoggiò titubante.
Mi accorsi che non portava nessun tipo di profumo, quello che di lui mi aveva ipnotizzata, mentre le nostre labbra lottavano per non allontanarsi neppure per prendere fiato, era l'odore naturale della sua pelle.
“Mi ricorda le mandorle” pensai, divertita, e nel bacio incrinai leggermente gli angoli negli occhi in un cieco sguardo sorridente.
Dopo un periodo di tempo che non saprei definire ci allontanammo lievemente l'uno dall'altra, le nostre fronti continuarono a toccarsi, le bocche a pochi centimetri, gli occhi dell'una in quelli dell'altro.
Sorrise.
Sorrisi, nervosa, forse anche un po' infastidita per la fine di quel momento così intimo tra noi. Mi mossi per staccarmi da lui, pensando che quell'istante fosse terminato, ma Andrew mi prese con forza le spalle e mi diede un ultimo, veloce bacio sulle labbra. Stavolta senza indugiare, quasi a farmi capire che non gli era bastato, ma che non osava chiederne ancora, come se temesse di consumarmi.
Sospirai, sollevata.
Non ero una tacca sulla sua cintura, di questo ero certa, me l'aveva fatto capire con estrema chiarezza con quegli occhi scuri e penetranti.
“E' stato” mi fermai un attimo fingendo di riflettere “interessante” scherzai imbarazzata, lui scoppiò a ridere
“Mi chiedevo quando ti saresti lasciata avvicinare” spiegò lui, lo sguardo soddisfatto, felice forse, io mi strinsi nelle spalle un attimo, senza smettere di sorridere
“Andrew, ci conosciamo da tre giorni” risposi, scostandomi i capelli dal viso simulando un atteggiamento di spocchia “dovevo farmi desiderare almeno un po'”, lui fece vibrare le labbra l'una contro l'altra
“ma sentitela!” poi spense un istante quello sguardo divertito, allungò la mano e mi tirò a sé un'altra volta, il mio corpo si appoggiò perfettamente al suo, ci scambiammo un bacio veloce, profondo, sentito, poi, con le mani, allontanò il mio viso dal suo di pochi centimetri e fissandomi negli occhi sussurrò
“ma che diavolo di effetto mi fai?” arrossii e cercai di guardare al di là della sua testa, in imbarazzo. Di nuovo la lontananza tra noi venne bruscamente ridotta, Andrew avvicinò le labbra al mio orecchio, a quella distanza per cui io stessa non riuscivo a comprendere se mi stesse sfiorando o meno
“ma mi piace” sussurrò in una veloce confessione, il suo respiro scese leggero sul mio collo. Immobilizzata, rabbrividii, sospirando rumorosamente.
“Smettila” lo avvertii, a metà tra il divertito e il serio.
 Nella mia frase non c'era malizia, mi accorsi, quasi sorpresa.
Il mio corpo rispondeva troppo velocemente a tutti gli input che quel ragazzo greco mi mandava. Sapevo che, chiusa in quell'abbraccio, ero totalmente in sua balia.
Ero sorpresa del timore che provavo per quella sensazione perché prima di mettermi con Manuel ero una ragazza piena di iniziativa, amante del contatto fisico, incapace di tenere le mani lontane dall'uomo che mi interessava, ora invece, davanti a quel brivido che dal collo era sceso fino ai fianchi, mi stavo accorgendo che dopo tutti questi anni da sola avevo paura dell'intimità con un uomo.
Il mio corpo lo desiderava intensamente, la brama di lui quasi faceva fisicamente male, la mia mente, però, lottava.
Manuel aveva distrutto, pezzo per pezzo, la sicurezza che un tempo avevo e ora l'idea di mostrarmi senza difese ad un altro uomo mi terrorizzava.
“Fa freddo” dissi senza ancora posare lo sguardo su di lui, lui sciolse l'abbraccio che ci univa per togliersi la giacca di pelle scura e me la fece scivolare sulla spalle
“Vieni” mi invitò con tono dolce cingendomi con il braccio “ti riporto in albergo. Domani ti aspetta una giornata faticosa” annuii, sorprendendomi di quanto fosse premuroso.
Era come se avesse gettato la maschera da burlone che aveva tenuto fino a quel momento, ora che le carte in tavola erano state scoperte.
Iniziammo a camminare silenziosi, l'atmosfera era tranquilla ora, tutto sembrava al proprio posto, anche se probabilmente entrambi stavamo interrogandoci sulle conseguenze di quel bacio.
Il mio istinto mi diceva di fidarmi di lui, che quel ragazzo con le braccia così forti, con quell'abbraccio così caldo e sicuro, mi avrebbe protetta da tutto e tutti, che lui non mi avrebbe ferita.
La mia mente non sembrava, però, essere d'accordo; la mia testa non riusciva a dimenticare che anche Manuel era stato fantastico all'inizio, ma poi, un giorno, aveva cambiato idea, non ero stata più abbastanza interessante per lui e mi aveva buttata via come un documento ufficiale un tempo importante ma che ormai è diventato obsoleto ed inutile.
Niente e nessuno mi avrebbe garantito che anche Andrew non mi avrebbe ferita, la mia mente lo sapeva, il mio cuore, dal canto suo, voleva cercare di ignorarlo, questa volta sentivo di dovermi buttare, il mio istinto aveva bisogno di risvegliarsi.
Mentre camminavamo mi ero accorta che i marciapiedi erano molto più sgomberi di qualche ora prima, ed ora riuscivamo a muoverci senza che nessuno ci urtasse, così, quando sentii il mio accompagnatore irrigidirsi improvvisamente mi fermai di scatto, lasciandomi scivolare di nuovo nella realtà.
Di fronte a noi un ragazzo alto e muscoloso sorrideva incantevole, aggrovigliata al suo braccio una ragazza di una bellezza disarmante, una di quelle bellezze che riuscivano con uno sguardo a farti sentire mediocre. Anche lei sorrideva, poi, però, quando i suoi occhi passarono da Andrew a me la sua espressione si fece seria e un po' sorpresa
“Ehy, Simon” i due ragazzi si salutarono stringendosi la mano e abbracciandosi velocemente “Questa è Cassandra” mi presentò. Fui lieta quando decise non darmi una qualsiasi qualifica in relazione al tipo di rapporto che stavamo costruendo.
Gli strinsi la mano guardandolo negli occhi che eran talmente perfetti da sembrare definiti con un sottile tratto di matita scura.
Nonostante il suo grande sorriso non potei non notare che anche lui sembrava piuttosto confuso. In ogni caso decise di ignorare qualsiasi tipo di dubbio lo avesse colpito in quell'istante e mi presentò la donna che lo accompagnava
“Lei è Maria” disse indicando la ragazza che teneva  a braccetto, sorrisi velocemente e lei fece lo stesso mentre ci stringevamo la mano
“Che ci fate ancora in giro?” chiese lei, socchiudendo un po' gli occhi guardando Andrew
“Siamo andati a vedere uno spettacolo” spiegai, ma subito fui interrotta dal mio accompagnatore che si affrettò a congedarsi dai due nostri interlocutori spiegando che il giorno dopo sarebbe stata una lunga giornata per me
“Ti chiamo dopo” dichiarò al suo amico, Simon annuì
“Ci vediamo presto” dissi muovendo le dita di una mano in segno di saluto mentre Andrew mi trascinava via.
Tuttavia non riuscì ad allontanarmi abbastanza in fretta da impedirmi di sentire la ragazza dai lunghi capelli corvini dire al suo compagno uno stizzito
“Ma che cavolo combina?”.
Non le diedi peso, ero felice, la serata profumava di mandorle.
“Come mai siamo corsi via così di fretta?” chiesi, un po' stupita dall'atteggiamento di Andrew, che si si strinse nelle spalle prima di spiegarmi che quel ragazzo era un suo amico e collega di lavoro, a cui aveva promesso di lavorare quella sera quando invece era uscito con me.
Mi sentii più sollevata, trovando nelle sue parole una buona giustificazione per l'atteggiamento inquisitorio dei due ragazzi che avevamo incrociato poco prima.
L'insegna dell'hotel si faceva sempre più grande davanti a noi, iniziai a interrogarmi su come avrei dovuto comportarmi una volta giunti a destinazione.
“Beh, io sono arrivata” dissi restituendogli la giacca davanti alla porta della hall dell'hotel “ti inviterei a salire, ma non ho nulla da offrirti” pessima scusa, mentre la dicevo già mi pentivo per quanto suonasse sciocca, lui sorrise e scosse appena la testa
“Tranquilla. Devo chiamare Simon ed mettermi subito al lavoro. Devo recuperare ciò che non ho fatto stasera” annuii
“Buonanotte, allora” lo salutai, lui mi prese il meno tra l'indice e il pollice e si chinò a baciarmi velocemente, solo poggiando le labbra alle mie
“Buonanotte a te, sogni d'oro” sorrisi e con un cenno delle dita della mano destra gli rivolsi un ultimo veloce segno di congedo, mi diressi verso la stanza, non appena ne spalancai la porta risi, presi il telefono tra le mani e gli scrissi un sms
“Alla fine sei riuscito a trovare un modo per non aiutarmi a sistemare la stanza”, subito la risposta
“Noi uomini oggetto sappiamo inventarci di tutto pur di non lavorare” risi di nuovo, lasciai cadere il telefono sulla valigia e scivolai nel letto.
Quello fu l'ultimo ricordo di quella giornata.
   
 
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