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Autore: Beatrix Bonnie    06/12/2011    2 recensioni
-Seguito de La sorella perduta- Dopo aver assistito all'entusiasmante finale della Coppa del Mondo di Quidditch e dopo esser rimasti terrorizzati dalla comparsa del Marchio Nero, Mairead, Edmund e Laughlin torneranno al Trinity per affrontare il loro quarto anno, sperando, questa volta, di uscirne indenni. Ma non potranno certo immaginare che cosa è stato preparato per quell'anno! Tra altezzosi cugini purosangue, gelosie e invidie, misteriosi tornei, scuole di magia lontane e sconvolgenti novità, i tre amici metteranno a dura prova la loro amicizia...
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 20

Drastiche soluzioni





Meccorin Deamundi, undicesimo conte di Con Cetchthach, sistemò le pieghe del suo lungo abito nero. Non che il suo guardaroba ospitasse vestiti di tanti altri colori, in realtà, ma quella volta la scelta cromatica era dettata dalle circostanze. Mentre si allacciava il cravattino del suo completo, i cupi occhi blu gli caddero sulla pagina del Corriere che aveva appena finito di leggere. Il suo sguardo si accigliò ulteriormente, nel vedere la foto seria della signora raffigurata sul giornale. Non c'era più religione, a quel mondo.

In quel momento qualcuno bussò alla porta e Meccorin ordinò di entrare. I suoi due figli Cassian, il più grande nonché futuro erede del titolo, e Tricolon entrarono rispettosamente nella stanza, chinando il capo in segno di sottomissione. «Padre, avete richiesto la nostra presenza?» chiese Cassian.

Il conte Deamundi prese il giornale dallo scrittoio e mostrò la pagina con l'articolo ai due figli. Il più grande afferrò il Corriere e lesse velocemente il trafiletto. «È un oltraggio al nostro orgoglio di Purosangue» commentò con disgusto, passando l'articolo al fratello. «Non c'è nulla che possiamo fare?»

«Quello che c'era da tentare, è stato tentato» rispose il conte, con un sospiro drammatico.

Cassian, allora, si guardò intorno con fare circospetto, poi osò sussurrare: «Padre, nemmeno discutendone con... voi-sapete-chi?»

Il conte di Con Cetchthach stritolò con un gesto convulso il bordo della sua veste. «Ci ho provato, ovviamente, ma non ha voluto sentire ragioni» rivelò, mentre una smorfia di repulsione gli attraversava il volto. «Dice che è una buona legge, lui!» sbottò, alzando il pugno al cielo. «Che salva le apparenze e fa contenti tutti. È un oltraggio, dico io! Un oltraggio al buon nome di maghi irlandesi!»

Dopo quello sfogo, il conte sembrò calmarsi. «Lui cerca sempre compromessi. Un vero uomo politico» mormorò con un sospiro rassegnato.

«No, ormai bisogna intervenire in modo drastico» decretò infine.

Tricolon finì di leggere l'articolo e ripiegò con cura il giornale, per appoggiarlo di nuovo sullo scrittoio. «Padre, dall'ultima volta le hanno messo addosso una scorta» commentò, con un certo rammarico nella voce.

«Lo so, ma...» cominciò a dire Meccorin Deamundi, ma fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta. «Avanti».

Daireen Cumhacht entrò nella stanza con un breve inchino. «Condoglianze, signor conte».

Deamundi le rivolse un accenno di sorriso, poi guardò con profondità i suoi figli e infine tornò a voltarsi verso Daireen. «È ora che cominciate a lavorare assieme e i vostri obiettivi diventino un unico obiettivo».

Daireen e i due figli Deamundi si scambiarono occhiate perplesse: nessuno sapeva quale compito fosse stato affidato agli altri e quindi non capivano come potessero collaborare.

«Colpirete i vostri due obiettivi quando saranno entrambi al Trinity» spiegò il conte, dirigendosi verso una piccola dispensa che si trovava nel suo studio.

«Ma, padre, come possiamo agire sotto il naso di Captatio?» si informò Tricolon, con una certa perplessità.

Meccorin Deamundi sussurrò una parola d'ordine e la credenza si aprì, rivelando una serie di ampolline e vasetti contenenti strani liquidi o cose galleggianti non meglio identificate. «Il naso di Captatio è sproporzionatamente grosso, ma non può tenere conto di tutto quello che entra ed esce dalla sua scuola, ora che c'è il Torneo» rispose Meccorin, con un sorriso di pura perfidia disegnato sulle sue labbra pallide. «Vediamo chi ha studiato pozioni, per oggi» sogghignò, afferrando un'ampolla contenente del liquido rosso scuro e una scatolina di legno. «Qual è l'undicesimo utilizzo del sangue di drago, unito alla Polvere dell'Ossessione?»

I tre allievi improvvisati si scambiarono sguardi d'intesa. Non c'era bisogno di rispondere a quella domanda: sapevano tutti dove sarebbe andato a parare il discorso del conte.

Solo una perplessità restava sospesa nell'aria: «Come possiamo, signore?» chiese in un sussurro Daireen Cumhacht.

Il conte Deamundi appoggiò gli ingredienti sullo scrittoio, poi spiegò: «Voi preparate la pozione, dopodiché basta solo farla bere a uno qualsiasi di coloro che avranno il permesso di entrare al Trinity per la preparazione dell'ultima prova del Torneo. Il resto verrà da sé».

Daireen annuì, anche se quello non era il suo modo preferito di agire: trame e sotterfugi per restare impuniti non le piacevano. Avrebbe preferito sporcarsi le mani con il sangue dei suoi avversari, piuttosto che agire nell'ombra e architettare piani ingegnosi.

Il conte Deamundi lo sapeva, ma era anche certo che convenisse usare prudenza. «Verrà il tempo, sorella Daireen, in cui non saremo più costretti a nasconderci» le rivelò, mettendole una mano sulla spalla. «L'EIF risorgerà grandioso a guida dell'Irlanda intera!» tuonò, ma poi tornò calmo. «Fino ad allora, però, ci conviene agire con discrezione».

Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta e il volto serio di Andalysia fece capolino nella stanza. «Padre, è arrivata Sua Eminenza il cardinal Saiminiu» annunciò in un sussurro.

Il conte Deamundi annuì. Era richiesta la sua presenza per cominciare la cerimonia. «È ora di andare» decretò con un tono severo.

Quando raggiunse l'ingresso, Meccorin intercettò subito, tra gli altri ospiti, la figura corpulenta del cardinal Saiminiu. Riservando cenni di saluto a parenti e amici vari, si diresse senza esitazione verso il cardinale. «Vostra Eminenza, non sono più riuscito a farvi le condoglianze di persona per la perdita di vostro fratello» gli disse, baciando l'anello del mago.

L'uomo annuì con gravità. «Sextans* era ammalato da tempo e ha lasciato questo mondo forse troppo giovane. Ma chi siamo noi per contrastare il volere di Nostro Signore?» mormorò il cardinale, con quella sua voce profonda e raschiante. «Ora, comunque, siamo qui per vostra madre. Vogliamo far cominciare il corteo verso la cattedrale di Dubh Cliathan?»

Il conte Deamundi rispose con un accenno di sorriso. «Certamente».

Era raro che la Diocesi di Temair concedesse la Cattedrale di san Patrizio per cerimonie private, ma i Deamundi contavano ancora qualcosa nella società magica. E non tutti i funerali venivano celebrati dal cardinal Antilius Saiminiu, ma Evangeline O'Brian vedova Deamundi poteva godere di certi privilegi, anche da morta.

La cerimonia fu piuttosto essenziale, in realtà: il conte Deamundi non amava le esasperate esteriorizzazioni di dolore, e su questo si trovava d'accordo con il cardinal Saiminiu. Dopo il breve rito in chiesa, la processione si spostò al cimitero, dove Evangeline sarebbe stata seppellita nella cappella di famiglia dei Deamundi.

Osservando la compostezza e lo stoicismo con cui il conte affrontava la morte della madre, molti ospiti ne rimasero stupiti e lodarono la fermezza di quell'uomo. Solo i due nipoti più giovani avevano gli occhi un po' arrossati, segno delle lacrime versate per la nonna.

Ma vi era qualcuno che non credeva in quel composto dolore.

«Nemmeno per sua madre ha il buon gusto di piangere!» sbottò Josephine, scuotendo la testa. Il figlio Reammon le mise una mano sulla spalla, nel tentativo di consolarla. Lei gli rivolse un sorriso stiracchiato, poi si asciugò fugacemente una lacrima che le attraversava la guancia. Il suo rimpianto, il rimpianto dei sopravvissuti, era di non essere stata vicina a sua sorella quando poteva. Ora era troppo tardi.

«Quanto deve aver sofferto, negli ultimi anni, da sola in quella casa tetra con un figlio che la odiava. Credo che alla fine si fosse pentita di aver sposato un Deamundi, ma era troppo orgogliosa per ammetterlo» mormorò, cercando di reprimere i singhiozzi. «Le volevo bene, nonostante tutti i nostri dissapori. In fondo, era mia sorella!»

«Lo so, mamma. Lo so» le rispose Reammon, abbracciandola. I suoi occhi, nel frattempo, saettavano in direzione del conte di Con Cetchthach, che si era già voltato verso di loro un paio di volte e gli aveva lanciato occhiate furenti.

Solo quando la tomba di famiglia fu nuovamente sigillata, Meccorin Deamundi si fece loro incontro con passo deciso. «Non siete i benvenuti» decretò, con una smorfia di disgusto.

«Evangeline era mia sorella e ho tutto il diritto di venire al suo funerale» rispose Joey, con lo stesso cipiglio severo del nipote.

Il conte Deamundi si concesso uno sbuffo. «Sono sicuro che lei non vi avrebbe voluti qui».

«Io credo che sia tu a non volerci qui» intervenne Reammon con voce dura, per nulla intimidito. «Non vuoi che si sappia in giro che il conte della nobile casata Deamundi ha uno zio Nato Babbano e un cugino che sposò una donna inglese. Del cui assassinio, lo so benissimo, sei tu il mandante».

Meccorin gli si avvicinò, fino a che i loro nasi quasi non si sfiorarono. Nessuno dei due abbassò lo sguardo, nessuno dei due retrocedette di un solo passo. Era una sfida.

«Verrà il giorno in cui i legami di sangue non basteranno più a tenerti lontano dai guai, Reammon» sussurrò il conte Deamundi, con una smorfia.

Reammon si lasciò sfuggire un sorrisetto beffardo. «Prego il cielo perché quel giorno arrivi presto, Meccorin» replicò, con l'aria di uno che non aspettava altro. «Perché quel giorno, ce la vedremo solo io e te. E te la farò pagare per tutti i tuoi crimini».


Il professor Captatio aveva avvertito i tre campioni che l'ultima prova si sarebbe tenuta il pomeriggio del giorno 24 giugno. Edmund aveva passato gli ultimi mesi che lo separavano dalla prova a cercare in biblioteca e studiare degli incantesimi di attacco e difesa, visto che il quel frangente si era rivelato piuttosto scarso. Ne imparò alcuni molto interessanti, come l'Incantesimo di Ostacolo, che bloccava l'aggressore, o quello di Disarmo, anche se dubitava che la prova prevedesse lo scontro con altri maghi.

La sera del 23 giugno, Edmund, Laughlin e Mairead, finalmente loro tre da soli senza Connery o Dominique o Faonteroy, si ritrovarono in riva al lago ad osservare gli uomini del ministero che preparavano la terza prova. Era stato spiegato ai campioni che sarebbero stati costruiti tre ponti sul lago: li avrebbero dovuti attraversare per raggiungere la coppa. Nessuno aveva parlato di ostacoli, ma ovviamente era ovvio che ne avrebbero dovute affrontare.

«È bello stare un po' tra noi, come ai vecchi tempi» sussurrò Edmund, osservando gli uomini al lavoro.

«Già...» mormorò Laughlin, quasi sovrappensiero.

Ma proprio in quel momento Koen Jansen, il ragazzo boero della Reclife High School, che stava passeggiando sul lungolago, li vide e li salutò. «Posso unirmi a voi?» chiese con quel suo tono un po' apatico.

Edmund mugugnò qualcosa, ma sapeva che non sarebbe stato molto gentile cacciarlo via. Così Jansen si sedette sull'erbetta umida vicino a loro.

«Wedge ti ha scaricato?» domandò Edmund, con un certo sarcasmo, visto che i due andavano sempre in giro assieme.

Jansen non colse il tono sarcastico o forse preferì lasciar perdere. «No, lui voleva andare a dormire presto, questa sera» rispose con semplicità. Per un po' restarono in silenzio ad osservare i maghi del ministero che preparavano i ponti per la prova. La luna si rifletteva pallida sulla superficie del lago, mentre un venticello fresco soffiava dal mare. «Non è così male come sembra, comunque, Hewa» sospirò Jansen dopo un po'.

«Però sembra parecchio male» commentò Edmund, con una certa acidità.

«Sai, non è così semplice essere l'unico bianco in una scuola di tutti neri» rivelò Jansen, con un sospiro. «Da quando è stata istituita la Reclife, la prima scuola per tutti dopo il crollo dell'apparthaid, i figli dei coloni bianchi preferiscono gli istituti della madrepatria, oppure hanno un istruttore privato. I ricchi bianchi non mandano i loro figli a scuola con i negri. Io... sono una mosca bianca. E come tale vengo trattato» spiegò. Dopodiché sollevò un lembo della sua camicia e mostrò una lunga cicatrice sul fianco sinistro. «Questa me la feci al primo anno. Dei ragazzi più grandi mi aggredirono perché ero un bianco e riversarono contro di me tutto l'odio che provavano per quegli europei che li avevano discriminati, maltrattati e schiavizzati per secoli» mormorò con un tono avvilito. «L'unico che non bada a quale sia il colore della mia pelle è Hewa. A lui non importa. Lo so, ha anche tanti difetti, è pieno di sé e maledettamente ambizioso, ma è l'unico che mi accetta per quello che sono».

«Sta facendo di tutto per vincere questo stupido Torneo!» si lamentò Edmund, a cui ancora bruciava il fatto di essere stato abbandonato tra i tentacoli del platano, dopo che lui l'aveva aiutato.

Jansen si concesse un sorrisetto comprensivo. «Lo so. Vuole dimostrare a tutti quello che vale, far sapere al mondo che anche un ragazzo di colore ha le carte in regola per vincere un torneo internazionale».

«Non mi interessa per cosa combatte. Ognuno combatte per qualcosa» rispose Edmund, mentre i suoi occhi indugiavano su Mairead. «Abbiamo tutti il diritto di riuscire a vincere».

Edmund osservò ancora per un attimo gli uomini al lavoro e vide che uno di quelli con la divisa blu della ditta di trasporti, che era stata chiamata per montare le tribune e il palco su cui si trovava la coppa, continuava a voltarsi ossessivamente verso di loro. Non gli piaceva, non gli piaceva per niente.

«Torniamo dentro, dai, che si è fatto tardi» consigliò infine, crucciato.

I ragazzi annuirono e insieme si diressero nuovamente verso il castello. Prima di entrare dal pesante portone d'ingresso, Edmund vide che l'operaio li stava ancora fissando. Che diavolo aveva da guardare?



*Sextans Saiminiu è il fratello del cardinale e il padre del professor Septimius Saiminiu.

Come promesso, ecco tornati i cattivi... di nuovo in azione per portare a termine malefici piani! Muahahhaha!

Scherzi a parte, mi piace troppo Meccorin per non dargli un po' lo spazio che merita. Inoltre, non potevo resistere all'idea di farlo un po' bisticciare con il caro cugino Reammon: QUI l'immagine che li rappresenta (ps. sì, lo so, è un po' storta, ma ho litigato con lo scanner e questo è il meglio che ho ottenuto!).

Ho spifferato qualche segretuccio dell'EIF, come per esempio il fatto che hanno una spia al Ministero (il fantomatico voi-sapete-chi chiamato in causa da Cassian, ovviamente non è Voldemort!). Chi sa dirmi qual è l'undicesimo utilizzo del sangue di drago, unito alla polvere dell'Ossessione? Nessuno temo, perché è una cosa che ho inventato io...

Comunque, mi dispiace per chi si stava affezionando a Evangeline, ma è un personaggio per il quale, già in partenza, non avevo previsto possibilità di redimersi. Dopotutto, sapeva di aver generato un assassino, ma era pur sempre suo figlio e comunque lottava per quegli ideali ai quali anche lei aveva sempre creduto. Inoltre era un'orgogliosa purosangue (Nagard, per di più) quindi non ho mai pensato potesse tornare dalla sorella con il capo cosparso di cenere e l'aria penitente.Quanto al povero Sextans Saiminiu, era giovincello (76 anni, per la precisione), ma il Creatore (cioè io!) aveva decretato che fosse giunta la sua ora.

Infine, ve l'avevo detto che avrei dato a Wedge l'occasione per riabilitarsi: qui comincia a saltare fuori un altro lato del suo carattere, visto con gli occhi dell'amico boero Koen Jansen; nel prossimo capitolo, farà anche qualcosa grazie alla quale, spero, lo riabiliterete.

A presto,

Beatrix


ps. scusate se ultimamente ci impiego secoli a rispondere alle recensioni, ma gli esami invernali si avvicinano e sono un po' presa!

   
 
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