Con un muffin
al cioccolato tra le mani,Roxy scese frettolosamente i gradini di casa e si
avviò verso la sua auto: un maggiolone vecchio modello giallo canarino. Salì a
bordo, frugò nella tasca della giacca in cerca della chiave, la estrasse e con
un rombo il motore si accese. Cominciando a sfrecciare tra le strade di New
York, Amava guidare, adorava la sua vecchia auto e tutti i suoi stani rumori e
scricchiolii, osservava la vita dalle persone attraverso il finestrino aperto,
lasciando che la fredda aria mattutina le accarezzasse il viso e i capelli,
mentre di tanto in tanto dava qualche morso al suo dolcetto. Guidò per circa quindici minuti, immersa nei
suoi pensieri mentre la vecchia autoradio emetteva musica jazz da una audiocassetta.
Parcheggiò velocemente senza fare troppa attenzione, scese dirigendosi verso un
negozio di fiori. Entrò facendo tintinnare la campanella che si trovava in alto
sulla porta,il negoziante di trovava girato di spalle intento ad aggiustare un
grande vaso di girasoli dietro il bancone, era un uomo dal fisico slanciato e
con lunghi capelli bianchi legati in una coda.
“Sai dovresti
tingerti i capelli Roxy…” le disse senza girarsi. La
ragazza strabuzzò gli occhi prima di lasciarsi scappare un sorriso, aveva
sempre trovato inquietante quel modo di fare del uomo.
“Non ci
penso nemmeno!”rispose ridacchiando mentre avvicinava il naso ad un tulipano.
L’uomo infilò l’ultimo girasole nel vaso e si girò verso la rossa sorridendo.
“Catilina ho
bisogno del tuo aiuto.” Gli disse Roxy, L’uomo si faceva chiamare Catilina, come il
famoso personaggio storico romano. Nessuno sapeva il suo vero nome, lui stesso
diceva di averlo dimenticato. Non era chiaro il motivo per cui avesse scelto
quel nome, forse per la sua passione per la storia classica, o perché anche lui
come il vero Catilina era avvezzo al tradimento, o più semplicemente forse solo
per esaltare le sue origini italiane.
“Certo Roxy
tutto per te!” le rispose l’uomo con il suo strano accento cadenzato,ancora
colorato dalla pronuncia della sua lingua madre.
“Venerdì sera
ci sarà un galà al Metropolitan Museum ed io e le ragazze vorremmo tanto
andarci! Ma abbiamo bisogno del invito…” l’uomo subito la bloccò alzando la
mano. “Bè se si tratta si questo genere di affari dobbiamo parlarne nel mio
ufficio.” Così dicendo uscì dal bancone e si diresse verso la porta scambiando
il cartello con la scritta “aperto” con un’altra con su scritto “Torno Subito” ,
e fece cenno alla ragazza di seguirlo nel retro del negozio. Il negozio che
apparentemente sembrava un semplice colorato e profumato Fioraio , nascondeva
il laboratorio di uno dei più grandi falsari d’America, che ormai dedito alla
pensione si occupava solo di sbrigare qualche lavoretto per gli “amici”.
Catilina si chiuse alle spalle la porta del piccolo magazzino dove tra i fiori
erano nascoste stampanti e altri “ferri del mestiere”.
“Hai una
copia del invito?” le chiese l’uomo mentre spostava una vaso di orchidee per
mettere in funzione uno strano macchinario.
“Si eccolo…
L’ho trovato nella borsa di una certa Meredith Steward “ le rispose Roxy mentre
estraeva dalla borsa l’invito stampato su una carta pregiata e con una
carattere blu elegante e raffinato.
“Mmh…” disse
l’uomo mettendo sul naso i suoi occhiali dalle lenti tonde e leggermente
ombrate di un celeste pallido, esaminando con occhio esperto il biglietto. “Sei
fortunata mia casa Roxy, mi è rimasta un po’ di questa carta. Mi metto subito a
lavoro!” disse prima di fiondarsi tra gli scaffali in cerca di materiale.
“Andate al
Met per lavoro suppongo?”
“Se accadrà
qualcosa ti lascio il gusto di scoprirlo da solo sui giornali” le disse la
ragazza rivolgendo lo sguardo altrove. Era meglio non dare troppe informazioni
ad un tipo come Catilina, certo lui la conosceva fin da quando era una
ragazzina, le aveva insegnato tutto quello che sapeva, ma Roxy aveva imparato
anche a non fidarsi di nessuno e a
lasciare sempre un alone di mistero intorno a tutto quello che faceva.
“D’accordo
Roxy!” le rispose l’uomo annuendo,quasi compiaciuto dalla risposta della
ragazza, era un segno che avesse imparato quanto negli anni aveva cercato di
insegnarli. “Qui ci vorrà un po’…”
“Bene,
allora io torno tra un po’… Ho dei lavori da fare!” disse strizzando l’occhio
al suo mentore e uscendo velocemente dal negozio. Senza curarsi della multa che
troneggiava tra i tergicristalli della sua vecchia auto si diresse verso il
museo per esaminare dal vivo quella che presto sarà la sua scena del crimine.
***
Nell’appartamento
di Neal quel pomeriggio regnavano il silenzio e la concentrazione, gli unici
rumori che si potevano udire tra i respiri calmi dei due uomini erano quelli delle
pedine che si alzano e ricadevano sulla scacchiera di marmo. Gli occhi blu del
ragazzo si alzarono dal tavolo per incontrare quelli dell’altro uomo coperti
dalle lenti colorate, ci fu un ultimo secondo di silenzio poi sul viso del
giovane si accese un brillante sorriso beffardo.
“Scacco
Matto Mozzie!” esultò mentre l’altro uomo continuava ad esaminare la scacchiera
cercando di capire quali erano stati i propri errori.
“Avrai vinto
una battaglia Neal ma non vincerai la guerra!” sancì alla fine Mozzie bevendo
un sorso di vino.
“Si, certo”
rispose con condiscendenza il ragazzo alzandosi dal tavolo per andare a
riempire il suo calice con dell’altro vino pregiato. Mentre si portava il
bicchiere alle labbra sentì la vibrazione seguita dalla suoneria del suo
cellulare, lo estrasse dalla tasca dei suoi pantaloni dal taglio classico e se
lo portò all’orecchio.
“Neal dove
sei?” disse subito la voce di Peter carica di impazienza.
“Sono a
casa, avevi detti che potevo andare, che non c’era altro d fare per oggi…”
spiegò il ragazzo turbato da quella telefonata.
“Si si lo
so… Devi tornare subito qui! Abbiamo delle novità sul caso della Banda della
Rossa.” Gli ordinò l’agente con un tono che non ammetteva repliche.
“Certo. Sarò
da te tra quindici minuti….” Gli rispose Neal ponendo fine alla conversazione
ignorando le parole di protesta di Peter.
“Il tuo
federale ti marca stretto eh?” gli si rivolse Mozzie guardandolo quasi con
sdegno.
“Stiamo
seguendo un caso molto impegnativo Moz” cercò di spiegare Neal mentre annodata
di nuovo la cravatta. “A proposito, sai qualcosa su una banda di ladre
capitanata da una rossa?”
“Considerando
il fatto che non sono una spia, e che non tradisco i colleghi. No non ne ho mai
sentito parlare. Ma potrei chiedere in giro” gli rispose l’uomo occhialuto
accompagnando le sue parole con degli ampi movimenti delle braccia.
“Si grazie
ci saresti di grande aiuto”
“Ma spiegami
meglio. Tu e il federale state dando la caccia ad una banda di ladre?” chiese
Mozzie ripensando a ciò che gli aveva detto prima Neal.
“Si. Sono
delle ladre d’arte. Molto brave, e fino ad ora abbiamo solo un fotogramma dei
capelli rossi di una di loro.” Spiegò meglio il caso al suo “fidato” amico.
“Wow,
affascinante! Se sentirò qualcosa in giro sarai il primo a saperlo mon amie” gli ripeté l’uomo mentre rimetteva
ai propri posti i pedoni sulla scacchiera.
“Ci vediamo
Moz!” lo salutò Neal infilandosi frettolosamente la giacca e uscendo dalla
porta per dirigersi verso l’edificio dell’F.B.I. dove lo aspettava il suo
collega Peter.
Ticchettava
impaziente con le dita sulla scrivania del suo ufficio, mentre beveva la terza
tazza di caffè in un’ora. Aprì di nuovo il fascicolo di quel caso che lo stava
mano a mano ossessionando sempre di più, mentre come una tarlo nella sua mente
si faceva spazio il pensiero di prendere i colpevoli. Si alzò di nuovo dalla
sedia per vedere se tra la folla di federali scorgeva la figura slanciata Del
suo pseudo collega. Finalmente lo vide aprire la porta a vetri e fare il suo
ingresso, subito incrociò lo sguardo con il suo e gli fece cenno di andare
immediatamente nel suo ufficio con una espressione severa sul volto.
“Eccomi
Peter” si presentò Neal entrando nel piccolo ufficio dell’agente e prendendo
posto sulla sedia di fronte all’altro.
“Ce ne hai
messo di tempo Caffrey!” lo ammonì Peter mentre riprendeva posto sulla sua
sedia. Il ragazzo in risposta si limitò solo a roteare platealmente gli occhi,
poi prese a giocherellare con una pallina di elastici da ufficio, facendo
innervosire ancora di più Peter che prontamente gli bloccò la mano e prese a
dire:
“Ti ho
chiamato qui perché abbiamo avuto una testimonianza,da una fonte attendibile,che
dice di aver visto la nostra rossa scattare foto al Metropolitan Museum Of Arts”
“Come
facciamo a sapere che sia proprio la nostra ladra?” protestò il ragazzo, come
se non volesse ammettere a se stesso che quella donna così abile avesse potuto
commettere un altro errore.
“Da quando
abbiamo scoperto questo particolare abbiamo messo in allerta tutti i Musei
della zona. Una guida del MET dice di aver visto una ragazza dai capelli rossi
avvicinarsi furtivamente a dei quadri di Botticelli e Caravaggio cercando di
fotografarle di nascosto. Appena la guida si è girata per avvertire la
sicurezza la donna è sparita”
“Potrebbe anche
essere soltanto una turista appassionata di arte.”
“Potrebbe. A
non me la sento di rischiare. Io sono più che convinto che si tratti della
nostra rossa, che ha commesso un altro errore. Quindi ho fatto mettere sotto
controllo la zona. Se nelle prossime ore tenteranno di rubare qualcosa noi lo
sapremo” disse Peter sicuro delle sue
parole.
“Bè si… Mettiamo
caso che tu abbia ragione, e che la rossa di cui parli sia la leader della
banda. Sei davvero sicuro che torni lì? Hai visto come operano, sono molto
furbe. Se si è accorta di essere stata scoperta non tornerà lì con le altre ma
cambierà obbiettivo!” gli si oppose Neal.
“Hai
ragione, ma per sicurezza lascerò degli agenti a sorvegliare la zona.” Ammise Peter
mentre la voce aveva perso la sicurezza di prima e si stava abbandonando
all’amarezza. Seguirono alcuni secondi di silenzio dove gli occhi di Neal erano
fissi nel vuoto e nella sua mente si intrecciavano miriadi di pensieri.
“Aspetta.
No, non abbandonerà. Venerdì ci sarà un galà al Met, la folla, la confusione,
sono perfetti per un furto. Non si cureranno di essere state scoperte, faranno
il colpo!” disse Neal con certezza.
“Ne sei
proprio sicuro Neal?” chiese Peter con gli ormai ridotti a due fessure in impaziente
attesa di una risposta positiva.
“Si. O
perlomeno io farei così…” disse e l’agente lo ammonì
con lo sguardo. “Ipoteticamente parlando è ovvio” si affrettò ad aggiungere
Neal alzando le braccia.