CHAPTER
1
La
solitudine è
una pace inaccettabile.
Una
contenzione
dei sentimenti per sembrare normali
mentre
si
avverte il desiderio di esplodere, di esistere per qualcuno.
E
allora si può
anche litigare, colpire e colpirsi,
pur
di non
essere soli. Inutile per tutti. Inutile a se stesso.
La
neve cadeva leggera, delicata, candida e così pura da
ricoprire ogni cosa con
il suo bianco bacio. Rukia fissava lo sguardo verso
l’orizzonte, scorgendo il
salice spoglio nel suo giardino e nulla più. Tutto era
ricoperto da una patina
chiara e fresca, che celava il disegno delle colline
all’orizzonte. La ragazza
spostò lo sguardo verso l’alto, fissando i singoli
fiocchi di neve che
precipitavano verso terra, dandole la sensazione di volare. Una voce
chiamò il
suo nome, facendola voltare di scatto e rompendo l’incanto in
cui era
precipitata. Il suo nome risuonò nell’aria una
seconda volta, facendola
sobbalzare ed alzare da dov’era seduta. Scese le scale,
andando verso colui che
continuava a chiamarla.
-
Eccomi, eccomi.
L’uomo
era in piedi, davanti al tavolo, con le braccia incrociate e
l’aria arrabbiata.
-
Rukia, dov’è quello che ti avevo chiesto?
La
ragazza aprì la bocca, senza che una parola riuscisse a
uscire dalle sue
labbra. Era certa di averlo comprato, ma ora sul ripiano,
dov’ella lo aveva
lasciato, non c’era nulla.
-
M-ma… Lo avevo poggiato…
-
Rukia cara, stai diventando smemorata. Su, non fa nulla.
Aizen
le poggiò una mano sulla fronte, sorridendo. Le sue dita
erano fredde, come
solo la neve poteva essere. Mentre le palpebre della donna si
chiudevano e
mille fiocchi bianchi cominciavano a volteggiare davanti ai suoi occhi,
le
parole dell’uomo le giunsero ovattate alle orecchie:
-
Riposati un po’, non sei ancora totalmente in te.
Rukia
si risvegliò sotto le coltri calde, mentre la soffice neve
continuava a cadere
sul paesaggio circostante. Le sue labbra erano secche, la sua lingua e
la sua
gola ardevano di sete.
-
S-Sosuk…
La
voce le morì, lasciandola scossa e con una forte tosse. Un
bicchiere d’acqua le
venne teso. Lo svuotò in un sorso, tendendolo
all’uomo e abbozzando un sorriso.
Sosuke si sedette sul bordo del letto, facendole una carezza e
scompigliandole
i capelli.
-
G-grazie.
-
Figurati piccola Rukia. Ti senti meglio?
La
donna annuì. Ora si sentiva davvero in forma, pronta ad
andare a correre nella
neve.
-
Sosuke, perché i miei ricordi sono così nebbiosi?
La
domanda le era sorta spontanea, senza che riuscisse a fermarla.
C’era qualcosa
che non andava nella sua mente, c’era una coltre di neve in
essa, la stessa
neve che ricopriva ogni cosa fuori.
-
È dovuto alla tua malattia. L’influenza ha
assopito la tua memoria.
Un
bel sorriso incurvava le labbra dell’uomo. Rukia si sporse,
verso di lui,
allargando le braccia e stringendole intorno a quel torace ampio.
-
Grazie per esserti preso cura di me.
Aizen
la strinse a sé, parlando direttamente nel suo orecchio.
-
È stato un piacere.
Nonostante
i giorni si susseguissero velocemente, creando vortici ripetitivi di
eventi e
parole, i ricordi di Rukia non tornavano a galla. La sua testa restava
piena di
ovatta, come se vi fosse un disturbo, un’interferenza che le
rendeva difficile
ricordare. Eppure era sicura che ci fosse qualcosa
d’importante da tenere a
mente.
Quella
mattina il sole la svegliò, mentre la neve luccicava sui
prati fuori dalla sua
abitazione. I suoi occhi brillanti si aprirono sul mondo, timidi e
pieni di
speranze, mentre ancora una volta il fantasma di un sogno le scivolava
via dai
pensieri, lasciandola leggermente scossa. Ultimamente le capitava
spesso di
svegliarsi in preda all’angoscia, carica di panico e terrore
e con una frase
che le ronzava nelle orecchie, ma che non riusciva a visualizzare in
nessun
modo. Si mise a sedere sul letto, scuotendo i corti capelli neri e
stropicciandosi gli occhi. Un timido raggio di luce filtrava dalle
pesanti
tende appese alle finestre, colpendo il cuscino dove fino a poco prima
era
poggiato il suo viso pallido e addormentato. Abbandonò le
calde coperte per
vestirsi e scendere al piano di sotto, dove la colazione la attendeva
sul
tavolo della cucina, con un biglietto da parte di Sosuke. La ragazza
mangiò in
fretta, uscendo finalmente in mezzo al manto nevoso che ricopriva ogni
cosa, lì
intorno. Inspirò una grande boccata d’aria fredda,
producendo piccole nuvolette
di condensa, mentre le sue guance s’imporporavano per via del
brusco sbalzo di
temperatura. Mosse qualche passo incerto lungo il vialetto
dell’abitazione,
dirigendosi verso il bosco, dove le altissime cime degli alberi erano
incurvate
verso il terreno a causa della grande mole di neve che vi si era
depositata
sopra. Rukia moveva i piedi ogni secondo con sicurezza maggiore,
finché non
iniziò a correre, affondando fino alle caviglie. Ben presto
cominciò ad avere
il fiato corto, il suo cuore batteva così forte da
rimbombarle nelle orecchie,
sentiva il sangue giungere in ogni parte del suo corpo.
Rallentò il passo,
respirando con calma e continuando a muoversi in direzione del bosco.
Quando
incontrò i primi alberi era certa di essere in cammino da
circa un’ora. Il
bosco era silenzioso. Come sempre
d’altronde, non l’era mai capitato di sentire
quegli “strani rumori” di cui
aveva sentito parlare tempo prima. Una leggera fitta le
colpì le tempie. Non
ricordava quando avesse sentito una frase del genere. Sapeva che non
era stato
Sosuke a dirgliela, ma Rukia associava quelle parole a una voce
maschile.
Eppure… Ancora dolore alla testa. La donna si
massaggiò la fronte, percependo
solo in quel momento la freddezza delle sue mani. Si era dimenticata di
coprirsi per bene. Il suo passo si fece più veloce, mentre
cercava di
riscaldarsi le punte delle dita, congelate, soffiandovi sopra.
Finalmente cominciò
a percepire lo scorrere d’acqua. Era quasi arrivata, quindi.
Si rimise a
correre nella direzione dalla quale proveniva il suono melodioso,
giungendo
finalmente dinanzi a un ruscello. Non era molto grande, da una sponda
all’altra
misurava circa un metro, eppure non era ancora ghiacciato,
l’acqua continuava a
scorrere placida e serena, con il solito gorgoglio spumeggiante. In
alcune
parti, dove stagnava, sulla superficie si era formato un leggero strato
di
ghiaccio, trasparente e pieno di strane composizioni arabescate.
Cercò un posto
adatto, che fosse sgombro dalla neve, per potersi sedere comodamente. Vide un piccolo spiazzo di
terra gelata,
sotto la folta chioma di un abete, che era stato risparmiato dalla
bufera, e vi
si accovacciò sopra, incrociando le gambe e poggiando la
schiena al tronco,
robusto e forte. Chiuse dolcemente gli occhi, ascoltando il
fiumiciattolo
scorrere, riflettendo. Aveva bisogno di schiarirsi le idee, voleva
ritrovare
quei ricordi che aveva perduto. Quello era il luogo preferiva quando
voleva
riposarsi o semplicemente desiderava il contatto con la natura. Sedere
vicino a
quel torrente la faceva sentire in pace con se stessa, cosa che
ultimamente non
accadeva quasi mai. Nel silenzio che riempiva la radura, riusciva a
percepire i
deboli rumori che la natura produceva, mentre il buio avvolgeva la sua
vista e
l’odore fresco e delicato della neve la colpiva, facendola
sprofondare sempre
più in quel regno di pace che tanto aveva bramato. Si
massaggio con dolcezza le
tempie, percependo il sollievo che le provocavano i polpastrelli freddi
sulla
sua pelle bollente. Era ancora malata, dopotutto. Rimase
parecchio tempo in quella posizione,
mentre le dita riprendevano calore e la circolazione cominciava a
migliorare.
Era certa che fosse piuttosto tardi quando decise di alzarsi in piedi,
scuotendo i capelli che si erano riempiti di piccoli fiocchi di neve
scivolati
dai rami. Girò sui propri tacchi, voltandosi nella direzione
dalla quale era
provenuta, camminando con passo sciolto e veloce. Sicuramente Sosuke
era
tornato a casa e cominciava a domandarsi dove si trovasse. Rukia scosse
la
testa, tra sé e sé. Come poteva tornare a casa, o
in quel posto che si ostinava
a chiamare casa? Per lei nulla era peggiore che vedere gli occhi scuri
che l’attendevano,
impazienti. Eppure in quello sguardo non vi era una briciola
d’amore. La donna
sapeva, ne era certa, che Sosuke non provava amore nei suoi confronti.
Era dura
affermarlo, eppure era proprio così. Nonostante continuasse
ad affermare di
volerle bene, di provare qualcosa per lei, ella conosceva la
verità. Lui non
provava alcun sentimento nei suoi confronti e Rukia non riusciva a
comprendere
perché la tenesse al suo fianco. In fondo se non
l’amava, perché continuare a
curarla, servirla, tenerla a bada? A queste domande non era in grado di
dare
risposte, nemmeno un misero accenno di ciò che poteva essere
la verità le
ronzava nella mente. Uscì finalmente dal boschetto innevato,
scorgendo in
lontananza la sua abitazione. Accelerò l’andatura,
finendo per riempirsi le
scarpe di neve fredda, bagnata. Salì il vialetto con
espressione pensosa,
mentre ancora mille interrogativi torreggiavano nella sua mente, senza
che
potesse trovare una soluzione. Aprì la porta di casa,
stampandosi sulle labbra
un sorriso, falso, dolce come il miele e velenoso come una puntura
d’ape.
Oramai la finzione era l’unica cosa che l’era
rimasta, così bastava sorridere
ed andare avanti.
-Sono
a casa!
***