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Autore: whatashame    08/12/2011    1 recensioni
School sucks.
Era scritto in verde nei bagni della scuola, degna conclusione a "L'Ode alla prof. a gambe aperte”, un capolavoro di dodici - sconci - versi in rima baciata .
Testo scritto per “Progetto scuola: racconta il tuo professore” (in una pagina di Word) di EFP e UR Editore.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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miria

Testo scritto per “Progetto scuola: racconta il tuo professore” (in una pagina di Word) di EFP e UR Editore.





Sonetti d'amore in un corpo da ingegnere chimico





School sucks.


Era scritto in verde nei bagni della scuola, degna conclusione a "L'Ode alla prof. a gambe aperte”, un capolavoro di dodici - sconci - versi in rima baciata .


Terzo anno, Liceo Scientifico. All'epoca facevo parte delle poco nutrite fila dei secchioni e di quelle, ancora più esigue, del “fronte contro il vilipendio delle strutture scolastiche”. Per questo, su quel muro del pianto, non ho mai scritto nulla. Del resto, a sedici anni, nei bagni della scuola ci andavo pochissimo: puzzavano da far schifo e non capirò mai perché, fra tutti i posti disponibili, i perditempo dell'istituto avessero scelto proprio quel miasmatico tugurio per i loro rendez-vous.


Col pennarello, in compenso, io scrivevo sul mio diario: i voti dei compiti in classe e delle interrogazioni, la media di ogni materia e, sull'ultima pagina, un gigantesco "Miria P. vaffanculo".
Il mio compagno di banco ci aveva aggiunto una freccia rossa ed una vignetta della prof. di matematica&fisica intenta in attività extracurricolari orgiastiche di dubbio gusto e di ancor più dubbia realizzazione. Perché Miria P., la peggiore affastellatrice di numeri e formule su lavagna che io abbia mai avuto la sfortuna di incontrare, oltre ad essere incredibilmente antipatica era anche irrimediabilmente racchia.


Non soltanto brutta, non semplicemente sgraziata... proprio repellente! Con i suoi capelli a caschetto flosci e la chierica, due occhietti troppo vicini e il naso lungo e adunco, portava a spasso per le classi le sue terga ossute ed una risatina caustica modello frenata di automobile. Come se Madre Natura non si fosse sufficientemente accanita sulla sua sfortunata persona, Miria P. aveva deciso di peggiorare le cose dimenticarsi dell'uso dello shampoo e della ceretta, coltivando nel tempo libero una vena dark di tutto rispetto, che la portava ad intabarrarsi in orrendi vestiti neri che la fasciavano tutta dalla testa ai piedi, accentuando baffi, basette e dentoni sporgenti.


Miria P. si fregiava dell'altisonante titolo di “ingegnere chimico” e - come tanti altri - era finita al liceo senza nemmeno sapere bene come, improvvisandosi insegnante e riversando tutta la frustrazione di un matrimonio fallito e di una carriera neppure incominciata su di noi, poveri scolari. Si presentava in aula tutte le mattine con una faccia lunga e triste, trascinandosi dietro un borsone - rigorosamente nero - più grosso di lei. Lo lanciava sulla cattedra gettandosi una mano sugli occhi e ci si nascondeva dietro. Dalle profondità degli abissi di una Furla tarocca giungeva l'ordine perentorio di fare tutti gli esercizi del libro, dall'uno al quattromilaventi, e la sua odiosa vocetta nasale - che faceva rizzare i peli delle braccia peggio del gesso grattato contro l'ardesia - ci intimava di non disturbarla: anche quel giorno infatti una terribile emicrania le impediva di spiegare alcunché. Le sue ore passavano così: quatto fessi – me compresa – a fare gli esercizi, tutti gli altri megatorneo di briscola o tressette. La prof., riferivano dal primo banco (gli unici che potevano testimoniare ci fosse un essere umano dietro la finta-pelle con le borchie), scriveva a tutto spiano. E scriveva durante le assemblee di classe e di istituto, e scriveva durante le esercitazioni antincendio e scriveva durante le dimostrazioni di primo soccorso. Tempo due mesi e avevamo trafugato da sotto il suo naso lungo un malloppo di carta sottile quanto lo Zanichelli: struggenti sonetti d'amore, diabetici componimenti di zucchero e miele.


Con i primi raggi del sole primaverile su quella creatura rachitica e malaticcia, che appestava le mie giornate con la sua sgradevole presenza, si abbatté l'ira funesta delle mamme casalinghe-tantoperbene-chiomaAldoCoppola a colpi di "siete indietro col programma": il settembre successivo era sparita, e non l'ho più vista.


Non ho mai alzato un dito per difenderla dagli sberleffi dei miei compagni o dalle critiche dei genitori, anche se era una creatura patetica e fragile, fondamentalmente innocua. Mi faceva pena, ma mi faceva anche rabbia con la sua insulsa pretesa di meritare rispetto perché doveva illuminarci di sapere e il suo totale convincimento che non valesse la pena sprecare tempo nel farlo con un metodo diverso dal respirarci vicino.


Oggi mi resta solo la rabbia, perché ogni singolo giorno, quando visito un paziente, quando gli prescrivo un farmaco, so che nessuno scuserà un mio errore. Miria sbagliava nel deridere l'ignoranza dei suoi alunni, sbagliava qualsiasi dimostrazione su un piano cartesiano, sbagliava mostrando quanta poca importanza e quanto poco rispetto meritassimo come studenti e come esseri umani.


Miria ha sbagliato, mi ha portato via tante cose e cerco ancora vendetta.



***



Ci sono molte cose che ho amato durante la scuola, molti professori che hanno meritato il mio rispetto, molti altri che la mia stima non l'avranno mai...

Ricorderò sempre con affetto il mio maestro elementare, magister di tutta la vita, con i baffoni anarchici, i capelli bianchi e l'unità sotto il braccio. Quello sposato da quarant'anni con la maestra della classe affianco, la stessa che gli portava il caffè ad ogni intervallo, tutti i giorni, da sempre, e non aveva ancora imparato che ci voleva un cucchiaino e mezzo di zucchero. Mi ha fatto amare i libri e me li ha indicati come amici di tutta la vita.

Ricorderò la mia insegnante di matematica delle medie, che dall'alto del suo terribile metro e cinquanta mi incuteva un timore reverenziale. Perché mi ha fatto amare la scienza e la medicina che oggi sono il mio lavoro.


Miria P. vorrei dimenticarla, e ancora più di me vorrebbero farlo quelli che il test d'ingresso a numero chiuso non lo hanno passato, quelli che ad ingegneria hanno buttato il sangue, quelli che ad architettura hanno capito quanto faticoso sia studiare da soli quello che era nostro diritto sapere.



Miria P. “vaffanculo”...

   
 
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