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Autore: Youko    09/12/2011    5 recensioni
Un giro in motorino immerso nei propri pensieri, Yohei, fa un incontro inaspettato che interromperà la sua monotona routine notturna.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hisashi Mitsui, Yohei Mito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di notte... Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di T. Inoue; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

Storia scritta per il Slam Dunk Contest indetto da Babysonfire (Sadie). (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9868393)

Note :
Il racconto è visto dalla parte introspettiva di Yohei, per cui la parte in corsivo sono i suoi pensieri ed è usata la prima persona, nell’altra la terza.  
 
Buona lettura ^^


Di notte…


Yohei salutò Hanamichi alzando il braccio prima di vedere l’amico varcare la soglia di casa, accese lo scooter e partì percorrendo la strada illuminata dai lampioni.
Erano le due di notte e aveva appena riaccompagnato Sakuragi dopo aver lasciato la casa di Noma, dove insieme ai ragazzi del guntai avevano cenato mangiando zuppa precotta e giocato ai videogiochi.

I bambini detestano la notte questo è un dato di fatto, finché si è in quell’età in cui credi a cose come i fantasmi e i mostri vai a dormire con il terrore di vedertene sbucare uno da dentro l’armadio, poi quando cresci la odi perché non sei grande abbastanza da poter rimanere alzato.
Io, invece, l’ho sempre preferita.
Perché quando è notte fonda, quando tutto è buio pesto e non c’è nessun suono tranne il tuo stesso respiro, non c’è bisogno di fingere, perché ci sei solo tu e nessun altro.
Come in quei film post apocalittici in cui il protagonista rimane l’unico sopravvissuto e si aggira in metropoli desolate.
Nella mente dei registi dovrebbero essere scene piene di angoscia, ma la sensazione che ne ho io è solo di tanta serenità.
Ora si potrebbe pensare che sia un orso asociale, un sociopatico senza amici o qualcosa del genere, in realtà è proprio il contrario.
Sono una di quelle persone che piace a tutti, non me la sto tirando, è la verità.
Sono un tipo tranquillo che sta bene con chiunque, sempre sorridente e allegro, socievole e facile alla battuta, pronto ad aggregarmi per fare qualche scherzo e che non si tira indietro se c’è da menare le mani.
Si può dire che sono sempre disponibile, specialmente per gli amici, questo Hanamichi lo sa bene.
Certo c’è da dire che in tutto questo non sono mai stato quello che spicca.
Se facessi un sondaggio in tutta la scuola solo Hana e il guntai saprebbero dire qual è il mio nome, per gli altri sarei solo il teppista che gira con Sakuragi, ma in fondo sono io che preferisco che ci sia questa distanza.
Più permetti alle persone di entrare nella tua vita e più devi fingere, non che per me sia un grande sforzo, ormai sono diventato così bravo che non credo sarei capace di far vedere quello che nascondo.
Comunque non mi servirebbe, a chi dovrei mostrarlo?
E’ per questo che adoro la notte, non mi riferisco alla sera, quando esco e me ne vado in giro con gli amici a far casino o si cerca di entrare al pachinko di nascosto.
Certo mi diverto con loro e mi piace anche quando bighelloniamo senza meta e rimango ad ascoltare i discorsi assurdi di quei tizi per ore.
Ma è innegabile che aspetto trepidante il momento in cui ci salutiamo, quando le saracinesche si abbassano e le insegne dei locali si spengono, quando le macchine iniziano a passare sporadiche e poi più nulla, dopo quando anche il latrato di qualche cane o il miagolio dei gatti sparisce, è allora che la mia notte inizia.
In genere la passo sempre nella solita maniera.
Prima mi faccio un bel giro con il motorino per le vie del centro, con calma, senza fretta, mi godo l’assoluta assenza di tutto quel che c’è di giorno: la confusione, le persone, il traffico, le voci, i colori.
Una volta che mi sento soddisfatto me ne vado in uno dei miei posti preferiti.
E’ un parco con un piccolo tempio che sovrasta tutta la città, di notte la vista non è un granché si vedono soltanto i puntini delle luci al neon dei lampioni, la cosa davvero interessante è la strada per arrivarci.
Un bello stradone tutto curve completamente vuoto e cosa fondamentale non c’è mai la polizia che ci gira, lì posso dare libero sfogo alla mia vena di corridore e spingo il motorino al massimo… Ok con lo scassone che mi ritrovo non è che vada forte chissà quanto, ma bisogna sapersi accontentare.
Una volta arrivato in cima, parcheggio da un lato, mi faccio gli scalini di corsa e una volta sulla veduta aspiro a pieni polmoni e mi metto a fissare le lucine.
In quell’istante mi sento il Dio del mondo… o quanto meno di quelle luci.
A volte ci rimango per delle ore, altre riprendo il motorino per poi parcheggiarlo da qualche parte e allora mi metto a camminare per le viuzze deserte della città, oppure me ne vado in spiaggia o magari faccio entrambe le cose.
Girello così, in completa beatitudine, finché non sento che il profumo della notte impercettibilmente inizia a cambiare, fino a quando i primi rumori del mondo che è prossimo a svegliarsi non mi raggiungono.
Allora mi fiondo a casa, parcheggio il motorino e silenzioso sguscio in camera; grazie alla pratica acquisita col tempo, ed è allora che la mia notte finisce.
Perché faccio tutto questo? 
Per quell’unico momento, che và dalle tre fino a poco prima che albeggi, in cui tutto sembra bloccarsi, come se il tempo rimanesse sospeso e non ci fosse nessun altro al mondo che riesca a muoversi tranne me, perché è allora che posso spogliarmi di tutte le menzogne e della farsa che è la mia vita.
Sì, lo ammetto, non è tanto normale, ma cosa si poteva pretendere dal braccio destro nonché migliore amico di Hanamichi Sakuragi? Ovvio che non posso essere del tutto sano di mente con tutte le testate che ho preso e continuo a prendere se non sono svelto a scansarmi.
Che poi è solo una delle mie ennesime bugie, non c’entrano le testate di Hana, anche se non hanno contribuito al mio equilibrio mentale questo è certo.
Ero ancora un bambino quando ho capito che preferivo vivere di notte anziché di giorno.
Una sera sono scappato fuori di casa di corsa, ho continuato così senza voltarmi finché non sono arrivato alla sponda del fiume che passa lì vicino e in cui andavo a giocare ogni pomeriggio dopo scuola.
Ho iniziato a prendere a calci le sterpaglie, ho urlato a denti stretti per la frustrazione, ho scagliato i sassi nell’acqua con rabbia,  finché non mi sono accorto che il sole era tramontato del tutto.
Allora mi sono fermato e mi sono reso conto che ero da solo, che non c’era un rumore, un suono, un urlo, un’imprecazione, niente.
Solo il mio respiro che via via si calmava.
Dopo un po’ sono rientrato sicuro che lui fosse andato al lavoro, lei stava seduta in un angolo nella penombra, come sempre d’altronde, come una bambola di pezza dimenticata lì, con i capelli raccolti sulla nuca con qualche filo che fuoriusciva disordinatamente, lo sguardo incolore e le mani adagiate in grembo senza nessuna vita.
Mia madre mi ha guardato, non mi ha chiesto dove fossi stato fino a quell’ora, semplicemente con un bisbiglio basso e indifferente mi ha detto di andarmene a letto.
L’ho fatto ovviamente ma non mi sono addormentato, sono rimasto con gli occhi spalancati a fissare il vuoto del buio a percepire i più piccoli rumori e poi quando sono spariti, ho capito quanto fosse meravigliosa e magica la notte.
Perché era un mondo a parte, lì non c’era niente e nessuno.
Allora ero solo un ragazzino e non capivo molto di quello che succedeva intorno a me, però già da un bel po’ avevo compreso che quella di casa mia non era la normalità, anche se per me lo era sempre stata.
L’avevo intuito l’anno prima, quando un mio compagno di scuola venne a giocare da me.
A quel tempo mia madre era diversa, si può dire che era ancora viva, ma non me la ricordo un granché a dire il vero.
Noi stavamo giocando in camera mia e a un certo punto mio padre iniziò a urlare infuriato chissà da che cosa, non che ci voglia tanto per farlo saltare, dopo un po’ iniziò anche mia madre io continuavo a giocare abituato a tutto quello, ma il mio compagno di scuola di punto in bianco si mise a piangere.
Gli chiesi che cosa avesse, stavamo giocando con le macchinine perciò era impossibile che si fosse fatto male, lui mi guardò e mi fece notare che di là stavano litigando e gridando come se quella fosse per me una spiegazione di qualche tipo.
Lo fissai dicendogli tranquillamente “E allora? E’ normale”.
Da quel giorno non venne più a casa mia e neanche nessuno degli altri bambini.
Dopo qualche tempo mia madre si ammalò, come dice mio padre, io penso semplicemente cha ha smesso di stare nello stesso mondo che abbiamo noi, la sua vita si ridusse a due pasticche al giorno e un’iniezione al mese, giusto per evitare che la sua dimensione invadesse la nostra.
Questo però non ha fermato mio padre che ha continuato a urlare lo stesso, il fatto che lei non gli rispondesse quasi più e che quando lo faceva era con totale indifferenza a lui dava ancora più sui nervi,tanto  da farlo andare avanti a sbraitare per ore.
Perciò io a poco a poco ho continuato a preferire sempre di più la notte al giorno.
E’ stato in quel periodo che ho anche iniziato a mentire, è stata per pura sopravvivenza.
Chi più chi meno tutti finivano per chiedermi ogni giorno come andasse a casa mia, per lo più era il vicinato, ma anche se un bambino delle elementari diceva che la sua vita faceva schifo che cambiava?
Niente, e poi c’era già mio padre che si lamentava già abbastanza con tutti della grande disgrazia che gli era capitata,tra capo e collo, a dover crescere un figlio da solo; come se poi lo avesse mai fatto, e che ora doveva pure occuparsi della moglie, non mancando mai di far notare che brav’uomo fosse a non abbandonarla.
La cosa più brutta non era la mia famiglia a dire il vero, era vedere gli occhi colmi di compassione degli altri o sentirgli dire “si dice che la pazzia sia ereditaria” diamine ero un bambino  ma mica sordo.
Per questo preferisco la notte.
Quando è buio pesto e ci sei solo tu, non ci sono occhi in cui leggere dentro la verità che ti sforzi di non voler vedere, non ci sono voci che per ignoranza o stupidità ti marchiano dentro.
Da allora ho iniziato a sorridere anche quando proprio non mi andava, a rispondere “và benone” a chi mi chiedeva “come và?” e a dire bugie ogni giorno più convincenti.
Sono diventato così bravo che ora anche se vorrei dirla la verità proprio non ci riesco, se solo ci penso sento una morsa stringermi la gola, il cuore iniziare a battere forte e mi manca l’aria, senza rendermene conto oramai le menzogne mi salgono alla bocca da sole.
Sono davvero patetico, io che ho partecipato a una dozzina di risse coi peggiori tipi vado in panico se penso solo di dover raccontare quel che nascondo, che poi tanto a chi dovrei dirlo?
L’unico sarebbe Hana ma lui ha già il suo di fardello da portarsi sulle spalle, accollargli il mio sarebbe soltanto crudele.
Se si potesse vedere l’anima delle persone chiunque avrebbe almeno un paio di cicatrici, come si fa a pensare che le mie sono peggiori di quelle di qualcun altro? Il dolore è dolore, che razza di pesi bisognerebbe usare per riuscire a misurarlo?
E poi avrei troppa paura di perderlo, Hana non mi allontanerebbe lo so però il terrore di rimanere solo c’è, che poi con tutte le bugie che dico in fondo già lo sono.
Però ogni tanto; quando me ne sto con le difese abbassate, in quel momento della notte che adoro di più, penso che dopotutto mi piacerebbe se qualcuno mi sapesse leggere dentro, che attraversasse la sua armatura di menzogne.
Almeno una volta vorrei che ci fosse una persona che vedesse il vero Yohei Mito,
quello che di notte non nasconde la propria tristezza o il dolore di quanto gli faccia male continuare a vivere nei giorni fatti solo di falsità e menzogne per tenere in piedi la maschera di felice normalità.   
Ovviamente Hana è escluso, siamo onesti, sarà anche il tensai, ma non brilla certo per perspicacia e intuizione, quella è la mia specialità dopotutto.
E’ per questo che mi piace tanto osservare le persone, in fondo solo chi è un grande bugiardo può smascherare le menzogne altrui, Hanamichi è una persona troppo sincera e genuina, per questo è il mio migliore amico.
Ormai sono un liceale decisamente fin troppo maturo per la mia età, lo capisco che la vita và così e che in fondo poteva capitarmi di peggio e che se la notte mi piace tanto è perché qui non devo sforzarmi di essere il solito tranquillo, calmo e freddo Mito che non ha nessun problema.
Questa è la mia dimensione, il mondo dove posso essere padrone di non sorridere se non voglio, di essere triste, di prendere a calci una lattina,di gridare a squarciagola sulla spiaggia o mandare su di giri il motore dello scooter senza che nessuno mi chieda “Che hai? Qualcosa non và?” così da costringermi a mentire nel rispondere “No, è tutto a posto”.

Quella notte però Mito stava per scoprire che non avrebbe passato la solita serena e solitaria nottata.
Le cose iniziarono ad andare per il verso sbagliato quando scoprì che il suo abituale percorso per il centro era deviato a causa di alcuni lavori in corso.
Stizzito per il fatto di aver trovato qualcun’altro a gironzolare a quell’ora e peggio ancora armati di rumorosi martelli pneumatici e scavatrici intenti a smantellare il mantello stradale, valutò un percorso alternativo.
Saettando fra le viuzze laterali riuscì ben presto, con grande gioia, a trovarsi fuori portata dai lavori stradali, immergendosi nella quiete delle silenziose strade abitative, fatta eccezione per il suono della marmitta.
Riacquistò il buon umore almeno fino a quando non dovette frenare e fermarsi esclamando un sonoro: “E che cavolo!”
Il camioncino della nettezza urbana era immobile e ostruiva completamente la via, Yohei fissò con sguardo furente l’addetto alla raccolta dei rifiuti che, con una calma che rasentava la svogliatezza, afferrava i sacchetti e li gettava all’interno del mezzo.
Dato che l’operatore ecologico era immune al suo sguardo truce Mito sbuffò spazientito e impossibilitato a fare altro si mise in attesa.
Aveva completamente dimenticato che in quella zona era il giorno della raccolta dei rifiuti, sì perché Yohei, nel corso delle sue lunghe nottate in giro per Kanagawa, aveva imparato presto a evitare sia le pattuglie di polizia che i netturbini.
La forzata deviazione dal suo percorso abituale lo aveva però fatto incappare nei secondi, decisamente lenti ma almeno innocui. Valutando la cartina stradale impressa nella sua mente capì però che non si sarebbe liberato del mezzo se non dopo molto.
Non c’erano biforcazioni che potesse prendere, né la strada diveniva più ampia per un bel tratto. Così, rassegnato, spense il motore, appoggiò le braccia al manubrio e continuò a squadrare l’omino in tuta blu che era completamente ignaro dei suoi improperi mentali.
Dopo dieci minuti abbondanti l’uomo finì e risalì sul mezzo facendolo proseguire.
“Oh, era ora” sbuffò Yohei riavviando il motorino e mettendosi in coda al camioncino, appena poté lo superò per svoltare a destra, poi a sinistra e poi ancora a destra, zigzagando riuscì a immettersi nella via principale superando il blocco.
A quel punto sembrò che la serata procedesse tranquillamente come da copione.
Era deciso a imboccare la strada panoramica per dirigersi al tempio quando iniziò a rallentare, dapprima una lieve perdita di potenza poi sempre maggiore.
Aggrottando la fronte fissò il cruscotto esclamando un sonoro “Ma che imbecille!” alzando gli occhi al cielo.
Gli era completamente sfuggito di mente di essere in riserva e ora con tutte quelle deviazioni stava esaurendo la benzina.
Yohei fece rapidamente un calcolo sull’autonomia del mezzo e sperando che fossero giusti si mise a voltare il capo a destra e sinistra per cercare un distributore.
La fortuna non fu dalla sua e dopo pochi minuti si ritrovò a spingere il motorino lungo la strada deserta, fortunatamente trovò un self service dopo una mezz’ora, era una piccola stazione con due sole pompe, illuminata da una luce al neon che vibrava con un leggero ma fastidioso rumore di fondo.
Fermò il mezzo facendo scattare il cavalletto, per poi alzare il sellino e aprire il serbatoio, successivamente mise mano al portafogli e combatté qualche minuto con la macchinetta che si rifiutava di accettare la sua banconota troppo sgualcita. Una volta che il testardo marchingegno ebbe ingoiato i soldi, fece rifornimento.
Se ne stava lì in piedi, di lato al motorino, tenendo la pompa con la mano destra mentre l’altra era ficcata in tasca, spazientito e innervosito per quella stupida dimenticanza, quando si accorse con la coda dell’occhio che qualcuno stava sopraggiungendo verso di lui.
Yohei assottigliò le labbra riconoscendo il volto che era stato illuminato dal lampione lungo la strada, l’attimo dopo però si allungarono in un sorriso divertito notando il suo abbigliamento: pantaloni neri scoloriti di una vecchia tuta, una maglietta bianca che gli cadeva addosso come fosse un sacco di patate e per concludere un paio di zoccoli di legno.
Decisamente Hisashi Mitsui non sapeva proprio vestirsi, ponderò Yohei fissando sempre più divertito il giocatore quando anche questo, riconosciutolo, si era bloccato in mezzo alla via con una chiara espressione scocciata dipinta sul volto.
Con disappunto Mitsui riprese il passo soppesandolo guardingo, come se il trovarlo a fare benzina fosse una cosa innaturale e anomala.
Yohei continuò a guardarlo sfacciatamente sorridente, non smise mai di mostrare la sua faccia divertita anche quando l’erogazione della benzina terminò e lui si voltò per posare la pompa e afferrare il tappo.
Hisashi di contro aveva mantenuto una fredda e scocciata espressione per tutto il tempo che impiegò a raggiungerlo.
“Ehi” lo salutò allegro Mito, facendo un secco cenno con la testa e chiudendo il serbatoio.
“Mh” mugugnò in risposta Mitsui, fermandosi sul lato opposto del mezzo, osservava la mano di Mito finire di assicurare il pezzo di plastica, “Che ci fai da queste parti?” gli domandò scontroso.
Yohei allungò ancor di più le labbra “Credevo fosse abbastanza evidente” rispose gustandosi gli occhi di Mitsui che si assottigliavano irritati per quella risposta.
“A quest’ora?” chiese ancora Hisashi incrociando le braccia al petto così da arricciare la maglia di una misura troppo grande per lui.
“Perché è vietato fare benzina di notte?- fece a sua volta Mito aumentando la sua espressione allegra e gioviale – Tu invece dove vai così elegante?”
Yohei notò l’irrigidimento della mascella, la tensione sui muscoli del collo e delle braccia, gli occhi di Mitsui dilatarsi un secondo e poi socchiudersi pericolosamente, lui distese ancor di più le labbra.
Dopo la rissa in palestra non aveva mai avuto altri contatti diretti con il giocatore, ma dopo la sospensione aveva osservato gli allenamenti in palestra ,così aveva scoperto che Mitsui era un tipo molto suscettibile e davvero divertente nelle sue reazioni di protesta.
Perciò avendo visto l’espressione infastidita e il modo sgarbato con cui Hisashi gli si era rivolto, aveva deciso di fargliela pagare.
“Davvero divertente. – esalò Mitsui – Abito qui dietro e sono uscito a prendere una boccata d’aria” spiegò la ragione del suo abbigliamento sebbene non gliene dovesse alcuna.
“Capito” rispose a sua volta Mito tornando un poco più serio, in effetti sebbene l’estate stesse per finire faceva ancora molto caldo.
“Beh, ci si becca” decretò la fine di quella conversazione Mitsui, procedendo nella sua passeggiata notturna.
Yohei rispose con un mugugno e un cenno affermativo del capo, osservando il giocatore allontanarsi ancora con la schiena rigida, decisamente Mitsui non aveva preso bene la sua innocente battuta, valutò ridacchiando divertito.
Ancora ghignante mise mano alle tasche dei jeans recuperando un paio di monete e uno scontrino di un konbini scolorito e consunto. Mentre contava le monetine si avvicinò al distributore automatico posizionato poco distante nella piazzola del distributore. 
Dato che gli mancava qualche spicciolo ricontrollò per sicurezza i pantaloni, non aveva voglia di immergersi in una nuova battaglia per prendere una lattina, alla fine si arrese all’evidenza e tirò fuori una banconota.
Era intento a lisciare con cura ogni piccola piega quando delle voci, fra cui riconobbe quella del giocatore, lo raggiunse catturando la sua attenzione.
Incuriosito voltò il capo ma dovette sporgersi verso la strada per capire cosa succedesse.
Mitsui stava parlando e non era una conversazione amichevole intuì, con un tizio accompagnato da altri tre che riconobbe essere uno dei ragazzi venuti a scatenare la rissa alla palestra.
Erano troppo distanti perché Mito potesse ascoltare chiaramente cosa si dicessero, anche se il “Levati dai piedi Ryu” di Mitsui gli giunse ben chiaro, il giocatore tentò di procedere per la sua strada ma gli altri gli si pararono di fronte.
Yohei aveva già intuito che quella faccenda si sarebbe conclusa con un bel pestaggio, quando quel tipo, Ryu, che sembrava il capo, diede un violento spintone a Mitsui tanto da farlo indietreggiare di un paio di passi.
Sebbene non avesse reagito subito, Yohei non era sicuro che il giocatore avrebbe resistito ancora a lungo a rispondere con un bel diretto, sapeva che Mitsui per continuare a giocare aveva promesso di tenersi lontano dai guai, però vedeva bene il pugno stretto e il braccio che tremava nello sforzo di trattenersi.
La cosa che al momento Yohei doveva capire era: lui che doveva fare?
Mitsui era solo un conoscente, un compagno di squadra di un suo amico con cui per giunta era venuto alle mani sebbene in circostanze strane.
Di sicuro il giocatore non si aspettava che accorresse in suo aiuto, che poi lui da solo mica poteva risolvere la situazione, quelli erano in quattro e Mitsui non poteva combattere, non era così tanto forte.
Poteva avvicinarsi e cercare di risolvere la cosa pacificamente, ma dubitava che si sarebbero fatti convincere dalla sua presenza o dalle sue parole.
Decisamente era molto più saggio farsi gli affari suoi e far finta di non veder nulla, dopotutto lui era il pacato e riflessivo Mito non era certo quella testa calda di Hana.
L’amico a quest’ora si sarebbe già diretto verso il gruppo con passo belligerante, ringhiando minaccioso e alzando un polverone che si sarebbe risolto in una baruffa generale.
Yohei sospirò pesantemente rimettendosi le monetine in tasca, decisamente lui non era Hanamichi, si ricordò allungando le labbra in un pericoloso ghigno mentre saliva sul motorino e metteva in moto.
Senza smettere di sorridere in quella maniera, si diresse aumentando sempre più la velocità verso il gruppo, tanto che tutti, compreso Mitsui, si voltarono nella sua direzione.
Yohei non rallentò e si godette le facce, dapprima perplesse e poi impaurite dei cinque, frenò bruscamente solo quando si scansarono saltellando buffamente all’indietro per evitarlo.
Mito fermò il motorino proprio di fronte a Hisashi “Veloce monta” gli ingiunse fissando di sottecchi i quattro teppisti, per il momento erano ancora troppo sorpresi per poter comprendere cosa stesse accadendo e reagire.
Mitsui non se lo fece ripetere due volte e prese posto dietro di lui notando che gli altri, capita la sua intenzione, stavano per muoversi e bloccarli.
Yohei partì a tutta velocità senza attendere che il giocatore finisse di sedersi, cosa che portò Mitsui a rivolgergli un pesante insulto mentre si affrettava ad affondare le mani nella felpa di Mito per ritrovare l’equilibrio.
Mito continuò a procedere dritto senza rallentare, desideroso di mettere più distanza possibile fra sé e i quattro nella speranza che non fossero motorizzati.
Stava pensando a dove andare quando gli giunsero le parole di Mitsui: “Non aspettare che ti ringrazi” esordì chiaramente infastidito, se della situazione in sé o dal suo aiuto non era molto chiaro.
“Ma tu senti. – sussurrò Yohei per poi dire a voce più alta, per sovrastare il rumore del motorino- Se vuoi ti riporto indietro”
“Non dire fesserie!” gridò Hisashi trapanandogli un timpano.
“Ah ecco… - ribatté Yo ridacchiando divertito – Mi sembrava che non foste proprio amici”
“Fanno parte della banda di Tetsuo, – chiarì il giocatore con sufficienza – ce l’hanno con me per come è finita la rissa in palestra”
“Non tutti sanno accettare la sconfitta, - decretò saggiamente Mito - certo te li scegli bene gli amici”
“Sono amico di Tetsuo non loro. – specificò Mitsui – Piuttosto dov’è che stiamo andando?”
Yohei si voltò appena mostrando un grande sorriso.
“Non saprei” ammise imperscrutabile. 
“Ah un posto vale l’altro, basta che mi allontano, conoscendoli mi aspetteranno sotto casa” sospirò il giocatore.
Mito valutò la loro posizione per poi decidere di dirigersi alla strada panoramica, zigzagò fra le viuzze per poi percorrere lo stradone tutte curve e successivamente parcheggiò alla base delle scale che conducevano al tempio.
“Penso che siamo abbastanza lontani” ponderò estraendo la chiave mentre Hisashi scendeva.
“Cavoli direi, siamo dall’altra parte della città”
“Prego figurati non c’è di che” rispose allegramente Yohei tirando giù il cavalletto, quando si voltò verso il giocatore rimase un secondo perplesso dalla sua faccia imbronciata, ma al contempo imbarazzata.
“Mh grazie” soffiò fuori questi prima di volgere lo sguardo alla salita, Yohei cercò in tutti i modi di non scoppiare a ridere.
“Saliamo?” domandò Mitsui voltandosi verso di lui per poi trafiggerlo con lo sguardo.
“Certo!” rispose pronto Yo superandolo e portandosi una mano alla bocca ancora sghignazzante.
I piedi di Mito non avevano calpestato che un paio di scalini quando un soffuso “Imbecille” gli giunse alle orecchie, il sorriso scomparve all’istante. Con le mani ficcate nelle tasche dei jeans voltò appena il capo per guardare Mitsui che gli veniva dietro.
“Guarda che se continui così – esalò seriamente – ti lascio qui da solo e te ne torni a piedi”
In fondo a tutto c’è un limite pensò, valutando che doveva essere lui quello arrabbiato col giocatore. A causa sua e dei suoi casini la sua routine era stata stravolta.
Mitsui socchiuse gli occhi mentre i muscoli si tendevano.
“E dov’è il problema? Mica ti ho chiesto di restare” abbaiò prima di procedere sbattendo gli zoccoli di legno ad ogni passo.
Yohei rimase a fissarlo per qualche secondo prima di sospirare ed esalare “Che tipo complicato che sei” e continuare nella salita.
“Non te ne dovevi andare?” gli chiese furioso Mitsui sbirciando al di sopra della spalla.
“Pensi davvero che ti aspettino sotto casa?” gli domandò invece Mito ignorando la domanda.
“Sì, perciò te ne puoi pure andare” esalò Hisashi, a discapito delle sue parole però rallentò il passo quel tanto che permise a Yo di raggiungerlo.
“Mica lo chiedevo per quello, solo mi stupisco un po’.- ammise perplesso Yohei -  Le hanno prese da dei ragazzi del liceo è vero, ma aspettarti sotto casa per farla pagare a te mi sembra un po’ da scemi”
 “Lì ho convinti io a venire in palestra e poi più che per averle prese, ce l’hanno con me per come gli ho voltato le spalle quel giorno” chiarì la questione Mitsui.
“Già è stato piuttosto commovente” affermò Yo sorridente.
Nel frattempo erano arrivati in cima, Mitsui si fermò un attimo per lanciare un’occhiataccia a Mito mentre lui indifferente si avviò alla terrazza panoramica.
“Sfotti pure – gli ringhiò dietro Hisashi privo di qualsiasi tono belligerante nella voce mentre lo seguiva – Mi sono messo a piangere e ho implorato di rientrare in squadra e allora? Se posso giocare di nuovo non mi importa di quello che pensano gli altri, soprattutto tu e i tuoi amici”
Fu la volta di Yohei di fermarsi e fissarlo,“Non volevo prenderti in giro” esalò piano colpito da quel che aveva detto.
“E secondo te dovrei crederti? – rispose Hisashi voltandosi verso di lui – Per te il basket può essere semplicemente un gioco, ma per me è tutto. Hai idea di come ci si sente a perdere l’unica cosa che abbia un senso?”

Un secondo fa stavo dicendo la verità, io a dirla tutta ti ammiro.
Quel giorno sei stato capace di essere sincero con te stesso e con gli altri, non hai avuto paura di ammettere i tuoi sbagli o di essere giudicato.
Te ne stavi lì, a terra, a piangere a dirotto e in quel momento ho pensato che a discapito di tutto quel che sembrava, sei davvero una persona sincera.
Perché la rabbia verso Ryota, la stessa che ti ha portato in palestra, la stessa che ti ha fatto scoppiare in singhiozzi era vera, proprio come quelle lacrime.
Non hai mai finto di essere ciò che non sei, non ti sei mai nascosto, al contrario di m, che mi sono  barricato dietro un muro di menzogne, mostrando una facciata che non mi corrisponde per paura di essere etichettato e marchiato.
Semplicemente io sono un vigliacco, che per timore di non essere accettato ha indossato un vestito come un altro, ma realmente io chi sono?
Yohei Mito alla fine non esiste.
Sono solo un cumulo di menzogne e sul serio detesto tutto questo, eppure continuo giorno dopo giorno, bugia dopo bugia, ma se ne avessi il coraggio, io davvero, cancellerei la mia intera esistenza. Perché non c’è niente a questo mondo che io odi più di me stesso.
Però ogni volta che penso questo spunta fuori quello stupido desiderio, che un giorno qualcuno riesca a vedere attraverso tutte le bugie.
Ma si può essere più contraddittori?
Io che ho imparato a mentire così disgustosamente bene proprio perché questo non avvenga al tempo stesso desidero che accada e solo nella speranza di sentirmi dire ‘Andrà tutto bene’.
Si può essere più patetici di me?

Due mani poggiate appena sulle sue spalle riscossero Yohei da quei pensieri, fece in tempo ad accorgersi che Mitsui aveva chinato il capo verso di lui, che si ritrovò le labbra del giocatore premute sulle proprie.
Con la testa completamente svuotata, senza riuscire a pensare o a reagire a una cosa tanto inaspettata Mito rimase fermo immobile.
Quel contatto leggero e impalpabile non durò che il tempo di uno sbattere di ciglia, dopodiché Mitsui scostò il viso, tolse le mani dalle spalle di Yohei e rimase ad osservare la confusione totale che gli si dipingeva in faccia.

Che significa?
Ci sta provando?
Ma mettersi insieme significa raccontarsi tutto e questo implicherebbe che dovrei essere sincero, ma è impossibile.
Non riuscirei ad aprire bocca e prima o poi capiterebbe a casa mia, allora gli basterebbe un’occhiata a mia madre per capire che razza di situazione familiare abbia.
A quel punto mi domanderebbe perché non gli abbia detto nulla e mi lascerebbe, probabilmente dopo avermi pestato a sangue.
Hisashi ha diciassette anni a quest’età si vuole avere una storia d’amore spensierata e senza problemi, di certo non vorrà stare insieme con uno come me.
No, sicuramente si volterebbe e se ne andrebbe senza dirmi niente e sarebbe anche peggio. 
Aspetta! Aspetta! Ma che sto pensando?
Do per scontato di piacergli perché mi ha baciato ma non è detto, magari lui bacia tutti quelli che gli capitano a tiro.
Ma non è neanche questo il problema!
Da quando do per scontato di mettermi con un ragazzo?
Non ho mai neanche pensato di mettermi con una ragazza figuriamoci con un maschio e poi che direbbe Hana?
Per non parlare di tutto il resto del mondo e poi c’è il discorso tecnico della cosa.
 
 
“Non ti sei scansato” gli fece notare Mitsui, soffiando appena quelle parole. 
Il senso di quello che Hisashi non aveva detto era ben chiaro per Yohei.
“Perché mi hai preso alla sprovvista- spiegò dopo alcuni secondi in cui si era domandato il perché della sua assenza di reazione. - Perché lo hai fatto?”
“Perché mi è venuta voglia di farlo”
“Ma che razza di ragione è?” tuonò Mito arrabbiato per l’assurdità di una simile motivazione.
“E’ perché prima non avevo mai notato quanto i tuoi occhi fossero tristi e poi avevi messo su quella faccia e non lo so – ammise passandosi una mano nei capelli imbarazzato per quanto stava dicendo –  ho pensato che volevo baciarti e l’ho fatto”
Mito sgranò gli occhi a quelle parole mentre il cuore prese a battergli impazzito, abbassò il capo e strinse i pugni.
“Quindi cosa vorresti dirmi? Che ti è sembrato che fossi giù e hai voluto consolarmi in quella maniera?” ringhiò a bassa voce arrabbiato con Mitsui che era stato mosso dalla compassione, ma ancor di più con se stesso, perché aveva lasciato che scorgesse quanto nascondeva e perché
si era sentito felice.
“Non è questo quello che ho detto”
“E allora cosa?” gridò furioso per la delusione che l’unica persona che l’avesse visto sul serio per un attimo, avesse ben pensato di reagire stampandogli le labbra addosso perché così gli era venuto in mente.
“Ti sembra facile dire a uno che fino a cinque minuti prima ti faceva saltare i nervi, che di punto in bianco hai capito che ti piace?” ammise chiaramente Mitsui senza distogliere lo sguardo quando Yohei alzò il proprio confuso da quella dichiarazione.
“Tu  non sai niente di me, come fa a piacerti qualcuno che nemmeno conosci? Uno con cui hai parlato si e no dieci minuti in tutto?”
“E’ vero non so niente di te e allora? Non mi serve conoscere una persona per dire se mi piace oppure no, mi basta guardarla. Per tutto il resto ci vuole solo tempo” gli disse con tono serio e deciso quasi a volerlo sfidare a contraddirlo.
“Prima decidi in base a un’occhiata ma poi se scopri che ti sbagli? Se quello che hai visto non è la realtà o che ci sono troppe cose che non vanno?”
“E’ questione di istinto, il mio non ha mai sbagliato” affermò Mitsui
“Ci sono cose di me che non sai, che nessuno ha mai saputo. Cose che non ho mai detto perché non ci riesco, perché per me è troppo difficile. Non posso permettere a qualcuno di conoscermi fino in fondo, perché verrei rifiutato e non lo sopporterei.” Disse Yohei tutto d’un fiato. 
“Tu non devi dirmi niente, le scoprirò da solo e quando questo accadrà non avrai più scuse da inventarti. Oltretutto non hai pensato che anche io potrei avere qualcosa che non ho mai condiviso con nessuno per paura di scoprimi? Di soffrire? Però sono disposto a rischiare”
“Io non sono come te” esalò Mito in un sussurro, così leggero che se Hisashi, non gli fosse stato accanto non lo avrebbe udito.
“Lo so, è questo che mi attrae e ti avverto, se continui a guardarmi in questo modo ti bacio di nuovo. Perché prima non ti ha fatto schifo, altrimenti me lo avresti già detto da un pezzo” gli fece notare allungando le labbra in un sorriso.
“Non lo so” ammise Yohei.

Mitsui poggiò le mani sul collo niveo di Mito, si chinò lentamente verso di lui e quando fu a pochi centimetri gli sussurrò: “Ti avevo avvertito, perciò adesso lo puoi scoprire” prima di far aderire le sue labbra a quelle di Yohei che allora capì.   

  
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