Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Segui la storia  |       
Autore: Elpis    10/12/2011    5 recensioni
La fanfiction segue la trama del manga fino al momento della partenza di Hayama per Los Angleles. Mille miglia separano Akito e Sana ma l'amore è una spina nel fianco che li pungola e impedisce loro di vivere con serenità la vita quotidiana. A ciò si aggiunge il nuovo film di Sana e la gelosia di Akito… Il sottile filo che li unisce riuscirà a resistere alla tempesta?
Dall'ottavo capitolo:
“Anche se fosse? Anche se io e Nao stessimo insieme? Anche se ci fossi...” esita, come incespicando su quella parola “Anche se ci fossi andata a letto? Sei stato tu a lasciarmi! E senza darmi nemmeno una spiegazione!”
Non usare quel tono di voce ferito, Kurata. Non farmi sentire come se quello ad aver sbagliato fossi io.
“Ma ti sei consolata in fretta, vero?” Le chiedo e i miei occhi sembrano voler bruciare i suoi. I suoi occhi nocciola, sgranati dallo stupore perché un tono del genere con lei non l’avevo mai usato, nemmeno nei nostri momenti peggiori. “E pensare che all’aereoporto avevi persino urlato che saresti rimasta vergine per me!”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Endless Love'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 




Salto

 

 

 

Tienimi sul cuore fino a quando passa
questa mia paura,
mio terrore
guardarti dritto in fondo agli occhi e
scoprire ciò che pensi veramente tu di me
lasciami qui
lasciami qui. (…)

 

 






 

 

Nell’aria si sente il profumo del natale: aghi di pino e neve ghiacciata che mi solletica le narici e mi fa arricciare il naso. Le decorazione natalizie brillano sopra la mia testa creando un gioco di colori che normalmente mi avrebbe affascinato ma che ora come ora mi lascia del tutto indifferente. Donne e uomini si affannano per le strade, trascinando buste colme di regali, mentre i bambini cantano carole. Manca ancora una settimana alla vigilia e già tutti sono in fermento. Una smorfia amara mi incurva le labbra mentre fisso una famiglia che indica felice un gigantesco abete.
Natale, il giorno che si passa in famiglia. Natale, il giorno che mi ricorda con metodica certezza che sono solo. La bambina tira il cappotto della mamma indicando lo zucchero filato, un sorriso così dolce che risolleva un po’ il mio umore. In fondo non riesco proprio ad odiare questa festa e l’idea che l’avrei passata all’orfanotrofio, come tutti gli anni.
Il telefono squilla, insistente, richiamandomi bruscamente alla realtà. Cammino per le strade di Tokyo, cercando di ignorarne il rumore. Inutile. Prima che possa impedirlo la mia mano scatta alla tasca e fissa le quattro lettere che illuminano il display: Sana.
Amarezza, rabbia, gelosia.
Calore, speranza, desiderio.
Tutti quei sentimenti in sole quattro lettere. Il groppo in gola è tale da bloccarmi il respiro, inciampo nei miei passi e finisco per andare addosso ad un passante che mi scansa infastidito. Continuo a fissare il cellulare, imbambolato, fino a quando non smette di suonare. Con quella siamo a quota trenta. Trenta chiamate alle quali non ho avuto il coraggio di rispondere, trenta occasioni sprecate per dirle che è stata una scema, la solita scema impulsiva. Ma che l’ho perdonata, che non riesco ad essere arrabbiato con lei per più di cinque minuti.
Vigliacco. Cammino sotto le sgargianti luci natalizie, osservando distrattamente le bancarelle, cercando, con scarso successo, di farla uscire dalla mia mente. L’odore delle castagne arrosto mi solletica le narici e il loro marrone intenso mi ricorda le mille sfumature dei suoi occhi, il sapore caldo delle sue labbra. Digrigno i denti. Così non va.
Sento lo sguardo di alcuni passanti su di me e nascondo ancora di più il viso nella falda dell'impermeabile, desiderando strozzare Maeda per non essersi presentato agli studi così, senza uno straccio di spiegazione, costringendomi a fare mezza città a piedi.
Appunto lo sguardo sulle vetrine dei negozi, provando a non girarmi, a non fissare quel cartellone che ritrae la foto di Sana a grandezza naturale. Bella e solare come solo lei sa essere, spontanea in ogni posa anche se mai come nella realtà.
Il cellulare nella mia tasca vibra, leggo il messaggio con una specie di tuffo al cuore.

 

Naozumi DEVI rispondermi! Non puoi ignorarmi così... Domani ti passo a prendere agli studi, non accetto un no come risposta!
p.s. Se stai pensando di scappare, ricorda che sono molto più veloce di te! Sana-chan

 

Le labbra mi si arricciano in un sorriso. Anche se detesto ammetterlo mi sento lusingato dalle sue attenzioni. Per lei sono importante. Certo non come lui, ma quella è una battaglia persa in partenza.
Il sorriso mi si congela nella faccia appena vedo la zazzera bionda di Akito Hayama dietro il vetro di un bar. Mi irrigidisco, fermandomi istintivamente ad osservare la scena. Non è solo. Il cuore mi si contrae come se qualcuno me lo stesse strizzando perché la ragazza che vedo di profilo potrebbe essere...
Sospiro di sollievo non appena realizzo che non è Sana ma solo una che le assomiglia. Mi avvicino ancora di più al vetro, incuriosito.
È la ragazza dell'appuntamento al parco – me ne accorgo con un sussulto – quella con quegli occhi così insolitamente neri e il sorriso simile a quello di Kurata. Cosa sta combinando insieme ad Hayama? Seduti in un bar, una tazza fumante fra le mani, i visi che quasi si sfiorano. Akito si tira indietro con uno scatto e una smorfia imbronciata, ma la ragazza – Buka? Fuka? Il nome affiora con difficoltà alla mia mente – non si lascia scoraggiare e gli dà un buffetto sul braccio. Ride, il suo sorriso è davvero bello, ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è la voglia di spaccare la faccia ad Hayama. Una gran rabbia mi gonfia il petto, le nocche delle mani sbiancano per il troppo stringere i pugni, mentre continuo a rimanere lì, ipnotizzato dalla scena che ho di fronte.
Hayama per cui Sana era stata così male.
Hayama che Sana amava più della sua vita.
Hayama che era da sempre stato l’ostacolo alla mia felicità.
Quell’Hayama stava uscendo con un’altra ragazza.
Mi ritrovo a ridere, di un riso isterico e malsano. Avrei dato un braccio per essere al suo posto, per vedere gli occhi di Sana accendersi di piacere al solo sentire pronunciare il mio nome e quel perfetto idiota sta gettando tutto al vento. E per la sua migliore amica.
Sana ne sarà straziata.
L’immagine del suo volto distrutto mi appare in un flash improvviso, mi si piegano le ginocchia, tutto il mio essere che urla un silenzioso “NO”.
Non dovrà saperlo.
È una decisione repentina, irrazionale, che però mi fa sentire un po’ meglio. Perché? Sussurra una vocina malvagia nel mio orecchio. Per tutta la vita non ha fatto che illuderti e prenderti in giro, ti ha rifiutato così tante volte che hai perso il conto. Per lui. Per quell’odioso bulletto che se la fa con un’altra. Perché dovresti coprirlo? L’idea di trascinare Sana di peso fino a lì per farla assistere a quello spettacolo - per farle vedere che razza di persona è il ragazzo di cui è tanto innamorata - mi si affaccia alla mente, seducente e accattivante come poche. Schiaffarle in faccia la verità, così come lei mi aveva schiaffato in faccia i suoi mille rifiuti.
Ma non sarebbe cambiato niente.
Sana avrebbe comunque continuato ad amarlo. Lo sapevo e quella consapevolezza bruciava come fuoco. Lo avrebbe amato anche se fosse diventato un assassino.
Non sarebbe cambiato niente se non il suo sguardo.
Avrebbe avuto di nuovo quegli occhi vuoti, privi di vita, e quella espressione sofferente, come se le stessero dilaniando le viscere. Mi basta il ricordo del suo viso cinereo per desistere da ogni mio proposito di vendetta e per arrossire per i miei pensieri infantili. Se sono condannato a recitare la parte dell’amico, tanto vale che cerchi di esserlo nel modo migliore.
Contraggo la mascella, lanciando un’occhiata di fuoco ad Akito. Forse voglio ancora proteggere Sana, ma Hayama non la passerà liscia, questo è sicuro.
Mi siedo in una panchina poco distante, aspettando pazientemente che esca dal bar.


 

***

 


Fuka esce dal negozio, ed io la seguo a ruota, vagamente nauseato dalla piega degli eventi.
« Ci troviamo domani alla stessa ora, ok? » domanda con un sorriso caldo ad arricciarle le labbra.
« Tsk » bisbiglio, ma tanto quella non mi sta più ascoltando e si allontana veloce verso casa.
La mia massima aspirazione in questo momento è di imitarla e magari gettarmi sotto il getto bollente della doccia, per scacciare la strana tensione nervosa che avverto nei muscoli. Con la coda dell’occhio vedo un individuo avvicinarsi e mi volto, assumendo istintivamente una posizione di difesa.
Quando mi accorgo che si tratta del damerino, incappucciato in un impermeabile assurdo, mi scappa quasi da ridere.
« Che vuoi? » chiedo lapidario, mentre gli occhi mi si incupiscono.
« Chiederti perché devi essere così esageratamente stronzo » replica freddo.
Mi accorgo solo in quel momento che il suo sguardo è pieno di rancore e rabbia, in modo ancora più intenso del solito.
« Di che diavolo parli, Kamura? » chiedo sbuffando.
Ci mancava proprio l’ennesima paternale, per giunta da parte di uno che non sa neanche allacciarsi le stringhe da solo. Possibile che per tutti io non faccia che commettere errori?

« Hai anche il coraggio di fare il finto tonto? » domanda seccato.
Ok, c’è decisamente qualcosa che non va. Fra me e Naozumi non c’è mai stato buon sangue, ma da come mi fissa, dalla piega feroce delle sue labbra, sembra che si stia trattenendo dal saltarmi al collo.
Infilo le mani in tasca e gli do le spalle, intenzionato ad evitare le sue insulse accuse.
« Sei così codardo, Hayama, da non riuscire nemmeno a fronteggiarmi? Oppure a forza di risolvere le questioni con i pugni ti sei dimenticato come si fa a parlare? » sfotte ironico.
Mi volto di scatto, fulminandolo. L’occhiata che gli lancio è di chiaro disprezzo.
« Se hai tanta voglia di dare aria alla bocca, che ne dici di arrivare al punto, invece che farmi perdere tempo? »
Il damerino freme, stringendo le mani convulsamente.
« Il punto è, Hayama, che appena Sana ti volta le spalle, te la fai con un’altra >>
Sgrano gli occhi, stupito, e sento la rabbia crescermi nel petto. Se voleva attirare la mia attenzione, c’è riuscito in pieno. Chissà se è anche disposto a pagarne le conseguenze.
« Adesso ti metti a pedinarmi, Kamura? » chiedo minaccioso.
« Hai idea di quanto Sana starebbe male se lo venisse a sapere? » prosegue ignorando la mia domanda.
« E scommetto che tu muori dalla voglia di dirglielo, eh? » domando ironico.
I suoi occhi si spalancano e un lieve rossore gli colora le guance. Ho fatto centro, a quanto pare.
« Dammi un buon motivo per coprirti » nel pronunciare queste parole ritrova la sua sicurezza e mi fissa negli occhi. « Dimmi che mi sbaglio, che non era un appuntamento. Promettimi che non le farai del nuovo del male ».
È l’ultima frase a mandarmi il sangue al cervello.
« Io NON le ho mai fatto del male! » sbottò riducendo con un passo la distanza che ci separa e afferrandolo per il bavero della giacca. La sorpresa e la paura nei suoi occhi non mi impedisce di ringhiargli in faccia tutta la mia frustrazione. Il nervosismo era già alle stelle prima che ci si mettesse questo impiastro, e quando si tratta di Kurata reprimere i sentimenti diventa quasi impossibile. « Piuttosto che pensare a quello che faccio io, perché non ti fai da parte una volta per tutte e la lasci in pace? Ma è più facile scaricare la colpa sugli altri… ti senti meglio se dipingi me come un mostro, eh? » soffio ad un centimetro dal suo volto paonazzo. « Fatti un esame di coscienza prima di aprir bocca! »
Il tono della mia voce è così alto che alcuni passanti si fermano ad indicarci, preoccupati. Kamura afferra il mio braccio, cercando vanamente di scansarlo. La mia presa è ferrea e determinata come il mio proposito di spaccargli la faccia.
« Di cosa parli? »
« Qualche sera fa ho trovata Kurata, da sola, di notte, in un parco deserto. Non sembrava proprio il ritratto della felicità, sai, e mi ha detto di essere stata da te » l’espressione del damerino – lo stupore che cede a poco a poco il posto allo sconforto – non mi ammorbidisce neanche un po’. « A quanto pare non sono l’unico a farla soffrire ».
Mi fissa, imbambolato, senza riuscire a spiccicar parola. Devo fare forza su ogni fibra del mio essere per allentare la presa sul suo impermeabile e lasciarlo libero. Quello si risistema con uno sguardo vagamente allucinato, fissandomi come se mi vedesse per la prima volta.
« I miei errori non ti danno il diritto di prenderla in giro » afferma infine, il viso pallido e bianco come un morto.
« I tuoi errori non ti danno il diritto di venire qui e dirmi come mi devo comportare » lo scimmiottò freddo e intenzionato a troncare la conversazione prima di perdere l’autocontrollo faticosamente raggiunto.
Il damerino sorride, ma è un sorriso amaro, che non raggiunge gli occhi, bassi e cupi.
« Bene, allora mi limiterò a un consiglio ».
Inarco un sopracciglio e lo guardo strafottente. La frase “Non so che farmene dei tuoi consigli” mi si legge chiaramente in faccia; ma quello prosegue noncurante.
« Non vederti con Fuka domani ».
Lo guardo allibito, senza capire se ha del fegato o è masochista.
« È una minaccia? » il tono è ironico, ma sono tutto un fascio di nervi, la voglia di zittirlo un tarlo che corrode a poco a poco la mia buona volontà.
Naozumi scuote la testa.
« È un avvertimento » conclude fissandomi negli occhi. « Se tieni a Sana, non vederla ».

Con quell’ultima frase a mo’ di saluto, si allontana (1). Abbasso la testa, fissando il marciapiede grigio e freddo ai miei piedi.
« Ma è proprio per Kurata che lo faccio » bisbiglio a voce talmente bassa che Naozumi non può sentirmi.
Gli do le spalle, dirigendomi verso casa, il passo lento e trascinato. Maledetto Kamura. Se già il mio umore era cupo, adesso è decisamente pessimo. E la voglia di spaccargli la faccia è ancora lì, annidata da qualche parte, implorando di fuoriuscire e potersi sfogare su qualcosa invece che divorarmi da dentro.
Cammino cupo, perso nei miei pensieri, preoccupato per l’appuntamento dell’indomani con Fuka. Arrivato di fronte a casa mi paralizzo e la bocca mi si spalanca in un’espressione comica, che mi affretto a reprimere. Kurata è appoggiata al mio cancello, con tutta l’aria di stare aspettando proprio me.

 

 

 

 Perché qui
Qui c’è un tetto di stelle
E un oceano di pelle
E un deserto di voci
E un tepore di baci
Perché qui
Qui non passa più
niente

Qui non passa che il tempo
E si scioglie in un momento
Perché qui
È passato l’amore ad un passo da me
.
Qui Nomadi

 

 
 

 

Sono appoggiata al cancello, le sbarre fredde premono contro la mia schiena acuendo la sensazione di disagio che mi permea tutto il corpo. I residui dell’incubo della sera prima sono ancora lì, serpenti invisibili che strisciano e sibilano nella mia testa.
Sento un rumore leggero di passi e prima ancora di sollevare la testa a fissarlo, già mi ritrovo il cuore in gola.
Akito Hayama cammina verso di me, i capelli scompigliati dal vento, il viso pallido e una smorfia indecifrabile sul volto. I suoi occhi, liquidi come il miele dorato, sono appuntati su di me, sgranati per lo stupore. Mi basta vederlo perché la morsa che mi paralizza le gambe si allenti un po’.
È qui. Era solo un sogno.
Dischiudo le labbra in un sorriso, impacciata come una bambina di due anni.
« Kurata » mi saluta fermandosi ad alcuni passi di distanza.
Troppo lontano. Ho bisogno delle tue braccia intorno al corpo, Akito. Queste parole non riesco a pronunciarle ad alta voce, ma forse qualcosa si riflette nel mio sguardo, perché i lineamenti di Akito si distendono e i suoi occhi mi sfiorano caldi come una carezza.
« Io… avevo bisogno di vederti » mormoro sfacciatamente sincera.
Avevo bisogno di sapere che ci sei, che ci sarai sempre. Le immagini dell’incubo mi affiorano alla mente, sovrapponendosi alla realtà.
Una stanza vuota, fredda, giocattoli rotti gettati per terra. Sono riversa sul pavimento, incapace di reggermi sulle gambe, i muscoli che non rispondono ai miei comandi.
« Perché? » chiede osservandomi attentamente.
Una porta nera si apre e appare Akito, il cuore mi fa una buffa capriola nel petto ma il gemito di gioia mi muore sulle labbra appena vedo lo sguardo di disprezzo che mi rivolge. Mi dà le spalle, come se fossi qualcosa di completamente insignificante. Lo chiamo, allungo il braccio verso di lui, ma quello continua ad ignorarmi come se fossi solo un insetto fastidioso.
« Io… » non riesco a parlare, gli occhi sbarrati, il corpo scosso da brividi che non sono provocati dal freddo.
« Hayama! » urlo dando fiato a tutti i miei polmoni, ma Akito si allontana, le mani in tasca, il passo noncurante. Un corridoio stretto e lungo appare d’improvviso e la sua figura è sempre più distante. Vorrei alzarmi, mi graffio le cosce per il desiderio di raggiungerlo, ma sono paralizzata, bloccata al suolo. Schiacciata dalla consapevolezza, istintiva e implacabile, che se non lo fermo lo perderò per sempre.
« Kurata… » dice Akito con voce insolitamente dolce, annullando la distanza che ci separa. Il tempo di un respiro e mi ritrovo fra le sue braccia, il profumo di bucato dei suoi vestiti che mi solletica le narici. Le mie mani stringono spasmodicamente la sua giacca, mentre con un sussulto nascondo la testa nell’incavo della sua spalla.
« Hayama, ti prego! »
Questa volta si gira, il suo viso distorto da un sorriso affilato e spietato. I suoi occhi duri come quando era un bambino delle elementari arrabbiato con il mondo e con se stesso.
« Cosa diavolo vuoi Kurata? Sei stata tu a dirmi di non toccarti, ricordi? Adesso sparisci! »
Si volta, riprendendo a camminare e questa volta l’urlo mi muore in gola, soffocandomi.
« Sono qui » mormora semplicemente.
Bastano quelle due parole a riportarmi alla realtà. Ero lì, ero con Hayama. Il suo corpo muscoloso, i suoi capelli soffici, i suoi occhi preoccupati. Prima ancora che me ne renda conto avvicino le mie labbra alle sue, lasciandomi guidare dall’istinto.

Un salto nel vuoto.
Per un lungo, terrificante attimo Akito rimane perfettamente immobile, gli occhi sgranati, un’espressione quasi comica. La sensazione è quella di buttarsi in un precipizio senza paracadute e mentre trattengo il respiro, sento la terra mancarmi sotto i piedi. Poi le sue labbra calde si dischiudono e le sue braccia mi cingono i fianchi in una morsa. Mi sembra quasi di galleggiare, la legge di gravità non ha più alcun valore per me.
Bacio Akito, gettandomi contro il suo corpo, artigliandogli la giacca, mentre la sua lingua si intreccia alla mia e un gemito roco, di piacere e sorpresa insieme, gli esce dalle labbra. Le sue dita risalgono la mia schiena in una carezza lenta, fino a fermarsi alla nuca e i brividi di desiderio mi sconquassano il corpo. Il suo tocco impaziente e le sue labbra di miele sono il paracadute di cui avevo bisogno, la perfezione di quel momento è tale che vorrei piangere.
Akito si stacca, un’espressione stupefatta, ma anche un timido, tremulo sorriso che mi fa venire subito voglia di baciarlo di nuovo.
« Mi hai baciato. Tu hai baciato me » mormora con un tono buffissimo.
Sorrido, chiedendomi se i miei occhi riflettano anche solo un decimo della gioia che provo in quel momento.
« Stavolta era il mio turno di coglierti di sorpresa » soffio scherzosa con le labbra a pochi centimetri dalle sue.
Questa volta il sorriso sboccia sul volto di Hayama, un evento così raro da lasciarmi ogni volta senza fiato.
« Allora adesso tocca di nuovo a me » mormora prima di sfiorare di nuovo le mie labbra.
È un bacio diverso da quello frenetico e irruento di poco prima. Stavolta le sue labbra sono dolci, lievi come una piuma. Mi cinge la vita, stringendomi a sé, il senso di completezza che mi dà il fatto di essere fra le sue braccia mi fa sorridere, mentre ricambio con slancio e delicatezza insieme i suoi baci e le sue carezze.
È un bacio lento, profondo, di quelli che non ti tolgono il controllo, ti lasciano lì, consapevole del suo odore, della sua pelle, delle sue labbra, ti lasciano lì e ti fanno desiderare di non trovarti mai in un posto diverso dalle sue braccia.
Allontano la testa con un sospiro soddisfatto, scrutando il suo viso. Akito ricambia lo sguardo, i suoi occhi sono così intensi da ipnotizzarmi e scacciare definitivamente ogni residuo dell’incubo.
« Io e Naozumi non stiamo insieme » gli comunico, di nuovo timida. Lo guardo di sottecchi, apparentemente è impassibile ma la presa sui miei fianchi si fa quasi dolorosa.
« In realtà non siamo mai stati insieme » chiarisco.
« Ah » mormora atono.
Gli rivolgo un sorriso impacciato, pensando distrattamente che Rei si farà venire un infarto se non torno a casa entro dieci minuti.
« E quella sera al parco? » chiede inchiodandomi con lo sguardo.
La sera in cui ero quasi andata a letto con Nao. Divento scarlatta, troppo impacciata per raccontargli la verità, troppo gelosa di quel momento perfetto per rovinarlo con un altro litigio. Boccheggio, in cerca di un modo – uno qualsiasi – per cavarmi dall’imbarazzo. I secondi diventano minuti e quell’attesa silenziosa mi fa agitare ancora di più.
Improvvisamente il volto di Akito si fa più vicino, troppo per il mio cuore irrequieto, le sue labbra sono appena a un soffio di distanza…
« Toc, toc. C’è qualcuno in casa? » chiede beffardo picchiettando con un dito la mia fronte.
Lo fisso allibita, con i denti che si contraggono pericolosamente.« Non guardarmi così. Stavi andando in iperventilazione, ho solo voluto sdrammatizzare » replica come se fosse la risposta più ovvia del mondo.
« Akito Hayama! » urlo gesticolando come una matta. « Sei sempre il solito! »
Mi fingo infuriata, ma la realtà è che faccio fatica a trattenere un sorriso. Finisce sempre così, fra noi.
« Mamma mia, come se permalosa » sbuffa con le mani dietro la testa.
Rimaniamo in silenzio per un po’, fissandoci negli occhi. Inspiegabilmente è Akito ad abbassare per primo lo sguardo.
« In realtà non mi importa, sai » mormora a voce bassissima.
« Eh? » domando disorientata dai suoi continui cambiamenti di umore. Come eravamo finiti dai tono scherzosi di pochi secondi prima alla sua faccia di nuovo cupa e guardinga?
« Non mi importa se sei andata a letto con lui ».
Questa volta mi fissa in viso, uno sguardo talmente determinato che mi sento in trappola. Il rossore ritorna alle guance, e così il divagante imbarazzo.
« Io… ehm… » balbetto sentendomi una perfetta cretina.
« Ti ho detto che non importa ».
La sua voce è metallica, il suo sguardo duro: acciaio e oro fusi nei suoi occhi.
« Come vuoi » rispondo pensando che invece non va affatto bene, che ti dovrei urlare che… che cosa? Che ti sei fermata solo all’ultimo? Che ti sei lasciata baciare, toccare, spogliare? Vuoi davvero dirgli queste cose? La vocina cattiva che mi risuona nelle orecchie mi convince a lasciar cadere l’argomento. « Adesso devo andare. Ci sentiamo per la vigilia, ok? » gli domando vincendo il nervosismo e facendomi più vicina.
Hayama annuisce, come paralizzato. Deposito un innocente bacio a stampo sulle sue labbra prima di allontanarmi, un sorriso ebete stampato in faccia.
Arrivata a casa mi getto sul letto, abbracciando il cuscino, con la certezza per la prima volta dopo chissà quanti mesi che le cose sarebbero andate bene.
E quella sera, finalmente, Naozumi rispose alla mia telefonata.

 



 

 

(1) in questo momento si colloca il flashback dell’undicesimo capitolo “Rimpiazzo”: l’incontro nella gelateria di Naozumi e Fuka.
 

 

 

 

Ciao a tutti!
Per questo capitolo che è stato abbastanza sofferto un grazie speciale va a Luelga. Nella parte finale ho descritto una scena che spero essere abbastanza dolce ( almeno queste erano le mie intenzioni) fra Sana e Akito, ma la mia vena sadica ha previsto un altro ostacolo al loro rapporto che immagino abbiate intuito dalla parte iniziale del capitolo. Comunque siamo verso la fine e presto tutti i nodi verranno al pettine!
I protagonisti del prossimo episodio sono di nuovo Fuka e Naozumi, per maggiori delucidazioni vi rimando all’incipit di esso ( il titolo credo che sarà “Gelosia”). Un piccolo spoiler:

Uno strano fastidio mi stringe le viscere. Chi è quello
? Fuka ha la schiena rigida e mi chiedo se il motivo sia solo per il nostro litigio e non l’incontro con questo sconosciuto.
(…)
<< Takaishi… perché sei qui? >> domanda Fuka esitante
. 

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: Elpis