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Autore: Mary P_Stark    12/12/2011    2 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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16.

 

 

 

 

 

Il secondo giorno di lotta non fu differente dal precedente, e fiumi di sangue si mescolarono alla terra e all’erba schiacciata dal passaggio dei soldati, o falciata dai colpi degli zoccoli dei cavalli.

Le fauci dei lupi giungevano laddove il braccio delle donne-lupo non poteva, mentre le spade di Enerios fendevano l’aria ricca dei profumi del bosco in fioritura.

Nargan, racchiuso da una bolla protettiva offertagli dai suoi migliori soldati, osservava inquieto e nervoso l’evolversi della battaglia.

Nella sua mente non aveva ancora chiaro come procedere di fronte a quello schieramento così eterogeneo di forze ma che, a conti fatti, lo stava tenendo sotto scacco con indubbia bravura.

Con il duplice apporto delle donne-lupo e delle figlie sacre, Aken aveva annullato il vantaggio di Nargan, offertogli dai suoi cavalieri e dalla sacra stirpe di Hevos, su cui lui aveva contato per eliminare alla radice qualsiasi resistenza da parte di coloro che aveva deciso di conquistare.

Per colpa di Aken, invece, ora doveva fronteggiare un esercito esperto e agguerrito, non sparute squadre di guardie forestali di confine.

Scioccamente, il Re di Vartas lo aveva creduto morto tra le acque del Fenar, invece la piccola lupa dai capelli d’oro che viaggiava con lui era riuscita in qualche modo a salvarlo, consentendogli di predisporre quel nutrito esercito per fermarlo, ed ora non sapeva come procedere.

Invece di una guerra-lampo, vinta con facilità e pochissimo dispendio di energia, ora si prospettava una snervante quanto incerta lotta senza esclusione di colpi, di cui non poteva prevedere l’esito finale.

Avrebbe dovuto eliminarlo di persona a suo tempo, nel Cono del Silenzio, invece di giocare al gatto col topo contro il nemico sbagliato.

Irritato, Nargan fissò il campo di battaglia gremito di soldati mescolati tra loro in un miasma purulento di corpi aggrovigliati tra loro e, parlando al suo aiutante di campo senza mai distogliere lo sguardo dalla lotta, disse: “Dovete uccidere il principe Aken a tutti i costi. Ucciso lui, l’esercito si sfalderà come un castello di carte.”

“Non è facile, sire. Due figlie sacre sono sempre accanto a lui e, anche se così non fosse, il principe è abile, con la spada” replicò l’ufficiale, timoroso di incorrere nelle ire del proprio re.

Digrignando i denti, Nargan ringhiò: “Quel maledetto ha stretto patti con tutte le figlie sacre della montagna, forse?! Uccidetelo! Non mi interessa come, ma voglio il suo sangue su quella radura!”

“Parlerò coi comandanti delle coorti” annuì l’uomo, allontanandosi da Nargan con passo lesto e a testa bassa.

Stringendo le redini del cavallo su cui sedeva con piglio rigido, Nargan sibilò tra i denti: “Avrò il tuo sangue, in un modo o nell’altro, Aken. Non ti permetterò di vanificare così i miei sforzi!”

***

Accorrendo nella strada principale del villaggio, quando videro arrivare un paio di carri su cui si trovavano le donne di ritorno dal fronte, Eikhe e le sue compagne osservarono sgomente le pesanti ferite delle loro sorelle.

Avanzando velocemente – per quanto glielo consentisse la gravidanza – si affiancò al carro ed esalò sgomenta: “Cos’è successo?”

La donna che guidava il carro, una guerriera di circa cinquant’anni, le disse stancamente: “Ci hanno attaccate sul fianco sinistro dell’esercito con frecce incendiarie. Sono stati dei veri pazzi, a usarle in mezzo a un bosco. Ne hanno bruciato diversi acri.”

“Che idioti” esalò Eikhe, aiutando a scendere dal carro una donna ferita a una gamba. “Le fasciature vanno cambiate. Sono zuppe di sangue.”

“Beh, di certo non me le cambierai tu, razza di animale!” le ringhiò contro la donna, scostandola di malagrazia.

Impreparata a quella spinta, Eikhe caracollò all’indietro fino ad aggrapparsi al carro con espressione turbata e sgomenta insieme e, senza capire, esalò: “Ma cosa ti ho fatto?”

“Sei una bestia come le altre, e io non voglio avere niente a che fare con te!” esclamò la figlia del branco, andandosene claudicante insieme a una sua compagna.

Fissando senza capire la guidatrice del carro, la sentì dire a mo’ di spiegazione: “E’ stata ferita da una delle figlie sacre che combattono per Vartas.”

“Figlie sacre!” le ritorse contro la donna in questione, voltandosi a mezzo per fissare Eikhe con disprezzo. “E’ uno spregio, degnarle di un titolo simile! Sono solo belve sanguinarie! Le Guardiane dovrebbero avere il potere di ucciderle appena nate, come era stato proposto ai tempi del Massacro di Eskit!”

“Smettila, Evena! Non devi permetterti di parlare a questo modo! Sai benissimo che la legge parla chiaro!” le ritorse contro la conduttrice del carro.

“Kilana, non venirmi a dire cosa dice la legge, perché lo so benissimo!” sbuffò Evena, accigliandosi ulteriormente. “Quel che non concepisco è che quella ragazzina se ne stia lì, col suo pancione in bella vista, senza aver ricevuto la punizione dovuta a chi infrange le regole!”

Reclinando il capo, Eikhe cercò di non dire nulla ma Evena, di tutt’altro avviso, le si avvicinò rabbiosa e le sputò in faccia con rabbia: “Perché nessuna di noi sa chi è il padre del tuo bastardo?! Cos’hai da nascondere?!”

Spalancando gli occhi a quelle parole, Eikhe assottigliò le iridi dorate e, puntandole sul volto aggrottato di Evena, sibilò: “Non ti permetto di parlare a questo modo della mia creatura, né di offendere suo padre. Le ragioni per cui taccio devono interessare solo a me e, quanto alla punizione di cui vai blaterando, penso che queste siano più che sufficienti a placare il tuo bisogno di sangue!”

Detto ciò, mise mano agli alamari della tunica che indossava e, dopo averla fatta scivolare dalle spalle, si volse per mostrare la sua schiena alla donna.

Sollevato l’orlo della camiciola di lino, mostrò con orgoglio ciò che essa nascondeva.

Rosse striature rigonfie e grandi come un dito segnavano la pelle come corde sigillate nella carne, dodici nerbate fresche e pulsanti che dichiaravano senza bisogno di parole quanto la legge fosse stata rispettata.

Con voce resa tesa dall’odio malcelato che provava, Eikhe sbottò aspra: “Ti sembrano abbastanza, o devono farmene delle altre?”

Evena non parlò, fissando con mani tremanti quei segni scarlatti sulla sua giovane pelle.

Scendendo d’un balzo dal carro, Kilana sistemò in silenzio la camiciola di Eikhe, mentre lei aggrottava la fronte al passaggio del lino sulle ferite ancora fresche e doloranti.

Guardando con cupo cipiglio le donne presenti, Kilana dichiarò a gran voce: “Chi di voi vuole infierire ancora sulla figlia sacra, sappia che avrà da ridire con me. A voi, forse, non interessa che Eikhe sia innanzitutto una ragazza in procinto di diventare madre, ma a me sì. E la prima che troverò a ingiuriarla, assaggerà la mia spada!”

“Kilana!” ansò sorpresa Eikhe, fissandola a occhi sgranati.

Sfiorandole una guancia con la mano irruvidita da anni di lavoro con la spada, la donna si limitò a chiederle: “Chi te le ha fatte, Eikhe? Non può essere stata Kaihle. Sono troppo recenti, e lei manca da casa da più di un mese e mezzo.”

Scuotendo il capo, Eikhe replicò mesta: “Non importa, Kilana. Se è il prezzo da pagare per non perdere il bambino, lo accetto volentieri.”

Arcuando un sopracciglio, Kilana borbottò contrariata: “Avrebbe voluto farti abortire… così avanti con la gravidanza?”

Sospirando, Eikhe scosse nuovamente il capo, preferendo non parlarne in mezzo alla strada, sotto lo sguardo di tutte.

“Non ne parliamo, ti prego.”

Aggrottando pericolosamente la fronte, Kilana la rispedì a casa con la promessa che avrebbero parlato in privato.

A quel punto, si volse per occuparsi delle donne ferite e disse aspramente: “Ora vediamo di sistemarvi, e non una parola su Eikhe, o finirò il lavoro dell’esercito di Vartas.”

Nessuna ebbe il coraggio di contraddirla.

Kilana impiegò più di tre ore per curare tutte le donne di ritorno dal fronte, prima di poter uscire dall’ultima casa dove aveva prestato il suo servizio di medico.

A passo lento, quindi, si diresse verso la capanna di Eikhe con il chiaro intento di parlarle.

Non le era affatto piaciuto quello che era venuta a sapere, e doveva andare a fondo della questione per poter avvisare chi di dovere.

Dopo aver bussato, Kilana trovò Eikhe semidistesa su un divano coperto di pellicce, il ventre reso evidente dalla tunica aperta sul davanti.

Sorridendo, le disse con un risolino: “Sembri una palla.”

Ridacchiando, Eikhe smise un momento di passare un unguento ammorbidente sulla pelle tesa del ventre.

“Accomodati pure, Kilana. Finisco e sono da te.”

“Fai pure con comodo. Non mi disturba vederti mentre ti prendi cura del tuo corpo” dichiarò Kilana, sedendosi su una poltrona accanto al divano.

Ammiccando, Eikhe proseguì passando l’unguento sulla pancia con mano gentile, prima di interrompersi quando il bambino le calciò in corrispondenza dell’ombelico.

Ridendo sommessamente, la ragazza fece cenno a Kilana di avvicinarsi e, piano, disse: “Senti come tira calci.”

Sfiorando il ventre caldo della ragazza, Kilana ridacchiò all’ennesimo colpetto sottopelle.

“Potrebbe sfondarti la pancia, di questo passo.”

“Spero di no!” esalò Eikhe, canticchiando piano e avvicinando il viso al suo ventre prominente.

Subito, il bambino smise di calciare ed Eikhe, sospirando, mormorò: “Ama questa canzone. Si calma sempre, quando la canto, anche se parla di guerre e di uccisioni. Valli a capire, i bambini.”

“Dalla sua forza, e dalla forma della pancia, direi che è un maschio” mormorò Kilana, aggrottando la fonte preoccupata. “E anche bello grosso. Tu, invece, hai fianchi così snelli che...”

“Non mi interessa” sbottò bonariamente Eikhe, bloccando le sue preoccupazioni con un gesto della mano. “E’ mio figlio, non devo sapere nient’altro. Vedrai che in qualche modo faremo, io e lui. E, visto che non posso mandarlo dal padre, lo crescerò io. Anche senza il consenso di mia madre, o della tribù. Ho la benedizione di Hevos, e non mi interessa altro.”

Impallidendo, Kilana esalò: “L’hai … incontrato?”

Annuendo, Eikhe ripensò a quei momenti nella foresta, quando le era sembrato possibile persino rimanere per sempre al fianco di Aken.

“Sì, e ha visto il padre di mio figlio, benedicendo anche lui. A me non occorre sapere altro.”

Sospirando, Kilana tornò a chiederle: “Chi ti ha fatto quelle ferite? Spero non Tyura.”

“No, lei non ne sapeva niente. Me le ha fatte Narhu, quando mia sorella si è recata a Marnha per alcune commissioni. Mia madre le disse di occuparsene, mentre lei era impegnata al fronte” spiegò Eikhe, tranquilla, le dita che tamburellavano ritmicamente sulla pelle tirata dell’addome rotondo.

“E tu non ti sei rifiutata?” esalò Kilana, vagamente sorpresa.

“Che dovevo fare? Mettere nei guai Narhu, e solo perché eseguiva un ordine?” replicò Eikhe, scuotendo il capo. “Kilana, posso sopportare più dolore di quanto voi tutte non crediate, quando ho qualcosa da difendere. Certo, dopo ho pianto per ore, quando l’effetto dei poteri di Hevos è svanito, e Tyura ha piagnucolato come una fontana, quando mi ha dovuto curare le ferite, ma ho ancora mio figlio, e tanto mi basta.”

Sospirando, Kilana scosse il capo, dispiaciuta e irritata.

“Un episodio isolato non può costarvi così tanto. Meritate a pieno titolo la nomea di figlie sacre, anche solo per il dono che portate nel vostro sangue. Ciò che successe a Eskit fu una disgrazia, ma la colpa non avrebbe dovuto ricadere unicamente su Luesrea. Uccidere il suo bambino fu un errore delle sue sorelle.”

“Kilana, la maggior parte delle donne ha paura di noi. E la paura genera odio. Loro ricordano solo la furia di Luesrea, non ciò che la generò, quindi io e le altre rimaniamo, e rimarremo, solo bestie, ai loro occhi” replicò fatalista Eikhe, sorridendo un attimo dopo, quando Liar si mise a strusciare il muso contro la sua pancia.

“Pare gli piaccia” sorrise Kilana, osservando il lupo mentre, con gesti teneri, accarezzava il ventre della padrona con il musetto morbido.

“Piace a tutto il branco. Se non avessi il loro appoggio e quello delle mie amiche, non so come farei ad arrivare alla fine della gravidanza” sospirò Eikhe. “Ormai ho la schiena a pezzi, e non sono ancora entrata nel settimo mese di gravidanza. Non fosse per le ragazze, che mi danno una mano in tutto, a quest’ora avrei già abortito spontaneamente, temo.”

“Beh, io ora sono qui, e avrai anche me, al fianco” asserì con veemenza Kilana. “Per almeno un mese non dovrò più presentarmi sul fronte, perciò mi avrai a tua completa disposizione.”

“Come procede la battaglia?” chiese a quel punto Eikhe, fissandola turbata.

“Direi bene. Sono settimane che continuiamo a rintuzzare gli attacchi di Vartas e, tra le loro fila, serpeggia già il malumore. Nessuno di loro si aspettava che fossimo così preparati a combatterli, e Nargan pare alquanto disgustato dalla faccenda” spiegò Kilana, con un sogghigno.

Liar abbaiò soddisfatto, scodinzolando giulivo mentre osservava Kilana con interesse.

“I principi stanno bene?” si informò Eikhe, tentando di non mettere troppa enfasi nella sua voce.

Era più che sicura che avrebbe avvertito un dolore al cuore, se ad Aken fosse accaduto qualcosa, ma preferiva saperlo dalla bocca di una persona fidata.

L’intuito, spesso, poteva essere foriero di falsi presagi di sventura.

“Sì, sono entrambi in salute” annuì Kilana. “Combattono sempre uno a fianco dell’altro, e non si mollano un secondo. Una decina di giorni fa, quando siamo partite per venire qui, avevano quasi accerchiato la guardia privata di Nargan.”

“Non mi stupirebbe se il principe Aken volesse tagliargli la testa personalmente. L’ultima volta che lo abbiamo incontrato, non è stato la quintessenza della cortesia” dichiarò Eikhe, con un sogghigno.

Si immaginò Aken in sella al suo stallone da guerra, la spada levata sopra il capo fiero, e il suo urlo possente librarsi nell’aria a dichiarare i suoi intenti bellicosi.

“Posso crederci! E, forse, è proprio per questo che il principe sembra così determinato ad ammazzarlo di sua mano” commentò Kilana, ridacchiando.

“Ha visto i suoi uomini venire massacrati sotto gli occhi, senza poter far nulla per salvarli…” mormorò Eikhe, rammentando con l’amaro in bocca quella battaglia impari. “… lo farei anch’io, onestamente.”

Aggrottando la fronte, Kilana le chiese: “Cos’è successo, quella volta?”

“Fui costretta a trascinarlo via a forza, per salvarlo, e ci gettammo nel fiume per sfuggire a Nargan. Non fu davvero un bel momento” spiegò succintamente Eikhe, reclinando il capo a fissare il suo ventre prominente.

Immediatamente, il suo cuore si chetò, liberando in tutto il suo corpo pace e tranquillità. Ne aveva così bisogno!

“Immagino…” annuì torva Kilana, prima di aggiungere: “… se continuano così, riusciranno a sconfiggere Vartas prima della nascita del bambino.”

Impallidendo leggermente, Eikhe asserì: “Da un certo punto di vista, preferirei di no. Se mia madre non ci fosse, sarei più tranquilla.”

“In ogni caso, lei tornerà. Ha già dato disposizioni in merito, qualora le cose si prolungassero più del dovuto” la avvertì Kilana, accigliandosi.

“Lo temevo…” sospirò Eikhe. “… mi assisterai, durante il parto?”

“Sì, figlia sacra. Sarò la tua spalla” annuì Kilana, con un elegante gesto del capo.

“Grazie” sussurrò la ragazza, allungando una mano per stringerla nella propria.

Sperava davvero di non averne bisogno ma, con sua madre, non poteva davvero sapere.

L’importante, per il momento, era avere la certezza che sia Aken che Ruak stavano bene. Null’altro le interessava.

***

Una pioggia scrosciante si era abbattuta sulla piana dei combattimenti, e il fango ora ricopriva i prati calpestati dai soldati, insieme al sangue mescolato con l’acqua melmosa.

Tuoni fragorosi rimbombavano funesti sulle loro teste mentre, a fasi alterne, scoppi di grandine crollavano su di loro costringendoli a ritirarsi tra il fitto del bosco.

Anche il tempo infernale ci si metteva a complicare, e allungare, quella maledetta guerra!

Combattere con simili condizioni meteorologiche era pressoché impossibile, sia per loro che per Vartas.

Fermo accanto al fratello, al riparo degli abeti della foresta, in trepidante attesa che quel maledetto temporale scemasse a sufficienza per far riprendere i combattimenti, Aken mormorò fosco: “Ci mancava solo questo tempo allucinante. Quando smetterà, sarà come cercare di camminare nella melassa.”

“Non ci tengo proprio a ricominciare in quel macello” storse il naso Ruak, dondolando le braccia con aria indolente mentre, con lo sguardo, osservava irritato il campo di battaglia.

Il tutto era ormai ridotto a uno sfacelo indistinguibile di terra, fango, pietre e corpi martoriati.

Guardandolo curiosamente, e cercando nel contempo di non pensare a ciò che li avrebbe aspettati una volta terminato quel fortunale, Aken abbozzò un sorrisino prima di dire: “Sembri annoiato.”

“Non proprio; sono stanco di ruzzolarmi nel fango, nella polvere, nella melma, in mezzo ai cadaveri, e solo perché quell’idiota di Nargan non si rende ancora conto di avere già perso. Le sue forze sono ormai decimate, gli uomini demoralizzati, eppure lui non vuole cedere” sbottò Ruak, disgustato.

“Che vuoi che ti dica? Nargan non ha mai brillato per intelligenza” replicò il fratello maggiore, prima di scrutare le nuvole in cielo.

Ribollendo nel cielo, come smosse da enormi mani demoniache, si stavano allontanando da loro, spostandosi verso sud.

Nel giro di poche ore, forse già nel primo pomeriggio, avrebbero potuto riprendere i combattimenti, ma non sapeva se gioirne o meno.

Anche lui era stanco di quella guerra assurda, stanco di veder morire compagni e animali, stanco di sentire il cozzare delle spade e lo sfrigolare dei fuochi delle frecce incendiarie, stanco di non poter dire la parola ‘fine’ a quel delirio.

Sospirando, Aken si volse a mezzo per richiamare l’attenzione delle due figlie sacre che, come ombre, li avevano seguiti fin da quando avevano stretto un patto con Kreathe ed Esteria.

Non appena Liase e Vesthe furono accanto a loro, disse: “Dite alle vostre compagne di tenersi pronte. Nel giro di poche ore, il fronte della tempesta si sarà spostato a sufficienza perché quelli di Vartas ricomincino a menar le mani, perciò vi voglio già pronte e inferocite.”

Vesthe ridacchiò e dichiarò divertita: “Oh, non abbiamo bisogno che tu ce lo dica, principe. Siamo inferocite a priori. Per colpa di quel folle di Nargan,  abbiamo perso un sacco di tempo, e di compagne. Non passerà di qui neppure tra un secolo.”

Abbozzando una risatina, Aken commentò: “Lieta di sentirtelo dire, Vesthe.”

Ammiccando, la donna scrutò il cielo e disse: “Hai letto bene il cielo, principe. Chi ti ha insegnato così bene?”

“Una tua sorella” sorrise il principe.

“Oh, allora è per questo che sei così esperto! Le farò i miei complimenti, quando la vedrò. Il suo nome?” chiese allora Vesthe, curiosa.

“Si chiama Eikhe, ed è del villaggio di Nestar” le spiegò Aken, prima di aggiungere: “Qualora dovessi incontrarla, le daresti un messaggio da parte mia?”

“Quel che vuoi, principe” scrollò le spalle Vesthe.

“Dille che le auguro ogni bene, e la ringrazio per ciò che ha fatto per Enerios” si limitò a dire Aken, sperando che Eikhe potesse capire quanto non poteva dirle.

Annuendo, la donna si mise sull’attenti e dichiarò: “Ricevuto, principe. Fai conto io gliel’abbia già detto. Ora, andiamo dalle nostre compagne a riferire il messaggio. Voi due non muovetevi da qui.”

Ruak non poté che scoppiare a ridere.

“Adoro farmi dare degli ordini da una donna così affascinante!”

A quel punto intervenne Liase, rimasta in silenzio fino a quel momento, e celiò ilare: “E io adoro gli uomini che si fanno comandare a bacchetta!”

Aken scoppiò a ridere assieme al fratello, mentre le due figlie sacre si allontanavano di corsa, quasi galleggiando sull’erba bagnata.

Era impossibile non notare la loro leggiadria, davvero impossibile.

Ammiccando al fratello, Ruak domandò: “Chi l’avrebbe mai detto che mi sarebbe piaciuto avere le spalle coperte da una donna?”

“E’ più piacevole di quanto tu non immaginassi, eh?” chiosò Aken, osservando le loro due guardie del corpo mentre, con ampi gesti e gran parlare, spargevano la voce tra le sorelle del loro esercito.

Tornando serio, Ruak si guardò intorno, scrutando i soldati, l’accampamento, gli animali da tiro e i cavalli da guerra.

“Mi sono fatto un’idea molto romantica della guerra, negli anni e, quando ho saputo che avrei potuto partecipare alla campagna contro Vartas, ne ero felice, in fondo al cuore.”

Aken si volse a guardarlo, cercando di comprendere dove volesse andare a parare il fratello.

“Ora, so di aver non solo sbagliato, ma di essere stato superficiale. Non c’è nulla di poetico nello stroncare una vita, né niente di appassionante nel partecipare a una battaglia. I cantori ne decantano le bellezze eroiche solo perché non l’hanno mai vissuta sulla pelle, ma ora ho compreso quello che le canzoni non dicono mai.”

Scrutando le sue mani libere dai guanti, Ruak scorse solo piaghe, vesciche da poco guarite, tagli e lividi violacei, davvero nulla di poetico.

Battendogli una mano sulla spalla, Aken gli sorrise orgoglioso e disse: “Pensavo fosse troppo presto, per te, partecipare a una guerra, ma sbagliavo. Sei maturato tantissimo, e in breve tempo, e io sono fiero di averti al mio fianco, fratello mio.”

Aprendosi in un sorriso, Ruak si limitò ad annuire, forse troppo imbarazzato per mettere a parole quanto, ciò che il fratello maggiore gli aveva appena detto, lo rendesse felice.

Lui era sempre stato il suo modello da imitare, molto più del padre, che gli aveva dispensato ben poco affetto, e molti più ordini di quanti avesse mai amato seguire.

Non che re Arkan non amasse i suoi figli, Ruak non lo aveva mai pensato ma, semplicemente, non era mai stato un uomo amorevole, o una persona cui piacesse esternare i propri sentimenti.

Il governo del Regno aveva la sua piena attenzione, tutto il resto veniva sempre e comunque dopo, sua moglie e i figli compresi.

Non era del tutto sicuro che sua madre Anladi fosse lieta di quell’unione, giunta in fretta e furia subito dopo la morte della precedente regina e madre di Aken.

Il suo corpo non era stato tumulato, e le esequie terminate, che la madre era stata data in moglie ad Arkan.

La discendenza del Regno non poteva contare su un unico erede di poco meno di otto anni, avevano detto all’epoca.

Questo aveva condotto la sua giovane madre, poco più che sedicenne, a sposare un uomo già maturo e duro di carattere.

Loro erano nati a distanza di un anno l’uno dall’altra. Ruak il primo, Melantha la seconda.

La discendenza era salva, la speranza di alleanze future rese più sicure dalla presenza di una fanciulla di nobile lignaggio da dare in sposa a un principe straniero.

Non faceva mistero di mal sopportare la petulante sorella, ma non le invidiava il ruolo di pedina che, in quanto principessa, le spettava.

Era ingiusto e crudele ma, in quanto figlia di Re, questo le spettava per ‘diritto di nascita’.

Sospirando, Ruak si passò una mano tra i capelli umidi per scrollare via le goccioline d’acqua che li inzuppavano.

“A volte, vorrei tanto essere nato in mezzo ai boschi.”

Aken si limitò ad annuire, preferendo non mettere a voce i suoi desideri, ma comprendendo ampiamente quelli del fratello.

Portare il peso della corona potenziale che gli spettava di diritto, era un lusso a cui avrebbe volentieri rinunciato, anche se in cambio gli avessero dato una vanga o un badile.

Si doveva essere portati per ogni cosa, anche per fare il principe ereditario e lui, evidentemente, era negato.

Certo, amava il suo popolo più di se stesso, questo era evidente – non si sarebbe trovato lì, altrimenti – ma non desiderava vivere tra le mura di Rajana a sfornare figli da una perfetta sconosciuta, e solo ‘per il bene della corona’.

Lui voleva Eikhe, punto e basta. Ma era esattamente l’unica cosa che non avrebbe mai potuto avere.

Quando Vesthe e Liase tornarono di corsa, le belle chiome bionde e intrecciate sul capo, Aken sospirò e disse: “Manca poco.”

Ruak annuì e, non appena la corsa delle due giovani donne terminò loro accanto, domandò: “Avete avvisato tutte?”

“Come ordinato” annuirono in coppia le due ragazze.

“Bene” annuì Aken, lanciando uno sguardo a uno dei suoi ufficiali che, con un inchino, si avviò verso le coorti per rendere noto agli uomini di prepararsi per la ripresa delle ostilità.

“Kreathe vi manda a dire che, dal colle a nord-ovest, uno dei lupi ha visto sopraggiungere un nuovo contingente di fanteria da Anarsis. Forse, lo avevano tenuto oltreconfine per ogni evenienza, per tenere uomini freschi per la battaglia” asserì Liase, accigliata.

Imprecando senza tanti complimenti – aveva sentito dire ben altre oscenità dalle donne, per sapere che la sua non avrebbe sortito alcun effetto sulle figlie sacre – Aken ringhiò: “Quel maledetto bastardo! Ma di quanti uomini dispone?”

“Figliano come conigli, per caso, a Vartas?” brontolò Vesthe, cupa in viso.

Ridendo nervosamente, Ruak lanciò un’occhiata alla collina, dove erano appostate le forze di Vartas, e borbottò: “Magari fossero anche conigli.”

“No, sono muli. Muli duri come macigni” sbuffò Aken, prima di guardare le due donne e chiedere: “Qualche idea?”

Le due ragazze si guardarono sorprese per un attimo e il principe, abbozzando una risatina, celiò: “Ehi, più consigli mi giungono, meglio è.”

“Beh, principe, non siamo abituate ad avere un rapporto così paritario con gli uomini, come tu ben potrai immaginare…” replicò Liase, fissandolo con aperta ironia. “… ma la cosa mi piace alquanto. Non è che, finita questa pazzia, ti andrebbe di passare un po’ di tempo con me? Non mi spiacerebbe avere un figlio con la tua testa.”

Aken strabuzzò gli occhi, sconvolto da quella proposta, mentre Ruak scoppiava in una frenetica risata e Vesthe scuoteva il capo con aria divertita.

“Beh, che ho detto? Mica voglio diventare Regina. Mi serve solo il suo seme!” protestò Liase, prima di scoppiare a ridere con loro.

Passandosi una mano sul viso, su cui spiccava la sua bocca spalancata per il gran ridere, Aken esalò a un passo dalle lacrime: “Oh, cielo! Di tutte le cose che potevo aspettarmi… giuro, questa proprio mi ha sconvolto a morte!”

“Hai sentito, Aken? E’ forse la prima donna che non ti vuole per la corona che porterai. Perché non ne approfitti?” rise ancora più forte Ruak, dandogli sonore pacche sulle spalle.

Vesthe, che aveva ascoltato le loro battute a metà tra il risolino e disappunto, sollevò interessata un sopracciglio e chiosò: “Dopotutto, Liase non ha avuto  una cattiva idea. Sei un po’ giovane, per i miei gusti, ma anche la tua testa è buona, principe Ruak, perciò non avrei problemi ad aggirare il piccolo particolare dell’età, per una volta.”

A quel punto fu Ruak a sgranare gli occhi, fissando poi la figlia sacra con aria smarrita e un copioso rossore a incipriargli le gote e le orecchie, ora scarlatte come rubini.

Aken lo fissò solo per un attimo, e fu sufficiente per farlo tornare a ridere di gusto, mentre tutt’intorno a loro il campo riprendeva vita in attesa del proseguo della battaglia.

Quella dorata spontaneità gli era sempre piaciuta, e Aken non poté che trovare idilliaco quel breve momento di ilarità, strappato alle maglie di una guerra che sembrava non volere dare loro tregua.

Eikhe lo aveva sconvolto in tutti i sensi, con il suo modo di fare, facendo sì che lui si innamorasse perdutamente di lei e del suo spirito libero e privo di freni inibitori.

Ora, quelle due fanciulle che, come Eikhe, condividevano il dono di Hevos, gli avevano restituito un attimo di pace, di serenità, di libertà.

Allungandosi per abbracciare entrambe le ragazze, che sobbalzarono sorprese, Aken baciò entrambe sulle guance prima di dire: “Guai a voi se vi farete male, durante la lotta. Non mi interessa un accidente se Kreathe vi ha detto diversamente. Io vi ordino di vivere, qualora io mi trovassi in un pericolo tale da non poter essere salvato. E’ chiaro?”

Ruak fu lesto a aggiungere: “E lo stesso vale per me.”

Liase e Vesthe si guardarono in viso dubbiose, prima di annuire e dichiarare: “Ve lo promettiamo.”

“Allora, andate. E preparatevi a dar battaglia. Ci fidiamo di voi, e combatteremo più tranquilli, sapendovi al nostro fianco” decretò Aken, sorridendo loro con orgoglio.

Le due ragazze si aprirono in larghi sorrisi e, annuendo, corsero via mentre Ruak, tornato serio, fissò il fratello e mormorò mesto: “Pensavi a Eikhe?”

“Già” annuì lui, prima di dargli una pacca sulla spalla. “Andiamo a prepararci anche noi, fratellino. Oggi ho davvero voglia di menar le mani.”

“Ottimo. Ti seguo a ruota!” esclamò il fratello, lanciando un ultimo sguardo al cielo.

I primi lembi di azzurro cominciavano a intravedersi, tra il nero delle nubi temporalesche.

Sì, mancava davvero poco, alla ripresa della lotta. Ma loro erano pronti.

“Va bene… ricominciamo” sbuffò Ruak, sguainando la spada.

“Calmati, testa calda… passerà ancora un po’, prima che qualcuno si muova in quel guazzabuglio” ridacchiò Aken, sorpreso dalla veemenza del fratello.

“Voglio finire questa cosa il prima possibile… sono stufo marcio di starmene qui a fare i comodi di quel pazzo” borbottò il fratello minore, aggrottando la fronte.

“Hai ragione… gli abbiamo concesso fin troppo, del nostro tempo” annuì ombroso Aken, sfoderando lentamente la spada, con aria sinistra.

Sogghignando, Ruak gli diede una pacca sulla spalla e assentì convinto.

“Finiamola oggi.”

Annuendo, Aken guardò per un momento i suoi uomini, sparsi per tutto il bosco e in attesa come loro che quella pioggia cessasse.

Nessuno di loro voleva protrarre quella guerra più del necessario, e avrebbe fatto il tutto e per tutto perché quella follia avesse termine quel giorno stesso.

Nargan sarebbe penzolato da una picca entro sera.

Lanciato uno sguardo al campo delle donne-lupo, Aken si chiese per l’ennesima volta perché Kaihle se ne fosse andata prima della fine della guerra.

Si impose comunque di non dare spazio alle sue paure, per non perdere la concentrazione.

Chiedendo a Esteria, aveva solo saputo che aveva passato il comando a un’altra capo-tribù ma, sul motivo del suo allontanamento, nessuno sapeva nulla.

A peggiorare il tutto, anche Sendala era andata via con lei, quindi non aveva potuto domandare neppure all’unica altra donna-lupo che conosceva.

Non gradiva l’idea che se ne fosse andata via su due piedi, tirandosi dietro l’amica del cuore di Eikhe.

Doveva credere che Eikhe stesse bene, e che quell’allontanamento improvviso non avesse nulla a che fare con la donna del suo cuore.

Non doveva deconcentrarsi proprio in quel momento. Eikhe doveva stare bene.

Scuotendo il capo per il fastidio, Aken cercò di non perdersi in quei lugubri pensieri per non essere distratto in battaglia e, quando finalmente vide muoversi i primi soldati nel campo nemico, disse: “Bene… si comincia.”


 

  
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