Da quando ero a Londra avevo smesso di svegliarmi tardi e fare tutto di corsa. La mattina mi prendevo un sacco di tempo - alla fine quanto mi bastava per iniziare la giornata con il piede giusto. Mi facevo una lunga doccia calda e facevo una buona colazione all'inglese (che sia forse proprio per fare quella squisita colazione completamente differente da quella italiana che mi svegliavo prima?); uscendo poi leggevo qualche notizia sul giornale. Il ritratto di una ragazza 17enne matura quanto una 25enne o giù di lì, no?
Eppure quella mattina mi alzai a fatica dal mio comodo e caldo letto. Feci una doccia più lunga del solito, ma una colazione meno sostaziosa. Uscii di casa con il primo giornale che trovai sul tavolino in salotto e mi diressi verso la scuola leggermente in ritardo. Fuori tipica giornata inglese: fredda, cielo grigio e pioggerellina che non bagna ma irrita da morire. Infatti misi il giornale nello zaino senza nemmeno dargli uno sguardo.
La giornata a scuola passò normalmente. Sempre un sacco di risate con Alice e Max, un'interrogazione in storia e l'ora di disegno artistico. Era un giovedì e di solito,usciti da scuola, io e Max facevamo un tratto di strada insieme fino ad una piccola piazzetta con una grande fontata, tante aiuole e poche panchine. Le persone che la riempivano a l'ora di pranzo erano esclusivamente uomini in giacca e cravatta, con valigetta di pelle nera o marrone e costantemente al cellulare; durante la pausa pranzo era inoltre facoltativo un sandwich. La maggior parte di loro sedeva sui bordi della grande fontana: si sistemavano in modo da non rovinare o bagnare i loro formali completi costosissimi e rimanevano con le gambe a penzoloni, col cellulare vicino ad un orecchio e il sandwich in mano. Sembravano tanti bambini intrappolati nel corpo di grandi uomini d'affari. O forse era il contrario?
Ma quel giorno c'era un gruppo di ragazzi vestiti dai colori accessi e inadatti alla stagione dell'anno che stavamo attraversando. Uno di questi, con i capelli neri e la pelle più scura degli altri, portava addirittura una maglietta a maniche corte, mentre un ragazzo indossava dei pantaloni a pinocchietto – ho sempre odiato quel genere di pantaloni! Tutti i ragazzi li portavano a Londra, ma mi hanno sempre ricordato la barca a vela, che non c'entra nulla con Londra dal momento che il mare è lontano kilometri!
Sembravano essere tutti tristi; il ragazzo con i pantaloni a pinocchietto abbracciava quello con i pantaloni praticamente a terra e una montagna di capelli boccolosi. Il ragazzo biondo aveva le mani giunte sulle ginocchia, un altro ragazzo con i capelli corti molto chiari si teneva le tempie con la mano quasi esasperato, mentre il ragazzo più scuro di pelle guardava il cielo con una sconcertante desolazione.
Il cuore si riempì di una tale tristezza che non potei fare a meno di avvicinarmi di più a quel gruppo di ragazzi vestiti con colori vivaci che non rispecchiavano per niente il loro stato d'animo, per assicurarmi che non fosse nulla di davvero grave. Avvicinandomi mi dissi:”Ma cosa vuoi dire loro, Elisa? Torna a casa e stai tranquilla, di certo non c'è un morto davanti a loro.”
Allora rallentai, ma non mi accorsi che stavo ancora andando loro incontro. Quando a un certo punto uno dei ragazzi si girò, e così fecero subito gli altri. Cavolo, erano bellissimi. Stupendi, ma il modo in cui mi guardavano mi spaventava: erano troppo indiscreti e sembrava che io fossi la soluzione ai loro problemi.
Non chiedetemi perché – in effetti erano abbastanza belli da approfondire la questione – ma cambiai strada.