Ecco
qui il terzo
capitolo del mio pazzo spin-off! Vi chiedo scusa per il ritardo con cui
aggiorno
(come forse saprete, bazzico anche nel fandom di Dragon BallXD) e vi
avviso
preventivamente (onde evitare ritorsioni contro l’autrice,
insomma) che in
questo capitolo il glaciale principe non comparirà. Avrete
comunque modo di
farvi un’idea sulla situazione della protagonista. ^^ Colgo
l’occasione per
ringraziare Pluto90, Fede
chan Pucci, ShihoMiyano, 0DuBhe0 e Sheiren
S_, che hanno apprezzato e
commentato il primo, il secondo capitolo oppure entrambi. Ringrazio
anche chi
ha aggiunto la storia alle preferite, alle ricordate
o alle seguite, e anche solo chi legge (per la pazienza che dimostra
nel
leggere i miei scrittiXD). Il prossimo turno è de
“La radura”, spero che
intanto possiate gradire questo aggiornamento! Buona lettura! ^^ Kitsune
Due
incontri molto diversi
La residenza del
Generale era davvero molto imponente. Il
corpo principale era costituito da numerosissime stanze, molte delle
quali, a
detta di Taro, erano precluse a tutti tranne che allo stesso Inu no
Taisho e a
suo figlio. Alcune stanze davano direttamente all’esterno,
rivolgendosi verso
la foresta, mentre altre si affacciavano su uno splendido ed enorme
cortile
interno.
Quando Minori
passò insieme alla sua guida nella veranda
interna, rimase estremamente colpita da quell’angolo di
natura. Alcune carpe
nuotavano pigramente in uno stagno al centro del giardino, mentre i
bucaneve
spuntavano da qualche sparsa chiazza bianca che tardava ad arrendersi
alla
primavera. Piccole conifere spiccavano con il loro verde scuro, in
mezzo al
colore ben più pallido delle tenere foglie che sbocciavano
sugli altri alberi.
Il profumo dolceamaro di un bosco che impregnava l’antico
legno della dimora,
come se la vita pulsante non avesse mai abbandonato le venature scure
delle
pareti, donava a quel giardino lo splendore di un dipinto, ma
l’immagine
immortalata era più che mai viva e tangibile.
La kitsune forse
rimase fin troppo estasiata da quello
spettacolo. Doveva averlo dato a vedere, perché una risata
divertita giunse
subito alle sue orecchie.
“Guardare
ma non toccare” disse Taro, col tono di chi la
sapeva molto lunga. “Imparerai presto a conoscere i luoghi in
cui potrai
mettere piede senza essere punita”.
Minori fu
piuttosto infastidita da quelle parole. Era appena
arrivata, ma non mandava giù di essere trattata come una
stupida novellina.
“Dimmi un po’, lupetto, da quanto sei qui tu?”
Il demone, che
camminava poco avanti a lei, si voltò a
guardarla, gli occhi ridotti a due fessure brillanti. “Come
mi hai chiamato,
stupida volpe?”
“Mi
hai sentito benissimo” rispose lei serafica, senza
abbandonare tuttavia un velo di minaccia. Si sorprese di questa sua
sicurezza,
in fondo non sapeva nemmeno con chi aveva a che fare.
“Comunque”
continuò, alleggerendo il tono, “non hai risposto
alla mia domanda”.
Per tutta
risposta Taro arrossì, tornando a guardare fisso
davanti a sé. “Da un
po’…” cominciò, ma poi
scrollò le spalle. “Sono l’ultimo
arrivato”.
Minori rimase
interdetta per qualche secondo, fissando
sorpresa la schiena rigida della sua guida. Poi scoppiò a
ridere. “Non ci posso
credere, e dire che ti avevo preso per un veterano!”
Un’occhiataccia
del demone la zittì. Solo allora la kitsune
notò che Taro aveva gli occhi di un colore blu molto
intenso. I capelli neri
raccolti in una coda e il viso affilato le fecero venire alla mente un
ricordo
vivido e recente.
“Sai”
cominciò, con una tranquillità totalmente in
contrasto
con la vivace discussione di poco prima, “mi ricordi molto il
demone lupo che
ho sconfitto prima di venire qui. Si chiamava Ichiro, mi
sembra”.
Taro
sbuffò, rimanendo in silenzio. Intanto avevano
oltrepassato il giardino centrale, inoltrandosi in un altro corridoio.
Molte
porte filavano accanto a loro, tutte chiuse. Svoltarono un paio di
volte, ma
ormai la kitsune aveva completamente perso l’orientamento.
Poi la voce del
lupo sovrastò improvvisamente il sordo rumore
dei passi che avanzavano sul legno, fino a poco prima unico rumore
presente.
“Quello che hai incontrato tu è il figlio maggiore
di mio zio Hisashi”.
A Minori venne
in mente l’immagine di un vecchio demone lupo
che aveva assistito in silenzio al suo combattimento. “Quindi
tu sei…”
cominciò.
“Sì,
sono il nipote di uno degli otto comandanti al servizio
del grande Generale” la anticipò lui, senza troppo
entusiasmo. “Perché sei
sorpresa? Se non sbaglio, tu sei la figlia minore di Hideo”.
“Sì,
è così” rispose lei, un po’
rabbuiata, ma in pochi
istanti il suo viso cambiò espressione, riempiendosi di
sincera curiosità. “Non
sembri troppo entusiasta di essere il nipote di un
comandante”.
“Si
nota tanto?” chiese lui, mentre un amaro sorriso gli
attraversava le labbra. “Siamo arrivati”.
Minori
notò che Taro non aveva molta voglia di parlare della
sua famiglia, così evitò di essere insistente. Si
concentrò quindi sull’ultima
cosa che le aveva detto, e vide una porta scorrevole chiusa davanti a
lei.
“Che
aspetti?” fece lui, con un sorriso. “Aprila, mica
ti
mangia”.
La kitsune gli
lanciò un’occhiata di rimprovero. Non
sopportava il suo sarcasmo. Aprì la porta di scatto,
sfogando così una parte
del nervosismo che non la abbandonava da ormai più di un
giorno.
Le si
rivelò subito una piccola stanza, un po’ scarna ma
molto accogliente. Un futon si trovava nell’angolo opposto a
lei, mentre
dall’altra parte le sue cose erano già state
sistemate: suo padre doveva aver
fatto portare tutto non appena aveva saputo del trasferimento della
figlia.
C’era persino un piccolo braciere al centro della stanza, sul
quale il fuoco
scoppiettava vivace.
“E’
molto bella” disse Minori, aprendosi in un sorriso.
“La
servitù ha fatto in modo che non ti manchi niente. Puoi
anche prepararti da sola la cena, se lo preferisci”.
La ragazza si
voltò a guardare il giovane lupo che aveva
appena parlato. “Grazie di tutto, Taro”.
Lui
incrociò le braccia. “Non c’è
bisogno che mi ringrazi
adesso. Lo farai a suo tempo”. Detto questo le volse le
spalle per andarsene,
ma Minori lo raggiunse in fretta e lo afferrò per il braccio.
“Aspetta,
che intendi dire?” chiese, confusa.
Il demone
sorrise, ironico. “Strano che tu non l’abbia ancora
capito”. Poi se ne andò, tenendo le braccia
conserte.
La kitsune
rimase interdetta per qualche secondo, poi scosse
la testa. Che tipo strano…
Tornò
nella sua stanza e chiuse la porta, mettendosi subito a
sistemare le sue cose. Non che quella camera non le piacesse, ma
sarebbe stata
la sua casa per un po’ di tempo, quindi aveva intenzione di
renderla sua il più
possibile. Sistemò i pochi
kimono, conscia che probabilmente non li avrebbe mai usati, visto che
era lì
praticamente solo per addestrarsi.
A quel punto una
domanda le sorse spontanea nella mente.
Addestrarsi.
Perché poi? Erano in un periodo pacifico, non ce
n’era motivo. Eppure Minori non riusciva a togliersi di dosso
quella strana
sensazione che la attanagliava dal giorno prima. Non riusciva a
dimenticare
l’atmosfera pesante che aveva respirato nella radura in cui
aveva ottenuto
quell’incarico tanto prestigioso.
La ragazza era
davvero diventata uno dei pochi membri della
scorta personale di Inu no Taisho e Sesshomaru, e ora si trovava nella
loro
dimora, per allenarsi in vista di possibili battaglie. Quali
battaglie poi, lei non riusciva a capire. Così
sospirò, tornando
a sistemare la stanza. Mise la sua amata katana, regalatale da Miyuki
tempo
prima, vicino al futon. In realtà non aveva motivo di tenere
l’arma accanto a
sé mentre dormiva, ma in qualche modo si sentiva
più sicura, come se la
presenza della sorella aleggiasse leggera nella piccola e spoglia
camera.
***
Passò
almeno un’ora prima che Minori fosse soddisfatta del
risultato. Lasciò che il fuocherello si spegnesse,
l’avrebbe riacceso la sera.
In quel momento sentiva piuttosto l’impellente bisogno di
darsi una lavata,
perciò dopo qualche minuto uscì dalla stanza,
tenendo fra le braccia una veste
comoda con cui si sarebbe coperta più tardi.
La ragazza si
incamminò quindi nel corridoio, decisa. Ma dopo
pochi passi fu costretta a fermarsi. Cominciava a capire le strane
parole di
Taro, perché in quel momento le serviva aiuto.
Dove doveva
andare di preciso? Dovevano pur esserci delle
stanze apposite da qualche parte, e lei moriva dalla voglia di
immergersi
nell’acqua calda.
Non avrebbe mai
rinunciato. Perciò decise di andare in
esplorazione, incamminandosi nuovamente lungo il corridoio deserto. Le
porte
delle varie stanze scorrevano accanto a lei tutte uguali, e ben presto
dovette
arrendersi. Si era persa, e non sapeva nemmeno come tornare nella sua
stanza.
“Ti
sei persa forse?”
Minori si volse
all’improvviso. Inconsciamente aveva sperato
che quella voce fosse di Taro, ma si accorse subito che non era
così. La voce
del lupo era giovanile, piena di calore, mentre questa pareva essere di
ghiaccio. Fredda, dolorosa come una pugnalata.
E infatti
davanti a lei stava un’altra figura. Alto, dagli
occhi rossi e taglienti, i capelli neri raccolti in una lunga treccia,
il
demone stava svogliatamente appoggiato alla parete a pochi metri da
lei.
L’espressione era beffarda, quasi divertita. La ragazza lo
guardava
preoccupata, confusa da quegli occhi spietati e brillanti.
“Ti ho
fatto una domanda” disse il demone, pacato.
Minori si
riscosse al suono della sua voce, e arretrò di un
passo. La vicinanza di quel tipo le era insopportabile, si sentiva
schiacciare
dalla pura aura maligna che emanava la sua figura.
“Cercavo
un luogo per lavarmi” disse quindi lei, cercando di
suonare più tranquilla possibile. Tuttavia non
riuscì a nascondere un fremito
nelle sue parole.
Il suo
interlocutore si staccò dal muro, e senza togliere
quel fastidioso sorriso dalle labbra le si avvicinò,
riportando la loro
distanza tale e quale a poco prima. “Spiacente”
disse, mentre una scintilla di
puro sadismo attraversava le sue iridi scarlatte, “stai
andando dalla parte
sbagliata, ma se vuoi puoi proseguire per di qua e venire con me nella
mia
stanza. Ci divertiremo, vedrai”.
Minori era
letteralmente disgustata, tanto che dimenticò la
sua compostezza. “Che hai detto?” chiese, alzando
la voce in modo evidente,
mentre i suoi occhi verdi si riempivano di pura avversione.
Per tutta
risposta il volto del demone si indurì. “La
servitù
non dovrebbe ribellarsi ai miei ordini”.
“Servitù?”
sbottò lei, completamente rossa in viso per la
rabbia e l’imbarazzo. “Io sono il nuovo membro
della scorta di Sesshomaru!”
“Ma
davvero?” rispose lui divertito, con plateale
curiosità.
“E da quando le kitsune vengono ammesse ai piani alti
dell’esercito? Pensavo
foste buone solo a pulire i pavimenti e a fare le sgualdrine”.
Minori non ci
vide più. “Sei solo un dannato
bastardo!” urlò,
abbandonando le sue paure come mai aveva fatto e avventandosi contro il
demone,
piena di collera. Lo attaccò frontalmente, cercando di
piantare gli artigli
nella tenera carne del collo, ma in una frazione di secondo si
ritrovò a terra.
Non
capì mai cosa fosse successo, ma il suo avversario ora
troneggiava su di lei, una mano stretta al suo collo in una morsa di
ferro.
“Volevi forse attaccarmi, ragazzina?”
“Lasciami
andare, verme…” disse la kitsune in tono
soffocato,
e malgrado la rabbia avesse ancora possesso di lei, un velo di paura si
era
posato sui suoi occhi spalancati. Il volto stava assumendo un colorito
spiacevole, mentre ad ogni secondo l’aria faticava sempre di
più ad entrare nei
suoi polmoni.
“Chiedimi
scusa, stupida sgualdrina” ringhiò lui, stringendo
la morsa. Minori si rifiutava di ascoltarlo, ma si sentiva troppo
debole per
reagire. Aspettava solo che il demone ponesse fine a quella tortura. In
fondo,
non aveva mai davvero desiderato entrare nell’esercito.
Stava per
scivolare nell’oblio, quando un rumore sordo
arrivò
alle sue orecchie. In quello stesso istante, la presa intorno al suo
collo smise
all’improvviso di stringere. Ricominciare a respirare fu un
sollievo ma fu
anche estremamente doloroso, perché la ragazza si sentiva
ancora la gola
occlusa, mentre la pelle su cui poco prima premevano le dita
dell’altro demone
bruciava come se fosse marchiata a fuoco.
“Sai
benissimo che non possiamo attaccarci a vicenda” disse
una voce in lontananza. Una voce calda e amica. “Vattene, o
riferirò tutto a
Sesshomaru”.
Una risata
sommessa giunse alle orecchie di Minori, odiosa e
pungente. “E’ stata questa kitsune ad attaccare me.
Mi sono solo difeso. Ma la
perdonerò, questa volta.
Non c’è gusto né motivo di vendicarsi
su gentaglia come lei”.
“Ho
detto vattene,
Raiden”.
“Pensi
davvero che abbia intenzione di trattenermi ancora?”
disse il demone, con fare annoiato. “Non butto via il mio
tempo”. Un leggero
rumore di passi che si allontanavano, poi il silenzio.
Minori era
ancora a terra. Tossiva e ansimava, cercando di
riprendere fiato. Poi sentì che qualcuno la prendeva fra le
braccia, e la
riportava nella sua stanza.
“Aspetta”
disse, rauca, “io volevo andare…”
“Per
adesso non andrai da nessuna parte” la interruppe Taro,
deciso. “Devi stare un po’ tranquilla”.
La kitsune
sospirò senza ribattere. In effetti, si sentiva
uno straccio, non tanto per la debolezza quanto piuttosto per
l’umiliazione che
aveva subito.
“Chi
è quel demone, Raiden…?” chiese, con un
filo di voce.
Il lupo la
posò delicatamente sul futon. “Quello è
il demone
più potente della scorta. E’ un bastardo, crede di
poter dare ordini a tutti
solo perché discende da un’antica famiglia di
demoni maggiori. Ora resta ferma,
aspettami qui” la avvisò, uscendo dalla camera.
Tutto
piombò di nuovo nel silenzio, e ora che Taro se
n’era
andato, Minori sentì improvvisamente un peso che la
schiacciava, all’altezza del
petto. Perché aveva accettato di partecipare a quelle
dannate selezioni? Non
era male a combattere, ma nemmeno poteva definirsi brava. Lei non era
mai stata
un’amante delle guerre. Ricordava ancora la morsa che le
stringeva il cuore,
quando il padre Hideo era lontano da casa, impegnato in
chissà quali battaglie,
mentre lei e la sorella attendevano il suo ritorno, sole.
In fondo, Minori
non aveva mai davvero accettato che suo
padre facesse parte dell’esercito. Perché allora
lei si trovava in quella situazione?
Forse per dimostrare qualcosa? Ma a chi?
Sospirò,
mettendosi seduta. I lividi sulla gola pulsavano, ma
non bruciavano più. Ciò che bruciava davvero era
il suo orgoglio, soprattutto
perché quel Raiden aveva ragione: una kitsune, un demone di
basso rango,
difficilmente veniva accettata in ambiti come quello. Minori sapeva che
a suo
tempo Hideo aveva fatto molti sacrifici per ottenere il posto che
occupava ora,
allenandosi spesso giorno e notte per intere settimane. Inu no Taisho
infine
aveva riconosciuto il suo valore, ma il prezzo che suo padre aveva
pagato era
stato enorme.
La kitsune non
poté fermare una lacrima che le percorse
delicatamente la guancia, per poi cadere silenziosa sul pavimento di
legno.
“Eccomi!”
esclamò all’improvviso la voce di Taro, che era
appena entrato portando fra le braccia una bacinella di legno colma
d’acqua.
“Ehi, stai piangendo?”
Minori si
asciugò in fretta la guancia. “No, ma che
dici?”
ribatté, accennando un sorriso. Vide il demone lupo
scrollare le spalle e
sedersi accanto a lei, per poi posare a terra il recipiente.
“Se lo
dici tu…ti ho portato un po’ d’acqua
fredda, per
alleviare il dolore. Posso?” chiese, tenendo già
fra le mani un panno bagnato.
Era lievemente rosso in viso.
“Eh?
Ma certo” rispose la ragazza, reclinando la testa di
lato, in modo da scoprire meglio i lividi scuri. Rabbrividì
quando sentì il
tocco freddo del panno sulla sua pelle, ma una volta abituata si
rilassò.
“Quindi
quel Raiden è tanto potente?” chiese, in tono
ingenuo, cercando di non far trapelare la sua amarezza.
“E’
forte” ammise Taro, che invece non si curò di
nascondere
un certo disprezzo nella voce. “Ma è un verme,
gioca spesso sporco. Tranne
quando sa di essere osservato da Sesshomaru o dal Generale in
persona”.
Minori
sospirò. “Mi ha umiliata. Mi ha dato della
sgualdrina,
solo perché sono una kitsune”.
La mano del lupo
che la stava curando ebbe un fremito di
rabbia. “Ha detto così? Sul serio?”
“Sì.
E quello che mi fa davvero male è sapere che ha
ragione”.
Taro si
scostò da lei e la guardò negli occhi con
decisione.
“Non azzardarti mai più a dire una cosa del
genere. O ti prendo a pugni”.
Minori non seppe
rispondere. Era rimasta stupita da quegli
occhi blu, tanto sinceri quanto duri e determinati. La tensione era
chiara in
tutti i lineamenti del lupo. Sembrava davvero intenzionato a picchiarla.
“Stai
dicendo sul serio?”
La domanda le
era uscita automatica, e la ragazza si accorse
troppo tardi della stupidità delle parole che aveva appena
pronunciato. Avrebbe
potuto dire altre mille cose, come per esempio quel
“grazie” che era stato
rimandato un paio d’ore prima. Invece…
“Certo
che dico sul serio!” esclamò lui, aprendosi in un
sorriso poco rassicurante. “Guarda che anche io sono forte.
Sono più forte di
quel mentecatto di mio cugino che hai sconfitto tu, se proprio vuoi
saperlo”.
Minori
scoppiò a ridere. Non se n’era nemmeno accorta, la
risata era partita tanto spontanea e naturale che lei stessa se ne
stupì. Era
felice.
“Beh,
allora non devi essere poi così forte”
disse lei, deridendolo. “Quell’Ichiro era una mezza
tacca, tu sarai solo un pochino meglio!”
“Ci
tieni tanto a scoprirlo?” ribatté lui, ringhiando.
Non
era una minaccia, e la kitsune lo aveva capito. Anzi, Taro sembrava
quasi
sollevato nel vederla così serena.
“Ti
sfido, allora!” disse Minori, altrettanto determinata.
Fuori, il sole
scendeva, mentre i due demoni chiacchieravano
fra loro senza sosta. Era quasi buio quando uscirono dalla stanza,
quando Taro
finalmente aveva accettato di mostrarle dove si trovavano le terme
più vicine.
Così
Minori fece finalmente un bagno caldo, scortata dal
demone lupo, che si sforzò molto per non spiare la ragazza
mentre si lavava.
Quella kitsune gli piaceva, gli piaceva molto, ma lui non voleva
ammetterlo a
se stesso. Si erano appena conosciuti, dopotutto.