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Autore: Horrorealumna    13/12/2011    1 recensioni
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Insieme alla mia vita e alla sua.
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Con la nostra morte.
Dopotutto non c’è niente da temere.
Perché temere la morte quando si ha già paura del buio?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Dahlia Gillespie
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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DAHLIA GILLESPIE
 
Me la raccontavi tante volte la tua storia, come se fosse una favola. E a me piaceva molto ascoltare la tua vita. Peccato che in questo periodo hai smesso di raccontarmela; in realtà hai completamente smesso di narrarmi le favole da quando imparai a leggere e a scrivere: dicevi che quelle storie non erano più adatte a me, ma io penso che siano bellissime. Tanto tempo fa anche a te piacevano; quando ero piccolina anche tu ridevi e giocavi con me. Forse è per questo tuo “nuovo carattere” – così aggressivo e severo – che tu non racconti più le favole.
Comunque ora che tu mi hai insegnato a leggere e a scrivere posso annotare da qualche parte la tua fiaba, la tua vita. Ho paura di dimenticarla e so che non avrei mai più sentito questa storia da te.
Spero che non la legga mai.
 Mamma, la conosci troppo bene e ho paura che tu possa buttarla da qualche parte e …
Allora iniziamo!
 
 
In questa bellissima città, Silent Hill, vivevano due giovani che ebbero come figlia una graziosa bambina: aveva i capelli scuri e dei luminosi occhi azzurri. I suoi genitori non le dettero mai un nome perché a loro non piacevano i bambini e così decisero di abbandonarla in un orfanotrofio fuori città. Poi i due decisero di imbarcarsi su una nave per scappare via. La nave attraversò il lago Toluca ( molto famoso qui in città ) ma sparì misteriosamente e i corpi dei passeggeri non furono mai più trovati.
Quindi la bimba, crebbe in questo orfanotrofio insieme ad altri bambini e fu chiamata Dahlia Gillespie.
In quella struttura i bambini venivano cresciuti ed educati a seguire la religione locale: essa deriva da un antico culto indiano, legato alla comunicazione con gli spiriti che però nei decenni aveva assunto una brutta piega trasformando questo culto in riti e sacrifici legati al dolore e alla sofferenza. Gli adepti di questa “religione” erano proprio questi bambini che, seguiti dai sacerdoti e dalle sacerdotesse, eseguivano macabri riti, soprattutto nel bosco vicino alla città. Gli abitanti di Silent Hill erano spaventati: alcuni riuscivano persino a sentire le urla dei bambini sacrificati per quei riti … quindi insospettiti, “abolirono” quel culto e chiusero l’orfanotrofio. Ma quest’Ordine continuava ad esistere in segreto all’insaputa della cittadinanza.
Intanto Dahlia era cresciuta. Fin da piccola aveva sviluppato abilità strane: poteva leggere nel pensiero, muovere gli oggetti senza toccarli e altri poteri non comuni che la misero in risalto in modo negativo in città, ma positivamente all’interno dell’Ordine. Comunque, crebbe anche la sua bellezza, era probabilmente la più bella ragazza di tutta la città: tutti gli scapoli della città avrebbero tanto voluto sposarla ma lei rifiutava ogni pretendente e ogni proposta. Faceva ormai parte dell’Ordine, più precisamente era la leader della “Setta delle Sante Donne”, un gruppo formato da sole donne che aspettavano l’arrivo della Madre che avrebbe portato il Paradiso in Terra, e aveva promesso loro di non sposarsi; poco tempo dopo Dahlia diventò sacerdotessa di quella setta. Comprò una grande casa e andò a viverci ma si sentiva ogni giorno sempre più sola, anche perché la gente non le voleva bene per via dei suoi poteri e così … così …
 
Oh cielo, non la ricordo più nei minimi dettagli!
 
Bhè, l’importante è che lei conobbe papà e io nacqui dal loro amore.
Chissà come ti ho fatta soffrire quando mi portavi nel tuo grembo. Mi hai detto che papà non mi ha mai voluto bene e che era scappato quando seppe che eri incinta.
Le persone continuarono a guardarti con diffidenza e ad evitarti ma a te non importava molto; continuavi le mansioni sacerdotali come se niente fosse. Dovevi proprio essere forte.
Il tuo corpo cambiava, il tuo aspetto cambiava … quando mi portavi in grembo sicuramente vedesti, giorno dopo giorno, la tua bellezza sfiorire per colpa mia perché io, quasi come un parassita, prendevo la tua giovinezza, la tua bellezza …
Nacqui alle prime luci dell’alba di un fresco giorno d’estate, a casa mia.
So, mammina, che hai sofferto tanto per darmi alla luce.
Ma … come faccio a saperlo?
Chiedesti subito di vedermi e ti fui portata vicino; mi prendesti in braccio e mi baciasti la fronte. Sapevi già che sarebbe nata una femminuccia, io.
Come faceva mamma a saperlo? E come faccio IO a sapere tutto questo??!
Appena mi vedesti sussurrasti il mio nome: Alessa. Mi avevi da sempre desiderato, avevi sempre voluto una bambina … anche se in un certo senso sei venuta meno alla promessa fatta davanti alla tua setta, mamma. La gente da quel momento guardò male tutte e due: tu eri la “strega della città”, e io ero la figlia di una donna non sposata, nata nel peccato.
 
Chissà se papà qualche volta pensa a quello che ha fatto. Chissà se è ancora vivo.
 
A poche settimane di vita, mi portasti nella chiesa che tu frequentavi; tu e le altre mi “iniziaste” all’Ordine e, più precisamente, alla tua setta. La Setta delle Sante Donne.
Tu mi mostravi a loro quasi come un trofeo, quasi come un premio appena ottenuto.
Perché?
Perché la gente ora per strada mi guarda come se fossi feccia? Perché in quella chiesa non mi sento a mio agio? E’ per via di questa macabra religione?
Vorrei tanto che questa Madre arrivasse in fretta e portasse la pace nel mio cuoricino …
 
 
La porta della mia stanza si spalancò.
Era mamma: quelle guance pallide e magre e quei capelli non curati li avrei riconosciuti tra mille.
Aveva in mano un vestitino bianco, della mia misura.
Lo buttò sul mio lettino:
- Sbrigati a metterti quello! Dobbiamo andare.
- Dove?
Uscì sbattendo la porta, senza rispondermi. Osservai il vestitino: uffa! Era uno di quei vestiti buoni che si mettono nelle occasioni speciali, quelli col pizzo e il merletto che danno fastidio e prurito. Me lo infilai, controvoglia. Mi andava anche largo ma era lungo abbastanza: forse perché ero tutta pelle e ossa.
Che prurito!! Esco. Ecco mamma sull’uscio.  La raggiunsi e lei mise una mano sulla spalla destra guidandomi fuori di casa. In mezzo alla strada c’era un uomo robusto. Appena mi vide ci venne incontro e sorrise in modo strano.
   
 
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